Catene
(Italia 1949, 1950, bianco e nero, 86m); regia: Raffaello Matarazzo; produzione: Labor/Titanus; soggetto: Libero Bovio, Gaspare Di Majo; sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Nicola Manzari; fotografia: Mario Montuori; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Ottavio Scotti; musica: Gino Campese.
La tranquilla vita di Guglielmo, gestore di un'officina a Napoli, e di sua moglie Rosa, allietata dalla nascita di due figli, è turbata dall'arrivo in città di Emilio. Questi tenta di riprendere la sua passata relazione con la donna, che però rifiuta, e nel tentativo di starle vicino propone a Guglielmo di trattare insieme alcuni affari. L'aggancio non va in porto, ma l'uomo cerca ancora di sedurre Rosa ricattandola e minacciando di svelare i loro trascorsi al marito. Fermamente convinta a non riprendere quella relazione, Rosa va da Emilio per dirgli che deve sparire per sempre dalla sua vita, ma un figlio avverte Guglielmo, che si reca a sua volta all'appuntamento pensando si tratti di un convegno amoroso. L'incontro tra i due uomini si conclude tragicamente: Guglielmo, accecato dalla gelosia, uccide Emilio in una colluttazione e fugge, maledicendo la moglie. Trova rifugio in America ma poi, su consiglio dell'avvocato, ritorna e si sottopone a un processo. Rosa, per aiutarlo, dichiara ai giudici di aver consumato il tradimento: in questo modo l'omicidio rientra nel 'delitto d'onore' e Guglielmo esce di prigione, intenzionato però a non aver più niente a che fare con la moglie. Rosa medita il suicidio ma Guglielmo, finalmente informato di quanto è veramente avvenuto, si precipita a chiederle perdono poco prima che avvenga la tragedia.
Lo straordinario successo commerciale di Catene fu considerato all'epoca l'atto di morte dell'esperienza neorealista e l'avvio di una nuova fase del cinema italiano, più attenta al mercato e meno interessata al dramma della guerra e ai problemi della ricostruzione. In particolare la rivista "Cinema nuovo", diretta da Guido Aristarco e punto di riferimento per la critica marxista dell'epoca, attaccò duramente il film e il suo autore accusandolo di fotografare un'Italia normalizzata, che tende a ripiegarsi su sé stessa e a collocare i drammi in una dimensione privata, senza pensare a una possibile forma di lotta collettiva e di classe. Ma il 'caso Matarazzo' era destinato a essere più volte riaperto. Negli anni Settanta, una rassegna circolante nei cineclub e promossa da alcuni giovani critici (Tatti Sanguineti, Alberto Farassino, Aldo Grasso, Carlo Freccero, Sergio Germani, Adriano Aprà…) contrappose Catene e gli altri melodrammi matarazziani interpretati dalla coppia Amedeo Nazzari ‒ Yvonne Sanson alla piattezza di molti film di impegno civile dell'epoca, incapaci di raggiungere l'intensità e l'impianto fascinatorio proprio del cinema di Raffaello Matarazzo. Si aprì una dura polemica che avrebbe attraversato a lungo convegni, incontri, pubblicazioni. E nel 1989 Alberto Farassino concluderà proprio con Catene un'importante retrospettiva dedicata al neorealismo, tracciando un provocatorio parallelo tra due film nazional-popolari quali Riso amaro e lo stesso Catene e riaprendo un dibattito sulla grande e misconosciuta stagione del cinema popolare italiano.
Di quella stagione, infatti, Catene fu uno dei momenti più importanti. Non soltanto per il successo commerciale (700 milioni all'epoca) o per le aprioristiche stroncature della critica impegnata (che giunse anche ad accusare di essere 'cattolico conservatore' un film che fu duramente sconsigliato dal Centro Cattolico Cinematografico). Ma soprattutto perché riesce a fondere insieme l'estetica del neorealismo (il film, girato in esterni, descrive comunque il mondo dove la gente lavora per vivere) con la grande tradizione del melodramma italiano, contaminando questo con il realismo delle ambientazioni e uscendo da soggetti che fino a quel momento erano tratti più dalla librettistica d'opera (e infatti fino a quel momento i film operistici erano stati tra i massimi successi commerciali) che dalla vita quotidiana. Questo incontro è anche visualizzato dallo star system che riesce a imporre. Amedeo Nazzari, che era l'attore italiano più famoso insieme a De Sica (al punto da aver interpretato se stesso in Apparizione di Jean de Limur, 1943), fa coppia con una bella ma semisconosciuta attrice greca che fino a quel momento aveva interpretato piccoli ruoli, mentre il ruolo del cattivo tocca ad Aldo Nicodemi, il cui ingresso nel mondo del cinema sembra la parodia del mito dell'attore preso dalla strada proprio del neorealismo (fu scelto da Riccardo Freda per il cast dei Miserabili nel 1947 in sostituzione di Rossano Brazzi, dopo che il regista lo aveva notato mentre attendeva il suo turno fuori da una casa di tolleranza). La coppia Nazzari-Sanson costituì a lungo uno dei massimi richiami commerciali per il cinema italiano e al tempo stesso seppe affrontare con intelligenza il rischio del ridicolo che esce prepotente quando un film è fortemente codificato: Yvonne Sanson propose una parodia di Catene già in L'inafferrabile 12 di Mario Mattoli uscito nello stesso anno, Nazzari ironizzò sul suo ruolo di maschio italiano in Il gaucho di Dino Risi, nel 1964. Dal canto suo, Matarazzo propone una regia fiammeggiante e accuratissima, tutta giocata sui chiaroscuri, con il bianco che rappresenta l'innocenza mentre il nero simboleggia peccato e corruzione.
Interpreti e personaggi: Amedeo Nazzari (Guglielmo), Yvonne Sanson (Rosa), Aldo Nicodemi (Emilio), Roberto Murolo (un emigrante), Aldo Silvani (avvocato della difesa), Teresa Franchini (Anna), Nino Marchesini (avvocato dell'accusa), Rosalia Randazzo (Angela), Gianfranco Magalotti (Tonino), Amalia Pellegrini, Giulio Tommasini, Lilly Marchi.
A. Aprà, C. Carabba, Neorealismo d'appendice. Per un dibattito sul cinema popolare: il caso Matarazzo, Rimini-Firenze 1976.
L. Codelli, Vivan las cadenas (notes sur 'Catene' di Raffaello Matarazzo), in "Positif", n. 183-184, juillet-août 1976.
L'avventurosa storia del cinema italiano, 1° vol., a cura di F. Faldini, G. Fofi, Milano 1979.
T. Mora, Il melodramma di Matarazzo: meccanismi di funzionamento, in "Filmcritica", n. 312, febbraio 1981.
Appassionatamente. Il mélo nel cinema italiano, a cura di O. Caldiron, S. Della Casa, Torino 1999.