CRISTIANI (de Christianis), Catelano
Figlio del notaio e giurisperito Franceschino di Tedisio, nacque con molta probabilità a Pavia intorno al 1350, o poco dopo.
La famiglia Cristiani, che nel 1399 è registrata come guelfa "pro maiori parte", era molto antica, e almeno il ramo principale doveva risiedere in città da diverso tempo, in quanto alcuni dei Cristiani sono ricordati già nel sec. XI I come facenti parte del gruppo di governo di Pavia.
Gli antenati dei C. godevano del merum et mixtum imperium, della potestas gladii e della omnimodaiurisdictio sui castelli di Nebiolo, Sant'Antonino, Zenelcino, Torrazza Coste e Torre del Monte nel territorio pavese. I beni e i diritti di Nebiolo furono divisi in quattro parti il 16 dic. 1339 da Franceschino, padre del C., e dal fratello Cristiano, e venduti ai parenti Castellino fu Manfredo, Giovanni e Manfredo fu Riccardo, tutti di Nebiolo; Castellino fu Guizardo, Antonello, Bernardo e Guicciardino fu Tebaldo, tutti di Sant'Antonino. Cristiano e Franceschino si trasferirono allora a Pavia, dove risultano abitare nel 1340, in una casa sita a Porta Lodi, nella parrocchia di S. Maria Venetica. Come si è detto, Franceschino esercitò la professione di notaio e giurisperito ed in tale qualità fu affiancato, nel 1349, a Bruzio, figlio naturale di Luchino Visconti, impegnato nell'assedio di Genova. Il C. aveva due fratelli ed una sorella: Antonio, dottore utriusque iuris, giudice dei malefizi e giudice dei dazi a Milano nel 1393, sottoposto a sindacato nel 1395, poi vicario generale di Filippo Maria Visconti; Giacomo, lui pure notaio, giudice delle bollette a Milano nel 1392. morto nel 1430 e sepolto in S. Francesco di Pavia, ed Agostina, andata sposa a Giovanni "de Medicis" fu Ottino, intorno al 1371.
Le professioni di notaio e giurisperito erano, come accadeva spesso, tradizionali nella famiglia e il C. si iscrisse nel 1376 al Collegio dei notai pavesi; non si hanno però notizie circa gli studi da lui compiuti, anche se il Romano (Regesto, p. 16) afferma abbia frequentato l'università di Pavia, e lo si trovi nel 1404 nominato tra i legum doctores dello Studium che furono inviati quali ambasciatori del Comune alla duchessa di Milano per ottenere la riduzione delle imposte. Residente a Pavia, nel quartiere di Porta S. Pietro ad murum, nella parrocchia di S. Maria Venetica, il C. fu molto impegnato dal punto di vista professionale: anche se i documenti che ci sono rimasti a testimonianza della sua attività presentano lacune dovute alle note vicende degli archivi pavesi e milanesi, essi consentono egualmente di delinearne la figura e la personalità che appaiono tipiche espressioni del suo tempo. Secondo il Romano, che pubblicò alla fine dell'Ottocento i regesti degli atti politici rogati dal C., questi non avrebbe cominciato a lavorare prima del 1388; in realtà il primo atto rimastoci è una ricevuta di affitto e risale al 1382, mentre nel secondo, del 1383, il C. figura quale procuratore del suo cliente, ed il terzo è un testamento (incompleto), del 1384, dettato da jacopo "de Astherio". Come ogni professionista di larga rinomanza, il C. trattò ogni genere di affari e le sue imbreviature ne sono una testimonianza, specchio al tempo stesso della società pavese del sec. XV.
Ancora più interessante è però la sua attività quale notaio al servizio dei Visconti. Pare sia entrato nella vita pubblica, anche se in maniera indiretta. nel 1385, quando, al seguito di Franceschino "de Caymis", prese parte ad una missione inviata da Gian Galeazzo Visconti al condottiero Giovanni Hawkwood per riceverne il giuramento di fedeltà. Il C. si qualificava in quegli anni "Papiensis publicus apostolica et imperiali auctoritate notarius". Sempre nel 1385 sottoscrisse un atto con la definitiva soluzione della vertenza tra Piacenza, Pavia e Bobbio, relativa all'esercizio della giurisdizione sulle località di Caminata (Piacenza), Ruino (Pavia), Zavattarello (Pavia), Tribecco e Romagnese (Pavia). Nel 1386 fu uno dei Dodici di provvisione di Pavia e nel 1387 entrò infine al servizio diretto di Gian Galeazzo Visconti (che si era appena impadronito del dominio tenuto dallo zio Bernabò) come risulta dall'atto contenente il giuramento di fedeltà di Asti al nuovo signore, e da lui rogato, pur continuando a partecipare in modo attivo alla vita politica della sua città. Si sottoscriveva, a quel tempo, "notarius ill. principis ac magnifici et excelsi d. Johannis Galeaz Vicecomitis". Sedette per più anni nel Consiglio cittadino e fece parte dell'Officio dei sindacatori e della commissione che rivide, nel 1391 e nel 1393, gli statuti cittadini, il cui testo recò egli stesso al suo signore (1393; Maiocchi, C. C. notaio, pp. 19 s., ma la pergamena n. 216 dell'Archivio storico civico pavese da lui citata è oggi mancante). Fece parte del gruppo dei notabili pavesi che offrirono, nel 1389, il dono augurale della città al neonato figlio primogenito del Visconti, Giovanni Maria. Ben documentata è anche la sua attività arbitrale in numerose controversie (Arch. di Stato di Pavia, filza cit., passim).
Il 1° ott. 1392 il C. chiese la cittadinanza milanese per sé e per i fratelli e l'ottenne il 4 genn. 1391, con tutti i privilegi che vi erano connessi. Suo scopo era di iscriversi al Collegio dei notai di Milano, ma nei codici contenenti le matricole, che ci sono rimasti, il suo nome non figura (Arch. di Stato di Milano, Matricole, nn. 5, 6, 34). In data 26 maggio 1399 esiste un codicillo al testamento di Gian Galeazzo, a rogito del Cristiani.
Con la morte del Visconti (1402), pare sia cominciato per il C. un periodo piuttosto difficile: i castelli della famiglia furono danneggiati dalle truppe di Facino Cane e di Lancellotto Beccaria e vennero riattati solo l'anno seguente (1403)., contravvenendo peraltro alle disposizioni ducali in materia. Il C. fu anche scomunicato dal vescovo di Pavia per aver fatto costruire, senza autorizzazione, un muro presso una casa di sua proprietà sita vicino alla chiesa di S. Giorgio de' Catassi, e fu assolto solo l'anno seguente.
Quali siano state le vicende che turbarono la sua esistenza in quel periodo, ciò che appare certo, almeno allo stato attuale delle ricerche, è che egli si sia ritirato dal servizio ducale per circa un decennio. Èben nota, del resto, la crisi che colpì il dominio visconteo durante il governo di Giovanni Maria (1402-1412), quando la maggior parte delle città soggette, e Pavia tra le prime, tentò di riconquistare la propria autonomia.
Distaccatosi da Milano, il C. continuò a prestare la sua opera negli offici pavesi. Con l'avvento al ducato di Filippo Maria Visconti, il 16 giugno 1412, egli rientrò al servizio del principe come testimonia un atto del 20 dello stesso mese, che contiene. il giuramento di fedeltà del vicario e dei Dodici di provvisione del Comune di Milano al nuovo signore. Ebbe quindi funzioni di segretario e di notaio di corte, con lo stipendio mensile di 20 fiorini d'oro; il 7 luglio fu autorizzato a rogare per tutte le città del dominio. Gli fu concessa inoltre l'esenzione da tasse e tributi di ogni genere. È certo che fu anche prestatore - se occasionale o meno non è dato sapere - di Filippo Maria, il quale, per rimborsarlo di un prestito di millecentoundici fiorini fatto alla Camera ducale, gli assegnò, secondo l'usanta, il godimento di alcuni dazi di non scarsi introiti con l'autorizzazione a cederli, o a darli a sua volta in affitto; e il C. li locò subito per L. 150 mensili.
Il 10 ag. 1415 fu esentato dal pagamento delle tasse, esenzione concessa a coloro che avevano famiglia numerosa. Dai due matrimoni con Clarina Fornari e con Giacomina de Ferraris, aveva avuto almeno dodici figli: Marietta, Giovanna, Palmina, Giovanni, Antonio, Francesco, Michele, Luigi, Tedisio, Nicola, Isolda e Tomaino. Con suppliche reiterate al signore, il C., la cui eloquenza pare fosse famosa, riuscì a sottrarsi anche in seguito al pagamento di tasse e taglie, ordinarie e straordinarie, imposte dal duca, segno questo che godeva a corte di una posizione di prestigio. Ottenne, infatti, da Filippo Maria, nel 1417. il porto della Napola sul Po, con il reddito annuo di 120 fiorini d'oro, confermato poi al figlio da Francesco Sforza.
Dalle sue imbreviature risulta che a Pavia il C. abitò e lavorò sempre nella casa nella parrocchia di S. Maria Venetica, mentre non pare che a Milano abbia avuto una dimora di sua proprietà. Se gli atti pubblici sono infatti rogati nel castello di Porta Giovia (come a Pavia nel castello visconteo), quelli privati appaiono stesi o, come nell'uso, nell'abitazione del cliente, oppure spesso "in domo habitationis d. Christophori de Vedano", situata a Porta Comacina, nella parrocchia di S. Marcellino.
Dei figli, Franceschino studiò nell'università di Pavia e divenne, come il padre, giurisperito e notaio, e così pure Tedisio, mentre Giovanni abbracciò la carriera delle armi e fu poi castellano di Melegnano. A lui Francesco Sforza affidò nel 1454 l'incarico di recuperare i rogiti del padre, relativi agli atti pubblici, proibendogli al tempo stesso di dame copia, o notizia, a chicchessia: sono noti infatti i gravi problemi ai quali andò incontro lo Sforza, privato degli archivi del dominio a causa dei disordini seguiti alla morte di Filippo Maria, per prendere nelle proprie mani le fila della situazione politica intema ed estema. Delle figlie del C., Marietta sposò Battista "de Godonaxio" ed ebbe duecento fiorini di dote; Giovanna sposò Cavalchello "de Curte", ed ebbe, oltre alla dote, cento lire di imperiali; Palmina, entrò nel monastero delle clarisse di Pavia, con 25 fiorini di dote.
Il 5 giugno 1433 il C. fece testamento. Doveva essere ultraottantenne, ma ancora l'anno prima era intervenuto quale procuratore del Comune di Pavia nel sindacato del podestà Grimaldi. Nel testamento, egli stabilì di essere sepolto nella chiesa di S. Maria Venetica, nella cappella di S. Silvestro da lui fatta erigere agli inizi del 1400 (forse al tempo della scomunica) e provvide per i suffragi, tanto "pro anima sua", quanto per quelle dei genitori, mogli e parenti tutti, compreso il notaio Tomaino Mangano dal quale aveva ereditato cospicui beni. Tali suffragi consistevano in distribuzioni di pane e frumento ai poveri e in celebrazioni di messe ed annuari nella quindicina precedente il giorno dedicato ai defunti. Il 3 ag. 1433 doveva essere già morto, in quanto i figli divisero in quella data l'eredità paterna.
Dall'atto di divisione dei beni e dei diritti risultano le proprietà che il C., abilissimo uomo d'affari ed amministratore delle proprie sostanze, aveva accumulato nella sua lunga vita, delle quali, peraltro, si rinvengono tracce consistenti lungo tutta la documentazione rimastaci della sua attività. Si trattava di otto case e di due botteghe in proprietà e dei fitti di altri cinque immobili a Pavia; di terreni con fabbricati rurali e colture varie in città (uno di essi era stato ceduto al Visconti per ampliare il parco del castello) e nelle campagne circostanti, od in altre località come in Turrisde Mangano (probabile eredità del notaio omonimo); nel Siccomario; a Casteggio, tanto nel borgo quanto nel castello e nel territorio circostante; a Robecco, a Chignolo (dote della seconda moglie), a Castel Lambro, nel Vogherese, in Valtelfina, ed ancora a Nebiolo dove aveva ricomperato parte dei beni venduti dal padre.
Se le notizie che si possono ricavare dalla documentazione esistente circa la vita dei C. mostrano in lui, come si è detto, un tipico esempio di quel ceto notarile che tanta parte ebbe nella vita politica ed economica delle città italiane nel Medioevo, e al tempo stesso documentano la formazione di un'aristocrazia urbana che basa le proprie ricchezze tanto sulla rendita fondiaria quanto sulla partecipazione agli offici di governo nell'ambito dei nascenti Stati regionali, gli atti pubblici da lui rogati, che coprono un arco di tempo dal 1385 al 1430 circa, sono importanti per la storia del dominio visconteo, ed in quanto tali almeno in parte utilizzati dagli storici. I suoi rogiti, alleanze, tregue, procure, giuramenti di fedeltà delle Comunità soggette, infeudazioni e donazioni a fedeli dei principe, costituiscono un prezioso patrimonio in grado di fornire dati dai quali risultano, oltre agli avvenimenti veri e propri di quel periodo, i modi dell'esercizio del potere attuati dai signori di Milano per mantenere il consenso di quel gruppo di governo che aveva visto, da sempre, nei Visconti l'espressione più valida dei propri interessi e delle proprie aspirazioni.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pavia, Fondo notarile, filza n. 4; Ibid., Fondo Università, registro n. 16; Pavia, Archivio storico civico, Fondo archivistico comunale, Pergamene Brambilla, n. 9; Ibid., Pergamene comunali, n. 242 (ex 215); Ibid., Legato Carlo Marozzi, schede non ordinate cronologicamente, n. 432 dell'inventario delle famiglie nobili pavesi; Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Matricole, Matricole notai 1337-1510, cartt. 5, 6, 34; Ibid., Fondo di religione, Pergamene per fondi, Pavia, cart. 673; G. Romano, La cartella di C. C. nell'Arch. notarile di Pavia, in Arch. stor. lomb., XVI (1889), pp. 679-687 (con i regesti dei soli atti pubblici); Id., Nuovidocum. viscontei tratti dall'arch. notarile di Pavia, ibid., pp. 297-339; Id., Regesto degli atti notarili di C. C. dal 1391 al 1399, ibid., XXI(1894), 2, pp. 5-330; Id., Contributi alla storia della ricostit. del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti (1412-1421), ibid., XXIII (1896), 2, pp. 231-90; XXIV (1897), 1, pp. 67-149; L. C. Bollea, Documenti degli archivi di Pavia relativi alla storia di Voghera, Pavia 1909, pp. 15, 16, 29, 44, 205, 232; R. Maiocchi, Codice diplom. dell'università di Pavia, Pavia 1913, II, 1, pp. 119, 341, 428; I registri viscontei, a cura di C. Manaresi, Milano 1915, pp. XXII s., XXXV; I registri dell'Ufficio di provvisione e dell'Ufficio dei sindaci sotto la domin. viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929-1932, I, pp. 146, 174, 193, 195, 208, 248, 260; II, p. 240; F. Milani-X. Toscani, Regesto degli atti dei secc. X-XIII della Biblioteca Civica "Bonetta", Pavia 1974, pp. 41 s., 45, 51, 59; G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1823-1838, IV, 2, p. 175; R. Maiocchi, C. C. notaio visconteo. Ricerche biografiche, Pavia 1900; M. L. Chiappa Mauri, La diocesi pavese nel primo ventennio dei secolo XIV, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria, LXXII-LXXIII (1972 1973), pp. 96, 106 s.; Id., Una "impositio blave" del 1259 in Lomellina, in Acme, XXVIII (1975), pp. 167, 169; P. Vaccari, Pavia nell'alto Medioevo e nell'età comunale. Profilo stor., Pavia 1956, pp. 56, 64, 81.