CHRÉTIEN (Chrestien) de Troyes
Poeta francese del sec. XII. Una sola volta egli si nomina con l'aggiunta della patria, Troyes, nella Champagne, nel romanzo Erec et Enide, considerato come primo della serie dei suoi romanzi bretoni, per i quali ottenne meritamente una fama grandissima e diede origine a una copiosa letteratura, non solo in Francia. Egli è anche conosciuto come uno dei trouvères, per canzoni d'amore, penetrate dal medesimo spirito signorile, raffinato, dei trovadori dell'amore fino, o nobile: il sapere e il valore strettamente congiunto con l'amore costituiscono il suo mondo ideale, la perfezione della società umana, la cavalleria. La cultura classica è attestata dai numerosi richiami che egli fa a Virgilio, a Stazio e ad Ovidio, del quale ha preso e ritenuto la maniera tutte le volte che analizza i fenomeni dell'amore. Egli dichiara che il suo Lancelot o Roman de la charrete, gli è stato suggerito dalla contessa di Champagne, che è Maria, figlia di Luigi VII e di Eleonora di Poitiers, andata sposa a Enrico I conte di Champagne dal 1164, morta il 1198 dopo 17 anni di vedovanza. Un altro ne scrisse per il conte Filippo di Fiandra, che prese la Croce il 1188 e morì in Acri tre anni dopo. Da queste relazioni risultano anche all'ingrosso i limiti di tempo in cui va posta la sua produzione, e niente altro si può arguire di sicuro: il fiore starebbe durante la signoria di Enrico I, dovendosi riferire ad anni anteriori al 1173 la prima menzione del romanzo di Tristano, che precede opere di altri dello stesso argomento. Iniziando il Cligès egli si annunzia come autore di opere precedenti, ricordando di aver tradotto Ovidio in versi, cioè l'Ars Amandi e i Remedia amoris, e di avere rifatto dalle Metamorfosi la storia di Pelope e la favola di Procne; ma nulla ci è pervenuto, perché il poemetto della Philomene col nome di Crestiens li Gois ormai è definitivamente dimostrato non suo. Né si riesce ad appurare se veramente componesse un Ovide moralisé. Intanto da quella dichiarazione risulta primo fra i suoi romanzi Erec et Enide, poi il Tristan e ultimo il Cligès.
Sono tutti in ottonarî (corrispondenti ai nostri novenarî), rimati a due a due, e della stessa mole, poco meno di 7 mila versi, eccetto il Guillaume d'Angleterre, che ne couta la metà, e il Graal che raggiunge i 10 mila. Non doveva esserci nulla di più delizioso per i lettori del suo tempo, e anche i moderni sentono il piacere di quella fresca vena, facile e abbondante e di quella sottile psicologia. Le ricerche intorno alle origini, ossia le fonti, di quei componimenti sono state infinite e complicatissime, toccando anche le traduzioni celtiche, oltreché indagando a quali libri il poeta si riferisca quando pare alludere, per es., a romanzi greci d'avventura.
Erec et Enide: è la storia di due giovani sposatisi per amore, dopo essersi veduti una volta sola, e che si dànno prove scambievoli di amore e di virtù quasi sovrumane. La storia prende le mosse dalla bizzarria del re che vuol ristabilire l'usanza annessa alla caccia del cervo bianco. Erec è un cavaliere valoroso, ma per l'amore della sua Enide trascura le imprese militari, tanto che ella sente quasi colpa di averlo così distratto e si lascia sfuggire tra veglia e sonno il rimpianto per lui. Ma Erec quando ha saputo il vero, l'obbliga a seguirlo, anzi a cavalcare innanzi a lui per luoghi pieni di pericoli, senza mai rivolgergli la parola. E in questo pellegrinaggio avventuroso ella non si può tenere di avvisarlo nei brutti incontri, ed egli sempre la redarguisce, con parole di disprezzo, per lei che gli diventa sempre più devota e affettuosa. Qualche barone tenta la sua onestà, ma per suo danno; e continue prove ha Erec di questa lealtà e devozione incrollabile. Una volta egli cade mortalmente ferito e pare morto, e sul suo feretro un potente insiste con minacce perché ella consenta a sposarlo; ma Enide reagisce con tutte le forze mentre si strazia nella sua desolazione; e allora il morto risuscita e fanno la pace. Non si sa che cosa ammirare più, se il valore dell'uno o l'umiltà devota dell'altra.
Il Tristano è perduto; ma i racconti pervenutici da altra parte dànno non pochi indizî di derivare da esso; tutta la principale azione fondata sopra il fato, che è un concetto estraneo alla letteratura medievale, si spiega soltanto per gli studî classici di C.; e ad altri elementi secondarî (cfr. N. Zingarelli, Studi Medievali, n. s., I) va aggiunto che il ravvicinamento del Morholt col Minotauro si conferma nell'invenzione del palazzo segreto di Cligès, corrispondente al labirinto di Creta.
Non minor successo del Tristano ebbe il romanzo di Cligès dove una prima parte si colloca alla corte di Artù: da Soredamors, damigella della regina, e da Alixandre, principe greco venuto a impararvi cavalleria, che fa meravigliose opere di valore e si acquista così onori grandi e la mano della damigella, nacque il meraviglioso fanciullo Cligès. Morto l'imperatore di Costantinopoli, padre di Alixandre, questi accorrendo con la moglie e il figlioletto per prendervi la successione trova suo fratello Alexis che se n'era impadronito; e vengono a un accordo che il fratello avrebbe goduto il titolo e gli onori e Alixandre esercitato il governo, a patto che Alexis non prendesse moglie e il trono fosse serbato a Cligès. Morto Alixandre, il patto non fu mantenuto, e Alexis richiese in moglie la figliola dell'imperatore di Germania, Fenice, e l'ottenne, sebbene già promessa al duca di Sassonia, a patto che andasse egli stesso a prendersela con un esercito per resistere alle minacce di costui. Alle nozze fu presente Cligès, poco più che trilustre: e Fenice e Cligès s'innamorarono subito, e crebbe l'amore per le prove di valore che l'adolescente diede contro il duca di Sassonia, fino a salvarla da dodici baroni che l'avevano rapita per lui. Fenice dal canto suo consentì a sposare Alexis perché la sua balia, una tessala esperta nelle arti magiche e nella farmacia, le promise di dare a bere al consorte una pozione per la quale ella sarebbe rimasta vergine e il consorte sarebbe stato pago di goderla in sogno. Fenice protesta di non voler seguire l'esempio di Isotta; il suo corpo e il suo cuore devono appartenere a uno solo: ella conserva la sua onestà, mentre Cligès va alla corte di Artù, e vince in un torneo, nientemeno, Lancillotto e Perceval. Quando si conobbe chi era, ebbe accoglienze grandiose; e dopo un anno tornò a Costantinopoli, dove avvenne tra i due la dichiarazione di amore, bellissima. Ma Fenice non vuol perder più tempo, e con l'aiuto della balia e dell'architetto ingegnoso si stabilisce che lei si sarebbe finta morta, per farsi poi condurre dalla sepoltura a quella specie di labirinto. Tutto andava bene; e mentre si piangeva dal popolo per quella morte così immatura, capitarono tre medici di Salerno, i quali, accortisi che il cuore batteva, s'impegnarono di risuscitarla; ma né le lusinghe né le percosse e le torture valsero a riscuotere Fenice che tutto sentiva; finché il popolo sdegnato per quei supplizî irruppe e gettò i medici dalla finestra. Nel labirinto vivevano felici i due giovani; ma scoperti, trovarono scampo nella fuga, tanto che Alexis morì di rabbia ed essi tornarono trionfanti a occupare il trono paterno. È veramente da credere che Chr. facesse un Controtristano in questo romanzo d'amore che aborre dall'incesto, e in cui si ricorre ai beveraggi e alla fida balia, e si raffigura il re meritevole dell'inganno: anche la scena della sorpresa degli amanti nel giardino si ritrova nel Tristan di Thomas.
Il romanzo di Ivain ou le chevalier au lion prende le mosse dalla leggendaria fontana di Broceliande nella Bretagna, dove chi versasse dell'acqua faceva scatenare una fierissima tempesta; e il signore del castello accorreva per farla cessare, sfidando a battaglia l'importuno, che raramente usciva salvo dalle sue mani. Raccontato questo alla corte di Artù, Ivano si propose di andare a vendicare su quel signore un malcapitato, e trovò davvero un fortissimo avversario; ma egli riusci a ferirlo mortalmente, e inseguendolo entrò nel suo castello e vi rimase prigione, mentre il popolo si levava a tumulto per vendicare la morte del signore. Lo salvò una damigella, savia e di molto garbo, Lunetta, che riuscì a convincere la vedovella Laudina di perdonargli e prenderlo come marito, essendosi egli intanto molto innamorato di lei; è questa la parte più bella del romanzo. Artù con la corte vengono in cerca di Ivano e lietissimi dell'avventura finita così bene rimangono nel castello molto festeggiati; ma Galvano persuade Ivano a tornare per poco alla corte per provarsi in alcuni tornei; la dama consente, ma impone di non rimanervi più di un anno e otto giorni, e gli dà un anello come talismano. Sennonché Ivano dimentica la moglie, e questa gli manda una messaggera a ripigliarsi l'anello e a vietargli di ritornare. Ivano impazzisce dal dolore, e partito dalla corte si riduce a viver tra le fiere nei boschi; finché una dama impietosita non gli manda un farmaco risanatore. Allora comincia per il rinsavito una serie di avventure, prima quella della liberazione di un leone assalito da un serpente, onde la gratitudine del leone che lo seguiva dappertutto e lo difendeva, e il nome di cavaliere del leone, col quale egli si faceva chiamare; ebbe così occasione di salvare dal rogo la buona Lunetta, accusata di aver tradito la sua signora Laudina: e tutte queste opere di valore che riescono sempre in soccorso di deboli e oppressi sono la sua riabilitazione, finché gli accade di tornare sconosciuto alla corte di Artù e combattere contro Galvano in un giudizio di Dio; ma i due amicissimi dopo un duello durato un giorno si riconobbero; e composta la lite dal re, questi decise di ricondurre Ivano alla fontana di Broceliande, mentre Lunetta trovò modo di rappaciare gli sposi.
Nel romanzo di Ivain si accenna due volte a uno scompiglio nella corte di Artù, per la prigionia in cui è tenuta la regina da un barone: e questo forma il principio del Lancelot o Roman de la charrete, uno dei romanzi più celebrati. Quel barone Meleagant che tiene prigionieri molti della corte, ha preso anche la regina, Ginevra, dopo aver ferito Kei che la difendeva; e a liberarla accorse Galvano, e per conto proprio Lancelot per l'amore che le porta. Il poeta si è proposto di descrivere questa colpevole passione come una vera e propria religione con le sue virtù divine, dalle quali Lancelot attinge forza sovrumana e può dispregiare il mondo. Egli sfida il dileggio del volgo e sostiene pericoli tremendi, finché arriva al castello dove ella è rinchiusa; e comincia dal consentire a salire sulla carretta dell'infamia, sol perché un nano che la guidava gli ha dichiarato essere questa la condizione per veder la regina. Eppure quando è riuscito a incutere rispetto a Meleagant, che ha risparmiato per un riguardo a lei, è tuttavia accolto freddamente, e solo più tardi riesce a intenderne la cagione: egli aveva esitato per un momento, prima di salire su quella carretta. Questa dama è più fiera di Laudine, diversa perciò dalle umili spose degli altri romanzi; tanto deve ricevere di omaggio quanto ha dato del suo onore. Questa ardita concezione di un amore illecito, che supera in nobiltà ogni amore purissimo, ebbe un successo enorme. Il romanzo interrotto, non si sa perché, fu continuato da Godefroi de Leigni, che mena tutto a lieto fine con l'uccisione di Meleagant.
Il Perceval o Conte du Graal è religioso e mistico, pieno di misteri e allegorie non facili: pare muova dall'idea di presentare un'indole cavalleresca per predestinazione in un fanciullo che la madre ha voluto nutrire in una selva perché non conoscesse mai armi, avendo perduto in uno stesso giorno in combattimento il marito e due figlioli; ma è bastato al fanciullo vedere passare dei cavalieri, perché egli si volesse separare dalla madre e recare alla corte di re Artù: la madre gli dà il viatico di alcuni consigli e muore vedendolo partire. Egli ne porta il ricordo e il rimorso sempre nel cuore, e con ingenuità osserva i comandamenti: che sono di servire donne e donzelle, e per ricompensa voler solo un bacio e qualche ricordo, tener relazione con persone valorose, saper il nome di colui con cui s'accompagna, adorare Dio in chiesa. Vestito da villano arriva dal re, che gli propone un'impresa per guadagnarsi la veste di cavaliere. Perceval si veste, mentre una donzella che non doveva rider mai finché non fosse apparso il più valoroso cavaliere, ride per la prima volta. Partito di lì l'eroe, va a visitare il savio Gonemant, che gli pone il cingolo cavalleresco e gli consiglia di non uccidere i vinti e non parlar troppo. Ospitato da Blancheflor, nipote di Gonemant, la soccorre contro un nemico, ne ottiene l'amore, ma la lascia per rivedere la madre. Così nel corso delle sue avventure, l'eroe conosce il Re Pescatore, che su di un canotto lo fa passare dall'altra parte di un fiume e l'ospita in un castello, ove assiste a una misteriosa apparizione - la processione del santo Graal e di una lancia - ignaro della grazia di cui è favorito, e il giorno dopo tutto sparisce, ed egli comincia una serie di peregrinazioni e misteriosi incontri. Gli è necessario riacquistare quella grazia e intanto compie famosi atti di valore mentre Artù e la sua corte si mettono in cerca di lui. In quaresima va a confessarsi da un eremita, e rivede in lui il Re Pescatore che era suo zio, e da venti anni si nutriva di un'ostia. Dopo, unitosi con Galvano, cerca di ritrovare il castello del santo Graal: sono infatti i più degni di esservi ammessi, per purità di cuore e senso di giustizia. Cosi nacquero i romanzi del Graal e la Table ronde.
Del minore Conte de Guillaume d'Angleterre, privo di legame con la corte di Artù, si è molto dubitato che non appartenga a Chr.: è un complesso di intricate avventure a lieto fine, di un re e una regina piissimi, che abbandonano il regno per la grazia ottenuta di una coppia di gemelli; e ridottisi in una selva li perdono, e poi dopo svariati e dolorosi accidenti si ricongiungono tutti nella loro reggia; sicché è un racconto che esorta all'ubbidienza verso i voleri divini e alla rassegnazione.
Edizioni: di W. Förster, Cligĕs, Halle 1884, 2ª ed., ivi 1889; Erec und Enide, Halle 1896, 2ª ed., ivi 1909; Der Löwenritter (Yvain), Halle 1913; Perceval le Gallois, a cura di Ch. Potvin, Parigi 1867; Karrenritter (Lancelot), Halle 1899; Yvain, 3ª ed., Halle 1906; Cligĕs, 3ª ed., Halle 1910; Wilhelm von England (Guillaume d'Angleterre), Halle 1911; brani del Conte de la charrete, in Poesia cortese in lingua d'oïl, a cura di C. De Lollis, Roma 1920; Erec et Enide, trad. di M. Lot-Borodine, Parigi 1924 (Poèmes et récits de la vieille France, a cura di A. Jeanroy).
Bibl.: W. L. Holland, C. von T., Tubinga 1854; G. Paris, Le roman de la charrette, in Romania, X, XII, XVI, Parigi 1880 segg.; G. Paris, in Histoire littéraire de la France, XXIX, Parigi 1888; A. Nutt, Studies on the Legend of the Holy Grail, Londra 1888; H. e A. Suchier e A. Birch-Hirschfeld, in Gesch. der französ. Lit., Lipsia 1900; G. Paris, La litt. franç. au Moyen Âge, 3ª ed., Parigi 1905; Chrestien's von Troyes, Conte du Graal, a cura di G. Baist, ed. privata 1912; W. Förster, Kristian von Troyes, Halle 1914; G. Gröber, Grundriss der rom. Philologie, II, Strasburgo 1902. - Sul Tristano: ed. di Thomas a cura di J. Bédier, Parigi 1903-1905; W. Golther, Tristan und Isolde, Lipsia 1907.