cavaliere
Graduato in una trafila di significati, dosati da concreti agganci alla vita quotidiana e alle tradizioni sociali, il sostantivo c. sta in primo luogo a designare tecnicamente " colui che cavalca o doma i cavalli ", " soldato a cavallo ", allineandosi al parallelo ‛ cavalcatore ' (v.), formato col suffisso dei ‛ nomina agentis ' e non con quello dei nomi di mestiere o professione (-arius, da cui -aio o, con mediazione francese, -iere). Così in Cv IV XXVI 6 (dove il simmetrico paragone con cavalcatore ci assicura del valore tecnico del termine); If XXII 1 (al plurale, in consonanza a corridor); 11 (unito e opposto a pedoni, cioè " fanti "); Pg X 80; XXIV 95 (nel singolare, a rappresentare chi, più ardito [Ottimo], " galoppa fuori da un drappello di soldati a cavallo per avere la gloria del primo scontro " o " della prima giornata "): Qual esce alcuna volta di gualoppo / lo cavalier di schiera che cavalchi, / e va per farsi onor del primo intoppo. Si trova anche adoperato per contrapporlo - dimostrandone insieme la superiorità - agli artigiani che si occupano del cavallo a livello di mascalcìa, propedeutica all'equitazione: Cv IV VI 6 al cavaliere dee credere lo spadaio, lo frenaio, lo sellaio, lo scudaio, e tutti quelli mestieri che a l'arte di cavalleria sono ordinati. Così, in antitesi a ‛ medico ', a segnare la differenza fra due professioni inconciliabili e fra le cose utili o inutili all'una e all'altra: I VIII 5 come quando uno cavaliere donasse ad uno medico uno scudo, e quando uno medico donasse a uno cavaliere scritti li Aphorismi d'Ipocràs, ovvero li Tegni di Galieno. Genericamente, quale " soldato ", " uomo armato ", in Fiore XXX 7, dove aspro cavaliere è denominato Schifo. Opposto a ‛ chierico ' (si tratti di " chierici religiosi " come di " chierici scienziati "), in accezione tecnico-sociale di " uomo d'arme, detentore di una fede politico-ideologica " (Contini), nella " canzone della leggiadria, le mezzana virtù del cavaliere " (inadatta invece all'ecclesiastico), la quale " si definisce... per la terna di sollazzo, Amore e operazione perfetta ": Rime LXXXIII 83 e 112, con fiera rampogna in nome della virtù deserta e della disviata leggiadria: Oh falsi cavalier, malvagi e rei, / nemici di costei, / ch'al prenze de le stelle s'assimiglia!
L'uso più largo di c. si ricollega dunque a una terminologia iniziatica o meglio castale, per una condizione (‛ dominus ' o ‛ miles ' nel latino medievale) aureolata da un'investitura gerarchica, o addirittura regia e imperiale, indicando cioè chi nel Medioevo apparteneva alla ‛ cavalleria ', come istituzione sociale e politica: Cv IV XXVIII 8 lo cavaliere Lancelotto; If XVII 72 'l cavalier sovrano, Gianni Buiamonte dei Becchi, insignito sì del primo grado di nobiltà, ma anche - con enfasi ironica - " sommo usuraio " (cfr. Barbi, Con D. e coi suoi interpreti..., pp. 215-240). Ancora, legato a un celebre binomio, che coinvolge e sommuove una complessa Weltanschauung medievale: If V 71 le donne antiche e' cavalieri (il Sapegno: " nelle compilazioni medievali del ciclo classico, gli antichi guerrieri sono chiamati e si atteggiano nei costumi e nelle gesta come cavalieri dei romanzi carolingi e arturiani "); e soprattutto Pg XIV 109 le donne e ' cavalier, nella " formula poetica di quell'ideale cortese che si prolunga, come tema letterario e norma di costume, dal Decameron all'Orlando Furioso ".
Mera allusione alla popolare tematica degli ‛ stati del mondo ' nell'insipido elenco del Fiore CI 4, per giunta immiserito alle dimensioni ambigue delle proteiche ‛ virtù ' di Falsembiante: ch'un'or divento prete, un'altra frate, / or prinze, or cavaliere, or fante, or paggio. Il termine si trova anche giustapposto a ‛ borghesi ', cioè alla nuova classe che andava sommergendo, con l'ardimento delle industrie e dei commerci, l'antica ‛ élite ' nobiliare (CXVIII 5); o imbrancato con altri notabili fra la schiera dei possibili amatori rimpianti dalla Vecchia per la sua bollente e maliziosa giovinezza: e conti e cavalieri e gran borgesi, / che molti fiorin d'oro m'avrian dati (CXLIX7).
Come appartenente a una categoria distinta da altre di nobiltà ereditaria (discriminazione già avvertibile nel § 2), in CV I IX 5 e questi nobili sono principi, baroni, cavalieri, e molt'altra nobile gente. Da questa accezione se ne diparte un'altra, più di tutte lontana dalla matrice semantica: cioè, genericamente, " uomo nobile, di modi signorili, di elevato sentire o aspetto dignitoso ", quindi senza allusione a una canonica e rituale investitura: Rime XCI 87 (nel cosiddetto ‛ primo congedo ') Se cavalier t'invita o ti ritene, / imprima che nel suo piacer ti metta, / espia, se far lo puoi, de la sua setta. Tuttavia per alcuni esegeti (ad es. il Contini) s'imporrebbe qui il rinvio alla ‛ vera leggiadria ' di Rime LXXXIII, e quindi il collegamento del termine c. alla tematica dell'ideologia cortese.