MAGNI, Cesare
Figlio di Francesco nacque, probabilmente a Milano, attorno al 1492.
La sua data di nascita si desume da un documento del 22 febbr. 1519 (Arch. di Stato di Milano, Archivio notarile, Pietro Martire Pusterla, filza 6438; in Pini, in corso di stampa) secondo il quale lo zio Agostino gli avrebbe assegnato 1000 lire imperiali al compimento del ventottesimo anno, che al momento non aveva ancora raggiunto.
Compì l'apprendistato di pittore presso Fermo Tizzoni da Caravaggio, dal quale, come attesta un documento del 27 marzo 1511 lo zio Agostino, agendo per suo conto (Shell, 1996), lo mise a bottega per quattro anni. Il M. è citato per la prima volta nel maggio 1511, in una protesta dei pittori milanesi contrari all'elezione di Giovan Pietro da Corte a priore della Scuola di S. Luca (Id., 1995, pp. 213, 215), sottoscritta, fra gli altri, dal Bramantino (Bartolomeo Suardi) e da Bernardo Zenale. Il 6 ag. 1515 figurò come teste in un atto stilato in casa di Giovita Tizzoni da Caravaggio (Arch. di Stato di Milano, Archivio notarile, G. Antonio Taegi, filza 5338).
L'apprendistato presso Tizzoni lo indirizzò molto probabilmente verso una pittura di tradizione lombarda ispirata dai testi figurativi di V. Foppa e Zenale, solo sfiorata dai modi nuovi del Bramantino e di B. Luini, come mostra L'adorazione dei magi, già in collezione Borletti a Milano, che si ritiene una delle sue primissime opere (Fiorio, 1983, p. 97, tav. 51), risolta con durezza e crudezza di modellato in cui si riconoscono le cifre tipologiche (nei volti) e stilistiche (nella resa del paesaggio) che ricorreranno nell'opera del Magni.
Nel 1518 circa nacque il figlio naturale Giovan Battista, legittimato il 20 febbr. 1524 (Arch. di Stato di Milano, Arch. notarile, Alessandro Zavattari, filza 7135). Sposò nel 1521 Florbellina de Advocatis (come si deduce da un'imbreviatura del 13 dic. 1525, ibid., filza 7136). Presenziò a varie procure (Pini) come teste insieme con i fratelli Francesco e Giovan Angelo Zavattari. Certamente a causa della peste che imperversava dall'anno precedente a Milano, il M. decise di fare testamento (20 febbr. 1524).
In questo atto (Shell - Sironi; Shell, 1995, pp. 175, 290 s.) legava alla sacrestia della chiesa del monastero di S. Maria delle Grazie di Milano un suo disegno raffigurante S. Maria de S. Francesco (desunto dalla Vergine delle Rocce di Leonardo, allora collocata nella chiesa di S. Francesco Grande) e lasciava 6 lire annue per la messa da celebrarsi nell'anniversario della sua morte. Nel testamento nominava come erede universale il figlio Giovan Battista, allora di sei anni. Tra i testimoni figurava Leonardo de' Predis, figlio di quell'Evangelista che aveva firmato con il fratello Ambrogio e con Leonardo da Vinci il contratto del 25 apr. 1483 per l'esecuzione del polittico il cui pannello centrale sarebbe diventato celebre come la Vergine delle Rocce più volte copiato dal Magni.
Del disegno donato dal M. alla chiesa di S. Maria delle Grazie ci si può fare un'idea grazie a un foglio conservato nel Cabinet des dessins del Museo del Louvre (inv. 2556), attribuito al M. da Malaguzzi Valeri (Marani, 2003, p. 181, fig. 99). Si può così fissare alla prima metà del terzo decennio del secolo il momento iniziale di adesione del M. ai temi e allo stile di Leonardo, in aggiornamento alla "maniera" secca e cruda ravvisabile nel dipinto Borletti e in poche altre opere giovanili (come un S. Gerolamo nel Castello Sforzesco di Milano e una Madonna col Bambino nell'Accademia Carrara di Bergamo). Almeno due composizioni di questi anni derivano infatti direttamente da modelli leonardeschi: una copia firmata del Cenacolo ora nella Pinacoteca di Brera (Marani, Leonardo e i leonardeschi, 1987) e una copia della stessa Vergine delle Rocce di Leonardo ora nel Museo nazionale di Capodimonte a Napoli (Fiorio, 1998, p. 394, fig. 283), cui si può ora aggiungere una seconda versione di questo dipinto passata di recente sul mercato antiquario milanese (già collezione Smeets, ora in Germania, collezione privata). Alla copia del Cenacolo di Brera si può accostare (Marani, in Disegni e dipinti leonardeschi, 1987, pp. 118 s.) anche un disegno dell'Ambrosiana (cod. F 274 inf., n. 5) che riproduce le teste di Giuda e di Pietro tratte dall'opera di Leonardo, eseguite in sanguigna con tratti incisivi e asciutti come nel disegno del Louvre. A un periodo immediatamente successivo, quando alle citazioni leonardesche subentrarono più meditati riferimenti al Bramantino e a Cesare da Sesto, si può collocare la Sacra Famiglia della Pinacoteca di Brera e la Circoncisione (Berlino, Staatliche Museen; Fiorio, 1998, pp. 392 s., figg. 279 s.).
Il 6 sett. 1525 il M. ricevette 1500 lire dai fratelli e il 13 dic. 1525 ereditò i beni della moglie Florbellina de Advocatis per un valore totale di 700 lire imperiali (Arch. di Stato di Milano, Archivio notarile, Alessandro Zavattari, filza 7136). Il 10 febbr. 1526 ebbe 6 lire per una S. Apollonia eseguita per la chiesa di S. Maria presso S. Celso a Milano (Shell, 1995, pp. 166, 279), perduta. Sposò in seconde nozze, nel 1526 circa, Eleonora de Magnis, figlia di Domenico (Arch. di Stato di Milano, Archivio notarile, Marino Castelfranchi, filza 7201), da cui nacque, l'anno successivo, il figlio Francesco. Nel 1530, quando abitava a Porta Orientale, firmò e datò una grande tavola raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Pietro e Girolamo destinata alla chiesa di S. Pietro alla Vigna a Milano (poi in collezione Melzi d'Eril, ora a Milano, Pinacoteca Ambrosiana: Frangi, 2005).
Qui si palesano, oltre ai tradizionali riferimenti alle tipologie leonardesche (testa di s. Pietro, desunta dal s. Pietro del Cenacolo), rimandi a Marco d'Oggiono e, soprattutto, a Cesare da Sesto, come nel busto della Vergine la cui tipologia riprende alla lettera modelli di Cesare, benché il linguaggio del M. appaia irrigidito e aspro nella conduzione pittorica e nello stile più tagliente, incapace di rendere le eleganze postraffaellesche importate a Milano da Cesare da Sesto. Questo dipinto costituisce comunque uno snodo importante nell'opera del M., a segnare l'ultima svolta della sua breve carriera artistica verso uno stile accademico e raggelato. A questa pala andranno avvicinate quella di soggetto analogo, Madonna col Bambino e i ss. Ambrogio e Girolamo del Museo di Capodimonte a Napoli e la Sacra Conversazione in collezione Berwick ad Attingham Park, nello Shropshire, in Inghilterra (Fiorio, 1998, pp. 392, 394, figg. 278, 282).
Nel 1530 nacque il figlio Agostino. Nel 1531 eseguì una grande tavola con la Crocifissione per il duomo di Vigevano, per commemorare l'elevazione della città a sede vescovile ottenuto con la bolla di Clemente VII del 16 marzo 1530.
La pala fu evidentemente commissionata da Francesco II Sforza, dato che fu da questo donata, con istrumento del 10 marzo 1534, alla cattedrale di Vigevano (Fiorio, 1998, p. 389). La composizione tradizionale echeggia, tuttavia, oltre a lontani modelli raffaelleschi (e vinciani: come il s. Giovanni che si porta la mano al petto, a sua volta derivante dal s. Filippo nel Cenacolo di Leonardo), prototipi perugineschi aggiornati sul Sodoma (G.A. Bazzi), con un'intonazione molto luminosa e ormai lontana dal chiaroscuro leonardesco.
Nello stesso anno eseguì la tavola con la Madonna e i due santi domenicani Pietro Martire e Vincenzo Ferreri, firmata e datata 1531, ricordata nella chiesa di S. Biagio a Codogno dalle fonti più antiche su questa città, come Pier Francesco Goldaniga, nel 1761 (Fiorio, 1983, pp. 94 s.), in cui la composizione risulta impoverita, semplificata in chiave neoquattrocentesca, con i due angeli volanti chiaramente ripresi dalla Crocifissione di Vigevano. La stessa fonte settecentesca ricorda, sempre a Codogno ma nell'oratorio di S. Rocco, un dipinto con la Vergine tra i ss. Rocco e Sebastiano che corrisponde esattamente (Id., 1998, p. 388, fig. 274) a una composizione esistente nei depositi degli Staatliche Museen di Berlino fin dalla fine dell'Ottocento (Bode), illustrata ancora da Berenson (1968, fig. 1500), oggi dispersa (ma sicuramente dello stesso periodo del dipinto di S. Biagio, quindi del 1531 circa, dal quale riprende l'intonazione devozionale e neo-quattrocentesca).
Nel 1532 nacque il figlio Vespasiano. Il 1 marzo 1533 stipulò un contratto d'apprendistato della durata di cinque anni e mezzo con il sedicenne Filippo Visconti, figlio di Filippo di Saronno. Si apprende da questo contratto (Shell, 1995, pp. 65, 221-223) che al M., "pictorem excellentem", era stato donato un pezzo di terra da coltivare a Saronno di circa 6 pertiche, come compenso per il lavoro svolto e per il suo magistero. In un altro contratto dello stesso giorno (Sala, p. 69) il M. si era impegnato infatti a decorare la cappella del Cenacolo nel santuario della B. Vergine dei Miracoli a Saronno (ibid.).
Gli affreschi, distrutti nel 1596, raffiguravano forse il Bacio di Giuda, l'Orazione nell'orto e Portatori di vivande, gli stessi temi che sarebbero stati dipinti in tre tele di C. Procaccini venute a rimpiazzare gli affreschi distrutti per allungare la cappella (Marani, 1996, p. 180). Qualche mese dopo, il M. ricevette anche l'incarico di affrescare i pilastri di sostegno della cupola (quelli non affrescati in precedenza da Luini) con due riquadri raffiguranti l'uno S. Giorgio e la principessa, l'altro S. Martino e il povero (ibid., pp. 169 ss.), per i quali ricevette, il 27 ag. 1533, "lire quaranta imperiali", oltre al vino (Sala, 2004, p. 73). Forse perché in competizione con le monumentali figure dipinte sugli altri pilastri da Luini, il M. cercò qui di emulare il tono aulico e le proporzioni del suo predecessore, ma ne risulta un compromesso fra i modelli di Cesare da Sesto (attitudine del s. Martino, desunto dal Polittico di s. Rocco, circa 1523, ora nella Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano) e un linguaggio quasi neocortese, ma con accenti persino popolareschi (posizione del s. Giorgio a gambe divaricate) e forti contrasti coloristici, con effetti discordanti.
Il M. morì prima del 14 nov. 1534, dato che in un documento di quel giorno - dove il M. è detto d'anni quarantadue circa - la moglie Eleonora de Magnis è detta vedova e nominata tutrice generale dei quattro figli: Giovan Battista, Francesco, Agostino e Vespasiano (Shell, 1995, pp. 62, 175, 288-290).
Nell'inventario dei suoi beni, allegato a questo documento (ibid., p. 290), si elencano "le robe de madona Leonora" oltre ad arredi e masserizie e "un quadro de la madonna", "un quadro de santo Hyeronimo", "un quadro de la madonna", "tutti li dessegni del quondam magistro Cesare", "tutti li colori", "un modello de legno desnodate", oltre a debiti e, infine, "un pezo campo de pertice 2", indizio della relativa agiatezza in cui il M. era vissuto negli ultimi anni della sua vita.
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