CHORASMIA (v. vol. Il, p. 563, s.v. Chorezm)
Nelle fonti greche, i Chorasmi sono ricordati per la prima volta da Ecateo di Mileto, che li colloca in una regione a metà pianeggiante e a metà montuosa a E della Parthava. Erodoto riprende da Ecateo la collocazione geografica dei Chorasmi e li inserisce nella XVI satrapía achemenide, insieme a Parti, Ariani e Sogdiani (III, 93, 117); ricorda inoltre che essi avevano preso parte alla campagna di Serse (486-465 a.C.) contro i Greci. Arriano riporta l'episodio - forse leggendario ma significativo - della visita di un sovrano dei Chorasmi, di nome Farasmane, ad Alessandro, allo scopo di offrirsi quale guida per un'eventuale spedizione del Macedone contro i Colchi e le Amazzoni, con i quali il suo regno confinava (Anab., IV, 15, 4-6). Il racconto permette di dedurre che, nel IV sec. a.C., in Ch. esisteva un regno indipendente dall'impero persiano; fatto peraltro confermato dall'assenza di contingenti chorasmiani nell'esercito di Dario III (336-330 a.C.). Strabone e Arriano, infine, narrano della fuga di Spitamene dalla Sogdiana, il primo asserendo che costui aveva trovato rifugio presso i Chorasmi, il secondo che si era spinto nella terra dei Massageti. E dunque possibile che i Chorasmi facessero parte della confederazione dei Massageti, di cui parla già Erodoto (I, 201-206).
Notizie sulla Ch. si trovano anche nelle fonti persiane: nella tradizione avestica, dove si menziona il sovrano della Ch., Vištāspa, come protettore di Zoroastro; nell'elenco delle regioni orientali dell'impero, riportato nello Yašt a Mithra; nel Vidēvdāt, testo redatto nel II sec. a.C., che tuttavia riflette una tradizione più antica. I Chorasmi sono inoltre citati nelle iscrizioni achemenidi e, in epoca sasanide, è ricordata una campagna di Sābuhr I contro di loro.
Le fonti dinastiche cinesi attestano la presenza in queste regioni del regno Kangzhu, che si colloca cronologicamente tra il IV sec. a.C. e il I sec. d.C. Infine, della Ch. si sono occupati anche storici occidentali e gli autori arabi di epoca medievale.
Notizie sommarie dunque, spesso imprecise, o semplici menzioni che renderebbero estremamente ardua la ricostruzione della società e della cultura di queste popolazioni, se non si potesse contare sui dati archeologici. La Ch. rappresenta infatti anche una grande scoperta nell'ambito delle ricerche archeologiche. S. P. Tolstov ne fu il principale artefice. Lo studioso sovietico si era reso conto dell'importanza e della ricchezza della regione leggendo i resoconti di viaggiatori, geologi, geografi e archeologi, che vi si erano recati all'inizio del secolo o negli anni '20 e '30. Le spedizioni del Tolstov, iniziate nel 1937 e interrotte solo per breve tempo durante la II guerra mondiale, permisero di documentare l'esistenza di rovine su una vasta zona, che comprendeva anche alcuni distretti desertici del Kïzïlkum e del Karakum.
Il rinvenimento di numerosi antichi canali di irrigazione fu la traccia che indusse alla ricerca di insediamenti agricoli di epoca precedente la dominazione achemenide. Le notizie storiche per questo periodo sono, come detto, scarse. Erodoto però descrive la costruzione di una grande diga sul fiume Àkes - la cui identificazione è, a tutt'oggi, molto discussa - compiuta dai Chorasmi per irrigare le loro valli. Lo studio di questo passo e di alcuni dati dell’Avesta, ha portato alla formulazione della teoria della «Grande Ch.», secondo la quale nel periodo pre-achemenide, in Asia centrale e nell'Iran orientale si sarebbe formata una potente compagine statale, nata dalla necessità di regolamentare la rete di canalizzazione. La Ch., identificata con l’Airyana Vaēǰah del Vidēvdāt, ne sarebbe stata a capo. Tale ipotesi, sostenuta da eminenti studiosi quali Markwart, Henning e Gershevitch, è stata però più volte contestata.
Nei primi anni di lavoro sul campo, l'attenzione fu rivolta soprattutto al periodo protostorico, cui appartiene la cultura di Kelteminar (IV-III millennio a.C.), espressa da gruppi di cacciatori e pescatori stanziati nella regione del delta. Essi abitavano grandi capanne a pianta poligonale, costruite con una copertura di frasche e fango poggiante su di una struttura di pali disposti in cerchi concentrici. La cultura materiale di questo periodo è rappresentata da una ceramica rossa, con prevalenza di giare a fondo appuntito e ciotole con decorazione incisa, punte di freccia, utensili e ornamenti femminili; essa presenta analogie con le culture occidentali uraliche, con quelle siberiane o addirittura dell'India e del Sud-Est asiatico, tali da permettere di ipotizzare l'esistenza di vie di comunicazione E-O e N-S fin da epoca protostorica. La cultura di Kelteminar è presente a Janbas Kala 4 e 31 e nella tomba neolitica di Tumekkizjik, della seconda metà del III millennio a.C.
Alla metà del II millennio a.C. compare, nel delta dell'Amu Daryā, la cultura di Tazabagyab; secondo Tolstov, essa sarebbe il risultato di un incontro tra le culture uraliche delle tombe ad armatura lignea e di Andronovo, con una cultura locale, detta di Suryargan, che discendeva direttamente da Kelteminar. Tazabagyab rivela una struttura sociale di tipo agricolo-pastorale e i reperti ne evidenziano i contatti sia con le steppe euroasiatiche settentrionali che con gli agricoltori sedentari del Sud. La coesistenza, in seno a questa cultura, di diverse componenti, è stata riscontrata anche dallo studio antropologico dei resti umani della necropoli di Kokča 3.
Il periodo del Tardo Bronzo è rappresentato dalla cultura di Amirabad, che si sviluppa nei territori del delta dell'Akča Daryā e del Sïr Daryā. Nell'insediamento di Yakke Parsan 2, si è notato l'instaurarsi di un diverso ordine sociale e di una diversa economia, dal momento che vi si nota la presenza non solo di agricoltori ma anche di artigiani.
La cronologia dei periodi successivi, proposta dal Tolstov e ancor oggi generalmente accettata, inizia con il periodo arcaico, datato al VI-V sec. a.C. L'inclusione di questi territori nell'ambito dell'impero achemenide e i conseguenti stretti contatti che si stabilirono con il mondo iranico, promossero l'ulteriore sviluppo e il perfezionamento della rete di canalizzazione per l'irrigazione dei campi e dunque l'incremento dell'agricoltura.
Nel 1939 il Tolstov portò alla luce le città di Kalalï Gïr e Kyuzeli Gïr, situate su alture naturali e note come «le città dalle mura abitate». La prima, a pianta rettangolare, misura 1100 x 700 m, la seconda 1000 x 400 m. Esse sono racchiuse entro spesse mura fatte di blocchi di pakhsä (argilla cruda e paglia) nella parte inferiore e mattoni in quella superiore, all'interno delle quali correvano due o tre corridoi paralleli: in essi erano stati ricavati ambienti allungati, con copertura a volta, adibiti ad abitazione. Sul soffitto vi erano aperture per l’aerazione; sul lato esterno, feritoie a punta di freccia per la difesa. Carattere difensivo avevano anche gli ingressi alla città, costruiti «a labirinto». Lo spazio compreso entro le mura era lasciato libero da costruzioni; a Kyuzeli Gïr infatti, le uniche strutture presenti erano un grande edifìcio centrale e tre torri, mentre a Kalalï Gïr un palazzo si trovava a ridosso delle mura. Si è pensato trattarsi di edifici cultuali.
Tolstov ipotizzò che l'assenza di case all'interno delle mura fosse dovuta alla necessità di utilizzare quello spazio come rifugio per il bestiame durante i mesi invernali o in caso di aggressione dall'esterno. Ciò fa supporre che le città ospitassero una o più tribù di allevatori; ma fuori della cinta muraria si sono trovate tracce di una consistente rete idrica, ed è quindi da ritenere che anche l'agricoltura avesse una parte di rilievo nell'economia di queste genti.
Accanto alla città del tipo descritto, esistevano centri agricoli, composti di case rurali disposte a distanza ravvicinata l'una dall'altra, e monumenti funerari, diffusi su di una vasta area a NE, abitata dai Massageti; tra questi ultimi, ricordiamo i kurgan di Uigarak e Tagisken (datati al VII-V sec. a.C.) e quelli di Tarïm Kala e Babiš Mulla del V-IV sec. a.C.
Nel IV sec. a.C. si verifica un mutamento sostanziale della situazione politica della Chorasmia. Si forma infatti il regno di Kangzhu (Kangjui), destinato a durare fino al I sec. d.C. Si assiste quindi a una evoluzione del villaggio e al nascere di numerose città e fortezze. I centri di Bazar Kala, Janbas Kala, Kyunerli Kala e Kargašin Kala appartengono a questo periodo. Le città avevano un sistema di fortificazioni che prevedeva mura con gallerie provviste di feritoie a punta di freccia, torri e ingressi a labirinto. Lo scavo di Janbas Kala ha permesso di ricostruirne anche il piano urbanistico. La pianta era rettangolare (200 x 170 m), divisa verticalmente da una larga strada che, partendo dalla porta d'ingresso, conduceva a un edificio costruito lungo il muro opposto, per il quale il Tolstov pensava (interpretazione oggi contestata) a un tempio del fuoco. Ai lati dell'arteria principale si trovavano due blocchi abitativi senza soluzione di continuità, che contenevano c.a 200 ambienti e numerosi cortili interni.
Oltre alla città di Janbas Kala, il ritrovamento di una serie di fortezze - a pianta ovale (Kïrkkïz), rotonda (Turpak Kala) o poligonale (Kuyusai Kala e Kanga Kala) - nella Ch. della riva sinistra dimostra l'esistenza di un traffico carovaniero per il quale forse esse servivano quali punti di appoggio e sicuramente come protezione delle frontiere contro eventuali attacchi e scorribande dei nomadi.
Il monumento di maggior rilievo databile a questo periodo (anche se vive fino al IV sec. d.C.) è Koi Krïlgan Kala. A pianta circolare, di 90 m di diametro, esso è costituito da una doppia cinta di mura con torri, circondata all'esterno da un fossato, e da un edificio al centro dello spazio interno. La porta d'ingresso, a labirinto, è rafforzata da due bastioni laterali. L'edificio centrale di Koi Krïlgan Kala è rotondo, a due piani, circondato da una galleria con feritoie nella parte superiore e sette finestre trapezoidali in quella inferiore. Al primo piano sono stati individuati 8 ambienti disposti in maniera particolare: due di essi, allungati, occupano gran parte del diametro lungo l'asse E-O; gli altri sono allineati, tre su ciascun lato, perpendicolari ai primi. Le quattro stanze a O sono divise con un muro da quelle orientali; alle estremità, due rampe di scale che continuano verso il piano superiore, del quale si è conservata sola la galleria esterna.
Il monumento, data la sua peculiarità, non è di facile interpretazione. Oltremodo suggestiva appare l'ipotesi del Rapoport, il quale riconosce in esso un mausoleo edificato per i regnanti dell'epoca, che tuttavia doveva servire anche come osservatorio astronomico. Poiché non è stato trovato alcun elemento che faccia pensare a una tomba (cenotafi, urne o fosse), Rapoport propone di interpretare questa lacuna in rapporto alla funzione del monumento che, a suo avviso, era quella di ospitare un culto che potremmo definire dinastico, nel senso più ampio del termine: dedicato cioè al sovrano, assimilato post mortem a Siyāvuš, come la moglie lo era ad Anāhitā. La tesi del Rapoport di collegare Koi Krïlgan Kala al culto funerario è avvalorata da due fattori: il primo è il rinvenimento di numerosi ossuari antropomorfi di ceramica, trovati a poca distanza dal monumento; il secondo è la sua pianta - circolare, con un impianto interno a croce - che presenta notevoli analogie con i mausolei già citati di Tagisken, Čirik Rabat e Babiš Mulla.
Dopo un periodo di decadenza, la vita riprende a Koi Krïlgan Kala tra il I e il IV sec. d.C., con l'edificazione di abitazioni nello spazio prima lasciato libero da costruzioni. L'abbondante produzione fittile, che comprende vasellame, figurine femminili e maschili, incensieri, unita a una grande quantità di oggetti in osso, pietra, vetro e metallo, parla di una cultura materiale ad alto livello. Anche l'arte figurativa vi è degnamente rappresentata da due frammenti - scarsamente conservati - di pitture murali con figure umane: forse cavalieri che scagliano frecce.
La seconda fase del monumento rientra dunque cronologicamente in quello che usualmente viene chiamato il «periodo kuṣāṇa», con riferimento all'impero formatosi nel Nord-Ovest dell'India dal I al IV sec. d.C. Tale denominazione non implica però necessariamente un rapporto di dipendenza diretta di una regione dall'altra: secondo il Vajnberg, si può anzi sostenere che la Ch. si fosse mantenuta autonoma dal dominio kuṣāṇa. È certo tuttavia che vi furono stretti rapporti e scambi commerciali, tanto è vero che nelle città e fortezze dell'epoca sono state trovate monete kuṣāṇa in grande quantità.
Al periodo kuṣāṇa appartiene anche il sito di Ayaz Kala, che comprende la fortezza di Ayaz Kala 1, racchiusa da mura rinforzate da torri semicircolari ed entrata a labirinto, la grandiosa casa rurale a pianta ovale di Ayaz Kala 2, e una seconda fortezza, Ayaz Kala 3, molto simile alla precedente ma di maggiori dimensioni.
Altri castelli-fortezze degni di nota sono: Anga Kala, Kyunerli Kala, Jildïk Kala. Grazie ai contatti avuti con i Kuṣāṇa, giungono in Ch. anche suggerimenti di culture occidentali e meridionali, come quella ellenistico-romana e quella indiana. Ma la Ch. manifesta un certo grado di autonomia sia politica che culturale. Lo provano le monete. Le prime monete d'argento infatti, pur coniate a imitazione di quelle del sovrano greco-battriano Eucratide, portano sul verso il tamgha (monogramma simbolico) chorasmiano. Più tardi, i conii locali recano una legenda in alfabeto chorasmiano (derivato dall'aramaico) con il nome e il titolo del sovrano (Art[a]muh) e, sul verso, una legenda greca. Lo prova anche la nascita di una città come Toprak Kala, col suo chiaro schema ippodameo, diffusosi in Oriente in seguito alla campagna di Alessandro Magno. Non pare però priva di fondamento l'ipotesi che tale schema sia uno sviluppo coerente del piano urbanistico delle città cosiddette «a costruzione continua», di cui è esempio Janbas Kala.
Toprak Kala ricopre un'area di 500 x 350 m ed è circondata da una possente cinta muraria, rafforzata da torri. All'interno essa si presenta divisa in due parti: la cittadella, sede del governatore e protetta da mura, e lo šahri- stän, ossia la città bassa, a sua volta diviso da una grande via che dalla porta d'ingresso conduce alla cittadella. I quartieri abitativi sono blocchi compatti, separati tra loro da stretti vicoli che corrono perpendicolari alla strada principale, cinque per parte. Il palazzo occupa l'angolo NO della cittadella e sorge su uno zoccolo di mattoni, alto 14,5 m, a forma di piramide tronca. A pianta quadrata (80 x 80 m), esso è costruito su due piani: quello inferiore ha conservato più di 100 stanze, mentre di quello superiore sono stati individuati solo pochi ambienti. Lo affiancano tre grandi torri, due delle quali esterne alle mura sul lato N, la terza su quello S. A SE del palazzo, non lontano dall'entrata, un gruppo di altre 12 stanze. Alcuni ambienti si sono rivelati di eccezionale importanza; a cominciare da quello noto come la «sala dei re» (n. 32), il cui soffitto è sostenuto da colonne e le cui pareti sono provviste di un bancone di argilla, suddiviso in settori entro i quali è una composizione scultorea che si ripete sempre uguale: al centro un personaggio seduto, ai lati due figure femminili da una parte e una figura maschile dall'altra. Nell'angolo NO dell'ambiente, un podio con un altare del fuoco. L'immagine del personaggio seduto è stata interpretata come quella del sovrano (o dei sovrani), l'altare connesso al culto degli antenati regali: se ne è concluso che questa sala doveva servire come santuario dinastico.
La «sala del trono» (n. 11) occupa la parte centrale del complesso ed è costituita da un vasto cortile di c.a 450 m2, ai cui lati sono quattro colonne, sostegno di una probabile copertura. Sul fondo, un iwān cui si accede attraverso un portale a tre archi e che forse ospitava il trono. All’iwān era collegata la «sala dei danzatori mascherati», con al centro un altare quadrangolare e quattro colonne, mentre sulle pareti vi sono 16 nicchie contenenti bassorilievi di coppie danzanti. Danzatori e danzatrici sono rappresentati anche negli interspazi tra una nicchia e l'altra.
Le pareti N, E e O, presentano al centro una nicchia di maggiori dimensioni che doveva ospitare grandi sculture. Solo quella settentrionale si è conservata abbastanza da permettere la lettura dell'immagine: una figura femminile davanti a un animale feroce. Rapoport riconosce in essa la dea Anāhitā e interpreta il ciclo scultoreo come l'illustrazione di una cerimonia nuziale dei sovrani chorasmiani.
Almeno altre due sale sono ancora degne di menzione: quella «dei guerrieri» (n. 26) e quella «della vittoria» (n. 29). Molte stanze sono invece decorate da pitture murali le quali, pur se conservate solo frammentariamente, hanno permesso di evidenziare in queste espressioni dell'arte figurativa chorasmiana un alto livello tecnico e qualitativo. I colori usati sono il nero, l'ocra, il verde e l'azzurro; i soggetti, per quanto non sempre leggibili, comprendono figure umane (la «dama nera», l'«arpista», il «sacerdote») e animali (tigri, pavoni, animali acquatici) o vegetali (il tralcio di vite). Fuori del palazzo, ma all'interno delle mura della cittadella, è stata portata alla luce un'altra costruzione che il Tolstov interpretava come un tempio del fuoco.
Il Rapoport ha recentemente formulato l'ipotesi che il palazzo di Toprak Kala fosse in realtà un tempio, probabilmente connesso al culto dinastico. Tale ipotesi non ha trovato unanimi consensi, soprattutto in ragione del fatto che il palazzo ha restituito un intero archivio di documenti, scritti su tavolette di legno o su carta, in lingua chorasmiana, che trattano di questioni amministrative e finanziarie e dunque testimoniano un'attività attinente a funzioni statuali. Non è da escludere perciò che esso servisse come residenza del sovrano e della sua corte, ma avesse una larga parte riservata al culto, anche se non necessariamente e unicamente dinastico.
Di notevole interesse sono anche i monumenti funebri. Si è fin qui parlato di culto del fuoco, di culto dinastico, di divinità femminili rappresentate con figurine di terracotta, associate al culto di Anāhitā o a divinità ctonie. Oggi (1985) si conoscono ben 40 siti dove sono stati ritrovati ossuari, che riportano allo zoroastrismo, ma accanto a essi esistevano templi e santuari a carattere funerario, necropoli (da citare quelle di Kenkusai, Beštyube, Miždak Khāna) e gruppi di kurgan (Bernyak e Ustyurt), che ricordano le sepolture dei popoli delle steppe. Tra gli ossuari prevalgono quelli in ceramica ma ne esistono alcuni in pietra o in alabastro; quanto alla loro tipologia, essi possono essere divisi in due gruppi: antropomorfi (uomo o donna) e a forma di edificio, cioè case rettangolari con tetti spioventi o torri cilindriche, con portali, gallerie da tiro, ecc.; in pratica, costruzioni reali in miniatura.
Al periodo kuṣāṇa segue quello afrigide. Esso prende il nome dal re Afrig, il quale, secondo lo scienziato e storico arabo al-Bīrūnī, costruì la sua capitale vicino all'attuale Kyat (Kāth). Tale periodo comincia nel IV sec. d.C. e finisce quando, nel 712 d.C., Qutayba ibn Muslim invade il territorio chorasmiano, dando inizio a una nuova èra, quella islamica, che interesserà quasi tutte le regioni dell'Asia centrale.
Con l'epoca afrigide inizia in Ch. quello che la storiografia sovietica definiva «periodo feudale»: il periodo cioè in cui si assiste al parziale disgregarsi del tessuto urbano a favore di insediamenti fortificati, isolati nelle campagne. Si tratta di case coloniche per gli agricoltori, cui si affiancano però le «rocche», i castelli fortificati dove risiedevano i dehqān, aristocratici e grandi proprietari terrieri, i «feudatari», tra i quali veniva eletto - primus inter pares - il re. Il modello di tali castelli può essere individuato nel sito di Yakke Parsan, con la sua rocca fortificata che sorge al centro di uno spazio vuoto delimitato da mura. Il maggior numero di rocche è stato trovato sulla riva destra dell'Amu Daryā, nell'oasi di Berkut Kala. Gli scavi ne hanno portate alla luce più di cento, disposte a distanza ravvicinata e in prossimità di canali di irrigazione. Le dimensioni, la decorazione delle mura esterne o delle pareti degli ambienti, l'ampiezza e la possanza delle fortificazioni costituiscono le possibili varianti del modello stabilito. L'esemplare più cospicuo di questo tipo è la fortezza di Tešik Kala. Essa presenta una doppia cinta muraria, il castello costruito su di un alto zoccolo a piramide tronca, che ha una decorazione delle mura a lesene collegate da piccoli archi, e feritoie. Gli ambienti interni, riccamente decorati con fregi in argilla a motivi di rosette e palmette, sono divisi in stanze da parata e magazzini, mentre le pratiche religiose degli abitanti del castello venivano svolte in un luogo di culto posto al di fuori del torrione, in prossimità della cinta muraria esterna.
Per le epoche successive, il fenomeno della fortezza-castello continua, ma gradualmente rinascono le città. Alcune di esse (Kunya Urgenč, Šemakh Kala, Kavat Kala, Jigerbent), indagate archeologicamente, hanno confermato l'opinione degli scrittori arabi che le hanno descritte come centri di grande benessere e straordinaria bellezza.
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