CIATO (κύαϑος, cyăthus)
Vaso che nell'antichità serviva ad attingere il vino dai crateri (v. attingitoio). Gli antichi scrittori (Athen., X, p. 424 a-d; Suida s. v.) narrano che lo schiavo adibito all'ufficio di coppiere, di solito un bellissimo efebo, detto κυαϑότης, e pincerna dai latini, versava dai crateri nelle coppe dei banchettanti tanti ciati, quanti erano ordinati dal re del festino. Sembra che il vaso fosse di bronzo, o d'altro metallo più prezioso, a guisa di ciotola profonda, e fornito di un lungo manico talora ornato. Come già notava Varrone (De ling. lat., V, 124) il cyathus greco si sostitui al romano simpulum, che però restò ancora in uso nelle cerimonie religiose.
Bibl.: E. Pottier, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, ii, p. 1675; R. Leonard, in Pauly-Wissowa, Real-Encycklopädie, XI, col. 2242 segg.
Come misura di capacità corrispondeva a 1/24 di choenix e a 1/12 di sestario romano.
Botanica. - Si chiama ciato un'infiorescenza, ossia complesso di fiori, caratteristica del genere Euphorbia simulante un fiore unico. Consta di un fiore centrale e terminale femmineo, nudo, lungamente peduncolato, che è circondato da parecchi gruppi di fiori maschili pure peduncolati eretti, ridotti ciascuno a un unico stame. Il complesso di tali fiori è sempre circondato da un involucro in forma di tazza fatto da 5 foglioline perigoniali saldate assieme con le quali s'alternano 4 grossi nettarî ellittici o semilunari.