RICETTIZIE, CHIESE
. Enti morali esistenti nell'Italia meridionale, costituiti da corporazioni di chierici col fine della cura d'anime o dell'esercizio collettivo del culto divino, con un patrimonio comune, senza prebende per i singoli partecipanti: civiche, quando l'ammissione fosse riservata ai chierici di un dato comune, familiari, quando fosse riservata ai chierici di una famiglia; innumerate o numerate, secondo che accogliessero tutti i chierici di un comune o di una famiglia, o soltanto un numero determinato.
Nella legislazione del sec. XVIII erano considerate enti laicali; il giureconsulto napoletano Diego Gatta aveva costruito la teoria che tutte le ricettizie fossero state fondate dai comuni o da famiglie, che sarebbero stati patroni attivi, pur delegando ai partecipanti la facoltà di chiamare mediante cooptazione nuovi ecclesiastici alle partecipazioni vacanti. Il breve Impensa del 3 agosto 1819 stabilì che non potessero essere chiamati alle partecipazioni se non i chierici che dai vescovi locali fossero, previa prova, commendatiores inventi, e facendosi luogo da parte del vescovo a un'immissione nel possesso iuris praestitutae portionis assequendae; le controversie sorte in seguito furono in parte eliminate con l'applicazione del cosiddetto piano di mons. Rosini; la legge 17 febbraio 1861, n. 248, abolì col concordato del '18 tutte le norme dettate per la sua esecuzione, tra cui queste. L'art. 1 della legge 15 agosto 1867 soppresse le ricettizie, facendo salvo, per quelle tra esse che avessero cura d'anime, un solo beneficio curato o una quota curata di massa per congrua parrocchiale; e l'art. 2 stabilì che, allorché fosse "cessato l'assegnamento agli odierni partecipanti" delle ricettizie e comunie con cura d'anime, la rendita iscritta a favore del Fondo culto in corrispettivo dei loro immobili indemaniati, e i canoni, livelli, decime già loro sarebbero passati ai comuni in cui esistevano le ricettizie, con l'obbligo di dotare le fabbricerie e di costituire l'assegno supplementare ai parroci. La legge 4 giugno 1899 concesse ai comuni, con date modalità, di ottenere la consegna delle rendite delle soppresse ricettizie senz'attendere la cessazione degli assegni ai superstiti partecipanti. La Relazione al Capo del Governo sui servizi del Fondo per il culto nel decennio 1922-32 (Roma 1932) informa che a tale data il fondo era ancora detentore delle rendite di 525 ricettizie, le più povere, rispetto a cui l'assegnazione delle rendite non è desiderata né dai comuni né dai parroci.
Bibl.: F. Scaduto, Diritto eccles. vigente in Italia, 4ª ed., Cortona 1923-25, II, nn. 287-319, p. 8 segg.