Alighieri, Cione
Figlio di Brunetto; nel nome forse si rinnovò quello del nonno Bellincione o quello dell'omonimo cugino del ramo degli Alighieri del Bello (v.).
C. già nel 1290 doveva esercitare un'attività in proprio, poiché teneva in affitto da Taddeo di Buoso dei Donati dei locali nei pressi della Torre della Castagna, di fronte alla quale stavano le case dei due rami degli Alighieri.
Aderente come D. e gli altri Alighieri del ceppo di Bellincione a parte bianca, dopo il 14 luglio 1306, fu annoverato tra i ghibellini tassati per la guerra di Montaccenico; mentre vi sono argomenti che farebbero supporre un'adesione alla parte nera degli Alighieri del ramo del Bello.
C. ebbe moglie di nome Tessa, e tre figli: due maschi, Giorgio, che coadiuvò il padre nel mestiere di lanaiolo; e Berto, o piuttosto Betto (Brunetto), di cui si conosce solo l'esistenza e che ebbe un figlio di nome Bartolo (l'ultimo maschio del ceppo di Bellincione che abitò in Firenze) e una femmina, Giadra (Zara) che sposò il notaio Nicola di Giovanni da Vascappo oriundo dalla diocesi teatina. C. e gli altri maschi di famiglia erano " pubblici mercatores et artifices in arte et de arte lanae civitatis Florentiae ", ma gli affari erano tutt'altro che floridi. La loro situazione finanziaria infine giunse al tracollo principalmente per il processo promosso dal genero, Nicola di Giovanni, il quale rivendicava 200 fiorini, probabilmente beni dotali della moglie, e un successivo prestito fatto da questa al padre di 59 fiorini d'oro di proprietà del marito.
Alla richiesta di restituzione di quest'ultimo credito C. si riconobbe debitore soltanto di fiorini 10, soldi 19 e danari 6, avendo già dato il resto, che era il più, a Giadra per le sue occorrenze, il che Giadra e Nicola negarono, mentre facevano fede di ciò le carte amministrative degli Alighieri. A quest'affare venne a intrecciarsi l'altro del deposito dei 200 fiorini. Il 10 gennaio 1323, Nicola si querelò dell'una e dell'altra mancata restituzione da parte dei due Alighieri di fronte alla Mercanzia. Il 13 gennaio, Giorgio, il cui consenso era necessario per la restituzione, si era già allontanato da Firenze, e Nicola approfittò della sua assenza per farsi rilasciare autorizzazioni legali per la restituzione del deposito da altri membri di casa Alighieri: Tessa, moglie di C., e Bartolo di Betto di C., rispettivamente madre e nipote di Giadra. Il processo fece il suo corso e si giunse così, il 21 gennaio, all'inchiesta sui beni immobili di C. e di Giorgio; tra i testimoni furono Nicolò di Foresino Donati e Pietro di D. Alighieri. I beni consistevano nei due terzi di una casa nel popolo di S. Martino del Vescovo e in un podere con le sue dipendenze nel popolo di S. Gervasio, confinante tra l'altro con il torrente Affrico, cioè dove cominciano i pendii delle colline fiesolane. Non vi è dubbio che quei beni passarono a Nicola e a sua moglie secondo la stima fattane dagli stimatori giudiziari. Intanto la Mercanzia, il 20 gennaio, era stata chiamata a rendere esecutiva una sentenza dei consoli dell'Arte della Lana, la quale condannava C. a pagare una certa somma alla società degli Scali.
Così questi Alighieri del popolo di S. Martino giunsero al tracollo finanziario. Il Piattoli suppone che, allo scopo di evitare un pubblico fallimento e soprattutto le sue conseguenze (come la cattura e la prigione), si allontanassero da Firenze, trovando rifugio magari nel paese di Nicola.
Bibl. - E. Casanova, Nuovi documenti sulla famiglia di D., in " Riv. delle Biblioteche e degli Archivi " X (1899) 82-85; M. Barbi, Brunetto A. alla battaglia di Montaperti, in " Studi d. " IV (1921) 124-126; Piattoli, Codice 50, 97, 120, 131, 132, 137, 159, 165.