CIRENAICI
. Nome dei seguaci di una scuola filosofica greca, così chiamata dalla patria del suo fondatore, Aristippo di Cirene. Questi aveva subito, nella sua giovinezza, l'influsso dei sofisti, ma era poi divenuto discepolo, per quanto indipendente, di Socrate: di qui il duplice aspetto dell'indirizzo filosofico da lui iniziato, che da una parte è una caratteristica derivazione del socratismo e dall'altra ha elementi che lo riconnettono strettamente con la sofistica. Tipico del socratismo era il concetto del bene come tale che, conosciuto, dovesse senz'altro attrarre a sé la volontà: per uno scolaro esuberante e semplicista come Aristippo, breve era il passo da questa tesi a quella che il bene fosse senz'altro quel che chiamava a sé la volontà, cioè il desiderabile e il piacevole. Come fine dell'azione si poneva così soltanto "il piacere" (ἡδονή): ecco l'esplicito edonismo cirenaico, tanto più deciso in quanto tale "piacere" non era quello "stabile" poi teorizzato da Epicuro, bensì, soltanto, quello del senso e del momento, nella cui astratta attualità appariva propriamente risolubile il problema piatico. E qui si manifestava propriamente l'eredità protagorea: di Protagora era infatti il principio che l'uomo avesse consapevolezza solo delle affezioni (πάϑν) che in lui sorgevano per il suo contatto, eternamente mobile, con la diveniente realtà. L'immediata esperienza pratica era quindi un movimento (κίνησις), dalla cui natura di "lievità" o di "asperità" derivava la sua intonazione piacevole o dolorosa, cioè il suo differenziarsi in ἡδονή e in πόνος.
Evidente quindi il contrasto capitale sviluppatosi fra le due estreme correnti in cui si scisse l'insegnamento socratico, di cui l'una (v. cinici) negava senz'altro l'ἡδονή per il πόνος, mentre l'altra negava senz'altro il πόνος per l'ἡδονή. D'altra parte, nonostante quest'antitesi di principio, il vangelo cirenaico doveva poi in molti aspetti avvicinarsi allo stesso vangelo cinico: non per nulla essi erano sorti entrambi dallo stesso terreno sofistico-socratico, e anche per il primo restava viva la tipica esigenza socratica della "saggezza" (ϕρόνησις), sia pure intesa, ora, come mero calcolo dei piaceri. Se il cinico tendeva all'assoluta αὐτάρκεια, alla sufficienza di sé immune da ogni desiderio, il cirenaico mirava comunque all'αὐταρχία, al dominio di sé pur nell'appagamento del desiderio: da ciò le tipiche massime cirenaiche dell'"usare i piaceri ma senza esserne vinti", del "possedere senza essere posseduti". E quasi del tutto veniva a coincidere col rigorismo cinico l'edonismo cirenaico nella sostanziale svalutazione di ogni realtà che sovrastasse al puro interesse individuale, legge, famiglia, stato, ecc.: con la differenza, però, che mentre nei cinici la negazione era rigorosa, e celava, in germe, un motivo importante per il successivo sviluppo del concetto di libertà, nei cirenaici quei valori erano (sofisticamente) respinti come assoluti ed accettati come relativi, in quanto cioè potessero essere sfruttati nella individuale ricerca dei piaceri. Tanto è vero che un tardo cirenaico, Anniceri, poté considerare le virtù sociali addirittura come necessarie per il vero raggiungimento del piacere. Parimenti, comune ai cinici e ai cirenaici era il sostanziale disinteresse per il problema religioso; ma mentre gli antichi cinici avevano il buon gusto di farlo semplicemente passare in ombra, relegandolo in una generica soluzione monoteistica, l'esuberanza cirenaica aveva il bisogno di espandersi nell'ateismo proverbiale d'un Teodoro e nell'acume razionalizzante d'un Evemero. Per il suo rigorismo ascetico, invece, il cinismo non era esposto a quella più profonda crisi, a cui la filosofia cirenaica dové presto soccombere, dissolvendosi nella più ricca e matura corrente epicurea: e cioè quell'inversione radicale dell'edonismo in pessimismo, a cui giunse Egesia quando sostenne l'impossibilità di tramutare in piacere l'eventuale e puntuale esperienza di dolore, dichiarando di conseguenza preferibile la morte e meritandosi perciò il soprannome di "consigliere del suicidio".
Bibl.: Per le fonti e per gli scritti critici particolari v. le bibliografie date alle voci dei singoli cirenaici. Tra gli studî generali v. A. Wendt, De philosophia cyrenaica, Gottinga 1841; H. de Stein, De philosophia cyrenaica, Gottinga 1855; H. Maier, Sokrates, Tubinga 1913, p. 583 segg.; oltre alle trattazini comprese nelle storie generali del pensiero antico (Zeller, Gomperz, Joël). Metodicamente ottimo, anche se in qualche punto eccessivamente dubitoso, l'articolo di J. Stenzel, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, coll. 137-50, da consultare anche per le ulteriori indicazioni bibliografiche.