PALUZZI, Caterina
PALUZZI, Caterina (al secolo Francesca). – Nacque il 7 marzo 1573 a Morlupo, feudo degli Orsini, nella diocesi di Nepi, vicino Roma, secondogenita degli otto figli di Pietro e di Ortensia Giorgi, di umile condizione.
Fin da bambina iniziò ad avere visioni di Gesù e della Passione. Sentì presto il desiderio di farsi monaca, ma la povertà dei genitori non le consentì di disporre di una dote per entrare in monastero. Imparò invece a lavorare al telaio, contribuendo al sostegno economico della famiglia. Nel frattempo si sottopose a penitenze fisiche e divenne devota di s. Caterina da Siena.
Nel 1588 fu nominato arciprete di Morlupo e diventò il confessore di Francesca don Alessandro Migliacci, che era discepolo di Filippo Neri. Seguendo l’insegnamento del suo maestro, sottopose la giovane ad alcune prove per saggiare l’autenticità della sua esperienza spirituale. Nel 1590 le concesse di vestire lo scapolare di s. Domenico. Due anni più tardi, Paluzzi divenne terziaria domenicana con il nome di ‘suor Caterina di Gesù e Maria’, in onore di s. Caterina da Siena. Continuò però a vivere nella casa paterna, occupandosi dei fratelli minori dopo il decesso dei genitori.
Nel 1595 predisse la morte di Filippo Neri e in seguito raccontò di avere avuto una visione del prete in gloria nei cieli; la relazione della visione fu utilizzata nel processo di canonizzazione del fondatore degli oratoriani, in cui ella fu chiamata a deporre diversi anni più tardi (1610).
Nel 1599 Migliacci, trasferitosi a Roma, la sollecitò a soggiornare temporaneamente nel monastero delle benedettine di S. Cecilia in Trastevere, dove era confessore il fratello, don Domenico Migliacci. Sebbene le Cronache del monastero di S. Cecilia non lo riportino, gli appunti autobiografici e altre fonti dell’epoca (per esempio la Relazione di suor Cecilia del Crocifisso, in Antonazzi, 1980) riferiscono che ella rimase tre mesi nel monastero e che in seguito, ritornata a Morlupo, ebbe una visione di s. Caterina da Siena e di s. Cecilia che le indicarono il luogo esatto dove, nell’ottobre del medesimo anno, il cardinale Paolo Sfondrati ritrovò la salma incorrotta della stessa s. Cecilia, martire del III secolo d.C.
Nel 1600 soggiornò di nuovo nei pressi di S. Cecilia in Trastevere, in una casa messa a sua disposizione da Sfondrati, il quale le assegnò un vitalizio. Conobbe anche il carmelitano Pietro della Madre di Dio che la fece avvicinare alla spiritualità di Teresa d’Avila. Inoltre fu inserita in una rete di contatti importanti, e la sua fama di mistica attirò l’attenzione di vari aristocratici romani (Baglioni-Orsini, Boncompagni, Cesi, Crescenzi, Gottardi-Altieri, Mattei, Orsini-Borghese).
Nel 1602, insieme a quattro compagne – la sorella Settimia, la cognata, una zia e una cugina – iniziò a condurre vita comune nella casa paterna di Morlupo, seguendo la regola del Terz’ordine di s. Domenico e dedicandosi alla preghiera e al lavoro di filatura e tessitura. Continuò tuttavia a recarsi a Roma quasi una volta all’anno, per ‘fare’ la Scala Santa e la visita alle sette chiese, e mantenne contatti con la nobiltà romana. A Morlupo, però, alcuni «La trattavano da hipocrita, e che con fintione di virtù si andasse procurando il concetto di Santa, per potere in tal guisa ottenere buone limosine […] Né lasciavano di tacciare i suoi così spessi viaggi. Che non conveniva in nessun modo, che andasse tanto girando una giovane donna» (Filippo Maria di S. Paolo, 1667, p. 302).
Per atto di obbedienza a don Migliacci e a Pietro della Madre di Dio, Paluzzi iniziò a scrivere una relazione della propria esperienza mistica ed estatica, inserendovi anche alcune informazioni autobiografiche che giungono fino al 1608 (tale testo, comunemente noto come Autobiografia è edito in Sebastiano Nanni da Morlupo, 1971 e Antonazzi, 1980).
Nel 1610 l’arcivescovo di Milano, Federico Borromeo, giunto a Roma per la canonizzazione dello zio Carlo, la volle incontrare. Tornato a Milano, il prelato avviò con Caterina un rapporto di corrispondenza epistolare dai toni confidenziali e pieni di stima (le lettere di Borromeo a Paluzzi sono state pubblicate in Gabrieli, 1935 e Antonazzi, 1980).
Sostenuta economicamente da Sfondrati, da Borromeo e da altre facoltose famiglie romane, Caterina tentò di dare una sede migliore alla sua piccola comunità di terziarie. Nel corso del tempo acquistò a Morlupo una serie di fabbricati con l’obiettivo di fondare un monastero di stretta clausura, nonostante l’opposizione del feudatario locale Antimo Orsini. Probabilmente, un primo motivo dell’ostilità di quest’ultimo fu la convinzione che l’idea di Paluzzi fosse «una chimera messasi in testa» da una testarda, che perciò venne soprannominata «la caputa» (Antonazzi, 1980, p. 114).
Oberato dai debiti, Orsini vendette nel 1613 il feudo alla famiglia Borghese. Rimosso il principale ostacolo alla fondazione del monastero, rimasero le difficoltà finanziarie, nonostante il sostegno degli aristocratici romani. Superati anche gli impedimenti economici, il 28 febbraio 1620 papa Paolo V Borghese concesse l’autorizzazione a fondare a Morlupo un monastero di domenicane di clausura, con il breve In supremo militantis Ecclesiae. Il chiostro fu intitolato a s. Caterina da Siena. L’anno seguente, Paluzzi vi emise la professione religiosa solenne, imitata dalle compagne che nel frattempo erano aumentate. Fu subito eletta priora. La carica, che era triennale, le fu riconfermata a vita con il permesso di Roma. Trascorse i suoi successivi 25 anni di vita nel monastero, tra preghiera, lavoro e visioni soprannaturali.
Morì il 19 ottobre 1645, e fu sepolta nella chiesa monastica.
Su desiderio del marchese Francesco Crescenzi, il chirurgo Marco Antonio Albani estrasse il cuore dal cadavere: il muscolo apparve segnato da due ferite a forma di lancia e punteruolo […]. Inoltre, alle mani e ai piedi «furono visti li lividi, et segni delte [sic] Sante Stimmate» (Relazione di suorAnna Galli, citata in Antonazzi, 1980, p. 121). Nel 1646 fu aperta la causa di canonizzazione di Paluzzi per opera del vescovo diocesano Savo Mellini; tuttavia il processo si arenò. Un secondo tentativo venne operato nel 1671 dal carmelitano Filippo Maria di S. Paolo, primo biografo di Caterina, ma anche questo non ebbe successo. La causa fu riaperta a metà del XIX secolo e di nuovo non proseguì. Venne ripresa nel 1912 e si arrestò ancora. Nel 1921 il vescovo diocesano, monsignor Luigi Maria Olivares effettuò la ricognizione del corpo della mistica e lo fece collocare in una sepoltura più visibile, sempre nella chiesa del monastero.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Segreteria dei Brevi, vol. 852, cc. 433r-437v; Filippo Maria di S. Paolo, Vita e virtù della Venerabile Serva di Dio la Madre Sor C. Paluzzi…, Roma 1667; Suor Angela Anastasia Tosi, Compendio della vita, virtù e miracoli della Ven. Madre Suor C. P., fondatrice del monastero di Morlupo…, Roma 1731; V. Nardelli, La Ven. Serva di Dio Suor C. P. Domenicana, Firenze 1909; G. Gabrieli, Lettere di Federico Borromeo alla domenicana suor C. P., in Memorie domenicane, LII (1935), Pistoia 1935, pp. 3-33; G. Incisa della Rocchetta - N. Vian, Il primo processo per san Filippo Neri: nel Codice vaticano latino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, Città del Vaticano 1960, ad ind.; Appunti autobiografici della Ven. C. P., fondatrice delle domenicane in Morlupo, a cura di Sebastiano Nanni da Morlupo, Marino 1971; G. Antonazzi, C. P. e la sua autobiografia (1573-1645), in Archivio italiano per la Storia della Pietà, VIII (1980); A. De Clementi, Una mistica contadina: C. P. di Morlupo, in Memoria. Rivista di storia delle donne, 1982, n. 5, pp. 23-33; C. Cargnoni - A. Gentili - M. Regazzoni - P. Zovatto, Storia della spiritualità italiana, Roma 2002, ad ind.; A. Lirosi, Il corpo di s. Cecilia (III-XVII sec.), in Mélanges de l’École Française de Rome, MEFRIM (2010), vol. 122, 1, pp. 18 s.; R. Fresu, Varietà linguistiche e modelli testuali dell’autobiografia religiosa femminile in età moderna: il caso di C. P. (1573-1645), in Lingue e testi delle riforme cattoliche in Europa e nelle Americhe (secc. XVI-XXI), a cura di R. Librandi, Firenze, in corso di stampa.