COLOMBO, Cesare detto Joe
Nacque a Milano il 30 luglio del 1930 da Giuseppe ed Ernesta (Tina) Benevolo. Il padre, imprenditore, aveva fondato una piccola industria specializzata nella produzione di cavi e materiali elettrici. Il fratello minore, Gianni (1937-1993), fu artista di fama internazionale. Dopo aver frequentato per un periodo il liceo scientifico, preparatosi in storia dell’arte con Guido Ballo e in disegno col pittore Giuseppe Lavagna, si trasferì al liceo artistico di Brera. Alla fine degli anni Quaranta si iscrisse alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, dove continuò a frequentare i corsi fino alla metà degli anni Cinquanta, senza completare gli studi.
Nel 1951 entrò in contatto con un gruppo di artisti milanesi con cui condivideva la passione per la musica jazz e nell’aprile del 1952, ancora studente, aderì al Movimento nucleare esponendo le sue opere astratte, assieme ad Enrico Baj e Sergio Dangelo, presso l’Associazione Amici della Francia a Milano. Il riferimento all’atomica e al suo potere, in bilico tra forza distruttrice e nuova fonte di energia, alludeva, per il Movimento nucleare, a una disintegrazione delle forme, disgregate e scomposte da deflagrazioni ottenute per emulsione, colatura e atomizzazione del colore. Il mese successivo, in un’altra mostra nella stessa sede, venne proiettato il cortometraggio Proiezioni nucleari realizzato da Colombo e Baj, nel quale una serie di superfici con immagini astratte in movimento rimandavano alle energie primigenie della creazione. Sono dello stesso anno i disegni delle Città nucleari: studi visionari di città del futuro in cui l’organizzazione underground della circolazione lasciava la superficie urbana libera da veicoli e costellata da costruzioni sospese a forma di enormi bolle collegate tra loro.
Con il gruppo dei pittori nucleari espose in diverse collettive tra cui: quella del 1953, alla galleria Saint-Laurent di Bruxelles e allo studio B24 a Milano, quella del 1954 nella sala degli Specchi di Ca’ Giustinian a Venezia e quella del 1955 alla galleria Schettini a Milano. L’esperienza con i nucleari mise Colombo in stretto collegamento con i movimenti delle neoavanguardie internazionali e con i loro protagonisti, tra cui Asger Jorn, l’artista danese trasferitosi ad Albissola (Savona), che nel 1954 fondò il MIBI (Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista), a cui aderirono Baj e Dangelo, e che fu tra i promotori, nel 1957, dell’Internazionale situazionista.
Alla X Triennale di Milano del 1954, Colombo allestì The production of art (I), una mostra dedicata alle ceramiche di Albissola, realizzate dal gruppo d’artisti d’avanguardia (Lucio Fontana, Jorn, Aligi Sassu), riuniti da Giuseppe Mazzotti nel paesino ligure. Nella stessa edizione della Triennale realizzò tre Television shrine: installazioni esterne formate da televisori sospesi su piedistalli e sovrastati da uno schermo antiriflesso in tessuto, atti a ricevere e rendere disponibili al pubblico le trasmissioni televisive da pochi mesi inaugurate dalla Rai.
Nel 1956 entrò a far parte, su invito di Bruno Munari, del comitato esecutivo del MAC (Movimento per l’Arte Concreta) Espace. Fu Munari a orientare il suo interesse nel campo dell’industrial design. Nello stesso anno progettò la prima e unica architettura che di lui sia stata realizzata: un edificio per negozi e abitazioni in via Rosolino Pilo a Milano, nel quale reinterpretò in chiave contemporanea la tipologia della casa di ringhiera milanese con la triplice fila di terrazze a ballatoio.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1959, rilevò col fratello Gianni l’azienda di famiglia. Nello stesso anno si sposò con Elda Boiocchi, con la quale si trasferì nell’appartamento da lui progettato e arredato in via Calco a Milano. L’attività di gestione dell’azienda, durante la quale progettò anche gli stand per la partecipazione alla fiera di Milano, fu per Colombo un’occasione di apprendimento di processi tecnologici e produttivi in ambito industriale.
Mentre Joe si allontanava progressivamente dalle esperienze artistiche, il fratello Gianni fondò nel 1959, con Davide Boriani, Giovanni Anceschi e Gabriele De Vecchi, il Gruppo T, che sarebbe diventato uno dei più originali e innovativi collettivi artistici della cosiddetta neoavanguardia italiana degli anni Sessanta.
Ceduta nel 1961 l’attività industriale, i fratelli si dedicarono uno al design e l’altro alla carriera artistica, condividendo fino al 1965 lo studio milanese di via Piave e, dal 1965 al 1968, quello in via Argelati. È stato sottolineato dalla critica (Joe e Gianni Colombo a Milano…, in I Colombo, 1995; Dietro le stesse mura, ibid. ) che se Joe intraprese la strada del disegno industriale mantenendo una forte componente creativa individuale, Gianni si dedicò a un’arte che, più d’ogni altra, con i multipli, il collettivismo, la sperimentazione sul visuale geometrico, utilizzava procedimenti propri del design. Pur mantenendo distinti i rispettivi campi d’attività, è evidente il parallelismo tra alcune realizzazioni di Joe e le coeve ricerche artistiche del fratello. La continua variazione, l’oggetto in divenire, che è una delle caratteristiche fondative del Gruppo T, rappresentò anche uno degli elementi chiave della ricerca di Joe sugli oggetti. Sul piano delle analogie formali, il mobile Combi-Center (1963) di Joe è molto vicino ai Rotoplastik (1960) e alle Strutturazioni acentriche (1962) di Gianni; nel sistema di sedute Tube chair (1969) di Joe si possono vedere relazioni con le Strutturazioni fluide (1960) del fratello.
Nel 1962 Joe e Gianni Colombo disegnarono assieme la lampada Acrilica, costituita da un foglio di metacrilato trasparente di grosso spessore curvato. Nascosta all’interno della base metallica, la piccola sorgente luminosa fluorescente proietta la sua luce sfruttando il potere di conduzione ottica del materiale plastico lungo il suo spessore. Prodotta dall’azienda Oluce la lampada ottenne nel 1964 la medaglia d’oro per il design alla XIII Triennale e rappresentò l’avvio della nuova attività di Joe, che nel corso degli anni Sessanta divenne uno tra i più influenti designer italiani della cosiddetta generazione di mezzo, riconosciuto a livello internazionale.
Da quel momento, l’attività di designer si sviluppò in tre direzioni: la progettazione di interni di abitazioni private e negozi, l’allestimento di mostre e stand fieristici, il design di prodotto e di sistema. Anche grazie alla sua straordinaria capacità di rappresentazione attraverso il disegno a mano libera o geometrico, nel corso dell’intensa attività progettuale degli anni Sessanta fu coadiuvato da un numero esiguo di collaboratori di studio, tra i quali emerge, dal 1968, l’architetto Ignazia Favata.
Nel 1962 progettò gli interni dell’albergo Pontinental nel golfo dell’Asinara, in Sardegna, realizzato con Giancarlo Bernini, che ottennero nel 1964 il premio In/Arch, a cui fecero seguito i progetti d’interni per gli appartamenti Zancopè a Milano (1963 e 1965) e per il residence Unità a Campiglio (1964). Qui, alla soluzione razionale degli spazi e dei percorsi, Colombo unì l’uso del contrasto di materiali e colori nelle superfici e uno studio accurato e puntuale dell’illuminazione.
Per quanto riguarda il disegno industriale, fin dai primi progetti è evidente l’interesse di Colombo per la dimensione cinetica e per il cambiamento e la trasformabilità degli oggetti e degli spazi nel tempo. Questa ricerca venne sviluppata, in contrasto con il razionalismo progettuale mitteleuropeo, con una decisa predilezione per le forme continue, aperte, curve e avvolgenti, che conferiscono agli oggetti e agli ambienti di Colombo caratteri futuribili con riferimenti all’immaginario fantascientifico, la cui iconicità fluida (Joe e Gianni Colombo a Milano…, in I Colombo, 1995; Dietro le stesse mura, ibid.) è apparentemente priva di memoria e di riferimenti al passato. Altro tratto significativo è la sperimentazione continua di nuove tecnologie e materiali, che lo portò a proporre per primo soluzioni innovative sulle materie plastiche per le sedute, sui laminati plastici stratificati per i tavoli e sulle sorgenti alogene per l’illuminazione.
All’origine della sperimentazione c’è l’interesse di Colombo per l’oggetto multifunzionale, maturato in occasione della progettazione di interni di abitazioni. Il monoblocco Mini-Kitchen (1963-64), nel quale concentrò le funzioni di conservazione, cottura e preparazione del cibo in un cubo di ridottissime dimensioni; il mobile contenitore Combi-Center (1963- 64), basato sulla rotazione eccentrica dei componenti cilindrici; il mobile Personal Container (1964), sorta di baule armadio multifunzionale: sono tutte soluzioni create per spazi abitativi di ridotte dimensioni, che lo portarono alla definizione di oggetti come condensatori di funzioni.
Nel 1963, con il progetto della poltrona Elda, Colombo raggiunse una sintesi originale tra il furniture design americano e scandinavo degli anni Cinquanta (come la Tulip Chair di Eero Saarinen e la Swan di Arne Jacobsen) e i classici dell’ergonomia espressiva degli anni Trenta, che mescolavano déco e funzionalismo, come la poltrona Bibendum (disegnata nel 1929) di Eileen Gray. Elda ha una base circolare rotante su cui sono innestate due calotte a petalo in vetroresina bianca, imbottite internamente con cuscini tubolari rimovibili rivestiti in pelle. La poltrona diviene così, più che un oggetto, un strumento di benessere psico-fisico, che coniuga la privacy garantita dall’alto schienale e dalla conformazione protettiva della calotta, con il comfort dei cuscini anatomici e la funzionalità della rotazione grazie alle ruote occultate.
Il compensato multistrato curvato è alla base di alcuni studi su sedute negli anni 1963-64: la poltroncina Kartell 4801 è composta da tre elementi curvi assemblabili ad incastro; la poltrona Sella ha il sedile imbottito molleggiato da una balestra sottostante in acciaio, la poltrona Nastro, disegnata per Bonacina, utilizza invece come struttura dei bastoni di rattan curvati a comporre un nastro continuo che contiene il cuscino di seduta e quello per la schiena, soluzione perfezionata nella poltrona in vimini intrecciati e fibra di vetro del 1966, sempre per Bonacina.
Al 1964 risalgono anche una serie di progetti di apparecchi d’illuminazione basati sulla regolabilità meccanica dell’intensità luminosa e della orientabilità del flusso. La lampada Aton, prodotta da Oluce, è una sfera di vetro con un cilindro innestato contenente la sorgente luminosa: la sfera è appoggiata su una base con foro circolare che ne permette la rotazione in tutte le direzioni. La lampada da tavolo con paralume girevole KD8, prodotta da Kartell, è basata invece sulla compenetrazione tra due cilindri in materiale plastico: quello interno è bianco opalino e contiene la sorgente luminosa, quello esterno è colorato e traforato con fori circolari di vario diametro; ruotando il paralume varia l’intensità della luce. L’attenzione per l’ottica è testimoniata, oltre che dalla lampada Acrilica e dall’uso dei prismi in policarbonato foto-riflettenti negli arredamenti, dall’uso del vetro ottico di Fresnel come diffusore, utilizzato negli anni 1964-65 in alcune versioni di lampade per il bar di un hotel a Cervinia, nella lampada a sospensione Ra, in quella da giardino in Eternit e nella serie di lampade per esterni Fresnel prodotta da Oluce.
Una lampada in metacrilato concepita per la grande serie, a partire da una porzione del cestino gettacarta disegnato da Gino Colombini nel 1965, diventò la lampada Kartell nelle versioni da tavolo KD 27 e KD 28.
Sempre nel 1965 Colombo elaborò cinque versioni di un apparecchio d’illuminazione composto da un riflettore sagomato in lamiera stampata e da uno stelo in tondino cavo d’acciaio; dove un’apertura, ritagliata nella parte superiore del riflettore, garantisce lo smaltimento del calore prodotto dalla sorgente luminosa. La lampada, che Oluce avrebbe prodotto col nome di Spider (1965) e che vinse nel 1967 il premio Compasso d’oro, è caratterizzata da una notevole maneggevolezza e orientabilità del flusso luminoso data dallo snodo a morsetto regolabile che scorre lungo lo stelo metallico.
Sempre nel 1965 propose alla Kartell una sedia monoscocca, formata da un elemento monolitico autoportante. Originariamente concepita in alluminio pressofuso, la Universale divenne, nel 1967, dopo una serie di difficili sperimentazioni tecnico-produttive, una delle prime sedie per adulti completamente realizzata in materiale plastico. La forma tagliata delle gambe e l’incavo laterale della seduta, che rispondono alle esigenze di accostabilità e impilabilità, conferiscono all’oggetto il carattere di componente di un multiplo seriale. L’attenzione per la produzione in serie è sempre accompagnata, nei progetti di Colombo, da una ricerca formale accurata e da una spiazzante rottura dei canoni tipologici, che conferiscono all’oggetto un’impronta d’avanguardia.
Altri oggetti evidenziano la capacità di Colombo di coinvolgere emotivamente l’utente attraverso soluzioni funzionali impreviste. Il bicchiere Smoke (1964) e il bicchiere Asimmetrico (progettato nel 1964 e realizzato, a partire dal 1968, dalla austriaca Riedel di Kufstein) hanno lo stelo sagomato in maniera tale da permettere la presa col solo dito pollice e così poter tenere con l’indice e il medio della stessa mano la sigaretta; i bicchieri Clessidra (1966), composti da due bicchieri uniti sul fondo, possono essere usati da entrambi i lati; la serie di pipe Optimal (1969-70) ha la base del fornello sagomata in modo da poter essere appoggiata col bocchino sollevato; la sveglia Optic (1970), prodotta da Alessi, sfrutta lo stesso principio della base sagomata per ottenere due posizioni del quadrante: il passaggio dall’una all’altra genera lo spegnimento; nel servizio di bordo Linea 72 per Alitalia (1970-72), l’orlo dei piatti è tagliato su due lati, in modo da poter essere appoggiato al margine sagomato del vassoio senza scivolare e lasciando lo spazio per le altre stoviglie.
Furono molti in questo periodo i riconoscimenti, anche internazionali, al lavoro di Colombo. Nel 1966, nei Design Research di New York e di Cambridge (MA), i negozi pionieri del “modern design” in America, venne allestita la mostra Collection of Colombo’s furniture alla quale le home news del The New York Times dedicarono un servizio dal titolo America discovers Colombo. Nel 1969 venne invitato con altri designer internazionali alla mostra Qu’est-ce que le design? al Musée des arts décoratifs del Palais du Louvre a Parigi. Nel 1970 si aggiudicò di nuovo (dopo quello del 1967) il premio Compasso d’oro con il progetto per il climatizzatore Candyzionatore (1969) prodotto dalla Candy.
Negozi ed allestimenti fieristici permisero a Colombo di esprimere con maggiore libertà la sua attitudine alla messa in scena visivo-cinetica. Nel negozio di fotografia Foto-cine Continental, realizzato a Milano nel 1965, egli giocò sulla commistione tra effetto ottico ed estetica optical, rivestendo il soffitto a specchio con una texture di piccole semisfere argentate riflettenti ed esponendo i prodotti in vetrine a forma di bolle in metacrilato trasparente. Nei negozi di scarpe per Mario Valentino (Milano e Napoli, 1967) fu l’uso dei diaframmi, della luce e dei colori, a creare la movimentata spazialità degli ambienti.
Nelle manifestazioni di design Eurodomus (Genova 1966, Torino 1968, Milano 1970), dove curò gli stand per aziende come Elco, Zanotta, Arnolfo di Cambio, Sormani, Oluce, Stilnovo, Rosenthal, Colombo alternò, ai sistemi modulari riutilizzabili, realizzazioni altamente scenografiche, con uso di grandi piani espositivi inclinati, superfici a specchio come duplicatori virtuali di spazi-ambiente, tunnel con esposizione di prodotti a terra e sui soffitti.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, parallelamente alla progettazione di oggetti e negozi, Colombo iniziò le sue sperimentazioni più radicali sullo spazio abitabile trasformabile che lo avrebbero condotto, seppure con una notevole autonomia di vedute, sulle posizioni del cosiddetto antidesign.
Si tratta di un design definito ‘di sistema’, in cui il disegno non è indirizzato a produrre singoli oggetti, ma a concepire una forma diversa di fruizione dell’ambiente domestico attraverso la creazione di aggregazioni di mobili e attrezzature componibili e modificabili. Lo spazio della casa, staticamente definito da muri e pareti divisorie, viene ripensato a favore di ambienti unici da trasformare, nell’arco della giornata, in relazione alle esigenze abitative. Sono proposte che interpretavano il cambiamento sociale e culturale in atto negli anni Sessanta: da un lato dando risposta al problema dell’abitare in spazi di ridotte dimensioni, dall’altro registrando le tendenze estetiche neo-nomadiche dei movimenti giovanili di protesta, che proponevano atteggiamenti più liberi e meno formali del corpo nelle relazioni conviviali. Questo portava, nella concezione di Colombo, a sostituire l’arredamento con un nuovo habitat in cui veniva rimessa in discussione non solo l’organizzazione della casa, ma anche il sistema della distribuzione commerciale e dei trasporti (v. Favata, in Joe C. designer, 1988).
I primi tentativi sono già leggibili nel 1965, nel progetto per il Combi Bed, un ambiente-letto multifunzionale provvisto di dotazioni tecnologiche aggregate agli spigoli e contenute in elementi cilindrici di varie dimensioni. Lo scaffale Il Kilometro (1967) è un sistema che, componibile teoricamente all’infinito, permette di aggregare, su una guida metallica fissata a parete, una serie di elementi d’arredo che fungono da contenitore aperto o chiuso o da piani d’appoggio.
Il Sistema programmabile per abitare T14, il sistema abitativo Box 1 (entrambi del 1968) e lo Square plastic system (1969), che esaltano il concetto di componibiltà per costruire mini architetture abitabili, e soprattutto il concetto di spazio aggregante del Living Center (1970), portarono a maturità l’idea di utilizzo multiplo dello spazio abitabile, che avrebbe trovato la sua realizzazione più compiuta negli interni sperimentali Visiona I, nel Rotoliving e nel Cabriolet Bed, realizzati come prototipi nella abitazione di Joe Colombo in via Argelati e prodotti da Sormani nel 1970. Ricerca che si concluse con il Total Furnishing unit, progettato su invito di Emilio Ambasz e presentato, postumo, alla mostra Italy: the new domestic landscape al MoMA di New York nel 1972.
In tal senso vanno considerati anche i progetti per le poltrone a configurazione variabile Additional system (1967-68), Tube chair (1969), Multi chair (1970) e i carrelli contenitore Boby (1970) e Robot (1969): attrezzature di servizio per l’habitat contemporaneo, mutevoli e adattabili alle esigenze della vita quotidiana.
Morì a Milano il 30 luglio 1971, nel giorno del suo quarantunesimo compleanno.
Al pari di protagonisti del design come Marco Zanuso e i fratelli Castiglioni, va riconosciuto a Joe Colombo un ruolo attivo nella definizione della figura professionale dell’industrial designer nell’Italia degli anni Sessanta; ruolo che egli seppe interpretare mettendo la propria sensibilità estetica al servizio di una ricerca tecnologica, funzionale e sociologica sul progetto dell’abitare, spesso frutto di un’attitudine sperimentale i cui esiti d’avanguardia non vennero sempre compresi e accolti dall’industria. Contemporaneamente, Colombo contribuì alla diffusione dell’immagine del design italiano attraverso viaggi, mostre e pubblicazioni, che favorirono il riconoscimento del suo lavoro in Europa, America e Giappone.
L’attività del suo studio venne proseguita, dopo la sua morte, dall’architetto Favata, la quale ha curato, nei decenni successivi, numerose pubblicazioni e mostre sulla figura e l’attività progettuale del designer milanese.
Per un approfondimento dell’opera di Joe Colombo, si segnalano alcuni dei più significativi saggi di riferimento: Joe C. designer, 1930-1971, a cura di I. Favata, con saggio introduttivo di V. Fagone, Milano 1988 (in partic. I. Favata, Ritratto di Joe C., p. 17, con un’intervista rilasciata da Joe Colombo a Pierre Buhler, pubbl. in H, 1971, n. 3, e cronologia completa delle opere: pp. 122 s.); I Colombo. Joe C. (1930-1971), Gianni Colombo (1937-1993) (catal., Bergamo), a cura di V. Fagone, Milano 1995 (con un’antologia di scritti di J. Colombo, numerosi saggi e interviste sulle figure di Joe e Gianni Colombo tra cui si segnalano: Joe e Gianni Colombo a Milano fra arte e design, pp. 21-30, intervista di V. Fagone a G. Dorfles; Dietro le stesse mura (di casa, di studio), pp. 33-36, intervista di V. Fagone a G. Colombo a proposito di J. Colombo; Joe C. designer, pp. 85-90, intervista a G. Bernini di A. Colonetti; G. Anceschi, Esatte estesie, pp. 263-270, sul ruolo di G. Colombo nel Gruppo T; Letture critiche dell’opera di Joe C., pp. 223-225); G. D’Ambrosio, Joe C.: design antropologico, Torino 2004; Joe C. L’invenzione del futuro (catal.), a cura di M. Kries - A. Von Vegesack, Milano 2005; V. Fagone - I. Favata, Joe C., Milano 2011; A. Branzi - I. Favata, Joe C., Milano 2012. Su aspetti tematici, per le ricerche di J. Colombo sull’habitat futuribile: C. Guenzi, 1969, Ricerche e proposte per un habitat futuribile, Joe C., in Casabella, 1969, n. 342, pp. 28-33 (con un testo di J. Colombo: Antidesign, ibid., p. 28). Per la mostra Italy: the new domestic landscape: v. Italy: the new domestic landscape. Achievements and problems of Italian design (catal.), a cura di E. Ambasz, New York 1972; Environments and counter-environments: experimental media in Italy: the new domestic landscape, a cura di M. Wasiuta, New York 2013, passim. Per il design della luce: M. Romanelli, Joe C.: lighting design, interior design, Milano 2002. Per il disegno industriale del mobile: S. Casciani, Mobili come architetture: il disegno della produzione Zanotta, Milano 1984, pp. 94-96; A. Pansera, Il design del mobile italiano dal 1946 a oggi, Bari 1990, passim; Kartell, the culture of plastic, a cura di E. Storace - H.W. Holzwarth, Köln 2012, pp. 108-121. Per articoli e saggi su riviste si rimanda alla Bibliografia, in Joe C. L’invenzione del futuro, cit., 2005, pp. 295-299.