CIRROSI (dal gr. κιρρός "giallo")
Così il Laënnec designò una speciale lesione del fegato, caratterizzata dal colorito giallo.
Tale lesione era però nota anche agli antichi, e ricordata da Ippocrate (hepar durum, schirrus, marasmus hepatis). Il Morgagni prima del Laënnec aveva richiamato l'attenzione sui caratteri anatomici e clinici di tale processo morboso, ma al Laënnec spetta il merito d'averne fatto una descrizione anatomica abbastanza esatta, sebbene non altrettanto felice ne fosse l'interpretazione. Ulteriori studî hanno allargato il concetto della cirrosi fino a designare con questo termine molte altre forme morbose, che, pur non coincidendo col quadro anatomo-clinico della cirrosi originalmente descritto, hanno in comune con esso un duplice ordine di lesioni epatiche, le une a carico del parenchima, le altre a carico del connettivo interposto, con tendenza alla sclerosi, e, nei casi più tipici, alla retrazione dell'organo. Ma il termine stesso di "cirrosi" s'è convenzionalmente ampliato al punto da comprendere anche le alterazioni analoghe d'ogni altro organo, cioè insieme parenchimali, di natura degenerativa o necrobiotica, e interstiziali, con tendenza alla retrazione fibrosa.
Cirrosi epatica. - Cirrosi di Laënnec. - Per quanto concerne la patologia del fegato, la forma più tipica è la cosiddetta cirrosi di Laënnec o cirrosi atrofica dei bevitori o cirrosi volgare. Essa consiste in un processo a decorso progressivo, che culmina nel rimpiccolimento o atrofia dell'organo, che può perdere fino a quasi i due terzi del suo peso. Ciò avviene in conseguenza delle alterazioni delle cellule epatiche, che degenerano, s'atrofizzano e scompaiono gradatamente, e della neoformazione del connettivo interparenchimale, specialmente interlobulare, che forma un tessuto sempre più duro e retrattile che strozza, dissocia i lobuli epatici, e, nelle forme più complete, li serra entro anelli di tessuto fibroso, la cui rettazione è coadiuvata da una certa ricchezza di fibre elastiche; spesso il connettivo circoscrive più lobuli insieme (di qui la denominazione di cirrosi plurilobulare). Il fegato prima di retrarsi può attraversare una fase di ingrandimento, per lo più modico, in rapporto cioè col primo periodo della proliferazione connettivale; tale ingrandimento non di rado è constatabile clinicamente per un certo tempo, prima della fase atrofica. Quando il fegato ha raggiunto lo stadio dell'atrofia, esso è duro al tatto e appare deformato, per lo più prevalentemente a carico d'uno dei lobi principali (destro o sinistro), col margine arrotondato e con superficie granulosa: le granulazioni, variabili di grandezza da un grano di miglio a un pisello o anche più, rappresentano le parti del tessuto epatico sporgenti al di sopra dei tratti fibrosi, che formano, al contrario, dei solchi più o meno avvallati, per lo più in forma d'anelli; il colorito varia dal giallo al rosso e al verdastro (v. fig. 1).
Dalla retrazione atrofica risulta una conseguenza molto importante dal punto di vista anatomico e clinico, cioè un forte ristagno di sangue nel territorio portale e quindi nelle radici della vena porta (figura 2). Quest'ultima trasporta il sangue refluo dallo stomaco, dalla milza e da gran parte dell'intestino, attraverso il fegato. Da ciò, per abnorme transudamento di siero nel cavo peritoneale, si costituisce la cosiddetta ascite (vedi) o idrope ascite, che distende progressivamente le pareti dell'addome, nei casi d'intensità media raggiunge i 10-15 litri, ed eccezionalmente anche di più. Altra conseguenza della stasi portale è, almeno in parte, l'aumento di volume della milza e la dilatazione delle vene anastomotiche fra il territorio portale e quello delle vene cave ascendente e discendente. S'inturgidiscono soprattutto le vene sopra- e periombelicali; lo sviluppo di tali vene può essere così imponente da giustificare il nome di caput Medusae al reticolo venoso nella regione sopra accennata. Inoltre si distendono fino alla formazione di vere ectasie varicose le vene esofagee inferiori, e possono così dar luogo a emorragie (ematemesi) talora imponenti, minaccianti la vita dell'infermo e non di rado causa di morte. Si distendono ancora le vene emorroidarie, provocando anch'esse delle perdite di sangue, spesso anche nelle prime fasi della cirrosi. Più o meno evidente appare anche il disegno delle vene laterali toraco-addominali, nonché delle vene sottocutanee addominali inferiori. Tali sono i costituenti principali del cosiddetto circolo venoso collaterale dei cirrotici.
La diminuzione di volume del fegato, constatabile con la percussione e con la palpazione, specialmente quando se n'è apprezzato in precedenza l'ingrandimento, il reticolo venoso, il tumore di milza e l'ascite rendono facile il sospetto clinico della cirrosi epatica. La definitiva sanzione diagnostica è data dalla puntura esplorativa, che dà esito a un liquido sieroso a carattere di transudato.
Più difficile è diagnosticare la malattia nei suoi primordî; in questo periodo si hanuo spesso disturbi a carico dell'apparato digerente, come perdita dell'appetito (specialmente per la carne e per i grassi), alternative di stipsi e di diarrea, meteorismo; si possono avere anche emorragie (epistassi, porpora, gengivorragie, ecc.), spesso un leggiero subittero, un modico ingrandimento del fegato e della milza. Nel periodo di stato si ha diminuzione delle urine, presenza d'urobilina nelle urine e spesso glicosuria alimentare. Le più importanti funzioni del fegato sono più o meno compromesse, o singolarmente o complessivamente, e numerosi metodi sono destinati a mettere in evidenza il grado di tale difetto funzionale (insufficienza epatica); quest'ultima costituisce la ragione precipua del decadimento organico insieme con le grandi perdite d'albumina e acqua dovute all'ascite: su di essa, oltre che sui disturbi d'origine meccanica e circolatoria, s'impernia principalmente la prognosi. Questa è sempre grave: la cirrosi per lo più conduce a morte i pazienti, salvo nei rari casi in cui la malattia sembra arrestarsi in una fase intermedia.
Fra le complicazioni della cirrosi annoveriamo l'ittero franco, la trombosi della vena porta, le peritoniti, le gravi perdite di sangue, rese più facili dalla diatesi emorragica conseguente all'insufficienza epatica, l'insufficienza di cuore e un vero stato cachettico.
La cirrosi predilige gli adulti e il sesso maschile; è eccezionale nei bambini e nei vecchi. Nelle forme di media intensità dura 1-2 anni; vi sono però casi di maggior durata, e perfino di 25 anni (Castaigne). Meritano menzione anche alcuni casi eccezionali a decorso subacuto con rapida produzione d'ascite e altri sintomi del tipo cirrotico (Antonelli). Una grande importanza eziologica, nel determinismo della cirrosi ordinaria, va attribuita all'alcoolismo (v.). Una certa importanza sembra avere la sifilide. Per quanto riguarda la malaria, il campo è diviso fra gli autori che ritengono essere l'infezione malarica incapace di produrre la cirrosi e altri che alla malaria danno notevole importanza eziologica, nel senso di crederla capace di creare da sola la cirrosi. Bisogna tener conto, nella patogenesi della cirrosi, anche del fattore costituzionale.
Altre forme di cirrosi epatica.- Tra le forme speciali di cirrosi merita particolare menzione quel tipo singolare di cirrosi epatica che si sviluppa in seguito a una forma di splenomegalia con anemia, non in rapporto con l'eziologia alcoolica (malattia di Banti; v. vol. VI, p. 95).
Nella sinfisi del pericardio si può avere una forma d'epatite cronica con ascite (cirrosi pericarditica di Pick, o cirrosi di Curschmann), nella quale l'aumento di volume del fegato è in parte d'origine circolatoria e in parte di natura infiammatoria.
Forme di cirrosi s'osservano nel morbo di Wilson, nella pseudosclerosi di Westphal-Strümpell, ecc., cioè in alcune sindromi d'ordine neuropatologico, caratterizzate da lesioni del sistema extrapiramidale.
Vi sono altre forme di cirrosi, ugualmente produttrici d'ascite, sebbene meno rapidamente e meno regolarmente, o talvolta decorrenti senza ascite, con sintomi meno gravi d'insufficienza epatica e quindi di prognosi più benigna, nelle quali il fegato rimane ipertrofico (cirrosi ipertrofiche semplici di Hanot e Gilbert). Alcuni autori ammettono anche la cirrosi ipertrofica dispeptica (cirrosi di Budd), dovuta cioè a sostanze tossiche, originate da alterazioni dei processi digestivi. Va anche ricordata la forma di cirrosi grassosa ipertrofica maligna di Hutinel e Sabourin, che si constata soprattutto nei soggetti tubercolosi, e nella quale la malignità del processo è dovuta alle profonde alterazioni degenerative del parenchima e quindi al grado spiccato d'insufficienza epatica. Un'altra varietà è stata isolata da Gilbert, Garnier e Castaigne, sotto la denominazione di cirrosi ipertrofica diffusa, forma decorrente con scarsa ascite e con ittero, nella quale la morte avviene generalmente due o tre mesi dopo l'inizio dell'ascite. In queste ultime varietà hanno speciale importanza l'alcoolismo e la sifilide, oltre che la tubercolosi.
Accenniamo alle cosiddette cirrosi pigmentarie di cui la più importante è quella che si constata talvolta in soggetti diabetici (il diabete bronzino è costituito da questa triade sintomatica: melanodermia, cioè tinta plumbea della cute, cirrosi a tipo ipertrofico e glicosuria).
Cura. - La cura della cirrosi in genere dev'essere innanzi tutto, quanto è possibile, eziologica (proscrizione dell'alcool, cura antisifilitica, quando si presuma che la sifilide abbia potuto provocarla); si deve inoltre alleggerire il compito funzionale del fegato con una dieta blanda, di facile digeribilità, prevalentemente costituita dagl'idrati di carbonio, meno dai grassi e dalle sostanze proteiche, specialmente animali; va favorita la diuresi coi varî medicamenti diuretici, compreso il novasurol, purché somministrato con cautela; possono usarsi spesso i lassativi.
Quando l'ascite è abbondante e minaccia d'esercitare un'eccessiva compressione sulla cava ascendente e solleva il diaframma in modo tale da compromettere la funzione del cuore e dell'apparato respiratorio, è indicato lo svuotamento artificiale mediante trequarti (paracentesi), che si può ripetere anche molte volte nel decorso della malattia, purché praticato con la più scrupolosa asepsi. Parecchi metodi operativi sono stati anche suggeriti allo scopo di deviare in parte la corrente del circolo portale o di permettere il drenaggio del liquido ascitico. Tali interventi sono pero di un'estrema gravità per il cirrotico, e i risultati per lo più sono stati molto inferiori all'aspettativa.
Cirrosi biliare. - Tutte le diverse forme di cirrosi sopra ricordate hanno in comune la tendenza a produrre il versamento ascitico ("epatiti croniche ascitogene" secondo i moderni autori francesi, o "cirrosi venose" secondo la vecchia denominazione). V'è un altro gruppo d'epatiti croniche notevolmente più rare, la cui conoscenza rimonta all'Hanot (1876) e nelle quali l'ascite non si produce se non eccezionalmente, mentre predomina l'ittero: il fegato è per lo più ipertrofico (cirrosi ipertrofica biliare con ittero cronico o morbo di Hanot). La differenza clinica e fisiopatologica fra i due tipi fondamentali è rappresentata principalmente dal diverso modo di reagire della cellula epatica di fronte alle cause patogene. Una varietà della cirrosi ipertrofica è caratterizzata da un cospicuo tumore di milza (cirrosi ipersplenomegalica di Gilbert e Fournier). S'ammette l'origine infettiva delle cirrosi biliari; un certo valore eziologico sembra avere la sifilide (Hanot); vi sono spesso manifestazioni febbrili, e sono frequenti le emorragie; in genere hanno un decorso prolungato e i sintomi d'insufficienza epatica sono tardivi. S'ammette anche una varietà di cirrosi biliare atrofica.
La cura della cirrosi biliare consiste anche qui nella terapia antisifilitica, se l'influenza eziologica della sifilide è dimostrabile; si consigliano un severo regime alimentare e l'uso di antisettici delle vie biliari, come l'urotropina, il salicilato di sodio, il benzoato di sodio, ecc.; si possono utilizzare le soluzioni di atophan (in solvente speciale) introdotte per via intramuscolare o intravenosa, essendo dimostrato che tale sostanza esercita un'azione stimolante sulla secrezione biliare.
Nei casi di cirrosi nei quali l'ittero e l'ascite si producono presso a poco con pari intensità, si può parlare di "cirrosi miste".
Concetto attuale di cirrosi. - Da quanto sopra concludiamo che per cirrosi, nel senso lato della parola, deve intendersi un processo di epatite cronica, nel quale accanto a spiccate alterazioni di carattere regressivo del parenchima si svolge progressivamente un processo di neoformazione connettivale con tendenza alla sclerosi retrattile del fegato. Tali alterazioni sono massimamente evidenti e culminanti nella cirrosi atrofica tipo Laënnec, ma in grado, proporzione e forma diversi si ritrovano più o meno rappresentate in tutti gli altri tipi di cirrosi sopra enunciati. Di qui la giustificazione a ritenerli quali forme diverse di cirrosi, e a non circoscrivere questo tipo di lesione epatica nel campo limitato e tradizionale della forma descritta dal Laënnec. L'unità fondamentale del processo, come in tanti altri campi della patologia, non esclude né la diversità dei fattori patogeni nella molteplicità delle forme anatomiche e cliniche.
Bibl.: G. B. Morgagni, De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, III, Venezia 1761, Epist. 38; T. H. Laënnec, Traité de l'auscultation médiate, 1819, p. 359; R. Bright, Reports of medical cases, Londra 1827, p. 89 segg.; C. Hanot, Étude sur une forme de cirrh. hypertr. du foie, Parigi 1876; id., Cirrhose hypertrohpique biliaire, XI Congr. med. internaz., Roma 1894; J. M. Charcot, Leçons sur les maladies du foie, Parigi 1877; V. C. Hanot e A. Gilbert, Études sur les maladies du foie, Parigi 1888; A. De Giovanni, Intorno alla patogenesi della cirrosi epatica, in Atti Istituto veneto, s. 6ª, V; A. Chauffard, Maladies du foie et des voies biliaires, in J. M. Charcot, E. Brissaud, C. J. Bouchard, Traité de médecine, Parigi 1902; A. Cardarelli, Lezioni sulle malattie del fegato e delle vie biliari, Napoli 1907; G. Banti, Anatomia patologica, Milano 1907; G. Antonelli, Cirrosi biliare ipertrofica a forma ipersplenomegalica, in Policlinico, Sez. Med., 1919; M. Villaret e L. J. Besançon, Les cirrhoses du foie, in G.H. Roger, F. Widal, P. J. Teissier, Nouveau traité de médecine, XVI, Parigi 1928.