CEBETE di Tebe (Κέβης Θηβαῖος, Cebes Thebanus)
Filosofo, scolaro del pitagoreo Filolao e poi, insieme col suo concittadino Simmia (v.), di Socrate. Accanto a Simmia egli appare nella discussione con Socrate intorno al problema dell'immortalità dell'anima riferita nel Fedone platonico. Gli sono ascritti da Diogene Laerzio (III, 125) tre dialoghi, il Πίναξ, la ‛Εβδόμη e il Φρύνικος: ma, data la natura certamente spuria del primo, l'unico rimastoci (v. sotto), è probabile che fossero spurî anche gli altri.
La Tavola di Cebete. - La cosiddetta Tabula Cebetis (Κέβητος Θηβαίου Πίναξ) è un dialogo filosofico, di contenuto prevalentemente cinico stoico e d'intenzione neopitagoreizzante, che non può quindi esser veramente opera di Cebete di Tebe e che probabilmente neppure il suo vero autore volle ascrivergli. Il titolo della Tabula deriva dal fatto che il protagonista del dialogo, vecchio abitante di una città innanzi al cui tempio di Saturno si trova esposto un quadro allegorico, interpreta ad alcuni stranieri il significato del quadro stesso. Il fatto che questo interprete si presenti come pitagorico, mentre le dottrine da esso esposte sono tali solo in minima parte, essendo soprattutto socratico-cinico-stoiche, prova che lo scritto risale a un'età in cui tali dottrine, del resto anche ecletticamente fuse con elementi platonici e aristotelici, potevano darsi come pitagoriche o neopitagoriche; cioè, molto probabilmente, al sec. I d. C. La città raffigurata nel quadro rappresenta la vita, e i varî recinti in cui quella è distinta i diversi metodi di vita che gli uomini possono seguire. Tutta l'ideale costruzione è dominata dal concetto, rigorosamente cinico-stoico, che l'unica vera "cultura" (παιδέια) sia quella che si raggiunge con l'autarchia e cioè con l'indifferenza e col disinteresse per tutte le cose, come tali che in sé non possano essere né beni né mali; e che quindi "falsa cultura" (ψευδοπαιδέια) sia ogni altra particolare conoscenza e disciplina. L'etica che si manifesta in questo scritto ha quindi un orientamento analogo a quella di Epitteto e si comprende così come esso possa esser stato più volte tradotto e pubblicato in appendice al Manuale di quest'ultimo. D'altronde, come in Epitteto, quest'etica ha la sua crisi nella necessità d'intendere la ragione stessa dell'agire umano, quando a esso sia tolto ogni motivo d'interesse: di conseguenza, la svalutazione totale delle scienze particolari vi si attenua nella fine in una considerazione di esse come tali che, pur non contribuendo direttamente al miglioramento spirituale, possano tuttavia fino a un certo punto servire d'introduzione alla suprema "cultura"; e analogamente i beni di fortuna, che prima erano nettamente disprezzati e respinti, vengono poi stimati degni, se non di ricerca, per lo meno di accettazione.
Bibl.: Su Cebete di Tebe, v. H. v. Arnim, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. classischen Altertumswiss., XI, col. 102. Della Tavola di Cebete, v. le edizioni di K. Praechter, Lipsia 1793, e di J. van Wageningen, Groninga 1903; su di essa, K. Praechter, Cebetis tabula quanam aetate conscripta esse videatur, Marburgo 1885, e, per più ampie indicazioni, la bibliografia data dallo stesso Praechter in F. Ueberweg, Grundriss d. Geschichte d. Philosohpie, I, 12ª ed., Berlino 1926, pp. 165-66 dell'Appendice.