CATTEDRALE
Chiesa principale della diocesi, dov'è la cattedra, o trono, del vescovo; il termine latino cathedralis ('della cattedra') è propriamente aggettivo, sostantivato se riferito a un sottinteso ecclesia. L'importanza della c. nasce, alle origini del cristianesimo, dal fatto che essa era la chiesa del vescovo, autorità religiosa e spesso personalità di spicco. A questo titolo la c. costituiva l'ecclesia per eccellenza, la chiesamadre (matrix, maior), dalla quale procedevano tutte le altre chiese della città e della diocesi e che a questo titolo esercitava su di esse la propria autorità.In età tardoantica le chiese episcopali, la prima e la più prestigiosa delle quali era la basilica del Laterano a Roma, si ispirarono all'architettura degli edifici civili dell'epoca romana, quando non si installarono direttamente nel pretorio del rappresentante locale dell'imperatore. Benché adattate alle esigenze delle celebrazioni liturgiche, queste basiliche conservarono tuttavia il carattere di edifici destinati all'esercizio dell'autorità, in quanto assai precocemente in fondo all'abside semicircolare il seggio episcopale sostituiva quello del governatore o del procuratore. È estremamente significativo il fatto che, dopo l'editto di Costantino (313), le prime basiliche raramente abbiano trovato sede in edifici di culto antichi: mentre il tempio era la dimora del dio e i suoi fedeli non vi accedevano, la chiesa cristiana era piuttosto quella dei fedeli, in cui i sacerdoti e il popolo si riunivano per celebrare il sacrificio eucaristico e ricevere la parola di Dio e i sacramenti.Il termine stesso di c. non comparve in Occidente che nel sec. 8° e si impose realmente solo nel Duecento, con l'affermazione del diritto del vescovo al trono. Prima dell'età carolingia sarebbe peraltro più opportuno parlare di 'gruppo cattedrale', poiché non si trattava di una sola chiesa ma di un insieme di edifici di culto che occupava un posto importante nella città dell'Alto Medioevo: vi si trovavano infatti una o anche due c., come a Milano e a Parigi, un battistero, un palazzo vescovile, le abitazioni dei canonici. Lo statuto privilegiato della c. si manifestava sul piano liturgico nell'ampiezza del rituale della sua dedicazione, vale a dire della consacrazione al culto divino, che comprendeva, secondo l'Ordo XLI (fine sec. 8°) e i sacramentari gelasiani, le seguenti cerimonie: ingresso del corteo episcopale, litanie, prostrazione, iscrizione dell'alfabeto sul pavimento, preparazione dell'acqua lustrale - miscela d'acqua, sale, ceneri e vino, con cui venivano tracciate croci multiple -, consacrazione e, dopo la benedizione dei panni, allestimento dell'altare. Di conseguenza, l'anniversario di questa intitolazione era oggetto di una solenne commemorazione annuale in tutte le chiese della diocesi, dove il legame di dipendenza dalla c. si concretizzava in precisi obblighi finanziari, quali diversi tipi di offerte e il pagamento di cathedraticum e synodaticum da parte del clero.Il prestigio delle c. dipendeva in epoca medievale anche dal fatto che spesso si ritenevano fondate dal primo evangelizzatore della diocesi o da uno dei suoi primi vescovi. In alcuni casi la chiesa si ergeva sul luogo stesso del loro martirio, come a Reims, dove all'interno della navata era possibile osservare fino al sec. 18° un'edicola circolare chiamata rouelle de saint Nicaise, edificata nel punto in cui s. Nicasio era stato ucciso dai Vandali nel 407. I sepolcri dei vescovi fondatori o martiri non erano però l'unica ragione di vanto per una chiesa episcopale. Dal sec. 4°, infatti, la gerarchia ecclesiastica si sforzò di raccogliervi la maggior quantità possibile di tesori cristiani, si trattasse di reliquie di santi o di preziosi oggetti di culto. La prima c. della Gallia in cui è attestata una traslazione di reliquie è quella di Rouen - recentemente oggetto di scavi -, in cui il vescovo Vittricio (330 ca.-409 o 415) depose nel 396 le reliquie dei ss. Gervasio e Protasio, che aveva fatto portare da Milano. In ogni c. si costituì allora, in misura dipendente dalle circostanze e dai mezzi del clero locale, un tesoro formato da oggetti di pregio (gemme, avori o casule di seta provenienti dall'Oriente) e soprattutto da reliquiari e teche di forme diverse con i preziosi resti mortali dei santi e, a partire dalle crociate, anche con frammenti della Vera Croce.Al termine di un processo durato più o meno a lungo a seconda delle regioni, la funzione di 'reliquiario' assunta dalla c. finì per avere il sopravvento su quella originaria di basilica del vescovo. Il trono episcopale, situato in origine sull'asse della navata, a N delle Alpi venne spesso ridotto a un semplice faldistorio - sedia curule sormontata da un baldacchino - collocato, dopo il Mille, su uno dei lati del coro, mentre al centro, nell'altare maggiore, erano poste le reliquie più prestigiose. In certi casi la c. divenne anche meta di pellegrinaggi e ciò comportò la costruzione di un deambulatorio come pure il moltiplicarsi delle cappelle radiali e lo sviluppo della cripta; nella cripta della c. di Chartres, per es., si venerava il velo della Vergine donato da Carlo il Calvo. A fare della c. il centro del culto cristiano per la città e per la regione circostante contribuirono la sacralità del luogo, la particolare magnificenza degli uffici e delle cerimonie liturgiche, quali la messa del Giovedì Santo e la benedizione dell'olio battesimale - quando tutto il clero cittadino si raccoglieva intorno al vescovo -, l'esistenza di un rituale (il pontificale) e di un calendario liturgico propri della Chiesa locale.A questi elementi specificamente religiosi si aggiunge il fatto che la c., sin dall'Alto Medioevo, fu intesa come luogo della memoria: a partire dal sec. 5° si cominciò a redigervi e a iscrivere su tavole in avorio o in pietra gli elenchi dei vescovi, i fasti episcopali. Poiché il ricordo di taluni vescovi si era perso da molto tempo quando furono redatte le liste, gli autori non esitarono ad aggiungere nomi di propria invenzione perché non risultassero lacune. In alcuni casi, assai numerosi in Gallia dove si erano avuti pochissimi martiri, ma pure in Italia, si ricollegò l'introduzione del cristianesimo nella diocesi alla predicazione degli apostoli, in modo palesemente artificioso, o a quella dei primi discepoli di Cristo. Questa volontà di porre l'accento sulla continuità storica della Chiesa locale venne espressa anche nelle opere d'arte che ornavano la c.: a Strasburgo e a Bourges, per es., magnifiche vetrate rappresentano i vescovi della città, dal fondatore al prelato che le fece eseguire nel 13° secolo. Ne scaturisce un'impressione di continuità, soprattutto quando, come nel caso di Bourges, la serie delle ventisei vetrate inizia con s. Ursino e s. Giusto, gli evangelizzatori del Berry, e si chiude con un santo storico come l'arcivescovo Guglielmo (m. nel 1201), che fu canonizzato nel 1218 da papa Onorio III (1216-1227). Altrove, per es. a Rouen, Amiens o Reims, è un gruppo di statue fiancheggianti un portale a perpetuare il ricordo dei personaggi che glorificarono la Chiesa locale. Seppure con modalità diverse, il processo ha la medesima finalità: attualizzare le grandi figure della storia religiosa della diocesi, di cui la c. rappresenta una sorta di pantheon.La c. illustra, a suo modo, anche la concezione cristiana del tempo, che non è semplice fluire ma preparazione, in ciascun uomo e nel mondo, all'avvento del regno di Dio. Sulle facciate delle c. medievali figurano pertanto quasi costantemente la Creazione di Adamo ed Eva insieme al suo pendant, il Giudizio universale, vale a dire l'origine e la fine, nonché i Segni dello zodiaco e i Lavori dei mesi, che scandiscono il breve tempo dell'esistenza umana, come si può ancora osservare a Modena o a Ferrara. La c. indica inoltre, a coloro che desiderano conoscerle, le tappe principali da percorrere per arrivare alla salvezza seguendo Cristo, la Vergine e i santi; tale aspetto iniziatico della c. è ancora percettibile in quelle che conservano i mosaici pavimentali, come per es. a Otranto. È noto inoltre che fino al sec. 18° nella maggior parte delle grandi c. francesi si conservava ancora il labirinto, un percorso sinuoso e complesso inscritto nel pavimento della navata, che visualizzava attraverso un'alternanza di lastre nere e bianche il pellegrinaggio terrestre verso l'aldilà, e che i fedeli percorrevano in ginocchio recitando preghiere. Una volta giunti al termine del dedalo - che a Chartres, dove esiste ancora, è lungo quasi m. 200 - essi avevano la sensazione di aver accesso, al prezzo di un considerevole sforzo fisico, alla beatitudine eterna. Ciò illustra adeguatamente una delle funzioni specifiche della c., simbolo della città santa e anticipazione della Gerusalemme celeste: riassumere al proprio interno tutte le dimensioni dell'esperienza religiosa, a un tempo locale e universale, storica ed escatologica.Ogni c. riflette inoltre una storia particolare, quella della città e della diocesi, di cui sola conserva e alimenta il ricordo, e soprattutto della propria storia, ossia delle trasformazioni e delle ricostruzioni subìte nel corso dei secoli. La c. di Notre-Dame a Parigi, per es., venne edificata alla fine del sec. 12° sulle rovine di due chiese demolite appositamente: Notre-Dame e l'antica c. di Saint-Etienne che, all'epoca di Clodoveo (482 ca.-511), era la chiesa più grande della Gallia; uno dei portali della c. gotica fu consacrato a s. Stefano proprio per sottolineare la continuità fra gli edifici e la persistenza del culto per il protomartire. Nei secc. 12° e 13° fu sistematica la sostituzione degli edifici in stile gotico alle antiche c. di epoca romanica o carolingia. Tutta una parte della città, in generale il centro, venne allora ricostruita in funzione di un unico edificio, di proporzioni considerevoli, che si sostituiva a un gruppo di chiese e di cappelle ereditate dall'Alto Medioevo. Attraverso questa ristrutturazione dello spazio si espresse indubbiamente il dinamismo dell'incremento demografico e della crescita economica del mondo urbano, ma l'impulso alla ricostruzione manifestò soprattutto, dopo secoli di predominio del monachesimo, la rinascita della Chiesa secolare e del potere del vescovo, se non sulla città - dove il dominio politico le sfuggì progressivamente a favore del comune o del sovrano - almeno sulla diocesi; il clero si riuniva in sinodo due volte l'anno in una sala o in un palazzo contigui alla c. (un esempio è conservato a Sens). Al termine della riforma gregoriana il recupero da parte del vescovo e del Capitolo di una parte delle decime e dei diritti ecclesiastici legati al culto fornì i mezzi per imprese costruttive assai dispendiose; infatti, contrariamente a quanto sostiene una convinzione radicata, fu il clero ad assumersi nel Medioevo l'onere sostanziale del finanziamento della c., prelevando somme talvolta considerevoli dalle proprie entrate. I sovrani svolsero in complesso un ruolo modesto, mentre il popolo si limitava il più delle volte a collaborare a queste iniziative con doni e lasciti, incentivati spesso dalla concessione di indulgenze.La c. medievale comprendeva, oltre alla chiesa, un insieme di edifici annessi: innanzitutto il chiostro, con la cantoria, sala dove il Capitolo e i cantori si riunivano per recitare i salmi e preparare gli uffici solenni, la biblioteca o libreria, che ospitava i testi liturgici e le opere scolastiche, gli archivi capitolari e soprattutto la scuola. Nel corso del sec. 12° a varie riprese il papato ricordò ai vescovi che essi dovevano mantenere a proprie spese una scuola annessa alla c., dove impartire un'istruzione ai futuri chierici sotto la direzione di un canonico del Capitolo, il cancelliere. A seguito delle insistenze dei pontefici le scuole vennero aperte; il fatto che furono eclissate dal successo delle università dopo il 1200 non deve far dimenticare il prestigio di cui godettero nel sec. 12° quelle di Laon, Chartres e Parigi, per citare solo le maggiori. Non lontano dalla c. si trovavano anche l'ospizio per i poveri e gli ammalati (detto in Francia Hôtel-Dieu) e il quartiere dei canonici, con le case e i chiostri che godevano del diritto d'asilo, dove si rifugiavano persone sbandate o senza tetto e una quantità di piccoli chierici e di scolari; questi, nel giorno della festa dei ss. Innocenti, occupavano gli stalli del coro recitandovi uffici buffoneschi.Con la crisi della fine del Medioevo, che comportò spesso un arresto prolungato dei cantieri, in molti casi si produsse un cambiamento decisivo: il clero, le cui entrate erano seriamente minacciate dallo stato di abbandono in cui versavano le campagne, ben presto non fu più in grado di sopportare da solo il peso finanziario della costruzione e a volte anche della semplice manutenzione della c., fino a quel momento sotto il suo totale controllo, e, a partire dal sec. 14°, ne perse progressivamente il dominio. Così a Strasburgo, dopo un incendio che devastò la chiesa nel 1298, la municipalità s'inserì nella gestione dell'Opera del duomo e finì nel 1395 per farsi cedere il controllo assoluto sul cantiere; fu con finanziamenti propri, senza sollecitare la concessione di indulgenze, che la città nel sec. 15° affrontò la costruzione di una guglia di m. 142; altrove invece il clero chiamò in soccorso il potere regio o dei principi.Gimpel (1958) ha definito a buon diritto "lo spirito del primato mondiale" la tendenza, molto marcata a partire dal sec. 13°, a dare a ciascuna c. dimensioni maggiori di quelle delle sue vicine. Questa competizione si tradusse innanzitutto nella ricerca di un'altezza delle volte sempre più considerevole: è difficile attribuire al caso la circostanza che la navata di NotreDame a Chartres, ricostruita a partire dal 1195, presenti un'altezza di m. 36,5, rispetto ai m. 36 di Notre-Dame a Parigi, iniziata nel 1163, a maggior ragione quando si constata che la volta di Reims nel 1212 raggiunse m. 38, quella di Amiens nel 1221 m. 42 e quella di Beauvais, qualche decennio più tardi, m. 48. Lo spettacolare crollo del coro di quest'ultima dimostra però che si era raggiunto un limite tecnologico pericoloso da oltrepassare. Ciò non impedì ad alcune città italiane di imboccare a loro volta la strada del gigantismo, come a tutt'oggi testimoniano la c. di Orvieto e il Duomo Nuovo di Siena.In alcuni casi la c. attestava le remotissime origini della città; a Metz, per es., nella cripta meridionale di Saint-Etienne si trovava la raffigurazione di un orribile mostro, il Graouilly, che secondo la tradizione il primo vescovo della città, s. Clemente, aveva affogato nel fiume locale. Gli abitanti di Parigi erano assai devoti alle reliquie di s. Marcello, vincitore del drago che terrorizzava la popolazione cittadina, trasferite a Notre-Dame fra il 10° e il 12° secolo. Tramite questi culti la città tardomedievale, divenuta arbitra del proprio destino, commemorava la propria nascita e celebrava, invocando un eroe civilizzatore, la vittoria dell'ordine urbano sulla palude che occupava l'area di insediamento prima dell'intervento dell'uomo.A partire dal Duecento le c. finirono con l'identificarsi con le città al centro delle quali venivano innalzate, anche se non costituivano semplici riflessi della loro potenza. Chiesa-madre di una diocesi essenzialmente rurale, la c. godeva pertanto di uno statuto particolare, che in genere le consentì di non essere completamente subordinata al potere municipale; la sua forza di irradiazione si estendeva infatti su un entroterra che nelle diocesi oltremontane poteva contare molte centinaia di parrocchie. A ciò corrisponde l'importante ruolo svolto dal Capitolo, costituito dai canonici, per la maggior parte appartenenti all'aristocrazia locale, che godettero del privilegio di eleggere il vescovo, scelto per lungo tempo tra le loro fila, fino al momento in cui l'elezione passò prima al papato e quindi al potere civile. Questa funzione di simbolo regionale che la c. assolveva si espresse talvolta anche sul piano artistico, quando essa costituì il modello architettonico che le modeste chiese di villaggio si sforzavano di imitare, in proporzione ai loro mezzi. Ancora oggi è possibile verificare il fenomeno, per es., nelle regioni alpine, nelle diocesi di Aosta e di Embrun, nell'Alto Delfinato, o anche in Corsica, dove le pievi romaniche riecheggiano la facciata della c. di Pisa, città che nel Medioevo svolse sull'isola un ruolo egemone.Chiesa cittadina che tuttavia superava i confini della cerchia urbana, la c. paradossalmente era nel contempo l'edificio religioso più carico di sacralità e il più profano, nel senso che nel corso dei secoli i fedeli vi si riunivano spesso in occasione di cerimonie o manifestazioni di carattere non esclusivamente religioso; era nella c., per es., che nel Medioevo si tenevano, in presenza del sovrano e dell'alta nobiltà, i sinodi diocesani o provinciali, la cui legislazione ebbe tanta importanza sul piano della vita sociale. È ancora in una c., quella di Senlis, a N di Parigi, che Ugo Capeto (941 ca.-996 ca.) fu consacrato re dei Franchi nel 987 dagli alti dignitari laici ed ecclesiastici. La costruzione di palazzi reali o municipali da parte del potere civile non pose fine a questa situazione: ancora nel sec. 13° il consiglio comunale di Marsiglia trovava normale riunirsi nella cattedrale. Quando Filippo IV il Bello (1285-1314) volle associare le classi dirigenti della società francese alla sua lotta contro Bonifacio VIII (1294-1303) e mobilitare l'opinione pubblica a proprio favore, nell'aprile del 1302 convocò a Parigi un'assemblea dei rappresentanti dei tre stati proprio a Notre-Dame, evento che segna la prima affermazione pubblica del gallicanesimo.La funzione di luogo d'incontro privilegiato tra sacro e profano si evidenziò persino nella disposizione interna delle c., che infatti, nel corso dei secoli, riflesse i cambiamenti subìti in epoca medievale dai rapporti fra clero e laici: mentre nell'Alto Medioevo bassi plutei e amboni costituivano l'unica separazione fra il celebrante, attorniato dalla schola cantorum, e i fedeli, la valorizzazione del ruolo dei chierici nella riforma gregoriana e lo sviluppo dei Capitoli delle c., tendenti sempre più ad affermare i propri privilegi, finirono con il determinare - almeno a N delle Alpi - un'autentica cesura tra la navata e il coro, che divenne strettamente riservato al clero. Tale cesura si concretizzò spesso nella costruzione di jubés, caratterizzati peraltro all'epoca del Gotico flamboyant da una moltitudine di sculture che impedivano ai laici di vedere quanto accadeva intorno all'altare. Poiché la maggior parte dei jubés venne distrutta, quantomeno in Francia, nel sec. 18° (salvo che ad Auch e ad Albi), è difficile immaginare la nave continua della chiesa divisa in due parti distinte; eppure è così che bisogna figurarsi l'interno di molte c. negli ultimi secoli del Medioevo, quando la comunicazione tra il clero e i fedeli non fu più fondata su una partecipazione comunitaria al sacrificio dell'altare, bensì sul ministero della parola, portata al popolo dai predicatori. Si spiega così la costruzione, fra i secc. 13° e 15°, di splendidi pulpiti ornati da una profusione di sculture decorative di grande qualità, come è ancora possibile vedere a Pisa o a Firenze. Il successo degli Ordini mendicanti non deve far dimenticare, infatti, il ruolo preminente svolto dalle c. nella storia della predicazione e del magistero pastorale.
Bibl.:
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Letteratura critica. - E. Mâle, La fin du paganisme en Gaule et les plus anciennes basiliques chrétiennes, Paris 1950 (19623); P. du Colombier, Les chantiers des cathédrales, Paris 1953 (19732); J. Gimpel, Les bâtisseurs de cathédrales, Paris 1958 (19802; trad. it. I costruttori di cattedrali, Milano 1961); G. Duby, L'Europe des cathédrales 1140-1280, Genève 1966; C. Violante, C.D. Fonseca, Ubicazione e dedicazione delle cattedrali dalle origini al periodo romanico nelle città dell'Italia centrosettentrionale, in Il Romanico pistoiese nei suoi rapporti con l'arte romanica dell'Occidente, "Atti del I Convegno internazionale di studi medioevali di storia e d'arte, Pistoia-Montecatini 1964", Pistoia 1966, pp. 303-346; M.M. Gauthier, Les Routes de la Foi. Reliques et reliquaires de Jérusalem à Compostelle, Fribourg 1983; La cathédrale demeure de Dieu, demeure des hommes, Paris 1988; J.C. Picard, Le souvenir des évêques. Sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord, des origines au Xe siècle (BEFAR, 268), Paris-Roma 1988; A. Erlande-Brandeburg, La cathédrale, Paris 1989; W. Sauerländer, Le siècle des cathédrales 1140-1260, Paris 1989; J. Le Maho, La cathédrale primitive de Rouen, in L'évangélisation de la Normandie, Les Dossiers d'archéologie, 1990, 144, pp. 18-27.A. Vauchez
Dal punto di vista giuridico solo in pieno Cinquecento fu risolta a favore di S. Giovanni in Laterano la disputa su quale delle chiese patriarcali di Roma dovesse essere considerata la sede del vescovo. Dal punto di vista monumentale, al contrario, resta certo che già di per sé la cessione costantiniana del palazzo Lateranense a papa Melchiade (311-314), la fondazione, a ridosso di esso, della basilica allora intitolata al Salvatore e la creazione, alle sue spalle, del battistero concorsero a formare un insieme di edifici che, malgrado il carattere disorganico, già suggeriva l'idea di quali dovessero essere le componenti di un gruppo episcopale. Non si intende con ciò affermare che alla base dei modi organizzativi che i complessi vescovili acquistarono nel corso del Medioevo vi sia stato solo l'esempio romano. Esso influì certamente su alcune scelte di impianto, soprattutto in relazione alla presenza delle cinque navate, una soluzione che, pur non essendo esclusiva delle c., vi fu tuttavia ricorrente: già nel sec. 4°, al tempo di s. Ambrogio, S. Tecla milanese mostrava quella scansione, che ricorreva forse, in anni di poco posteriori, anche a Lione; problematica ma possibile, inoltre, è la sua presenza a Parigi in un momento tra i secc. 5° e 6°, mentre nell'11° si rifecero a quella scansione S. Stefano di Pavia, che potrebbe riprendere l'impianto di un edificio più antico, e la c. di Pisa. Resta il fatto che accomunare queste costruzioni in un unico riferimento al Laterano appare rischioso, in quanto l'impianto a cinque navate non fu esclusivo delle fondazioni costantiniane di Roma, ma coinvolse anche la primitiva Santa Sofia di Costantinopoli e il martyrium del complesso del Santo Sepolcro di Gerusalemme, entrambi riferibili alla stessa committenza e modelli altrettanto significativi, in quanto organizzati in un contesto di c. doppia, lo stesso nel quale si trovavano implicati, a eccezione della c. di Pisa, tutti gli edifici ricordati in precedenza. Il riferimento a Roma potrebbe valere allora solo dove (con certezza a Milano, con probabilità a Parigi) il battistero si trovava alle spalle dell'abside della basilica a cinque navate, come avveniva al Laterano. In questi casi potrebbe essere stata la volontà imitativa nei confronti del modello romano a indurre a una rottura della razionale geometricità (propria, a quanto sembra, del sistema della c. doppia fin dalla sua nascita) e quindi alla scelta di un dispositivo assiale per le varie componenti del complesso. Occorre tuttavia riconoscere che quello stesso meccanismo era stato organicamente pensato anche per il Santo Sepolcro di Gerusalemme.La soluzione della c. doppia fu, in età paleocristiana, uno dei più diffusi sistemi organizzativi del complesso episcopale. Che esso nasca indipendente da qualunque ingerenza romana è dimostrato, anzitutto, dalla sua assenza al Laterano e inoltre dal fatto che già agli inizi del sec. 4° era presente ad Aquileia e a Treviri, secondo la più consueta disposizione parallela delle due basiliche, con il battistero in mezzo, disposizione che avrebbe condizionato le forme di molti gruppi episcopali ancora in piena epoca medievale. La lucidità compositiva di quei complessi più antichi non fu certo la caratteristica costante di una soluzione estremamente duttile, quale si rivelò nel tempo quella della c. doppia, tanto che è il caso di chiedersi se, più che di una tipologia, si debba parlare di un criterio aperto a qualunque ipotesi organizzativa, purché si mantenesse intatta l'idea di fondo. Una migliore comprensione delle forme potrebbe venire da un chiarimento delle esigenze che presiedettero via via alla loro invenzione, problema che rimane controverso. Che all'origine uno dei due ambienti del complesso fungesse da catecumenio è possibile ma finora non dimostrato. Altrettanto probabile - sembrano testimoniarlo, alla fine del sec. 4°, Eteria nel descrivere le cerimonie in uso presso il Santo Sepolcro (Itinerarium Aetheriae, II, 24-49) e, agli inizi del 5°, Paolino di Nola nel parlare del complesso di Primuliacum (Ep., XXXI-XXXII; PL, LXI, coll. 325, 334) - è che, in conseguenza del mutare degli usi battesimali, vi sia stata una precoce evoluzione verso una diversa destinazione dei due edifici: l'uno, quello più ampio, utilizzato per la liturgia festiva e l'altro, minore, posto anche a disposizione della domus vescovile, per quella feriale. Sintomatica di questo mutare di ragioni è la c. di Parenzo che raggiunse lo stato attuale alla metà del sec. 6°, dopo essere passata attraverso due fasi precedenti, ancora condizionate dalla presenza del sistema a edifici paralleli. Nell'ultima versione l'edificio maggiore testimonia ancora oggi, con la sua ricca decorazione, di aver avuto una destinazione solenne. Esso fu connesso al preesistente battistero attraverso un quadriportico, sul cui lato settentrionale venne impostato, lungo un asse perpendicolare, l'episcopio, il quale racchiudeva al suo interno una cappella palatina, con un'evoluzione delle componenti del complesso episcopale destinata a ripetersi anche in episodi successivi.Fu la duttilità organizzativa ad assicurare al sistema della c. doppia una lunga sopravvivenza rispetto ai tempi e alle ragioni per le quali era stato inizialmente pensato. Contribuì a questo anche la consonanza che esso mostrò con le esigenze di riforma della vita canonicale, avanzate prima dal vescovo di Metz Crodegango, intorno al 754, e successivamente ufficializzate ed estese a tutto l'impero da Ludovico il Pio (814-840) con il sinodo di Aquisgrana dell'816. Con esse si rese necessaria una profonda trasformazione della cittadella episcopale, in quanto l'estensione anche al clero canonicale dei criteri di vita comunitaria comportò l'introduzione, in essa cittadella, di strutture tipiche di un monastero, come il chiostro, il refettorio, il dormitorio. Per la sua stessa natura aperta, il sistema della c. doppia era disponibile ad accogliere tali addizioni all'interno delle sue articolazioni, come dimostra il gruppo episcopale della città di Metz, da cui il movimento prese l'avvio. Soprattutto, con la c. destinata al servizio della domus episcopalis, esso forniva già approntato quel secondo coro per i canonici che si rendeva necessario in relazione alle nuove pratiche liturgiche di tipo monastico, introdotte dalla riforma e caratterizzate dalla recita degli uffici a cadenze regolari nell'arco della giornata. Fu in relazione a tali esigenze che, con il sec. 9°, comparve in ambito lombardo la distinzione delle due c. come estiva e iemale: nel senso che i canonici da Pasqua all'Avvento officiavano nella c. posta a N, mentre per l'inverno si trasferivano in quella esposta a S. In realtà le fonti dimostrano che quest'uso non era così categorico come lascerebbero pensare le indicazioni nominali nei confronti delle due c., per cui non è esaustivo spiegare il meccanismo della c. doppia in termini climatici. Questa preoccupazione non può essere generalizzata, anche se poté essere localmente presente. Già nella c. meridionale di Treviri il presbiterio veniva riscaldato tramite un sistema a ipocausto. Un coro invernale per i canonici va riconosciuto, agli inizi del sec. 12°, nel c.d. oratorio di S. Alessandro, che si affianca al lato meridionale della c. valvense di S. Pelino presso Corfinio, in Abruzzo, in virtù della pianta, simile a quella di un transetto absidato privo di navate, e della copertura a volte, che ne rende più mite la temperatura interna. Tra l'altro la possibilità di individuare la c. invernale in quella esposta a S ricorre soltanto nei complessi episcopali a chiese affiancate, come a Pavia, ma non si adatta a quelli costruiti lungo un unico asse, come a Milano, dove pure avvenivano i due trasferimenti annuali dei canonici. È possibile quindi che la ricorrenza in Lombardia di quella consuetudine - protrattasi, sulla base della testimonianza di Opicino de Canistris (1296-post 1334; Krautheimer, 1936), almeno fino al sec. 14° - altro non sia stato che il fossilizzarsi di un comportamento che aveva avuto la sua attualità nel sec. 9°, quando la resistenza da parte dei canonici ad accettare le nuove regole di vita comunitaria imposte dalla riforma del clero li aveva indotti a escogitare l'uso stagionale, almeno ufficiale, delle due c. per annullare una possibile distinzione della chiesa canonicale all'interno del complesso episcopale, con quello che ciò comportava sul piano dell'osservanza liturgica.Che il meccanismo della c. doppia vada considerato caso per caso, alla luce delle singole vicende, lo dimostra il fatto che se posteriormente al sec. 6° ricorre spesso la dedica alla Vergine dell'edificio maggiore, destinato alla liturgia solenne, e la dedica dell'altro a un martire, più frequentemente a s. Stefano (in simbolica connessione alla sua funzione di diacono e al fatto che era l'arcidiacono ad avere cura della domus episcopalis), questo non impedisce la possibilità di inversioni nei ruoli o di eccezioni. Tale duttilità spiega come sia stato possibile che il criterio della c. doppia abbia continuato a mantenere, in Italia, tra i secc. 11° e 12°, un'inattesa vitalità, tanto da caratterizzare alcuni cantieri edilizi e da far loro ricercare aspetti formali di particolare significato. La vicenda del complesso episcopale di Arezzo, almeno dal sec. 7° insediato sul colle di Pionta, antistante alla città, sul luogo dove era stato martirizzato e sepolto s. Donato, sembra legare tale ripresa al rinnovato slancio impresso alla regola canonicale dalla riforma ecclesiastica. Il primo atto dell'intervento fu la costruzione da parte del vescovo Elemperto (986-1010) della casa dei canonici, del chiostro e della c. a essi destinata, un edificio a tre navate significativamente intitolato a s. Maria e a s. Stefano, a sommare in sé le dedicazioni di una possibile precedente c. doppia. Subito dopo il vescovo Adalberto (1014-1023) avviò la costruzione di una seconda c. dedicata a s. Donato, che venne consacrata nel 1032 dal suo successore Teodaldo (1023-1036) e per la cui realizzazione, nel 1026, venne inviato a Ravenna l'architetto Maginardo a studiare S. Vitale. Ne scaturì un edificio a due piani del quale si può cogliere un ricordo in S. Flaviano di Montefiascone (prov. Viterbo), specie per la disposizione a tricora delle absidi. Come si deduce dalla titolazione, esso doveva fungere da martyrium, ma contemporaneamente il suo retaggio formale lo poneva all'interno dell'architettura palatina, per cui doveva valere anche come chiesa del vescovo. La stessa attribuzione di compiti, chiarita grazie alla tipologia architettonica, si ebbe nella seconda metà del sec. 11° a Brescia, nel momento in cui la c. di S. Maria venne ricostruita nelle attuali forme centriche, caratterizzate dalla cripta, contenente la sepoltura del santo vescovo Filastrio (m. prima del 397), e dalla loggia interna, opposta alla zona presbiteriale, dalla quale il vescovo poteva assistere alle celebrazioni. Casi analoghi, sia pure lungo percorsi architettonici diversi, furono quelli di Trieste e di Vercelli, dove solo in epoca romanica si arrivò a organizzare un complesso doppio, a impianti paralleli, grazie all'ampliamento a secondo corpo dei martyria addossati alla c. preesistente. Agli inizi del sec. 12° qualcosa di simile si verificò nella c. di Amalfi, ma in questo caso la seconda c. venne realizzata a S della precedente senza partire da alcuna preesistenza. In più i due edifici, oltre a essere accostati, furono posti in comunicazione diretta attraverso una serie di arcate rette da colonne binate: la stessa soluzione, connessa a pilastri compositi, fu introdotta anche nella doppia c. pavese, al termine della sua ricostruzione romanica, ottenendo l'imponente effetto di una sequenza di otto navate. Più difficile è dare un senso a queste iniziative, se cioè esse rappresentassero una conferma, sul piano funzionale, del sistema liturgico della c. doppia oppure fossero delle semplici scelte di gusto, visto che nel caso di Amalfi il valore paritetico tra i due edifici venne presto negato ampliando, dopo non molto tempo, quella che è l'unica c. attuale. Che certe consuetudini fossero ancora saldamente radicate lo dimostra, agli inizi del sec. 13°, il legame esistente a Tuscania tra la c. di S. Pietro, connessa al palazzo Vescovile, e la solo relativamente vicina S. Maria Maggiore, officiata dai canonici e ufficialmente dichiarata, nel 1190, chiesa battesimale del gruppo episcopale, secondo un rapporto che a Como già esisteva dal sec. 11° tra la c. di S. Maria e la chiesa di S. Giacomo.Che il motivo architettonico dei cori contrapposti - che fece la sua comparsa in alcune fondazioni di età carolingia, con una dedica a s. Maria e a s. Stefano - possa essere stato la conseguenza della preesistenza di una c. doppia è ipotesi discutibile, in quanto le stesse forme si svilupparono contemporaneamente nell'architettura monastica: basti pensare al piano dell'abbazia di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092). Piuttosto, là dove preesistevano, i gruppi episcopali contribuirono ad assicurare la disponibilità di ampie porzioni di terreno nel momento in cui si passò alla loro trasformazione in edificio unico, favorendo la tendenza al monumentalismo che caratterizzò la c. a partire dal periodo ottoniano. Il transetto continuo, a imitazione di quello delle basiliche paleocristiane romane, fu uno degli strumenti espressivi di questa tendenza e la sua presenza contribuì a imparentare le c. di Augusta, Strasburgo, Bamberga, Worms, Magonza e Ratisbona, nello stato loro proprio intorno all'anno Mille. Vano trasversale più grande e imponente della navata centrale, capace di assicurare allo spazio liturgico una marcata preminenza sull'insieme dell'edificio, il transetto fu struttura attiva all'interno delle ragioni compositive in quanto permise due diversi criteri di impostazione: quello a O, con doppia abside contrapposta, e quello a E, con coro unico. Le stesse possibilità dinamiche furono alla base della sua duplicazione, a E e a O, come nelle c. di Magdeburgo e di Verdun, o addirittura triplicazione a Treviri, nel restauro della basilica costantiniana settentrionale promosso dall'arcivescovo Poppone intorno al 1040, grazie all'inserimento, a metà della navata, di un ulteriore transetto, scandito, come gli altri due, da arcate trasverse sormontate da quadrifore che evocano un inesistente matroneo. Nella prima metà del sec. 12° questo stesso partito era ancora presente nella c. di Novara, unito, questa volta, a un vero matroneo, e nella c. iemale di Pavia, S. Maria del Popolo, a testimonianza del peso che ebbe, nello sviluppo dell'architettura da c., l'articolazione per spazi razionalmente calibrati tipica del periodo ottoniano.Fu con la c. di Spira, fondata dall'imperatore Corrado II (1024-1039) intorno al 1030, che si riunirono in un unico edificio alcune soluzioni architettoniche che avrebbero avuto un peso nel determinare, più che un'inesistente tipologia, una tendenza formale. Il fortissimo allungamento della navata, l'ordine interno, con semicolonne addossate ai pilastri a sezione quadrata che salgono ad abbracciare con arcate cieche le finestre, la cripta, estesa all'intero transetto, sono componenti che preludono a una monumentalità più complessa. Non si può escludere che la cripta di Spira si sia modellata su esempi italiani, come quello di S. Salvatore sul monte Amiata. Resta il fatto che quella soluzione ebbe proprio in Italia la sua maggiore diffusione fino a diventare, già nella seconda metà del sec. 11°, un tratto tipico delle c., al di là di una qualificazione regionale dei modi architettonici. Le c. di Acqui, di Tuscania e di Salerno, realizzate a non molta distanza di tempo l'una dall'altra, disegnano una mappa minima della diffusione di quel tipo di cripta che ebbe, nelle rispettive regioni, un numero consistente di riprese capaci di adattarsi alle singole tradizioni costruttive. Il fenomeno influì anche sull'organizzazione degli spazi interni. Soprattutto nelle c. padane, in particolare a Modena e a Parma (ma una trasformazione analoga si ebbe anche nella c. fiorentina di S. Reparata con la creazione, nel corso del sec. 12°, di un'ampia cripta, delle cui forme si può cogliere un'eco nella chiesa di S. Miniato al Monte), questo processo comportò una progressiva e marcata sopraelevazione del piano presbiteriale rispetto alla navata, con il conseguente isolamento dei fedeli nei confronti dell'azione liturgica. Fu la riforma degli usi canonicali a determinare l'esigenza di un maggiore isolamento del clero delle c. e la ricerca di soluzioni architettoniche, come le tribune, che favorissero il raccoglimento durante la preghiera comune. La condizione elitaria che ne sortì venne compensata con un accesso più immediato da parte dei fedeli alla cripta e al culto delle reliquie in essa conservate. A graduare il passaggio tra le due zone in cui veniva divisa la navata contribuì anche l'ammaestramento morale fornito dalle sculture disposte sulla fronte del pontile o del jubé, soluzioni inventate per fungere insieme da chiusura presbiteriale, da pulpito e da punto di riferimento per la disposizione degli altari riservati ai laici.Il rapporto dell'architettura con le reliquie fu la ragione che nelle c., prima ancora che altrove, spinse alla ricerca di un'articolazione dei percorsi interni. Fu soprattutto in Italia e in Francia che il problema venne affrontato. Nella ricostruzione della c. di Ivrea, promossa, sul finire del sec. 10°, dal vescovo Varmondo, venne realizzato, al di là dell'abside, un deambulatorio collegato alla terminazione delle navate laterali, dopo avere attraversato due campanili. È possibile, anche se discusso, che una soluzione analoga, legata a quattro cappelle radiali di pianta quadrata, ancora testimoniate al livello della cripta, venisse realizzata nella c. di Clermont-Ferrand, prima del 1029; il monaco di Fleury Helgaud (Vita Roberti; PL, CXLI, coll. 903-936) attesta che re Roberto fece ricostruire, a somiglianza di quello dell'edificio alverniate, il coro di Saint-Aignan a Orléans, consacrato in quell'anno, dove le cappelle, sempre al livello della cripta, sono cinque e di impianto semicircolare. Nella c. di Santiago de Compostela, sul finire del secolo, la soluzione appare ormai portata alla massima espansione delle sue possibilità monumentali, in uno con il transetto scandito in tre navate e dotato di matronei, secondo il modulo che maggiormente accomuna l'edificio alle chiese dette di pellegrinaggio. Il fatto che la stessa soluzione, accompagnata da due absidi aperte alla terminazione dei bracci del transetto, capaci di conferire a questi la valenza di chiese autosufficienti, compaia in quegli anni nella c. di Pisa, può indurre a discutere se a Compostela non prevalga, nel coordinare il rapporto dei fedeli con la tomba del santo, una tendenza monumentale propria dell'architettura da c., prima ancora che di quella da chiesa di pellegrinaggio.Le varianti apportate nel corso del sec. 11° alla struttura carolingia della c. fiorentina di S. Reparata determinarono il suo passaggio dalla semplice forma basilicale a un tipo di impianto complesso, con una terminazione a cinque absidi scalate che ricorda abbastanza fedelmente quella dell'abbazia normanna di Bernay, alla cui costruzione, al momento del suo avvio, aveva sovrainteso Guglielmo di Volpiano (962-1031). La responsabilità, nell'elaborazione di quell'impianto, di una delle personalità più in vista della cultura riformata permette di pensare che esso venisse ritenuto funzionale a quelle nuove esigenze, in relazione al numero e alla frequenza delle messe che scaturivano dagli usi liturgici, che avevano il loro riferimento ideologico in Cluny, dove la seconda abbaziale presentava un impianto simile nella sostanza, anche se non identico. Che nella c. fiorentina trovassero sepoltura, nel 1058 e nel 1061, i pontefici Stefano X e Niccolò II è solo una conferma del fatto che intorno a essa ruotava un ambiente legato alla cultura riformata e che la scelta di quell'impianto fu un atto deliberato di presa di posizione. Per quanto l'episodio sia indicativo della possibilità che entrino a far parte sostanziale di una c. romanica anche componenti legate a una visione culturale di largo raggio europeo, esso è a suo modo eccezionale e non può essere assunto come indice di una situazione che comporti l'usuale esistenza di tipologie avulse dalle realtà locali.Al contrario, proprio perché la c. è struttura calata nella realtà territoriale, è frequente l'esistenza di nuclei formali che rispondono a situazioni particolari, legate a specifici modelli ritenuti normativi in un contesto territoriale limitato. Non sempre tali modelli sono c.: in molti casi si tratta di edifici che per le più diverse ragioni hanno assunto rilievo nella storia della regione. Questo spiega perché, pur conservando una spiccata individualità a livello di impianto, la c. di Saint-Lazare ad Autun, iniziata intorno al 1120, riprendesse l'alzato della navata centrale e il gusto formale con il quale realizzarlo dalla vicina abbazia di Cluny, il cui progetto, quando venne messo in opera, nel 1088, fu evento rivoluzionario, sul piano architettonico, non solo per la Borgogna, ma, nel momento in cui venne ripreso, aveva ormai rivelato i limiti costruttivi della propria volta a botte spezzata a confronto con le volte a crociera costolonata. Altrettanto incisiva, per l'importanza assunta in ambito locale, sul piano del culto, fu l'azione dell'abbazia benedettina di S. Nicola a Bari - iniziata subito dopo il 1087 per accogliere le reliquie del santo - nel diffondere, nelle c. della costa pugliese del sec. 12°, forme come il matroneo, l'esaforato retto da una serie di arconi addossati esternamente alle pareti d'ambito o realizzato in sopraelevazione delle navate laterali, il transetto continuo non emergente, con le absidi, affiancate da torri, mascherate al di là di una parete rettilinea e le torri di facciata. Tutti questi motivi, fino alla copia integrale nella c. di Bitonto, contribuirono a creare una scuola regionale. Un fenomeno analogo, caratterizzato da una ancora più marcata diffusione di modi uniformi, si ebbe con l'abbazia di Montecassino, la cui ricostruzione, conclusa nel 1071, determinò la presenza di elementi come il transetto continuo e la navata basilicale realizzata con materiali classici di spoglio, che costituiscono il tratto più caratteristico di numerose c. campane realizzate sul finire dell'11° secolo. In questo caso la ripresa del modello, oltre a definire i caratteri di una cultura architettonica locale, stava anche a significare l'accoglimento dei valori simbolici, di ritorno alle origini cristiane, che erano sottesi alle sue forme. Nello stesso contesto e nella stessa epoca le c. di Aversa e di Acerenza, caratterizzate entrambe da un deambulatorio a cappelle radiali, estraneo alle tradizioni formali dell'Italia meridionale, testimoniano il peso della committenza nell'indirizzare verso soluzioni nuove e nel favorire il loro passaggio da una cultura a un'altra, visto che la responsabilità di quelle scelte va attribuita ai nuovi dominatori normanni della regione.Altrove è una c. a costituire il punto di riferimento per le fondazioni successive, anche se il risultato è sempre quello del formarsi di nuclei regionali. Tale è il ruolo della c. di Pisa, iniziata nel 1063, la cui novità priva di modelli, celebrata in questo persino nell'epitaffio del suo architetto Buscheto, pesò sulle scelte di tutti i cantieri aperti in Toscana e in Sardegna per più di un secolo. Lo stesso avvenne in Emilia con la c. di Modena, fondata nel 1099, il cui architetto Lanfranco, anch'egli pubblicamente lodato da un'epigrafe, seppe utilizzare forme nuove e tradizionali insieme, come l'alternanza pilastro-colonna, il finto matroneo, la loggetta percorribile lungo l'intero perimetro esterno, con le quali dovettero fare i conti le successive c. padane, fino a citazioni fedeli di quel repertorio, come nel caso della c. di Ferrara, in costruzione nel 1135. Lo stesso avvenne in Provenza con la c. di Notre-Dame-des-Doms ad Avignone, che, costruita entro il 1101, contribuì a far affermare il tipo di impianto a navata unica, coperto da volta a botte spezzata e con campate scandite da arcate trasverse cui corrispondono robusti contrafforti esterni; prontamente ripreso ad Aix-en-Provence entro il 1103 nella ricostruzione della più meridionale delle due chiese del gruppo episcopale altomedievale, il tipo avrebbe conosciuto nel corso del sec. 12° una tale diffusione da divenire una vera e propria caratteristica regionale.In altre situazioni pesarono le tradizioni locali, alle quali le c. si legarono con un'insistenza che è, di per sé, indizio di una ragionata fedeltà. Tale è il caso della c. di Angers, intimamente calata nei modi, tipici dell'Angiò, dell'edificio a navata semplice con tre campate innestate su un presbiterio complesso tanto che, al momento del rifacimento gotico del transetto e dell'abside, furono conservate le pareti della navata risalente alla costruzione dedicata nel 1025, proprio perché si adattavano ancora a interpretare quel tipo di costruzione. Altrettanto legate a un ambito locale sono le c. aquitaniche con copertura a cupole in asse con l'unica navata, come quelle di Angoulême e di Cahors, le quali, agli inizi del sec. 12°, svilupparono forme già tipiche nella regione portandole a un livello compositivo che, per qualità, si fece a sua volta modello, così come è un riflesso di consuetudini regionali il tipo della c. fortificata presente nel Meridione della Francia.Spesso la c. si fece interprete conseguente delle situazioni di cosmopolitismo favorite dai committenti. Tale è il caso dell'Inghilterra normanna, dove le ragioni di controllo di un territorio da poco conquistato portarono a creare delle sedi episcopali che fossero contemporaneamente dei monasteri benedettini, in modo tale da esautorare dalle sue funzioni il clero locale. Per influenza del modello inglese e con finalità politiche non dissimili, malgrado la destinazione ufficiale degli edifici fosse sepolcrale, lo stesso sistema venne sperimentato dalla dinastia normanna di Sicilia, prima con la fondazione, da parte di Ruggero II (1113-1154), nel 1131, della c. di Cefalù affidata ai Benedettini di Bagnara Calabra, poi con quella della c. di Monreale, a opera di Guglielmo II (1166-1189), il quale, nel 1172, chiamò a popolarla i monaci di osservanza cluniacense di Cava de' Tirreni. In Inghilterra l'iniziativa ebbe come conseguenza di creare delle vere città episcopali in quanto, assai di frequente, come nel caso di Durham, la residenza dell'abate-vescovo non si identificò con il sito della c.-monastero ma con un complesso di palazzi indipendente, che agì da secondo polo di aggregazione nei confronti del tessuto urbano. A Canterbury il nuovo insediamento promosso a partire dal 1070 dal vescovo Lanfranco, originario di Pavia, si inserì, grazie alla demolizione di ventisette case, nel tessuto preesistente come una città a sé stante, circondata da mura concentriche a quelle urbiche risalenti a un periodo più antico. Quanto alle c., proprio in virtù delle ragioni politiche che stavano alla base della loro fondazione, vi prevalse il gusto per una ricerca monumentale che, pur approfittando di formule compositive tipiche dell'architettura normanna come il matroneo e il 'muro spesso', le adattò, come nella c. di Norwich, fondata nel 1094, a quell'allungamento fortissimo delle navate e del coro che fu uno dei loro tratti costanti. La disponibilità all'importazione delle idee architettoniche fece sì che, se a Norwich quelle soluzioni vennero adattate a una terminazione a cappelle radiali, nella c. di Saint Albans diedero luogo a un'inconsueta scansione a sette absidi scalate, mentre nelle c. di Winchester e di Ely si espansero in transetti tripartiti, a denunciare una rete di collegamenti di tono cosmopolita attenta a cogliere le novità più significative in corso sul finire dell'11° secolo. Questo spirito innovativo spiega perché proprio in una c. inglese, quella di Peterborough, iniziata nel 1118, si siano sperimentate al massimo le possibilità compositive derivanti dal 'muro spesso' normanno. Nel transetto si approfittò della copertura a capriate per introdurre tre serie di finestre sovrapposte, di cui le due superiori connesse a passaggi in spessore di muro proseguenti anche lungo la navata centrale e quella inferiore poggiante su un loggiato interno che porta a quattro la sequenza degli ordini monumentali. Grazie allo sperimentalismo anglonormanno nella prima metà del sec. 12° il motivo trovò una compiuta fisionomia, in connessione con una copertura a volta a crociera, nella navata della c. di Tournai e pose le premesse per una delle ragioni compositive di fondo della c. gotica.Legata alla realtà regionale che la circonda, la c. romanica non arrivò mai a proporre soluzioni che fossero in tutto sue proprie. Il solo caso di uso esclusivo di una forma è dato dal protiro a due ordini che fece la sua prima comparsa nella c. di Modena, dove era stato progettato già al momento della fondazione del 1099, e che poi ricorre quasi costantemente nelle successive c. padane, restando caratteristico di questo tipo di edificio ancora per tutto il periodo gotico. Il fatto che non lo si trovi utilizzato al di fuori delle c., contrariamente a quanto avviene per il protiro a un solo ordine, indica che esso dovette svolgere una funzione simbolica, il cui valore si adattava solo a quel tipo di edificio. Nella facciata della c. di Saint-Lazare ad Autun esiste una nicchia simile a quella del secondo ordine di un protiro padano. Essa si apre al di sopra della fascia esterna del portale, con i Segni dello zodiaco alternati ai Lavori dei mesi, come nel protiro centrale di facciata della c. di Piacenza, dove la figurazione zodiacale, con i venti, il Sole e la Luna, borda l'arcata della volta inferiore. È probabile che la nicchia, come il secondo piano dei protiri padani da cui può essere stata influenzata, fosse destinata ad accogliere un'immagine teofanica a tutto tondo legata alle figurazioni sottostanti, all'interno di una rappresentazione cosmologica in cui il passaggio tra il primo e il secondo piano segnava il confine tra la realtà celeste e quella terrena, alla quale, nel caso di Autun, si assicurava attraverso la lunetta del portale la Seconda Venuta di Cristo. Nei protiri padani invece il sopravanzare rispetto al portale comportava la creazione di uno spazio privilegiato, delimitato visivamente dai leoni che reggevano le colonne su cui si impostava il primo ordine. In esso il vescovo stipulava atti giuridici, ma soprattutto si presentava alla piazza in una coreografia monumentale che ribadiva l'origine divina della sua funzione di guida pastorale, a fronte del nuovo ordine sociale rappresentato dal comune e dalle categorie in esso emergenti, come gli artigiani e i mercanti, che, in quel momento, recitavano un ruolo come committenti anche all'interno del cantiere.
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La storia architettonica delle c. di questo periodo è stata condizionante per la nozione del genere di edifici che il termine c. designa. In una singolare trasposizione di significati, esso viene infatti spesso inteso non già nel senso che ne ha generato l'etimologia di chiesa principale della diocesi - sede del vescovo che in essa siede in cattedra - ma di edificio innalzato secondo i sistemi statici e le determinanti formali configuratesi nella Francia settentrionale intorno alla metà del 12° secolo. Nel settantennio successivo ne derivò un gruppo di grandi chiese vescovili che la critica storico-artistica, pur valutandone in modo assai vario l'effettiva portata condizionante ed esponenziale, è unanime nell'assumere a spunto d'inizio del rinnovamento in profondità delle arti d'Occidente dell'età che si definisce Gotico (v.).Gotico e c. sono i termini di un binomio che non è solo perno di contrastanti interpretazioni e conseguenti sistemazioni della storia architettonica e artistica del Tardo Medioevo, ma che, in una sorta di canale di continuità tra il Medioevo e la sua posterità, si è integrato alla coscienza moderna come dato culturale di fondo, operante malgrado gli equivoci che, da un punto di vista storico, contiene e ragione di comportamenti peculiari quanto anomali di tale posterità. Un'immagine diversa e alternativa di chiesa vescovile non è stata più formulata, mentre il patrimonio edilizio delle c. europee, realizzato o rinnovato in età gotica per una percentuale che si avvicina alla totalità, ha avuto una continuità d'uso coerente con la destinazione originaria come nessun'altra classe di edifici del Medioevo e non è mai stato seriamente compromesso dai pur radicali mutamenti di stile e di gusto; solo gli assetti e, talora, i sistemi decorativi interni sono stati più o meno integralmente obliterati da riforme liturgiche, in special modo a seguito del concilio di Trento. C. rimaste incompiute alla fine del Medioevo sono state completate in età moderna in forma stilisticamente congrua alle parti medievali; la cupola brunelleschiana di S. Maria del Fiore a Firenze, le navate otto-novecentesche del duomo di Colonia e di quello di Praga, la costruzione del duomo di Milano, avvenuta per la gran parte tra il sec. 15° e il 19° nella fedeltà al progetto e alle scelte formali dello scorcio del Trecento, sono i fatti salienti ed emblematici di un raccordo dell'età moderna e contemporanea al Medioevo che trova un'altra, almeno altrettanto caratteristica espressione: per diocesi di fondazione postmedievale la c. è stata allestita, ove possibile, in edifici sacri risalenti all'età gotica (Morris, 1979; Kubach, 1984; Repertorio, 1986).La persistenza dell'immagine della c. formulata nel Tardo Medioevo è spiegata, in parte, dal legame che essa ha avuto, nella formazione e nello sviluppo, con fenomeni di ordine politico e sociale allora in fase di maturazione, entro una visione cristiana del mondo e un tendenziale superamento dell'assetto feudale, che sono rimasti strutture portanti dell'Europa moderna: lo stato monarchico, espressione politica dell'idea di nazione, e la città, che tornava a essere struttura privilegiata di aggregazione sociale. Con i lunghi regni di Luigi VII (1137-1180), Filippo II Augusto (1180-1223) e Luigi IX il Santo (1226-1270), della dinastia capetingia, la monarchia francese creò e impose in Europa il modello dello Stato moderno. In quell'arco di tempo nasceva nelle terre della Corona francese e si diffondeva in Europa il nuovo modello di cattedrale.Esso conferiva forma monumentale a un avvicendamento di primazie entro l'istituzione della Chiesa, in atto almeno dal principio del 12° secolo. La chiesa vescovile, principale espressione della Chiesa docente in rapporto alla cristianità laica, assumeva il ruolo di centro elaboratore e diffusore di cultura che era stata prerogativa, sino allora, delle grandi abbazie benedettine. Fisicamente posta, di norma, al centro delle maggiori città, ove si veniva sempre più massicciamente concentrando la vita sociale ed economica del tempo e si installavano le sedi del potere laico, la c. si identificava ora in un solo grande edificio, dominante il tessuto urbano. Scomparivano 'famiglie di c.' e c. doppie, mentre battisteri annessi a c. si continuavano a costruire solo in alcune parti d'Italia.L'avvicendamento tra abbazia e c. comportò una trasmissione di forme. Tutti i tratti salienti del nuovo modello di c., l'estensione preponderante del coro nell'articolazione a deambulatorio e cappelle radiali, l'ampio transetto sporgente, la scelta decisa in favore dell'alzato basilicale, lo schema di facciata a torri gemelle, caratterizzavano già le grandi abbaziali benedettine nella Francia nordoccidentale (e altrove), dove erano espressione architettonica di una liturgia peculiarmente monastica. Ma anche questa si riproponeva, in certa misura, nelle c.; gli atti liturgici salienti svolti in esse erano celebrazioni ordinarie e solenni di un clero assai numeroso, il cui nerbo era formato, dopo il vescovo, dal collegio dei canonici. Al clero erano riservati gli spazi principali di tutta la zona orientale e spesso anche le prime campate della navata centrale. Recinzioni verso le navate laterali e il tratto occidentale della navata chiudevano un'area interdetta al fedele comune. Trovavano posto in essa gli stalli di coro e il santuario con l'altare maggiore, dietro al quale, al colmo del coro alto e visibile dal deambulatorio, era esposta alla venerazione, racchiusa in scrigni preziosi nei materiali e splendidi nella manifattura, la reliquia di cui la c. era depositaria. Mentre gran parte della liturgia ordinaria destinata ai laici era demandata, con l'amministrazione dei sacramenti, alle parrocchie, un altare per la messa quotidiana era sistemato nella c. davanti alla recinzione tra navata e coro; questa particolare struttura della c. del Tardo Medioevo è andata perduta con la rimozione postridentina degli antichi arredi.In funzione del suo clero la c. tornava a essere centro di un vasto complesso edilizio, formato da chiostri, edifici residenziali, amministrativi, di culto, sedi di scuole o di attività economiche riservati a vescovo e canonici, o da essi gestiti; i modi di aggregazione intorno alla chiesa riflettevano, di nuovo, modelli monastici. Molto ampi e ben conservati soprattutto presso c. localizzate in Spagna e in Inghilterra (ma anche per es. a Monreale), altrove quei complessi sono andati quasi sempre perduti. Presso le prime c. gotiche francesi assume forma caratteristica, connessa con la storia architettonica della cappella palatina, la cappella vescovile a due piani, come si conserva a Laon e Reims (in ruderi anche a Noyon); la sala capitolare di Noyon o la sala sinodale di Sens sono rare testimonianze della rigenerazione stilistica che interessò anche quegli annessi.I problemi storiografici inerenti alla nascita, alla diffusione, alle metamorfosi del sistema architettonico - basato sull'impiego sistematico dell'arco acuto, della volta a crociera costolonata, dell'arco rampante e sulla scomposizione del muro pieno in parti resistenti e parti di riempimento - attengono alla più generale storia dell'architettura (v.). Nel nuovo modello di c. quel sistema si combinava con l'organizzazione planimetrica e d'alzato sopra descritta in una sistemazione chiara e complessa quanto l'idea di cui era frutto e che guidò il processo di scelte successive e coerenti che legano in concatenazione singolarmente omogenea le c. sorte nell'Ile-de-France tra il 1140 e il 1220. La concretezza fisica della chiesa, in quanto casa di Dio, ricreazione in terra della Gerusalemme celeste, era investita da una concezione che considerava la luce come manifestazione divina e guida per attingere l'immaterialità del pensiero e della contemplazione attraverso un itinerario anagogico di esperienze visive e sensoriali; tali valenze estetiche di una speculazione essenzialmente teologica furono tanto potenti da rigenerare stilisticamente struttura e decorazione della cattedrale.Essa nacque infatti come sintesi tra architettura, pittura - nella forma già tecnicamente sperimentata e diffusa, ma solo allora portata alla dimensione architettonica di parete-luce, della pittura su vetro colorato (v. Vetrata) - e scultura; questa si impadronì di luoghi specifici dell'architettura, anzitutto dei portali, trasformandoli in compagini significanti, ma traendo da ciò motivo per un rinnovamento dei propri ruoli e delle proprie forme che sfociò, in particolare, nella riconquista della scala monumentale. Le vetrate all'interno, i grandi portali figurati e altre parti esterne popolate da statue e rilievi innestavano nel tessuto architettonico trame di immagini che costituivano spunto d'avvio e contenuto dottrinario del percorso anagogico; la loro decifrazione, che tra Ottocento e Novecento ha potuto avvalersi delle prime grandi trattazioni di sintesi (Mâle, 1898; 1908; 1922), è operazione necessaria all'interpretazione della c. gotica non meno dello studio dell'origine e del divenire delle sue forme architettoniche.L'atto fondante di questa sintesi è concordemente indicato nella ricostruzione dell'atrio e del coro della chiesa di Saint-Denis, attuata in brevissimo giro d'anni (1135 ca.-1140) dall'abate Suger e da lui commentata in opere che sono state la base testuale per la decifrazione dei contenuti teologici delle c. di questa fase (Panofsky, 1946). Saint-Denis era una delle più antiche abbazie benedettine di Francia, custode delle spoglie di s. Dionigi, apostolo della Gallia, e l'iniziativa architettonica di Suger si inseriva nel rilancio del ruolo della sua chiesa come depositaria dell'investitura divina della monarchia francese (Simson, 1956). Essa acquistava così l'autorità di modello anche stilistico e, in ultima analisi, ideologico per la ricostruzione, presto avviata, di una serie di c. di diocesi suffraganee di Sens, sede arcidiocesana delle terre della Corona e di Reims, la cui c. era il tradizionale luogo di incoronazione dei re di Francia.Tra il 1140 e il 1168 la c. di Sens veniva ricostruita secondo un'impostazione ancora fondamentalmente romanica, nella greve scansione in sistema alternato delle navate, nella successione, in alzato, di arcate, serie di bifore aprentisi sui sottotetti e finestre (rifatte nel tardo Duecento), nella prevalenza che assume la massa muraria scavata in profondità sulla modellazione plastica della parete attraverso le membrature salienti. Ma, subito dopo, si ricostruivano le c. di Noyon, Senlis, Laon, Parigi e Soissons nelle forme inaugurate da Saint-Denis. Tratto in tutte dominante è l'affiorare alla vista di un sistema di elementi portanti che, collegando direttamente i pilastri alle imposte di volta, scioglie il muro nel ricorrere, nella navata centrale, di quattro ordini di aperture: arcate, gallerie, triforio (assente a Senlis), finestre. Ogni piedritto d'arco è individuato in un elemento portante a sezione circolare, dai fusti dei pilastri ai fasci di membrature che, in combinazione con sottili cornici orizzontali, delimitano aperture. Il ritmo breve e uniforme di campate rettangolari trasverse nella navata centrale, solo nelle volte esapartite raccolte a coppie, in un residuo di sistema alternato, accompagnate da campate quasi quadrate nelle laterali, si ripete uguale nei transetti e si adegua duttile alla curva terminale di coro e ambulacro, nel 1205 sostituita a Laon da un più ampio tratto orientale rettilineo senza deambulatorio.Laddove precocemente realizzate (Noyon, Senlis, Laon, Parigi), le facciate si organizzano nel sistema armonico di triplice partizione orizzontale e verticale, con le torri salienti dalle partizioni laterali e la fascia inferiore dei grandi portali figurati, talora preceduti da atri o profondi fornici coronati a timpano. Diversificata è la soluzione della zona orientale, nella presenza o meno di transetto e cappelle radiali e nel loro rapporto con coro alto e deambulatorio. Non è privo di significato il fatto che la soluzione planimetrica, cui poi si riferirono anche le c., sia stata raggiunta nella seconda metà del sec. 12° nella ricostruzione parziale della chiesa di un'altra abbazia interessata alla liturgia dell'incoronazione dei re di Francia, Saint-Remi a Reims. In fase parimenti sperimentale è il sistema di contraffortatura, cui assolvono, in prima istanza, le gallerie, mentre parziale e ancora incerta è l'adozione dell'arco rampante.La ricostruzione della c. di Chartres tra il 1194 e il 1221 ha il valore di una prima sistemazione e superamento delle esperienze sino allora compiute. La sfida estetica, prima ancora che statica, del grande e ignoto architetto che la ideò, fu quella di liberare interamente alla vista il sistema di contraffortatura della navata centrale con la doppia serie degli archi a quarto di cerchio legati a contrafforti sempre più sottili mano a mano che salgono, svincolandosi dalle navatelle e dal giro di coro. La disgregazione ottica della massa architettonica raggiungeva l'immagine esterna. Ma anche per l'interno il contrafforte a rampante ebbe una conseguenza radicale, rendendo inutile il raddoppiamento in altezza delle navate laterali con le gallerie, che non avevano nessuna funzione liturgica o pratica, se non quella di costituire con le loro volte elemento di controspinta per le volte della navata centrale. Ridotto così a tre piani il sistema di alzato interno, per ciascuno di essi l'architetto di Chartres inaugurò una soluzione che si impose come tale o fu il punto di partenza per ogni esperienza successiva. Al piano delle arcate è il c.d. pilier cantonné, che plasma il sostegno nella funzione di svincolo tra navata centrale e laterali e, contemporaneamente, di avvio alle cordonature che impostano le volte, ora a semplice crociera quadripartita. Nel piano più alto, entro ogni tratto di parete definito dalla campata vengono fissati forma, numero e dimensioni delle aperture: due lancette di uguale altezza, sormontate da un grande oculo. Zona delle arcate e zona delle finestre equivalenti in altezza sono separate dal nastro delle regolari arcature del triforio. L'accoglienza immediata del sistema di Chartres è documentata dalla c. di Soissons, il cui rifacimento gotico era cominciato nell'ultimo terzo del sec. 12° dal transetto meridionale, eretto su pianta semicircolare con ambulacro e con un luminosissimo alzato a quattro piani. Il corpo longitudinale di navate e coro, avviato intorno al 1200, fu invece articolato a tre piani, secondo le proporzioni di Chartres, con il timido accoglimento del pilier cantonné in fusti colonnari con una sola membratura verso la navata centrale e un sistema di contrafforti a rampanti.A raccogliere, perfezionare e consacrare storicamente il sistema di Chartres fu soprattutto la c. di Reims. Il 6 maggio 1210 un incendio devastava la veneranda c. incessantemente ampliata e rinnovata dall'età carolingia in poi. Lo stesso giorno dell'anno successivo i muri di transetto meridionale e coro della nuova c. potevano cominciare a innalzarsi su robustissime fondamenta e nel 1241 i canonici occupavano il nuovo coro. Lavori erano in corso ancora nel 1299, probabilmente alle parti alte della facciata. Nonostante il periodo lungo della costruzione e l'alternarsi alla sua guida di almeno quattro artefici, la c. di Reims si impone per la unitarietà con la quale è stata tradotta in opera l'idea di base, ovvero la sistematica revisione, attuata dal suo primo architetto, Jean d'Orbais, del disegno di Chartres; si impone anche per le dimensioni gigantesche su una pianta insolitamente compatta, con transetto sporgente di una sola campata, che segna il punto di maggior distanza dal modello. I sostegni delle arcate normalizzano la forma del pilier cantonné nella matrice tonda per nucleo e membrature e la applicano anche ai semipilastri del deambulatorio, mentre i semipilastri delle navatelle replicano i fasci di membrature della navata centrale. La novità di maggiore portata si trova nelle finestre: il disegno di partenza è il gruppo delle tre luci di Chartres, ma il modo della realizzazione e l'effetto sono radicalmente diversi. Il tratto di muro tra archi longitudinali di volta e triforio viene aperto in una sola grande luce e il disegno delle lancette e dell'oculo esalobato è ottenuto in sottile trama di giunti di pietra che deve reggere se stessa e offrire un supporto alle vetrate. Con la tecnica del traforo a giunti nasce a Reims un elemento destinato a dominare il successivo sviluppo dell'architettura gotica. Se, per le navate maggiori e il coro alto, l'architetto di Reims accetta, insieme con il sistema dei contrafforti a rampanti, il principio dell'assottigliamento del muro, per le zone basamentali periferiche mantiene invece, e perfeziona, la tecnica gi'a radicata nella Champagne del mur épais, determinando profondi fornici tra archi di volta e finestre collegati tra loro da un passaggio in spessore, continuo e percorribile (passage rémois). Destinato ad aumentare la stabilità della struttura con una massa muraria consistente, ma frazionata ed elastica perchè alleggerita nelle parti staticamente inerti, il mur épais si rivelava anche un mezzo espressivo potente; nella combinazione con i disegni di strutture fittizie dei trafori e gli schermi luminescenti delle vetrate evitava la definizione otticamente misurabile degli spazi interni, ne alterava illusivamente le proporzioni e ne faceva funzioni dipendenti delle strutture sviluppate in altezza. Sono questi caratteri che hanno sollecitato interpretazioni diverse e contrastanti delle c. e dell'architettura gotica che ne discende: espressione formale della razionalità della struttura (Viollet-Le-Duc, 1854-1868), 'diafania strutturale' (Jantzen, 1928), 'illusionismo' nella creazione di trame strutturali fittizie (Focillon, 1938), isolamento ottico della campata a volta, figura del baldacchino allusivo alla divinità (Sedlmayr, 1950).Per la c. di Amiens, che nel 1220 Robert de Luzarches cominciò a costruire per incarico del vescovo Evrard de Fouilloy, dopo che nel 1218 un incendio aveva distrutto l'edificio precedente, tolta l'ulteriore progressione delle dimensioni, soprattutto in altezza, il modello fu la c. di Reims. Sul piano strutturale, l'architetto di Amiens eliminò ogni residuo di mur épais; unica galleria in spessore resta il triforio, mentre muri ed elementi portanti tendono alla massima sottigliezza. Nell'elaborazione dei singoli elementi si fa strada un atteggiamento nuovo e carico di futuro, che tende a togliere individualità ai singoli membri e a fonderli in un unico involucro continuo e fluido. Comincia la scomposizione del pilastro in singoli salienti, che porta alla formulazione del pilastro a fascio; il triforio rompe la continuità della serie di arcatelle presentando in ogni campata coppie di polifore coordinate alle partizioni dei trafori delle finestre soprastanti. Thomas de Cormont, successore di Robert de Luzarches, adottò nel coro la novità del triforio vetrato, che ne accentua la saldatura alle finestre alte. Contrariamente alla prassi più consueta, ad Amiens la ricostruzione partì dalle navate, sicché la facciata, tolte le torri, cui si lavorò sino alla fine del sec. 14°, è contemporanea alle navate e legata a esse da identità di progetto. Robert de Luzarches vi ha sintetizzato esperienze sul tema della facciata armonica compiute nei decenni precedenti: da Notre-Dame di Parigi (1200 ca.-1245) ha ripreso la rigorosa impaginazione entro il quadrato a tre piani sovrapposti e tripartito anche in senso verticale, che ingloba organicamente le imposte delle torri; si riallaccia invece a un modulo maturato attraverso Laon (1290-1295 ca.) e i transetti di Chartres (1217 ca.) la sistemazione dei portali in avancorpi conclusi a salienti triangolari che, con lo sporgere dei contrafforti a il largo uso di archeggiature, trafori ciechi e pinnacoli, determinano il superamento della pagina parietale in movimento di piani e masse, svuotate al loro interno e portate alla sottigliezza di materia architettonica che caratterizza l'interno della cattedrale.L'esempio delle c. reali non tardò a sollecitare reazioni ai margini delle terre della Corona. La preferenza dei costruttori borgognoni per il mur épais raggiunge nella c. di Auxerre (iniziata nel 1215, coro consacrato nel 1234) un apice dell'illusivo giocare su spessori murari in negativo che si esprime in un triforio alto e ombroso e in profondi passaggi davanti a tutte le serie di finestre, entro uno schema a tre piani derivato dall'Ile-de-France, ma temperato nelle altezze e modificato nelle proporzioni. Qualità simili hanno informato la rimodellazione (1230-1241) della c. romanica di Chalon-sur-Saône e le navate della c. di Nevers (1220-1230).È soprattutto dalla c. di Bourges che sembra staccarsi una linea legata, ma in qualche misura anche alternativa, a quella inaugurata da Chartres, realizzando le stesse innovazioni con soluzioni diverse. La pianta compatta a cinque navate, senza transetto, con doppio deambulatorio e cinque piccole cappelle semicircolari, si sviluppa in un alzato graduato a tre livelli, dove anche navate laterali e deambulatorio interni hanno una propria zona di triforio e finestre. L'indipendenza da Chartres è ribadita da tutte le forme specifiche: le larghe polifore a lancette dei trifori, le volte esapartite su campata doppia e soprattutto i pilastri, altissimi fusti rotondi circondati da colonnine in simmetria stellare. Tutto concorre a creare uno spazio luminosissimo e che si coglie unitario, cui corrispondono all'esterno corpi edilizi relativamente compatti, percorsi alla sommità dalla ripida trama di contrafforti a doppia gittata. L'esempio di Bourges fu seguito dal gigantesco coro con doppio deambulatorio e tredici cappelle radiali aggiunto, tra il 1217 e il 1258, alle navate tardoromaniche della c. di Le Mans, che ne accentua le caratteristiche di ampiezza dilatata e luminosa e ne snellisce le forme nella totale disgregazione della massa edilizia esterna, ma anche negli aggiornati disegni dei trafori, o nella curiosa aggregazione di fusti cilindrici dei pilastri del poligono del coro. Il coro della c. di Coutances (1238-1274), accostato a navate di più tradizionale carattere normanno (1218-1238), simili a quelle, di poco anteriori (1200-1214), della c. di Rouen, ripete all'interno quello di Le Mans, mentre conserva all'esterno la chiusura dei corpi di fabbrica e la continuità delle falde di tetto, appena scalfite dal sistema di contrafforti.Ultima delle grandi costruzioni dell'età classica delle c. francesi, il coro della c. di Beauvais ne è stato anche la fine, almeno per quanto riguarda la scalata ad altezze sempre maggiori mediante strutture sottili, in una costruzione travagliatissima (1225-1272), punteggiata da crolli e mai proseguita oltre il transetto, malgrado i tentativi succedutisi sino al 16° secolo. Il coro di Beauvais opera una commistione fra la tradizione delle c. dell'Ile-de-France con una pianta pressoché identica a quella di Amiens e il tipo del pilier cantonné e il sistema di Bourges, con un triforio e una zona di finestre anche nel deambulatorio. Nonostante lo slancio che ne ricevono le arcate, l'incredibile altezza (oltre m. 48) della navata centrale fa sì che risulti predominante la zona delle finestre. Nel 1284 crollarono le volte e, per la ricostruzione, vennero dimezzati gli intercolumni delle campate rettilinee, inserendo pilastri che fornirono l'appoggio al costolone intermedio delle nuove volte esapartite. Nel rifacimento, il triforio vetrato e le finestre si saldarono in un'unica griglia luminosa, ricamata da trafori che riflettevano il gusto ormai consolidato della fase di architettura gotica francese che si denomina rayonnante.Le sue premesse si delineano intorno al 1230 e si connettono in misura preponderante con committenze della famiglia reale a Parigi e dintorni per chiese di abbazie o priorati, oppure a carattere privato, come le cappelle delle residenze di Saint-Germain-en-Laye e, a Parigi, la Sainte-Chapelle. In quelle imprese, la dinamica plastico-strutturale sino allora sviluppata nella scalata ad altezze sempre più vertiginose si allenta nella creazione di spazi dimensionalmente più equilibrati e intensamente luminosi. L'arte del traforo a giunti si impadronisce degli interni con sempre più ampi e ricchi partiti di finestrature e ancor più degli esterni, sciogliendo in sequenze eminentemente decorative ogni residuo di parete e di volume architettonico. Si definiscono allora clausole decorative destinate a governare il decorso dell'architettura in Francia e altrove: il rosone inserito in cornice quadrata interamente a traforo; le fasce di archeggiature a traforo cieco che mascherano e alleggeriscono zone basamentali interne o partizioni orizzontali esterne; le serie di aguzzi coronamenti festonati e traforati (gâbles), che frastagliano zone di portali e linee di gronda.Due c., di Troyes, nella revisione del progetto attuata dopo che nel 1228 un uragano aveva devastato la costruzione in atto dal 1208, e di Tours, il cui coro fu innalzato tra il 1233 e il 1260, godendo ambedue di particolare favore e sostegno da parte della famiglia reale, parteciparono alla fase di formazione di quel gusto che trova in esse momento saliente nel triforio vetrato e saldato alle finestre in disegno di traforo fluido e continuo. La c. di Notre-Dame a Parigi, che già negli anni venti del sec. 13° era stata aggiornata con una nuova serie di finestre alte e un nuovo sistema di contraffortatura, fu allora ampliata con un transetto le cui testate, la settentrionale edificata dal 1246-1247 da Jean de Chelles, la meridionale dal 1258 da Pierre de Montreuil, sono apici di quello che è stato definito 'stile di corte di s. Luigi' (Branner, 1965) e che, con la successiva Porte Rouge (1270 ca.) e le cappelle ricavate chiudendo con sontuosi finestroni gli spazi tra i contrafforti del coro, resero Notre-Dame cantiere di sperimentazione e riferimento per tutta la fase rayonnante.In queste formulazioni più mature, la versione d'alzato a triforio luminoso e l'apparato decorativo, che già potevano condizionare gli aggiornamenti formali alle parti alte dei cori di Beauvais e Le Mans, sono ragioni stilistiche determinanti per il coro della c. di Tournai (1243-1255), per la rielaborazione della c. di Meaux, attuata a partire dal 1253 da Gautier de Varinfroy, dove l'organismo preesistente a quattro piani ha condizionato l'alto triforio cieco, schermato da trafori quadrati in cui si inscrivono esili disegni di polifore, e ancora per le c. di Metz (dal 1257), Sées (dal 1260), Evreux (dopo il 1260). Il gigantesco, greve organismo della c. di Orléans (dal 1287) ne è la manifestazione più attardata, che recepisce l'impostazione accademicamente retrospettiva, maturata nel frattempo nelle c. meridionali.La costruzione di tutte queste c. accompagnava, infatti, la progressiva acquisizione di terre alla Corona e l'estendersi della sua influenza in tutte le direzioni, a partire dall'Ile-de-France. La c. di Tours, in particolare, fu il primo passo verso la colonizzazione anche architettonica e artistica dell'Ovest e del Sud della Francia, dove Aquitania e Linguadoca erano feudi di potente resistenza alla politica capetingia, cui si sommavano resistenze di carattere religioso legate alla diffusione del movimento degli albigesi, violentemente represso, tra il 1209 e il 1244, in sanguinose crociate e anche in seguito ferocemente perseguitato dall'Inquisizione sino all'annientamento per sterminio o espulsione. Tali dinamiche si riflettono nella vicenda dell'architettura, che, da un'iniziale conservazione e sviluppo di tipologie e forme regionali, passa all'accettazione, più o meno imposta, del tipo della c. del Nord nella revisione contrassegnata da sigle decorative rayonnantes, secondo modalità che sono state definite 'imperialismo culturale' (Kimpel, Suckale, 1985).L'aula unica tradizionale di queste regioni conosce una monumentale reviviscenza goticizzante nella c. di Angers (1150-1240), con navata e transetto tagliati in ampie campate quadrate, coperte da volte accentuatamente cupoliformi e concluse da una sola abside semicircolare a tutta larghezza. Analoghe navate più antiche del duomo di Tolosa e di quello di Bordeaux venivano rielaborate, nei primi decenni del Duecento, in ritmica di campate e forme di dettaglio più svelte e leggere, ribadendo la fedeltà a un tipo radicalmente alternativo a quello delle c. del Nord. Allo stesso modo lo schema 'a sala', radicato soprattutto nel Poitou, trovava nella c. di Poitiers una nuova, ampia e luminosa formulazione a tre navate pressoché equivalenti in larghezza come in altezza, scandite in campate affini, nelle strutture e nel dettaglio, a quelle di Angers. I numerosi aggiornamenti introdotti nel corso della lunga costruzione (1170-1290) non hanno pregiudicato la fisionomia originaria del progetto e solo nella finestratura dei due valichi occidentali di navate e nella larga fronte fiancheggiata da torri ammettono forme rayonnantes.Caposaldo della diffusione meridionale dello schema nordorientale fu la c. di Clermont-Ferrand, cominciata nel 1248 dall'architetto Jean des Champs, che ne avrebbe terminato il coro entro il 1262, quando vi si celebrarono le nozze del delfino Filippo III l'Ardito con Isabella d'Aragona. Secondo altre interpretazioni, quell'evento avrebbe provocato la chiamata dell'architetto, presumibilmente parigino, che avrebbe proceduto alla rimodellazione dell'edificio in costruzione. La c. di Clermont-Ferrand inaugura una formula di traduzione rigidamente sistematica delle c. del Nord, che ne abbatte la dinamica plastica in gracile e bloccato disegno lineare entro stesure superficiali riemergenti; la diafania strutturale si annulla in limiti geometricamente definiti sia nell'interno, con pilastri a fascio e triforio cieco di bifore accostate sul modello di Amiens, sia nelle masse esterne, ove eleganti ma rigidi contrafforti e clausole decorative rayonnantes dialogano con ampie partizioni di superfici. Al di là del problema cronologico, che si connette con quello dell'attività di Jean des Champs (un architetto omonimo compare nel 1286 a capo del cantiere della c. di Narbona), la c. di Clermont-Ferrand è stata riferimento per una serie di altre costruzioni avviate in rapida successione: cori delle c. di Narbona e Tolosa (1272), c. di Limoges (1273) e Rodez (1277), nuovo coro della c. di Bordeaux (1270-1280), che ne hanno ripetuto e via via isterilito lo schema in un atteggiamento di programmatica e accademizzante adesione a un modello che si avvertiva distintivo del regno di Francia. Non a caso le date d'inizio si concentrano nel decennio successivo all'annessione, nel 1271, della contea di Tolosa alle terre della Corona e, come del resto per le c. avviate anche nel Nord dalla fine del terzo decennio del Duecento, si è trattato quasi sempre di imprese lente e faticose, punteggiate da lunghe interruzioni ed effimere riprese, che hanno occupato abbondantemente i secoli successivi, rimanendo non di rado incompiute o limitate ai soli cori.Al quadro di normalizzazione delle c. di Francia nel segno della monarchia il Meridione reagì, entro la seconda metà del sec. 13°, con due opere di altissima originalità, in cui al dettame rayonnant si combinava o si sostituiva l'esempio dell'architettura mendicante, ormai in pieno rigoglio, con la sua peculiare capacità di assumere e rinvigorire tradizioni architettoniche locali. Di Saint-Nazaire a Carcassonne, del primo sec. 12°, resta il sistema di navate 'a sala' coperte da volte a botte. Fu aggiunto a esso, tra il 1269 e il 1330, su terreno concesso da Luigi IX, un nuovo corpo orientale, che trasferiva l'alzato 'a sala' a due navate trasverse di profondità decrescente, distese in transetto fortemente sporgente, su cui si innestava una fila di cappelle orientali della stessa altezza. La direttrice longitudinale è ripresa solo dalla cappella centrale, più ampia e profonda, distinta dalle altre, rettangolari, anche nella pianta poligonale e dalla serie di statue applicate a pilastri e membrature del santuario. L'inedita soluzione, vicina a impianti di coro francescani, si trasforma in preziosa architettura di corte in virtù delle finestre, che aprono integralmente le pareti di navata minore e cappelle, e degli elaborati rosoni nelle testate della navata maggiore, facendo del capocoro uno scrigno di vetro vivamente memore, pur nella radicale diversità di impianto, della Sainte-Chapelle di Parigi e di essa ancor più luminoso e diafano, se possibile, per il contrasto con le ombrose navate che conclude e in rapporto alle quali è stato pensato. Se il coro di Carcassonne è un'applicazione realmente creativa del rayonnant parigino, la cui conoscenza è leggibile in ogni dettaglio, la c. di Sainte-Cécile ad Albi (1282-1390) risolve in totale originalità ed estemporaneità di forme il tema spaziale dell'aula unica, nella versione mendicante, e particolarmente domenicana, che recupera gli intervalli tra i contrafforti in funzione di cappelle allineate lungo i fianchi e disposte a raggera intorno al coro poligonale. L'originalità della soluzione di Albi sta nel fatto che le cappelle accompagnano a tutta altezza la navata e dilatano lateralmente la cadenza di brevi campate barlongues, coperte da volte a crociera discendenti sui lati che ne ritmano lo sviluppo accentuatamente longitudinale. All'esterno, ove rimane a vista l'ardente laterizio, legando anche otticamente la chiesa alla cinta fortificata della cittadella episcopale, a picco sulla sponda del Tarn, delle cui difese è parte integrante, la compattezza dell'incastro dei vani interni è risolta in sagoma continua e ondulante dallo sporgere delle testate tondeggianti dei contrafforti e delle cappelle radiali innestate su un liscio basamento a scarpa; unica nota gentile restano le lunghe, raffinate bifore rayonnantes in pietra chiara. Anche se un'inflessibile quanto sottilmente emotiva volontà formale ha saputo trarne contenuti simbolici (Schlink, 1978), certo minacciosamente rivolti contro l'eresia albigese, si tratta di un impianto concretamente predisposto alla difesa, funzionalmente accostabile, per es., alle masse ondulanti del mastio e della cinta interna di Château-Gaillard, riviste secondo più aggiornati moduli di architettura militare angioina. La chiesa è presidiata dal poderoso torrione quadrangolo a contrafforti rotondi sugli spigoli, che, sul lato breve occidentale, prende il posto dell'ingresso, spostato a metà del lato lungo settentrionale e fortificato malgrado si apra all'interno della cittadella. A suo modo, anche Sainte-Cécile doveva apparire c. di quei re che sempre più decisamente si proponevano come difensori e tutori del papato - di lì a poco trasferito ad Avignone - quando si rivestiva delle forme proprie non dei loro santuari, ma dei castelli reali che andavano con non minore intensità marcando il suolo di Francia. È peraltro vero che Sainte-Cécile si colloca tra le manifestazioni d'inizio di una fase architettonica eminentemente trecentesca a preponderante partecipazione mendicante, che interessa soprattutto l'area pirenaica e la Catalogna, ove ha dato forma anche a grandi c. come quella di Perpignano, fondata (1327) durante l'effimero regno di Maiorca, ad aula unica fiancheggiata da alte cappelle, transetto sporgente e tre cappelle poligonali di coro.La presenza massiccia dei Cistercensi negli stati cristiani della penisola iberica chiarisce il relativo ritardo nell'accettazione del tipo e delle forme della c. gotica francese e anche il modo specifico con cui essa si verificò. Parecchie c. cominciate nel sec. 12°, la cui costruzione si prolungò ampiamente nel successivo, come quelle di Zamora, Tarragona e la vecchia c. di Salamanca, crebbero in forme semplici e grevi, ma con sistemi di volte a crociera costolonata. Più che la resistenza di uno strato romanico locale, esse sembrano indicare la cooperazione cistercense, che non si limita alla prestazione d'opera, responsabile, quindi, di tecniche costruttive e forme di dettaglio, ma implica anche la cessione di una tipologia di chiesa relativamente semplice, a tre navate, con coro ridotto a cappelle absidate o poligonali allineate sul transetto. Costruita dal 1203 al 1278, la c. di Lérida non solo si accoda ancora a quella tradizione, ma segue complessivamente lo schema della c. di Tarragona e ne riprende le forme singole, tra le quali la doppia semicolonna addossata a pilastri cruciformi, la cui pertinenza cistercense è dichiarata dalle abbaziali di La Oliva e Gradefes in Spagna o Flaran nella Francia pirenaica. Altre c. edificate nella prima metà del Duecento, come quelle di Cuenca e Sigüenza, interpretano invece lo schema tradizionale con forme aggiornate sulle novità francesi del momento, facendo pensare a interventi di artefici dell'Ile-de-France.La mediazione cistercense dovette essere essenziale anche per il recupero dello schema della c. dell'Ile-de-France. È frequente già nel sec. 12° l'adozione del coro a deambulatorio e cappelle radiali in abbaziali cistercensi iberiche e in una di esse, Poblet, compare una precocissima (forse del 1164) quanto greve e sommaria esemplificazione di pilier cantonné. Tale mediazione appare coagulo plausibile per i numerosi e diversi accostamenti che sono stati proposti per la c. di Ávila, in costruzione avanzata nel 1191: a Saint-Denis per il doppio deambulatorio; all'abbaziale cistercense di Heisterbach, in Germania, per le poco profonde cappelle radiali ricavate in spessore di muro, soluzione consigliata certo dalla circostanza che il coro della c. entra nel sistema difensivo della città, sporgendo con la sua curva dalle mura del primo sec. 12°; infine al coro dell'abbaziale borgognona della Madeleine di Vézelay per l'alzato a tre piani e forme di dettaglio.La c. di Ávila anticipa quelle di Burgos e Toledo come manifestazione monumentale della prepotente ascesa del regno di Castiglia a una posizione di primato in ambito iberico, in virtù della vittoriosa offensiva contro gli Arabi. Una volta spogliate idealmente dagli ampliamenti e dalle risistemazioni interne dovute a interventi successivi, le due più tarde c. castigliane perdono ogni parvenza del carattere spagnolesco che oggi le contrassegna e rivelano la dipendenza esclusiva dalla Francia settentrionale, in una trasposizione che semmai denuncia la diversa impostazione tecnica dei loro cantieri, ove torna a farsi sentire la cooperazione cistercense. Il coro di Burgos, cominciato nel 1221 e già officiato nel 1230, nel compatto andamento esterno ha fatto pensare a una derivazione da Pontigny; mentre tecnica e disegno delle finestre, dei rosoni a trafori centripeti e delle logge che coronano l'esterno del transetto meridionale sono riprese dirette di motivi di Reims e Amiens, altri elementi appaiono contaminazioni vistose. I pilastri, benché rivestiti fittamente da sottili semicolonne, ciascuna con un proprio capitello, al modo del pilastro a fascio, non nascondono l'articolazione cruciforme del nucleo, che affiora per spigoli e superfici piane; nel disegno a cinque lancette trilobate, sormontate da cerchi lobati, il triforio sembra citare quello della c. di Bourges, ma la tecnica del traforo a giunti è surrogata da un pesante apparecchio murario a conci intagliati facilmente riferibile tecnicamente e stilisticamente ad ascendenti cistercensi. I rincassi di muro delimitati da archi ricadenti su colonnine alveolate che contengono i rosoni del transetto sono un 'motivo firma' di architettura cistercense. Più chiaramente legata al modello di Bourges è la c. di Toledo, cominciata da maestro Martín nel 1227 e proseguita, dopo il 1234, da Pedro Pérez. Su pianta a cinque navate con transetto a tre navate non sporgente, doppio deambulatorio su tracciato semicircolare che si allarga alternando campate rettangolari a campate triangolari - cui corrispondono cappelle radiali semicircolari alternate a minuscoli vani quadrati -, l'alzato si sviluppa a triplice gradonatura. Finestre con trafori a giunti si trovano anche a Toledo solo nelle parti più tarde.Un più netto riferimento a modelli 'reali' francesi informa la c. di León. Notizie certe della sua costruzione a partire dal 1258 riferiscono l'iniziativa ad Alfonso X il Saggio e al vescovo León Martín Fernández, già suo cortigiano. Alla morte di costui (1288) la c. doveva essere sostanzialmente finita. La pianta compatta è simile, in dimensioni di poco ridotte, a quella della c. di Reims, mentre l'alzato si dipana nel rispetto più rigoroso della sintassi e del lessico franco-settentrionali, secondo le fasi più tarde della c. di Amiens, con tratti rayonnants in finestre, rosoni, traforature e nel sistema di contraffortatura. La facciata fiancheggiata da torri ricorda quella della c. di Poitiers, ma è preceduta da un atrio a tre fornici simile a quelli dei transetti della c. di Chartres. L'imitazione dei modelli architettonici del re di Francia appare, in sostanza, programma a largo raggio che prende a riferimento, di volta in volta, soluzioni esemplari del gruppo delle c. francesi classiche. Più di quelle di Burgos e Toledo, la c. di León accompagna l'architettura con serie sistematiche di vetrate figurate e policrome, di portali e di pilastri figurati per facciata e transetti. Pur nella caotica distribuzione attuale provocata dal prolungarsi dei lavori e da interventi ripetuti nel tempo per ovviare a gravi dissesti statici (l'incrocio, il transetto meridionale e quasi tutte le volte maggiori sono rifacimenti del secondo Ottocento), i programmi iconografici individuabili sono quelli canonici del Giudizio, della Vergine e di santi locali. L'artificiosità dei trapianti francesi in Castiglia si riflette con particolare evidenza nella mancanza di una loro discendenza architettonica consistente in terra spagnola.Nel sec. 14° è la Catalogna a sviluppare un'architettura sacra di fortissima originalità e inventiva. Come nei secoli precedenti era stata soprattutto questa parte della Spagna ad assumere modelli cistercensi, così ora alcune grandi c., ritenendo per lo più a livello di pianta contrassegni classici, anzitutto il coro a deambulatorio e cappelle radiali, si assimilano in fase architettonica omogenea alle chiese degli Ordini mendicanti nella forte tensione all'unità spaziale degli interni, che recuperano come file di cappelle lungo i fianchi gli intervalli tra i contrafforti. Nel coro della c. di Gerona (dal 1292) e soprattutto in quello della c. di Barcellona (dal 1298) gli intercolumni si allargano e le arcate si slanciano altissime riducendo il dislivello tra le navate nell'alzato caratteristicamente mendicante della pseudo-sala; l'illuminazione avviene principalmente da ampie finestre sopra la corona delle basse cappelle perimetrali; i pilastri tendono a contrarre la propria forma nello spazio e sparisce quasi del tutto la modellazione plastica della parete. In forma ancor più radicale per la semplificazione dei pilastri in prismi ottagoni, l'ampiezza delle arcate, la nudità delle pareti, su cui si riflette intensa e uniforme la luce laterale, quello schema è applicato alla c. di Palma di Maiorca, avviata al principio del sec. 14°, che si qualifica in modo del tutto originale nella soluzione di coro a cappelle quadrangole e nel dominio che assumono sul volume architettonico esterno le pesanti masse dei contrafforti in fitta sequenza. Si addiviene così a una tipologia di c. applicata ancora nel sec. 14° a Manresa e Tortosa, ma che sopravvive fino al sec. 16°, anche se appare non meno significativa la decisione, assunta al principio del Quattrocento, di completare il coro di Gerona con una sola, ampia e alta navata.Anche in Inghilterra la mutazione gotica dell'architettura, che si verifica tra l'ottavo e l'ultimo decennio del sec. 12°, riflette la parabola del consolidamento della realtà politica e sociale del regno. Ma, a differenza di quanto avviene contemporaneamente in Francia o in Spagna, ciò si configura come processo di sostanziale continuità con l'età immediatamente precedente. L'avvento della dinastia degli Angiò-Plantageneti non sembra introdurre, nei rapporti con la Chiesa, cambiamenti significativi e, se si eccettua lo spostamento di alcune sedi diocesane, alla fine del regno di Enrico II (1154-1189) si stabilizza l'assetto ecclesiastico, in un numero assai limitato di diocesi, spesso tra le più grandi e ricche d'Europa, che aveva cominciato a configurarsi dal principio del dominio normanno. Con la progressiva espulsione dal continente e l'acuirsi della rivalità con i sovrani capetingi di Francia, i nuovi monarchi tendono a caratterizzare sempre più entro orizzonti insulari anche la propria politica culturale, rivitalizzando il culto di santi dell'antico cristianesimo sassone in un circuito di pellegrinaggi nazionali che fa capo alle maggiori c. e abbaziali. Malgrado episodi di scontro violento con la monarchia, l'alto clero regolare e quello secolare continuano a essere momento essenziale della sua politica e proseguono una linea edilizia avviata anch'essa al principio dell'età normanna, con l'edificazione di chiese monumentali in cui le c. non si distinguono per tratti specifici dalle abbaziali. Tale condivisione di espressioni architettoniche era favorita dalla situazione peculiarmente inglese e priva di riscontri altrove, con l'eccezione assai significativa della fondazione di Guglielmo II a Monreale, per cui, come nella sede primaziale di Canterbury, il clero in servizio presso alcune delle maggiori c. (Durham, Ely, Norwich, Winchester, Worcester) era costituito da comunità benedettine. Nella posizione spesso discosta dagli abitati urbani, nella congiunzione con ampi impianti monastici in cui, a riscontro di residenze vescovili non di rado fortificate, si sviluppano chiostri, sale capitolari e altri edifici comunitari, i complessi cattedrali inglesi, talora protetti da cinte di mura e porte difese, assumono, più che altrove, connotazioni proprie delle abbazie.Lo stacco segnato dalla ricostruzione della chiesa di Canterbury dopo l'incendio del 1174 fu meno dirompente di quanto spesso si ammetta. L'adozione del coro a deambulatorio, ma con la sola cappella assiale, gi'a peraltro ben noto alla tradizione architettonica normanna, fu condizionata dalla promozione del culto di s. Tommaso Becket (v.) e si può spiegare come propaganda antiplantageneta il ricorso a uno schema d'alzato e forme singole di impronta francese che l'architetto Guglielmo di Sens impostò nel riferimento privilegiato alla c. della propria città, la stessa dove si rifugiò il clero di Canterbury durante gli esili del 1188-1189 e del 1207-1213, nel bel mezzo dello sforzo costruttivo. Ma la planimetria a due transetti aprentisi a E su cappelle - in sostituzione del coro a cappelle radiali -, il prevalente sviluppo in lunghezza, che allinea in scandita successione longitudinale lo spazio per il coro, il santuario con l'altare, la sede della reliquia intorno a cui gira il deambulatorio (Trinity Chapel) e isola in forte autonomia la cappella assiale (c.d. Corona), si discostava nettamente da quella delle c. francesi, legandosi a precedenti specificamente inglesi, tra i quali il Glorious Choir della vecchia c. di Canterbury, che aveva condizionato anche fisicamente il nuovo edificio. Si devono probabilmente a Guglielmo l'Inglese, che nel 1178 assumeva la guida del cantiere succedendo a Guglielmo di Sens, la ricca policromia muraria, ottenuta con l'impiego di materiali a colorazioni intense e contrastanti, tra cui il calcare bluastro noto come marmo di Purbeck, e anche la moltiplicazione di membrature e modanature d'archi e il grande risalto ottico e plastico conferito alla tecnica del mur épais, che sarebbero stati gli aspetti precipuamente sviluppati nella trasformazione innescata da Canterbury del lessico architettonico francese in terra inglese.La continuità di una linea anglonormanna nel passaggio dalla fase romanica a quella gotica si realizzò, in concreto, anche attraverso un peculiare circoscriversi di campagne costruttive alla ricostruzione di singole parti di complessi già esistenti o al loro ampliamento con nuove parti, che provocò non tanto la creazione di modelli compiuti quanto una linea di tendenza generalmente condivisa anche da grandi abbaziali e collegiate, ma che trova proprio nelle c. il conservatorismo più accentuato. Tra gli ultimi decenni del sec. 12° e i primi quattro del 13° numerose c. rinnovarono o ampliarono il tratto orientale fissando la tipologia del coro rettangolo. Sulla variante che tronca bruscamente con alte pareti finestrate la corsa delle tre navate prevale nettamente quella che gradua il passaggio in altezza con un deambulatorio rettilineo da cui stacca un'unica cappella assiale di pianta, per lo più, rettangolare. In pochi casi (Chichester, Hereford, Ely) quelle tipiche creazioni protogotiche inglesi (early English) si sono conservate più o meno integralmente immuni da ampliamenti o rimaneggiamenti successivi.Tre sole c. (Wells, Lincoln e Salisbury) hanno avuto ricostruzioni integrali secondo progetti complessivi fissati entro i primi decenni del Duecento e tra esse solo Salisbury, edificata su un sito vergine, in seguito allo spostamento dalla precedente e scomoda sede fortificata di Old Sarum, ha preservato la forma originaria da sostanziali alterazioni. Cominciata nel 1220, si compone di un lungo sistema di tre navate intersecato da due transetti, di cui il più aggettante a O, formati da una navata principale e una minore a E. Il coro rettilineo termina con l'unica grande cappella a tre navate 'a sala' sulla larghezza del coro alto, contenuta per metà entro prolungamenti delle navate laterali. Nell'alzato la fedeltà al mur épais si traduce in una plastica parietale ricca e compatta, ordinata nei tre piani di arcate, pseudo-gallerie a bifore e finestre, privi di leganti verticali. Le finestre alte sono gruppi di lancette salienti al centro, come nella precedente architettura normanna, precedute da un passaggio in spessore di muro; le volte quadripartite ricadono su brevi tratti di membrature a tre elementi impostati pensili nei pennacchi delle arcate. Domina lo svolgersi in profondità dei vani, in cui la scansione ritmica della campata lascia il posto a una modellazione modulare ripetitiva del mur épais mediante il proliferare di colonnine e archivolti, in staccato cromatico di calcari bianchi e rossastri e sottili fusti in marmo di Purbeck posti in controvena. Le navate della c. di Wells furono aggiunte a partire dal 1220 a un coro iniziato nel sec. 12°, che ora si presenta fortemente modificato per l'inserzione successiva di volte a reticolo e la trasformazione, intorno al 1319, della terminazione orientale con la grande cappella poligonale. Contemporanee a Salisbury, ne riprendono la caratteristica articolazione d'alzato per piani sovrapposti in orizzontale; nel dettaglio sono ancor meno ricettive nei confronti del lessico francese: anche qui le volte sono impostate pensili e le finestre scompaiono nella profondità del passaggio antistante.Il coro che Ugo di Avallon aveva fatto aggiungere nel 1192 all'antica c. di Lincoln, corrispondente al tratto contenuto tra i due transetti attuali, presenta volte di disegno complesso, formato da due costoloni e un tierceron, che compongono una figura asimmetrica e sghemba, ma è probabile che tale configurazione sia stata introdotta con la ricostruzione delle volte successiva a un crollo del 1239. Fu infatti soprattutto la ricostruzione delle navate della c. tra il 1227 e il 1240 ca. a sviluppare in plastica parietale esuberante e compatta la fedeltà al principio statico normanno del mur épais. Una più scandita distinzione in campate può ricordare Amiens, ma fasci di membrature impostati pensili subito sopra i pilastri si sventagliano percorrendo le superfici di volta, incontrandosi con un costolone sommitale continuo e brevi tratti di liernes che intonano il trasferimento alle volte dell'elaborazione decorativa della plastica parietale. Sviluppando, forse, esperienze costruttive e un filone di gusto caratteristici dell'architettura del Poitou e dell'Angiò, feudi continentali della dinastia plantageneta, esso sarebbe stato caratteristico del successivo decorso dell'architettura inglese, a cominciare dalla ripresa immediata fattane nelle sei campate di coro (1234-1252) che sostituirono l'antica abside della c. di Ely. Il predominio plastico e anche cromatico che in tali elaborazioni assume il momento strutturale impedisce la saldatura tra pieni e vuoti nell'effetto 'diafano' caratteristico delle c. di Francia; le finestre tendono a restare intervalli definiti e circoscritti dei ritmi plastico-strutturali, cui rimane estraneo il gioco illusivo del traforo e che anche le vetrate sembrano assecondare. Gli scarsissimi resti di vetrate dei secc. 12° e 13° sfuggiti alle campagne di distruzione di immagini perpetrate in Inghilterra con la Riforma del sec. 16° e la guerra civile del successivo permettono appena di intravedere come a grandi cicli vetrari istoriati, figurati e policromi, impostati nella seconda metà del sec. 12° a York e Canterbury, abbiano fatto seguito, già nei primi decenni del 13°, nelle c. di Lincoln e Salisbury vetrature in cui parti istoriate erano inserite in quozienti sempre più rilevanti di grisailles, che filtravano una luce più intensa e chiara. Ultimo tratto di forte autonomia determinato nelle c. inglesi dalla continuità con la tradizione normanna è la definizione degli esterni per volumi compatti, in ragione dell'assenza o dell'impiego limitato di sistemi di contraffortatura a rampanti. Le facciate si estendono in larghezza; l'ampio partito di arcate giganti della facciata di Lincoln è la rielaborazione della facciata fortificata con caditoie della precedente fabbrica romanica. Nello scarso risalto dei portali e nella mancanza di raccordo con il sistema delle navate, quello stesso schema, modificando radicalmente, rispetto alle facciate armoniche francesi, il rapporto con la scultura figurata, si declina a Wells e Salisbury in sequenze più squisitamente decorative ove folle di statue e rilievi si distribuiscono come in gigantesche ancone scolpite.Nel secolo e mezzo successivo l'impianto strutturale, la fisionomia spaziale e l'assetto liturgico così definiti non subiscono variazioni sostanziali, mentre le mutazioni stilistiche dell'apparato formale e decorativo sono effetto di innovazioni che si verificano, per lo più, al di fuori dei cantieri delle grandi c. e si connettono soprattutto a committenze reali. La ricostruzione, dal 1245, della chiesa dell'abbazia di Westminster come sepolcreto reale e chiesa d'incoronazione tentava il trapianto dello schema della c. francese assumendo a riferimento Reims e le maggiori imprese di Luigi IX a Parigi e Saint-Denis. Riflesso immediato fu il coro (Angel Choir) aggiunto tra il 1255 e il 1280 alla c. di Lincoln per creare degna collocazione allo scrigno-reliquiario di s. Ugo di Avallon dietro all'altare maggiore. Osservando il tracciato rettilineo di pianta e mantenendo nelle coordinate fondamentali il sistema d'alzato della c. protogotica, il nuovo coro accoglieva da Westminster innovazioni precipuamente decorative: anzitutto il traforo a giunti delle finestre come mezzo per caricare ulteriormente la decorazione. Aumenta ancora il numero di costoloni e tiercerons, mentre grandi rilievi di angeli con strumenti musicali o cartigli sono inseriti nei pennacchi delle arcate.Il rinnovato contatto con l'architettura francese nella fase dell'incipiente rayonnant innescò però, soprattutto nell'Inghilterra sudoccidentale, un processo, ancora una volta autonomo, di elaborazione decorativa del mur épais che portò alla maturazione del decorated style. La c. di Exeter, costruita in lento progresso dall'estremità orientale (Lady Chapel) alla bassa facciata a capanna tra il 1275 e il 1353, quando pare si mettesse mano alle volte della navata, ne è espressione precoce e specifica. Momenti qualificanti di un organismo ancora legato a un lungo tracciato rettilineo di pianta sono i grandi finestroni con i ricchi e variati disegni di trafori in cui cerchi e archeggiature lobate si alternano e si combinano a più complessi e sinuosi motivi di archi inflessi, ovali allungati, vortici di vesciche di pesce, assorbendo alla propria ritmica il basso triforio. Più caratteristico ancora è il sistema delle volte, impostate pensili tra le arcate da sottili membrature che all'altezza delle finestre si slargano in ombrelle di undici costoloni. L'effetto degli ampi coni di costoloni sopra ricche formulazioni di trafori nelle finestre domina anche la sala capitolare di Wells, edificata entro il 1319 a pianta ottagona e sostegno centrale, e più ancora la singolarissima struttura in legno con cui tra il 1322 e il 1341 si rimediò al crollo rovinoso della precedente torre normanna sopra l'incrocio della c. di Ely. Raccordandosi mediante otto pilastri e un tamburo in muratura a tutto il sistema a tre navate di corpo longitudinale e transetti, lo sfarzoso padiglione ottagono in legno dorato dipinto a vivaci colori, al cui centro si inserisce in leggera sfalsatura rotante una grande e luminosa lanterna, era la maturazione gotica della torre d'incrocio normanna. Anche se non si possono escludere suggestioni del tema della cupola, che cominciava allora ad affermarsi in alcune grandi c. italiane, la torre d'incrocio, elemento tradizionale dall'inizio dell'età normanna, si combina con la tematica della pianta centrale, non meno antica per l'architettura inglese, ove anche in età gotica conosce manifestazioni caratteristiche, come le sale capitolari poligonali a sostegno centrale, assai diffuse anche in complessi monastici, ma che trovano presso le c. alcuni degli esemplari più monumentali e significativi. Prima di quella di Wells, la formulazione gotica della tipologia avvenne con la sala capitolare di York, cominciata nel 1220, ma portata a compimento nel 1253: a pianta decagonale (diametro m. 18), ogni lato si apre in coppie di alte e aguzze lancette e la copertura è costituita da un sistema di volte a ventagli di costoloni e tiercerons impostati agli angoli e su un pilastro tondo centrale rivestito di colonnine. L'introduzione del traforo attuata a Westminster anche nella sala capitolare (1246-1259) e la totale apertura dei lati in finestroni sopra basamenti a nicchie trovavano seguito, insieme con la pianta ottagona, nelle sale capitolari di Salisbury (1265-1275) e York (1260-1290), quest'ultima con finte volte lignee a reticolo che, prima dei rifacimenti moderni, si presentavano vivacemente dipinte a figure, uccelli e motivi decorativi.Contemporaneamente alla sala capitolare si edificava a Wells una nuova cappella della Vergine su pianta a ottagono irregolare, per poi legarla mediante un deambulatorio rettilineo al coro preesistente, di cui fu rifatta la copertura a reticolo di costoloni che avviva una struttura continua a pseudobotte. Anche nella cappella e nel deambulatorio i costoloni salgono da fasci di colonnine e membrature inflesse, intrecciandosi in complessi disegni stellati che dilatano i vani bassi e luminosi in immagini spaziali indefinite e centrifughe. Le volte a reticolo di Wells potevano profittare di un'altra metamorfosi stilistica dell'architettura inglese, maturata nelle imprese di Edoardo I ed Edoardo III a Londra e Gloucester, il c.d. perpendicular style, talora indicato come il primo, vero stile architettonico nazionale inglese, in quanto privo di premesse o sollecitazioni provenienti dal continente. Toccava, peraltro, proprio a esso colmare il divario tra strutture e aperture addivenendo, sia pure nell'osservanza del principio del mur épais e secondo istanze stilistiche del tutto originali, all'effetto 'diafano' di involucri spaziali continui e indeterminati. Nazionale anche in quanto presto generalizzato a edifici sacri di ogni dimensione e rango e alla stessa architettura civile e residenziale, il perpendicular style trovò tra le c. accoglienza scarsa e discontinua e un impatto limitato a sistemi di volta e a motivi di traforo che, alle fioriture curvilinee e vegetalizzanti del decorated più spinto, sostituivano la ritmica ripetitiva e severa di sottili griglie di salienti verticali.Nell'Inghilterra settentrionale, infatti, con l'ultima e maggiore fase della ricostruzione della chiesa sede dell'arcidiocesi di York, emergeva un indirizzo diverso, che sembra legarsi agli esiti più accademizzanti dell'architettura francese della seconda metà del Duecento. Le navate di York, realizzate tra il 1291 e il 1340 ca., tranne le volte in legno, aggiunte in una fase successiva che si prolungò fin verso il 1370, introducono la netta scansione in campate indotta da pilastri e membrature che salgono a impostare le finte volte a reticolo. Un alto triforio cieco di cinque taglienti ed esili lancette detta la ritmica delle finestre soprastanti, nella tendenziale riduzione a due piani dell'alzato, ove gran parte assume il distendersi di lisci tratti di parete nei pennacchi delle arcate e ai lati dei gruppi finestre-triforio. York è anche l'unica c. inglese, dopo Durham, a proporre una facciata impostata secondo il classico schema francese a torri gemelle. Questa tendenza prevale nelle due ultime grandi realizzazioni del sec. 14°: la ricostruzione delle navate della c. di Canterbury (1379-1405) e il rifacimento, cominciato nel 1394, delle navate della c. di Winchester, che in gran parte conservava, rimodellandola, la sostanza muraria del preesistente impianto romanico. Pur nelle proporzioni diverse - ampia e slargata la c. di Winchester, nell'alzato a due piani con pilastri e mura massicce per effetto delle grevi membra normanne reimpiegate; altissima e nervosamente tesa quella di Canterbury, soprattutto nel vertiginoso piano di arcate, con alto triforio, ma finestre relativamente ridotte per avere osservato gli allineamenti del coro protogotico sollevato su un'alta cripta -, entrambe si assoggettano alla sequenza di campate definite a partire dalle basi dei pilastri fino all'articolazione delle pseudo-botti ricamate dai costoloni.In area germanica, le c. erette sin verso la metà del sec. 13° mostrano una resistenza al Gotico di Francia che non si configura tanto come latitanza o ritardo, quanto come opposizione consapevole, collegata allo stretto legame tradizionalmente esistente tra le alte gerarchie della Chiesa di Germania e l'istituzione dell'impero. Molte diocesi dovevano la loro fondazione a imperatori della dinastia degli Ottoni e dei Salii e i loro vescovi e arcivescovi erano signori territoriali vassalli dell'impero. La persistenza della pianta a due cori, quale che ne fosse la funzione liturgica precisa, è l'espressione più specifica di tale atteggiamento che, con l'eccezione del duomo di Meissen alla fine del Duecento e del duomo di Augusta nel successivo, si esaurisce con la fine della dinastia sveva. Ma proprio i decenni finali di essa, corrispondenti al regno di Federico II (1212-1250), mostrano che l'arte delle c. francesi era tutt'altro che ignota o ignorata in Germania. Grandi cicli plastici vennero allora sistemati in tre costruzioni che della nuova architettura avevano adottato la volta a crociera costolonata e poco altro: le c. di Strasburgo, Bamberga e Magonza.È esemplare il caso della c. di Strasburgo, la cui ricostruzione dopo un incendio nel 1176 era cominciata quasi in sordina, come riparazione e integrazione delle parti superstiti. Nei primi decenni del Duecento erano in costruzione transetti di due navate per due campate 'a sala' ricadenti su un pilastro centrale e aperti sull'incrocio da coppie di arcate. Mentre nel transetto nord, costruito per primo, il sostegno centrale è un liscio fusto rotondo simile a quelli sottoposti alle arcate, nel transetto sud compare un aggregato di elementi circolari con i quali fanno corpo le famose statue che in tre ordini sovrapposti compongono la figurazione del Giudizio finale. Anche la fronte esterna di questo transetto prestava le forme di un'architettura tardoromanica scarna e severa a far da supporto a un ricco e altrettanto famoso programma plastico sul tema della giustizia che si conserva frammentario. Nel 1237 si consacrava la c. di Bamberga, ricostruita ripetendo l'articolazione a due cori della precedente, fondata dall'imperatore Enrico II al principio dell'11° secolo. Le forme lisce e massicce del tratto orientale, costruito per primo, con ornati esterni legati alla tradizione tardoromanica tedesca, si ammorbidiscono in cadenze di protogotico borgognone nel tratto occidentale, per il probabile intervento di un cantiere legato alla vicina abbazia cistercense di Ebrach. Proprio entro e fuori del più severo e tradizionale coro orientale si dislocava il ricco complesso di statue e rilievi - le sculture esterne sono state recentemente ricoverate nel Diözesanmus. di Bamberga -, che in parte cita direttamente sculture di Reims e che accompagnava, in una sorta di percorso solenne, ingressi del vescovo e di altri illustri personaggi. Trionfale esaltazione di valori e forme proprie della tradizione romanica renana è il grandioso complesso di transetto e coro occidentale del duomo di Magonza, la cui costruzione, insieme al riattamento con copertura integrale in volte costolonate di tutta la chiesa, si concluse con la consacrazione del 1239. Anch'esso ospitava un complesso plastico la cui eccezionale qualità e i cui significati, connessi con la liturgia dell'incoronazione dei re di Germania, è possibile appena intuire dagli scarsissimi resti conservati. Tutti e tre i monumenti erano tradizionalmente legati all'istituzione dell'impero e le ricostruzioni duecentesche furono più o meno direttamente funzionali, così come i cicli scultorei relativi, al rilancio dell'autorità e della politica imperiale in Germania che l'imperatore Federico II tentava con il sostegno di una parte del clero e della nobiltà locale. Nella volontà di riallacciarsi a una tradizione architettonica legata all'impero germanico si spiega il conservatorismo di quelle architetture, mentre viene immediatamente colto il potenziale propagandistico della nuova scultura architettonica, che viene accettata senza remore e sviluppata in episodi cardine della scultura europea di quel secolo. Assolutamente simile nel sistema di pianta e alzato alla c. di Bamberga, il contemporaneo duomo di Naumburg (consacrato nel 1242), nel più deciso staccarsi di membri strutturali semplificati sul distendersi delle pareti, poteva accogliere, verso il 1260, nel coro occidentale, al di là della recinzione con statue e rilievi a tema cristologico, la parata delle statue dei fondatori, esponenti della nobiltà feudale e terriera locale che si rappresenta quasi assistendo in effigie al rito nell'interno stesso del santuario. La fedeltà dell'architettura tedesca a proprie tradizioni si esprime anche nella preferenza per piante raccolte, di limitato sviluppo longitudinale. Il duomo di Münster, in Vestfalia, che nello stato attuale è una ricostruzione fedele, ma quasi totale in seguito ai danni subìti nell'ultima guerra, ne è un esempio caratteristico. Iniziato nel 1225 e consacrato nel 1264, prevedeva un impianto a due cori, ricostruendo quello orientale, ma recuperando dalla costruzione preesistente il coro occidentale, che solo al principio del sec. 16° fu abolito in favore di una fronte principale d'ingresso. Ad ambedue i cori furono premessi transetti sporgenti a navata semplice e tra questi fu steso un sistema di navate con un vano centrale composto da due sole ampie campate a pianta quadrata e strette navate laterali, di fatto vani accessori, irrilevanti nell'effetto spaziale. Pesanti pilastri prismatici reggono arcate a sesto acuto molto basse, preparando volte a crociera cupoliformi che occupano da sole quasi metà dell'altezza totale della navata centrale, arricchite anche decorativamente dal disegno a otto costoloni e da grandi dischi scolpiti. Il coro poligonale è accompagnato da un deambulatorio sviluppato in alzato come passaggio davanti a finestre ritagliate in lisce partiture murarie.La difficoltà ad accettare il linguaggio francese da parte di c. tedesche è ribadita, nel primo Duecento, anche dai rari casi che dall'Ile-de-France accolgono la formula planimetrica e d'alzato, come principalmente il duomo di Magdeburgo, cominciato nel 1209. Mediazioni borgognone hanno forse regolato l'impianto orientale ad ambulacro e cappelle radiali, ma in alzato a tre piani per la presenza di gallerie. Le alte finestre a trafori vi costituiscono, nelle dimensioni e nelle forme, un aggiustamento introdotto a costruzione avanzata. Nelle stesse zone inferiori, malgrado l'uso sistematico dell'arco acuto, è avvertibile l'avvicendarsi di due cantieri, l'uno nell'ordine delle arcate, basse e tagliate a doppia gradinatura nel muro, che conserva qualità e spessore romanici, su tozzi pilastri cruciformi con semicolonne addossate e capitelli a dado; l'altro nelle gallerie (Bischofsgang), in più snelle membrature tonde e capitelli a crochets che recano inconfondibile il sigillo cistercense. Sono comunque impostate dal pavimento le colonnine che reggono le volte del coro alto, formate a tratti da colonne recuperate dal precedente duomo ottoniano, oppure, a ribadire la peculiare propensione ad allestire l'interno con sculture monumentali, da statue-colonna di santi predisposte per un portale mai realizzato. Simili graduazioni stilistiche si osservano anche all'esterno, aggregazione di compatti volumi edilizi, ove è stato evitato il sistema di contraffortatura e, a conclusione del coro alto, compare ancora la loggetta renana. Un progetto radicalmente semplificato, ad ampie arcate e coppie di finestre alte ritagliate nel muro sotto una strana conformazione di volte parzialmente pensili, che echeggia il sistema alternato, ha presieduto alla realizzazione delle navate tra il 1240 ca. e il sec. 14° inoltrato, secondo un gusto per la semplificazione e riduzione largamente comune all'architettura germanica orientale nella ripresa di modelli francesi. A Magdeburgo esso si esprime ancora nella liscia facciata a due torri, mentre nel duomo di Halberstadt, malgrado l'evidente, più precisa conoscenza del lessico francese, informa sia le navate, avviate intorno al 1240, sia il coro a deambulatorio, eretto alla metà del secolo successivo.Il duomo di Strasburgo offre la dimostrazione più evidente di una svolta decisa che, sulla metà del sec. 13°, interviene nella situazione architettonica tedesca e, pur senza mutarne di colpo e integralmente il quadro, introduce con ben altra autorità il modello francese. Realizzate tra il 1230-1240 e la fondazione della facciata nel 1275, le navate accoglievano integralmente nell'alzato a tre piani, in ogni dettaglio e nel dominio che assume nella definizione dello spazio il momento translucido e diafano delle ampie pareti finestrate, lo stile contemporaneo della corte parigina, accentuandone anzi la tendenza alla dilatazione orizzontale, la censura del verticalismo. Fenomeno parallelo, anche se di intonazione diversa, fu la costruzione del duomo di Colonia, fondato nel 1248 dall'arcivescovo Corrado di Hochstaden, oppositore della casa sveva, e consacrato nel 1322. L'enorme facciata, allora appena impostata, e le navate sono impresa del secolo scorso. L'impianto a cinque navate non ha in realtà un modello, ma costituisce un'estensione rigida e, in qualche misura, meccanica dello schema francese a tre navate, che normalizza un sistema di alzato e un dettaglio formale desunti essenzialmente dalla c. di Amiens. Anche il coro del duomo di Colonia comunque ammise, sul finire della costruzione, la serie di statue di Cristo, della Vergine e degli apostoli applicate con mensole e baldacchini a metà altezza dei pilastri maggiori.Né Strasburgo, né Colonia determinarono filiazioni omogenee e coerenti di edifici paragonabili a quelli sorti in Francia tra il 12° e il 13° secolo. Solo il coro del duomo di Utrecht, sede suffraganea di Colonia, riprese con notevole fedeltà, ma su pianta ridotta, il disegno della sua chiesa metropolitana. Tuttavia la lunga attività dei due cantieri e la preminenza assunta, in particolare da Strasburgo, nell'organizzazione delle logge tedesche, introdussero come ineliminabile base di confronto anche in Germania e nei territori dell'impero il sistema linguistico francese. Frutto del nuovo clima culturale sono costruzioni già considerate, come le navate e il piano delle finestre del coro di Magdeburgo o le navate del duomo di Halberstadt. Cominciato nel 1274, il duomo di Ratisbona, su pianta a tre navate, transetto non sporgente e coro ridotto a cappelle poligonali in prosecuzione delle navate, elabora il linguaggio introdotto dal cantiere di Colonia sia nel drammatico contrasto tra severe navate a due piani e doppio ordine di grandi finestroni del coro sia nelle finiture della ricchissima fioritura decorativa esterna.Con la fine del Duecento, le regioni germaniche occidentali avevano sostanzialmente rinnovato il patrimonio edilizio delle loro c.; numerosi cantieri rimasero attivi nel secolo successivo (e oltre) e, come mostra precipuamente tra fine Duecento e primo Quattrocento la complessa vicenda di progettazione e costruzione della facciata del duomo di Strasburgo, divennero centri di elaborazione della fase più caratterizzata dell'architettura gotica tedesca, nella cui originalità si è voluto cogliere un seme specificamente germanico (Gerstenberg, 1913). Ma nessuna grande c. fu più fondata nel 13° secolo. Il rinnovamento introdotto nell'architettura tedesca dalla famiglia dei Parler poté in parte assimilarsi a quei cantieri, ma espresse i suoi accenti più genuini in chiese parrocchiali per grandi comunità urbane, delle quali seppe interpretare stilisticamente e spazialmente gli ideali. Johann Parler di Gmünd diresse la ristrutturazione del duomo di Basilea in seguito a un terremoto del 1356 e Heinrich Parler guidò tra il 1321 e il 1343 il rifacimento delle volte del duomo di Augusta e il suo ampliamento con il grande coro orientale.Anche nell'Europa scandinava e nella fascia occidentale di quella slava erano in atto processi di consolidamento di signorie territoriali, coincidenti a volte con movimenti di colonizzazione tedesca e quasi sempre con la cristianizzazione delle popolazioni autoctone. Una delle conseguenze fu anche la costruzione di cattedrali. L'uso prevalente del laterizio, imposto dalla scarsezza di pietra da taglio, non impedì l'instaurarsi di un dialogo precoce, anche se discontinuo, con l'architettura in pietra di Francia, Inghilterra e Germania, sino alla creazione di caratteristiche e talora virtuosistiche varianti laterizie (Backsteingotik) della contemporanea architettura in pietra dell'Europa centroccidentale. Nel 1153 si cominciava in pietra il duomo di Trondheim, sede metropolitana della Norvegia e sacrario di Olav, re ed evangelizzatore del paese. Per l'esposizione delle sue reliquie il progetto fu modificato nel 1183 inserendo, tra l'altro, all'estremità orientale una grande cappella ottagona con alto vano centrale e ambulacro. Si avverte in essa la suggestione di Canterbury e, in genere, una fase di architettura anglonormanna appena toccata da inflessioni gotiche informa tutto il pesante organismo della cattedrale. Il duomo di Roskilde, fondazione dei re danesi, intorno al 1170 veniva cominciato in mattoni con decisione certo sofferta, se ancora Brigida di Svezia (1303 ca.-1373) ammoniva a costruire in pietra la casa di Dio. Il coro, portato a termine nel 1240, fu, in assoluto, il primo tentativo di trapianto della c. gotica fuori della Francia nordorientale e si suole spiegarlo con gli studi parigini dei due vescovi principalmente interessati alla costruzione: Absalon e Peder Sunesen. Su tre navate, con transetto non aggettante e deambulatorio, ma senza cappelle radiali, sviluppa un alzato a quattro piani, con ampi matronei a volte esapartite, brevi finestre entro le lunette di volta e triforio ridotto a piatte nicchie archiacute nel muro. Come l'esterno è bloccato in volumi fermi con quel tratto di metafisica astrazione che la muratura laterizia di per sé comporta, l'interno ritaglia il sofisticato schema francese in superfici continue, mediante semplici membrature a parasta e semicolonna, capitelli cubici e costoloni a toro. Talora si preferirono anche per le c. forme più dimesse, di tradizione romanica o legate all'architettura monastica e mendicante; entro trasformazioni e ampliamenti successivi si riconosce ancora la struttura originaria, risalente alla metà del sec. 13°, del duomo di Västeraas, presso Stoccolma, basilica laterizia su pilastri cruciformi con transetto e coro a navata unica. In modo ben diverso si impostava, nel 1273, il duomo di Uppsala in onore del santo nazionale Erik, con il laterizio impiegato per la massa muraria, mentre portali figurati, capitelli e altre parti che richiedevano modellazioni complesse vennero realizzati in pietra. Nel 1287 veniva chiamato da Parigi con diversi aiuti Etienne de Bonneuil tailleur de pierre, che diresse la costruzione fino al 1300 adattando al laterizio l'elegante plastica parietale contemporanea dell'Ile-de-France nell'alzato a due piani separati da una liscia zona muraria; le volte cupoliformi in netta discontinuità con le membrature che le preparano sono un'evidente alterazione del progetto del maestro parigino. Radicale semplificazione laterizia del sistema della c. francese è, nell'area interessata dai fermenti innovatori anche in campo architettonico delle città anseatiche, il duomo di Schwerin, costruito tra il 1270 e il 1327.La forma spaziale che meglio caratterizza l'architettura sacra dell'area baltica a partire dai primi decenni del Duecento è tuttavia la chiesa 'a sala', che trova le sue formulazioni caratteristiche nelle monumentali parrocchiali laterizie delle libere città mercantili e marinare e viene perciò interpretata come manifestazione architettonica dello spirito egualitario e pragmatico che le animava e ne determinò il grande sviluppo e il peso anche politico che poterono assumere nel contesto dell'impero. Ma è innegabile la pressione che dovette esercitare in quella direzione il retroterra vestfalico, zona di provenienza di molti dei mercanti tedeschi che avevano dato vita e forma a quelle città. Qui la chiesa 'a sala' era tradizionale fin dall'Alto Medioevo, ma solo dalla seconda metà del sec. 12° l'introduzione della volta a crociera costolonata su pilastri a fascio permise adeguata espressione alla ricerca di fusione spaziale tra le navate che attutiva la preminenza della direzione longitudinale. Diverse c. si adeguarono a quella formula e si inserirono in quei processi: l'originaria struttura laterizia del duomo di Riga (1211), in campate quadrate separate da larghi archi trasversi e coperte da pesanti volte cupoliformi con costoloni torici su corte colonnette a capitelli sbiechi, ne rappresenta ancora la partenza romanica, superata senza residui dalle strutture tardoduecentesche del duomo di Minden e di quello di Paderborn, ove le snelle membrature circolari di pilastri a fascio si incurvano duttili e senza stacchi negli archi di volta; quasi all'aprirsi del nuovo secolo (1297) il duomo di Werden an der Haller, usando su ampie campate quadrate elementi strutturali e stilistici da c. francese, e il coro a deambulatorio e cappelle radiali su piliers cantonnés che entro il 1340 trasformava, con un generale rialzamento 'a sala', la basilichetta romanica originaria del duomo di Lubecca avviavano la definitiva fusione tra le cellule spaziali, poi caratteristica saliente delle elegantissime sale vestfaliche dell'età tardogotica.Come a Riga, l'espansione a Oriente dei Cavalieri Teutonici e la formazione di stati cristiani nelle od. Polonia, Romania, Ungheria e Boemia determinarono, soprattutto a N, a Chełmno, Frauenbeg, Přem'ysl, l'adozione della chiesa 'a sala' anche per chiese vescovili. Accanto a essa, l'imitazione dell'architettura della Corona francese nelle fondazioni di alcuni dei nuovi monarchi e l'esempio di ordini monastici che seguivano con loro fondazioni il fronte dell'evangelizzazione diffusero altre forme di edificio sacro. La c. di Breslavia, ormai ricostruzione postbellica pressoché integrale dell'edificio innalzato tra il 1244 e il 1272, segue lo schema a deambulatorio quadrangolo, qui coperto nella navata centrale da volte esapartite su membrature pensili alternate, nato nell'ambito cistercense borgognone del sec. 12° e mediato dalle abbaziali sassoni di Walkenried e Riddagshausen. Il duomo di Alba Iulia, sede del vescovado di Transilvania fondato nel sec. 12°, ha invece forme di basilica con transetto sporgente e coro originariamente quadrangolo fiancheggiato da absidi ed è coperto da crociere costolonate in sistema alternato su pesanti pilastri in semplice e nitido disegno di semicolonne e paraste quadrangole. Un inizio di costruzione interrotto dall'incursione mongola del 1241 fu completato nella seconda metà del secolo con le navate e la facciata a due torri senza nulla mutare, malgrado la presenza di un maestro Giovanni da Saint-Dié, dell'originaria impostazione tardoromanica, tipologicamente e stilisticamente legata ad abbaziali benedettine sorte in Ungheria nella prima metà del Duecento. Con ampio coro a deambulatorio semicircolare e cappelle radiali esternamente rettilinee sorgeva invece - e tale è stato ripristinato dopo la guerra - il duomo arcidiocesano di Gniezno (1374-1382), castigando nella costruzione laterizia la formula della c. francese con la totale abolizione della plastica parietale; nudi pilastri prismatici con semplici cornici d'imposta reggevano arcate a sesto acuto tagliate a doppia ghiera nel muro compatto e impostavano paraste che percorrendo lisce pareti salivano alle volte a crociera con le lunette aperte da strette finestre bifore.Intorno alla metà del Trecento, la capitale di uno di quegli stati, Praga, divenne centro dell'impero, con l'elezione, nel 1346, di Carlo IV di Boemia a re dei Romani. Grandi e fastose operazioni di committenza artistica e architettonica prepararono e accompagnarono, in un crescendo culminato nel 1355 con l'elezione imperiale a Roma, l'ascesa alla massima autorità politica d'Occidente del rampollo della dinastia dei Lussemburgo, erede per via di madre dei Přem'yslidi di Boemia. La fondazione del nuovo duomo di Praga (1344) fu tra esse la maggiore e coincise con l'elevazione ad arcidiocesi della sede praghese. A iniziare la costruzione fu chiamato da Avignone l'architetto francese Mathieu d'Arras, che la impostò e condusse, limitatamente al giro delle cappelle radiali e alle arcate del coro, secondo il disegno e le forme accademicamente irrigidite con cui la c. gotica aveva attecchito nel Meridione francese. Alla sua morte, nel 1356, la scelta cadde invece su un esponente del rinnovamento architettonico trecentesco in Germania, Peter Parler. Nel coro alto egli sciolse la meccanica ripetizione di elementi simili della zona sottostante in un vano unitario, ampio e luminoso, in cui il largo disegno delle volte a reticolo lega, in sequenza senza pause, ogni campata alla successiva e i finestroni si saldano alle emergenze delle membrature di volta tramite una struttura a doppio triforio che stonda ogni spezzatura in colata di trafori dai disegni sinuosi, giocati sull'arco inflesso e la vescica di pesce. A Peter Parler, scultore di rango non meno che architetto e figura paradigmatica del costruttore poliedrico del Tardo Medioevo, si devono l'ideazione e in gran parte la realizzazione di un programma figurativo e decorativo a contenuto celebrativo che investiva per intero la struttura del coro del duomo di Praga. Sopra il fastoso atrio a tre fornici che chiude il transetto meridionale compare il mosaico del Giudizio finale, in cui sono integrati i santi nazionali e le effigi della coppia imperiale. Il programma prosegue all'interno con cappelle sontuosamente ornate e figurate e monumenti dedicati ai patroni della Boemia e della dinastia, con i sarcofagi figurati dei re přem'yslidi nelle cappelle radiali e la serie dei busti nei trifori, rappresentanti, dopo Cristo e la Vergine, ancora i santi nazionali e dinastici, la famiglia imperiale, i primi arcivescovi di Praga, i primi architetti e amministratori del cantiere. Conclusa nel 1385 la struttura del coro, la costruzione si fermò, tranne che per la grande torre meridionale, sino al compimento contemporaneo con navate e facciata. Il monumentale torso architettonico restava anche nella sua incompiutezza a testimoniare la finale assunzione dell'architettura dei re di Francia a esponente dell'impero, ma anche il suo superamento, quando all'operazione programmaticamente arcaizzante di Mathieu d'Arras, Peter Parler imprimeva il sigillo di un'arte modernissima, ma inequivocabilmente borghese. L'epica architettonica del duomo ottoniano, salico e svevo, espressione delle aspirazioni universalistiche dell'impero, cedeva all'esaltazione dinastica, personalistica, localistica di un impero che sopravviveva abdicando a quelle aspirazioni.
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In Italia lo sviluppo tipologico della c. in epoca tardoromanica e gotica si pone come un complesso fenomeno, in certo senso anomalo, rispetto a un più generico quadro d'assieme, costituito da realtà autonome di fatto non inquadrabili sotto alcun punto di vista, sia esso icnografico, strutturale, stilistico, entro un disegno unitario o anche secondo poche prevalenti linee evolutive.L'esigenza, confermata dalle fonti, di particolare dignità e rappresentatività, l'eterogeneità dei riferimenti culturali implicati e un controllo nella maggior parte dei casi diretto e costante da parte della committenza - non necessariamente vescovile - sono all'origine della ricchezza e della differenziazione delle c. italiane che, nei secoli in esame, appaiono talvolta esorbitanti dalle coordinate geograficoculturali delle rispettive architetture regionali, nei cui termini sono state per lo più inquadrate. Oltre a riflettere il gusto di costruttori e finanziatori e a testimoniare contatti artistici ed economici con altri centri, le c. di questi secoli rappresentano, meglio di ogni altro edificio, il simbolo stesso della città e uno dei centri privilegiati della sua vita sociale e politica, dotato di tale propria, esclusiva personalità da non potere ormai costituire al tempo stesso, come nel periodo romanico, exemplum di valore normativo per le costruzioni religiose minori nella città e nel territorio da essa controllato, e da porsi come episodio urbanisticamente ed emblematicamente emergente nel tessuto cittadino, di dimensioni talvolta finanche eccessive in rapporto alla consistenza demografica e alle condizioni economiche della città, fulcro di un milieu artistico autonomo - di cui le grandi organizzazioni dei cantieri costituiscono espressione - spesso svincolato dall'indirizzo stilistico sino a quel momento prevalente nella città.Durante la seconda metà del sec. 12° si assiste nell'Italia centrosettentrionale alla ricostruzione o al completamento delle c. di molte importanti città comunali, cantieri ormai largamente influenzati dai ceti mercantili della popolazione, assurti in taluni casi a finanziatori e committenti indiretti della costruzione. Ne è chiaro esempio la c. di Piacenza, in corso di riedificazione già dal terzo decennio del secolo (Romanini, 1954), edificio a tre navate con profondo transetto, coperto con volte a crociera, ove compaiono precisi rimandi a chiese d'Oltralpe, com'è il caso del sistema di alzati culminanti in volte esapartite della navata, di diretta derivazione protogotica francese, comuni nella Champagne e nell'Ile-de-France "e altrettanto ignote, un assoluto unicum, non solo in Emilia ma in genere nell'Italia medievale" (Romanini, 1988, p. 271). Più che le fasi conclusive della c. di Parma o del corpo longitudinale di quella di Cremona, impostate nella prima metà del secolo su forme romaniche lombarde influenzate da Piacenza e Milano, interessano le novità rappresentate da edifici come la c. di Fidenza, di discussa autografia antelamica, ma certamente influenzata dal grande scultore-architetto, condotta secondo un progetto con facciata a due torri - tipologia d'origine franco-normanna - e aggiornato interno, nei canoni del Tardo Romanico lombardo, a tre navate, con sistema alternato e slanciate crociere, terminate in una seconda fase.La soluzione costituita dalle due torri in facciata caratterizza altresì alcune costruzioni della seconda metà del secolo in ambito siculo-normanno, come le c. di Palermo e Monreale, che per altri versi si iscrivono nel novero di edifici centromeridionali a impianto basilicale e copertura lignea quali si continuarono a costruire fino al Trecento. A Monreale compaiono, adattate alle possibilità offerte da una tanto differente struttura, decorazioni musive iconograficamente riferentisi a modelli bizantini, integrati e arricchiti sviluppando idee già in buona parte realizzate nella c. di Cefalù e nella Cappella Palatina a Palermo.Nel sostanziale tradizionalismo architettonico osservabile nei cantieri di buona parte delle c. protoduecentesche dell'Italia centrosettentrionale, una più coerente e diretta ripresa del modello francese di façade harmonique fu avviata con la c. di Genova, la cui costruzione venne ultimata peraltro nei secoli successivi. L'intera zona dei portali rimanda ai prototipi della Francia settentrionale, volutamente discostandosene, tuttavia, per il freno al ritmo ascensionale costituito dalla dicromia del paramento, comune all'area ligure e probabilmente mediata dalla vicina Toscana occidentale, un'influenza confermata dall'interno della stessa c. genovese, basilica a tre navate su colonne con pseudomatronei, a copertura lignea, ma con tiburio di tradizione lombarda.Uno sviluppo sintattico di forme romaniche di origine pisana e lombarda mostra anche la ricostruzione duecentesca del corpo anteriore del duomo di Lucca, a opera di maestranze per lo più comacino-ticinesi, le quali solo in opere successive introdussero forme più marcatamente gotiche, pur senza variare nella sostanza il proprio repertorio decorativo. Un'operazione per molti versi parallela, in anni appena più avanzati, veniva compiuta da maestranze ticinesi in diretto rapporto di parentela con quelle operanti a Lucca, nel duomo di S. Vigilio a Trento, proseguito attraverso il Duecento e il Trecento, la cui scultura accolse peraltro già in fasi relativamente precoci novità formali di ascendenza cistercense, ben presto standardizzate e riprodotte senza entusiasmo (Ascani, 1991b).Avvertibile in Italia settentrionale sin dalle ultime fasi di c. come Piacenza e Cremona, una prima penetrazione di forme gotiche è evidenziabile in edifici dell'Italia centromeridionale già a partire dal secondo quarto del secolo nelle parti più tarde della c. di Cosenza e contemporaneamente nella ricostruzione del duomo di Anagni, a pilastri alternati sorreggenti arconi trasversi e capriate nella navata centrale, crociere nelle laterali e nel capocroce, dove compaiono grandi capitelli a crochets; la Campagna Romana era del resto aperta in quei decenni alla colonizzazione dei monaci bianchi di Clairvaux, che, dalle grandi abbazie di Fossanova e Casamari, avrebbero improntato nei decenni successivi c. come quelle di Priverno e Sezze.Dopo la metà del secolo, e ancora nel Trecento, tali suggerimenti sarebbero stati accolti - seppure genericamente e spesso con la riserva di coperture lignee ove la tradizione lo richiedeva - da varie c. (Crema, Grosseto, Atri, il gruppo di chiese umbre ad archi-diaframma, come la c. di Gubbio) per lo più attraverso la mediazione delle chiese degli Ordini mendicanti, rapidamente innalzate nei principali centri della penisola, sensibili alle novità rappresentate in campo architettonico dalla scarna razionalità strutturale e decorativa e dalla modularità per apposizione di identici parallelepipedi, sperimentate in ambito cistercense.Gli spunti cistercensi, l'evoluzione della tradizione locale basata sulla plurisecolare compresenza di artefici lombardi, pisani e oltremontani e l'impulso dato da geniali personalità di artisti - in primis Nicola Pisano e la sua scuola - concorsero a formare, con il duomo di Siena, una delle più complesse e nobili espressioni della cultura architettonica gotica in Italia. L'imponente edificio - a tre navate, cupolato e interamente voltato su pilastri polistili - fu edificato in vari decenni con notevoli cambiamenti di progetto, tra i quali la terminazione piatta, l'innalzamento delle volte della navata e l'addizione di un vasto corpo di fabbrica, rimasto poi interrotto. Esso costituisce peraltro un episodio singolarissimo nelle soluzioni strutturali e formali, che proprio nel suo trovarsi fondamentalmente disgiunto da pregressi esperimenti (c. di Sovana, di Ruvo, abbaziale di S. Galgano), di cui pure sfrutta alcuni risultati, resta prova ed emblema di quella ricerca di originalità, architettonica ed estetica, dettata dal clima culturale e dall'orgoglio comunale, che contraddistingue in particolare le c. gotiche italiane.Tale processo sembra acuirsi proprio a fine Duecento e nel secolo successivo, quando alle principali c., soprattutto di area toscana, sarebbero andati ad associarsi, con legame talvolta indissolubile, i nomi di alcune delle più grandi personalità artistiche allora operanti: oltre a Nicola Pisano, Giovanni Pisano, Arnolfo di Cambio, Giotto, Andrea Pisano, Lorenzo Maitani. Nell'ultimo decennio del Duecento è infatti proprio nell'architettura delle c. che si gioca a distanza la personalissima opposizione tra due diverse concezioni architettoniche e modi d'intendere il Gotico: negli stessi anni Giovanni Pisano a Siena e Arnolfo di Cambio a Firenze si trovarono a innalzare le facciate - entrambe lasciate incompiute, la seconda addirittura smantellata in seguito - delle c. delle due città, offrendo due opposte soluzioni, tanto al problema delle modalità di coniugazione tra estreme forme rayonnantes e tradizione classica, quanto a quello, correlato al primo, dell'inserimento e del ruolo della scultura nel tessuto architettonico. Nell'opera di Giovanni si assiste al prevalere di stilemi a tutta prima più fedelmente ispirantisi ai modelli oltralpini, anche se interpretati con più calmo respiro, e al comparire di una statuaria violentemente espressiva, ma solo staticamente liberata dalla funzione architettonica. Arnolfo inserisce, invece, le verticalizzanti strutture degli elementi architettonici, liberamente desunti dallo stile di corte di Luigi IX di Francia (1226-1270), entro una misurata composizione a griglia culminante in "gallerie continue, ritmate per il risalto della popolazione di statue, isolate come in edicole nei punti salienti", conseguendo una "originalità e modernità prerinascimentale" (Romanini, 1969, pp. 126-128). Il progetto arnolfiano per la c. di S. Maria del Fiore è sembrato estensibile (Romanini, 1983; Toker, 1983) all'ideazione e, forse, all'avvio della costruzione del grande coro tricoro intorno a una cupola centrale che, al termine del braccio longitudinale, costituisce il motivo caratterizzante l'icnografia della costruzione. Autonomamente sviluppato dal progettista sulla base di precedenti tra loro assai disomogenei e non rientranti nella tipologia della c., tale partito non avrebbe fatto registrare, fino almeno alla metà del Quattrocento, episodi di diretta ripresa.Una facciata riccamente scolpita, solo schematicamente derivata da quella della c. di Siena, ma arricchita con un autonomo, vasto programma iconografico, venne a concludere nei primi decenni del Trecento la fabbrica della c. di Orvieto, icnograficamente e strutturalmente non dissimile da chiese mendicanti di vaste proporzioni - quali la postazione francescana fiorentina di Santa Croce, da cui si discosta purtuttavia per il diverso spirito che presiedette alla sua progettazione (Romanini, 1969) -, spaziosa struttura basilicale coperta a tetto nel corpo longitudinale, a volte nel capocroce, cui fu apposta una cappella terminale quadrangolare poi estensivamente affrescata.Interessante costruzione avviata alla fine del Duecento, ma in gran parte trecentesca, è la c. di Arezzo, derivata dalla chiesa fiorentina di S. Maria Novella e dall'aspetto originario del corpo longitudinale del duomo di Siena, ma di proporzioni relativamente più slanciate (si considerino in particolare le altissime volte delle navatelle), con sostegni a elementi semicircolari e poligonali e luminosa conclusione emiottagonale aperta da bifore a lancetta.Con il procedere del Trecento, mentre il Gotico si andava diffondendo nelle regioni della penisola per lo più modificando in senso verticalistico e con elementi archiacuti le forme tradizionali - si pensi alla c. di Asti o a chiese meridionali di età angioina quali la stessa c. di Napoli, ancora in corso di ricostruzione nel primo quarto del secolo, e il duomo di Lucera -, nuovi modelli strutturali vennero importati d'Oltralpe e furono rapidamente applicati nell'architettura gotica italiana, non senza adattamenti o trasformazioni. Si tratta principalmente della tipologia di chiesa 'a sala' o Hallenkirche, a tre navate di uguale altezza; a una simile struttura si fece ricorso per la ricostruzione del duomo di Perugia, lentamente proseguita fino al Quattrocento, concluso da abside poligonale, soluzione comune in Umbria dopo il prototipo assisiate.Nella seconda metà del secolo lo sviluppo dell'architettura in Italia settentrionale portò a complesse costruzioni con facciate 'a polittico', tipologia originata dapprima in ambito lombardo-campionese grazie anche all'influenza di scultoriarchitetti toscani come Giovanni di Balduccio e perfezionata già nella facciata della distrutta c. milanese di S. Maria Maggiore, poi impreziosita con una veste scultoreo-decorativa di gusto veneziano, com'è il caso del duomo di Mantova, anch'esso scomparso, del quale testimonianze iconografiche tramandano l'aspetto della facciata tardotrecentesca dovuta ai Dalle Masegne.A questa autoctona ma non immobile tradizione si opposero i costruttori oltremontani presenti nel cantiere del duomo di Milano (Romanini, 1964; 1973) ricostruito a partire dal 1386, fautori di un sistema costruttivo basato su presupposti teorici in netto contrasto con le tecniche progettuali e costruttive praticate in Italia (v. Cantiere). Con la nuova c. milanese, organismo a cinque navate di gigantesche dimensioni, basato in pianta su un sistema modulare ad quadratum e in alzato su un progetto ad triangulum semplificato in grandezze a rapporti aritmetici (Cadei, 1991), se da un lato il Gotico 'da c.' dell'Europa centrale trovò il suo solo compiuto sbocco a S delle Alpi, dall'altro l'arte lombarda, confrontandosi con esso, riuscì a produrre alcune tra le sue più originali creazioni, per es. nei capitelli 'a tabernacolo' (Cadei, 1969), vere e proprie edicole poligonali abitate, di grandiose proporzioni ed elegante disegno.Il gusto riccamente decorativo del tardo Trecento e l'irrefutabile predilezione per strutture architettoniche armoniosamente articolate e mai completamente scevre da echi classicistici comportarono, nell'Italia degli ultimi decenni del millennio medievale, la nascita di organismi edilizi apparentemente contraddittori. Tra questi, significativo è il caso della c. di Lucca, in cui corpo longitudinale - portico e facciata a parte - e transetto, ricostruiti a partire dal 1372 per circa un quarantennio, mostrano, in uno con avanzate forme architettoniche prerinascimentali ispirate a contemporanei edifici fiorentini (Orsanmichele e loggia della Signoria), un forte slancio verticale, euritmicamente frenato dalle membrature orizzontali e raccolto dagli arconi trasversi a pieno centro, tra alte volte a crociera estradossata, e le aperture dei matronei, costituite da doppie trifore su esili colonnine accompagnate da trafori e sormontate da oculi e fantasiosi rosoni: un approccio italiano al Gotico internazionale, foriero di profondi mutamenti. Parallela, sotto alcuni aspetti, è la contemporanea esperienza bolognese di S. Petronio. Questa grande costruzione - tempio civico, non c., a riprova peraltro dell'assenza, in periodo gotico, di una tipologia strutturale o icnografica peculiare delle chiese episcopali -, stilisticamente permeata, tramite il gusto del suo ideatore Antonio di Vincenzo, dalla c. di S. Maria del Fiore e da altri grandi cantieri trecenteschi fiorentini e al tempo stesso programmaticamente ricalcante, in alcune delle dimensioni come nel disegno delle grandi polifore, il duomo di Milano (Lorenzoni, 1983; Ascani, 1991a), costituisce di fatto, seppure impropriamente, l'ultimo episodio della storia architettonica delle c. medievali italiane, con la sua parlata ancora gotica articolata con equilibrata metrica classicistica, soprattutto nelle proporzioni e nel grandioso e pausato ritmo dei pilastri, e con la sua lunga vicenda edilizia, anacronisticamente prolungatasi nei secoli successivi e rimasta senza conclusione.
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