CESARE da Sesto
Figlio di un Giacomo (Beltrami, 1920, p. 10), se ne deduce la data di nascita, 1477, dal necrologio milanese (Motta, 1891), che in data 27 luglio 1523 ne registra la morte di "ann. 46". L'appellativo "da Sesto" indicherebbe il luogo di provenienza, Sesto Calende, ma nulla si sa della formazione e dei primi anni di attività, trascorsi quasi certamente a Milano nella cerchia leonardesca.
Nel 1508 C. era a Roma, e infatti Frommel (1978, p. 245 nota 58) pubblica un documento di pagamento a C. e al suo socio Baldovino del 7 giugno 1508 "pro picturis factis et fiendis" che conferma la collaborazione col Peruzzi nelle stanze vaticane e in particolare nella stanza di Eliodoro. Un passo del Vasari (IV, p. 592) segnala la presenza di un "Cesare da Milano", concordemente identificato con C. dalla critica (anche Summonte nella sua lettera a Michiel, p. 149, lo chiama "Cesare da Milano"), quale aiuto del Peruzzi nelle decorazioni della rocca di Ostia con monocromi, grottesche, storie antiche.
Frommel (1967-68) ha registrato per i lavori di Ostia qualche pagamento negli anni 1508-09, e non ai due artisti; recentemente (1979)nel palazzo del Seminario sono emersi dallo scialbo affreschi sicuramente del Peruzzi. Secondo Frommel i rapporti fra C. e Peruzzi sarebbero confermati anche dal fatto che in precedenza (1506-07)quest'ultimo aveva decorato l'abside della chiesa di S. Onofrio a Roma (Vasari, IV, p. 591) con Apostoli e Profeti che rifletterebbero in qualche modo influenze leonardesche derivategli dalla presenza, nel convento annesso alla stessa chiesa, della lunetta con la Madonna con Bambino e donatore riferita un tempo a Leonardo (Muñoz, 1903) e in seguito alternativamente a Boltraffio (Berenson [1907], 1968, p. 57) e a C. (Suida, 1929, pp. 215 s.), e più di recente dal Bologna (1955, 1959, seguito da Previtali, 1978, p. 14) ad Andrea Sabatini, il quale avrebbe a sua volta subito l'influenza di C. a Roma e si sarebbe ispirato qui a una sua idea.
Rientrato a Milano in data imprecisata e comunque entro il primo decennio, C. fu in stretto contatto con Leonardo di cui assimilò i mezzi espressivi traducendoli in numerosi disegni e nelle molte Madonne che gli sono attribuite. Fra quelle universalmente accettate come sue sono la cosiddetta Madonna dell'albero della Pinacoteca di Brera - alla quale si riferiscono alcuni schizzi preparatori (Frizzoni, 1915) - e la sua variante conservata al Museo di Strasburgo, che differisce dal dipinto di Brera nella posa del Bambino, rappresentato dormiente, nei particolari di paesaggio e in una modellazione meno delicata, come ha dimostrato anche l'esame radiografico (Precerutti Garberi-Mucchi, 1972). Uno studio per il Bambino dormiente è nella Biblioteca Reale di Torino (cfr. Suida, 1920); altri per la stessa composizione sono conservati a New York nella Morgan Library (cfr. Fairfax Murray, 1910, tavv. 61, 62) e a Venezia nelle Gallerie dell'Accademia (Cogliati Arano, 1966). Suida (1929) ha ritenuto che nei paesaggi di entrambi i dipinti fosse intervenuto il Bernazzano che Vasari (V, pp. 101 s.), definendolo "milanese", dice "eccellentissimo per far paesi, erbe, animali, ed altre cose terrestri, volatili ed acquatici" aggiungendo che, incapace di dipingere figure, lavorava con Cesare. In altra parte (VI, p. 518) il Vasari cita un Battesimo di Cristo di C. nella Zecca di Milano, lo stesso che nomina Lomazzo (1584, p. 165) presso Prospero Visconte (ora è nella collezione Gallarati Scotti a Milano) precisando che al paesaggio e agli animali aveva messo mano il Bernazzano. Per il gruppo di Cristo e s. Giovanni esiste un disegno a Venezia con studi delle mani (Cogliati Arano, 1966) e uno a New York con studi della figura di S. Giovanni e del gruppo (Frizzoni 1915).
Il S. Gerolamo della Art Gallery di Southampton (prov. collezione Cook di Richmond) è anch'esso costruito, come la Madonna di Brera, sullo sfondo di un albero con paesaggio in lontananza e anche qui Suida ha pensato all'intervento di Bernazzano (lo studio per la testa è all'Albertina di Vienna). Frizzoni (1906) ha avanzato l'ipotesi di una collaborazione tra i due artisti anche nel dipinto del Louvre con S. Giovanni Battista - Bacco che sarebbe stato eseguito sulla traccia di un'idea leonardesca, mentre Suida (1929) non lo ritiene autografo, anche se ammette che alla base sia da vedere un progetto di Cesare. Ancora al Louvre gli è attribuita la Madonna della bilancia (Valentiner, 1957: attribuzione comunemente considerata dubbia).
La critica assegna a questa fase leonardesca di C. (sia pure con molta cautela e con giudizi che non sono del tutto concordi) anche la Vergine col Bambino e l'agnello di Milano (Museo Poldi Pezzoli), derivata liberamente dalla Vergine e s. Anna di Leonardo al Louvre, e attribuita dubitativamente all'artista milanese da Berenson (1907), seguito da altri, mentre Suida (1929), pur rilevandovi nei particolari paesaggistici e nel fogliame in primo piano l'intervento di Bernazzano, preferisce riferirla al Sodoma; una diversa versione di questo dipinto con l'inserimento della figura di s. Anna è al Prado (secondo A. Venturi anch'essa di C.) e un'altra al Museo Jacquemart-André di Parigi.
In un tempo immediatamente successivo C. abbandona, nelle sue composizioni, l'ambientazione paesaggistica disponendo le figure su sfondo scuro. A questa fase appartiene il S. Gerolamo di Brera (acquistato nel 1907 e probabilmente lo stesso che Morigia nel 1595 ricordava di aver visto in possesso di Guido Mazenta), al quale si riferisce un disegno dell'Accademia di Venezia con lo studio per il braccio destro; contemporanea è un'opera assai nota, la Salomè del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che si ritiene sia da identificare con quella ricordata da Lomazzo in suo possesso e quindi donata all'imperatore Rodolfo II (Katalog der Gemäldegalerie, I, Wien 1965, pp. 118 s.). Lo stesso Lomazzo, nel Trattato, descrive puntualmente il dipinto affermando che si trovava "in Milano appresso Cesare Negruolo". Torre (1674) riferisce che in S. Giovanni alle Case Rotte vi era una copia di mano del Figino dell'Erodiade di C., e che l'originale era stato donato nel 1630 dai conti Archinto al cardinale Mazzarino (da questo passò poi alle collezioni del duca d'Orléans). Le fonti parlano quindi di più di un esemplare dello stesso soggetto; infatti oltre a quello di Vienna ne esiste uno del tutto identico (salvo qualche minima variante) alla National Gallery di Londra, ma più raffreddato nell'insieme, che comunemente si ritiene opera di bottega (Davies, 1961); mentre il dipinto già di proprietà del duca d'Orléans mostra le due figure l'inserimento di una testa di vecchio ed è riferito ad Andrea Solario da Berenson (1968, I, p. 411; III, fig. 1436; altre versioni sono citate in Davies, 1961). Un disegno conservato al Detroit Institute of Arts (Scheyer, 1937) presenta una prima idea per questo soggetto con sette figure; lo studio per le due mani di Salomè è all'Accademia di Venezia, mentre quello per il braccio del carnefice è nel castello di Windsor (Suida, 1929). Sempre a questo periodo milanese appartengono due dipinti con Madonna con Bambino e santi.
Di essi la Madonna del bassorilievo, cosìdetta per la presenza sui braccioli del seggio di rilievi, e la versione attualmente conservata a Leningrado nel Museo dell'Ermitage, viene citata dal Morigia come posseduta da Galeazzo Visconti (il quale aveva anche il Battesimo Gallarati Scotti): ha a sinistra s. Caterina e a destra s. Giuseppe; quest'ultimo ricompare identico nell'altro esemplare già di proprietà Carysfort, ora a Elton Hall (Peterborough), coll. sir Richard Proby, dove è presente anche un s. Giovannino e, a sinistra, s. Antonio. Studi per la S. Caterina a figura intera sono a New York, Pierpont Morgan Library (Fairfax Murray, 1910, tavv. 31, 34); mentre il disegno per il gruppo della Madonna con Bambino di Leningrado, anch'esso a New York, Morgan Library, può essere indifferentemente riferito anche al dipinto del De Young Memorial Museum, Kress Collection, di San Francisco.
Intorno alla metà del secondo decennio C. fece un secondo viaggio nel Sud. Verso il 1514 probabilmente si trovava già a Messina: la data viene ricavata dalla presenza in quell'anno, nella città siciliana, di Girolamo Alibrandi, il quale era fedele seguace e imitatore dell'artista milanese. Secondo la testimonianza di Samperi (1644) C. avrebbe lasciato a Messina un'Adorazione dei Magi all'altare maggiore della chiesa di S. Nicolò, una Madonna col Bambino e i ss. Giorgio e Giovanni nell'oratorio dei Genovesi annesso al convento di S. Domenico e un S. Domenico nella chiesa omonima: di questi dipinti il primo è identificabile secondo Bottari (1954) con quello dei Musei di Capodimonte a Napoli, il secondo con la pala era nel De Young Memorial Museum, Kress Coll., a San Francisco (F. R. Shapley, Paintings from the S. H. Kress Coll., It. schools,XV-XVI cent., London 1968, pp. 135 s.).
Questa fu, presumibilmente, la prima opera che egli eseguì poco dopo il suo arrivo, dati i riferimenti pressoché letterali del gruppo della Madonna col Bambino con quello del dipinto di Leningrado; è mutato invece sostanzialmente l'impianto compositivo, con ricchezza di richiami classicheggianti e raffaelleschi nei rilievi, ampia apertura di paesaggio e riflessi, nei due santi, della pittura ferrarese (Francia, Costa). Numerosi disegni per questo dipinto sono alla Pierpont Morgan Library (Suida, 1955). Più maturo e assai più complesso appare il dipinto di Napoli, dove ancora una volta il gruppo centrale della Madonna col bambino e il s. Giuseppe ricalcano quelli della Madonna del bassorilievo (in particolare il dipinto di Elton Hall) e le reminescente della cultura romana (Peruzzi e soprattutto Raffaello) sono più accentuate, come si vede bene in un disegno di Venezia (Accademia) dove appaiono anche ricordi di Michelangelo e di Leonardo. Altri studi sono alla Pierpont Morgan Library (Frizzoni, 1915). Sempre in Sicilia C. avrebbe eseguito - secondo la ricostruzione di Bottari - una pala collocata sull'altar maggiore della chiesa dei domenicani di Catania, distrutta durante il terremoto del 1693, di cui resta nel convento il frammento del volto della Vergine, del tutto simile a quello della pala di Napoli (Bottari, 1954). Bologna (1951) propende invece per identificare la pala di Capodimonte con quella citata dall'umanista napoletano Pietro Summonte nella sua lettera del 20 marzo 1524 a Marcantonio Michiel come dipinta a Napoli da "maestro Cesare da Milano" per la chiesa di S. Michele Arcangelo a Baiano: da qui essa sarebbe passata a Messina dopo la distruzione della chiesa napoletana nel 1644. Secondo Bologna, la pala era già dipinta nel 1517, dato che quell'anno sarebbe stata presa a modello, insieme con il disegno relativo, oggi nell'Accademia di Venezia, da Bartolomeo Ordoñez per il suo bassorilievo di S. Giovanni a Carbonara; a questa tesi "napoletana" Bottari oppone un'argomentazione parallela, rilevando riflessi di quella pala nei dipinti contemporanei del pittore messinese Girolamo Alibrandi. C'è da aggiungere che Lomazzo (1590, p. 365) ricorda un dipinto con "i tre magi" in Sicilia, in un "convento di monache" menzionandone il disegno preparatorio posseduto da Antonio Maria Vaprio. In ogni caso appare assolutamente innegabile (come puntualizza Bologna, 1959) il fatto che la pala di Capodimonte mostri, rispetto a quella della collezione Kress, un rinnovato e più maturo contatto con la cultura romana. A questo periodo risalgono numerosi studi che testimoniano tali rapporti, con richiami alle opere tarde di Raffaello oltre che di Michelangelo (disegni conservati nel taccuino della Pierpont Morgan Library, all'Ambrosiana, al Louvre).
A un soggiorno napoletano di C. confermato da Summonte (1524) èlegata in parte l'attività di Andrea Sabatini da Salerno che già doveva aver avuto rapporti con l'artista milanese durante il suo primo viaggio nel Sud e al quale èora concordemente riferito il polittico di Cava dei Tirreni (Museo dell'abbazia) che un tempo era riferito a C.: Bologna (1959) pensa a un suo diretto intervento almeno nell'ideazione.
È probabile che intorno al 1520 C. fosse di nuovo a Milano. L'unico dato sicuro di cui disponiamo è il documento di allogazionedel polittico per la chiesa di S. Rocco.
Il contratto, datato 28 genn. 1523 (Beltrami, 1920), imponeva di dipingere entro sei mesi sei scomparti divisi in due ordini: in quello superiore la Vergine e il Bambino al centro, S. Giovanni Battista a sinistra e S. Giovanni Evangelista a destra, in quello inferiore S. Rocco al centro, a sinistra S. Cristoforo e a destra S. Sebastiano (tutti conservati a Milano, Musei civici del castello, già nelle coll. Melzi d'Eril). Sugli sportelli, nella parte interna, in alto a sinistra S. Pietro, a destra S. Paolo, in quella esterna l'Angelo annunciante e l'Annunciata (tutti ora nella collezione Gallarati Scotti); in basso S. Martino e S. Giorgio a cavallo (dispersi).
C. riuscì ad eseguire solo le sei tavole centrali e forse S. Giorgio e S. Martino (Torre, 1674, ricorda quest'ultimo come in situ). Gli altri scomparti furono eseguiti da un aiuto o collaboratore di C., dato che, dopo due mesi di malattia, l'artista morì il 27 luglio 1523 (Motta, 1891) a Milano, nella parrocchia di S. Stefano a porta Orientale.
Le tavole ora al castello mostrano un'ulteriore maturazione di C. sulla pittura romana, in particolare Raffaello delle Stanze e della Madonna di Foligno e Michelangelo della Sistina; il patetismo languido e la soluzione compositiva del S. Rocco riflettono invece le contemporanee soluzioni di Correggio. Il disegno per il S. Cristoforo è a Venezia nella collezione di disegni della Accademia (Carotti, 1901); mentre due studi per il S. Sebastiano sono a New York (Fairfax, Murray, 1910, tavv. 29, 54): c'è da ricordare a questo proposito la testimonianza del Morigia (1595) che descrive un affresco nella villa Noviglio a Pieve di Rosate con S. Sebastiano saettato di cui esistono il disegno preparatorio al castello di Windsor (Suida, 1929) e la copia al Museo civico Malaspina di Pavia. Al S. Giorgio Suida pensa dovesse essere destinato un disegno del taccuino di New York (forse lo stesso che nomina Lomazzo, Trattato..., p. 155), mentre ritiene un disegno dell'Ambrosiana forse derivato dal dipinto con S. Martino.
L'identità dell'anonimo esecutore delle tavole con l'Annunciazione,S. Pietro e S. Paolo è sconosciuta. Di recente è stata avanzata la proposta, ancora da verificare, che si tratti di un artista meridionale più vicino a Raffaello che alla cultura leonardesca milanese, forse lo stesso Andrea da Salerno (Previtali, 1978, su suggerimento di G. Romano).
Oltre a questo esiguo numero di opere certe di C. ne sono state proposte dalla critica altre fra quelle generalmente confuse nella massa degli anonimi leonardeschi o che rappresentano repliche o varianti di opere dell'artista milanese. Riguardo ai disegni, oltre al nucleo riferibile con certezza a suoi dipinti, quelli a penna sono in genere abbastanza bene caratterizzati; più difficile è invece distinguere la sua mano fra i fogli leonardeschi del castello di Windsor (Clark-Pedretti, 1968); mentre non è convincente, fra gli altri, il tentativo di attribuire al Correggio un suo disegno di Dresda (R. M. Arb, A little-known drawing..., in Gazette des Beaux-Arts, LX [1962], pp. 401-10).
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