CATALISI
. Col nome ói catalizzatori s'indicano certe sostanze capaci di modificare (per solito di aumentare) le velocità di determinate reazioni chimiche, pur restando alla fine inalterate. Si tratta di sostanze che agiscono in quantità minime e talora accelerano le reazioni le quali da sole procederebbero con tale lentezza da essere impercettibili, cosicché può sembrare che il catalizzatore sia la causa necessaria delle reazioni stesse. Il fenomeno prende il nome di catàlisi e l'azione dei catalizzatori si dice anche di presenza o di contatto. Però qualsiasi definizione dei fenomeni catalitici include in sé una opinione sul meccanismo intimo della catalisi che è ancora ben lungi dall'essere chiarito.
L'importanza dei fenomeni catalitici nella chimica generale, nelle applicazioni pratiche e nella biologia è addirittura enorme. Il materiale sperimentale raccolto è ingente, le conoscenze teoriche sul fenomeno relativamente esigue.
Può dirsi che la conoscenza empirica di vari fenomeni catalitici risale alla più remota antichità, se fra questi includiamo anche le fermentazioni. Nei primi decennî del secolo scorso furono scoperti, con vere e proprie ricerche scientifiche, parecchi fenomeni di carattere catalitico. Al Berzelius spetta il merito d'avere raggruppato questi risultati, mostrandone il nesso e l'importanza, in una delle sue relazioni annuali all'Accademia delle scienze di Svezia, sui progressi delle scienze fisiche (1836). La pubblicazione del Berzelius diede impulso ad altre ricerche e cominciarono a comparire i primi tentativi di spiegazione Nel 1850, per opera specialmente del Wilhelmy, s'iniziò uno studio regolare e sistematico sul decorso dei processi catalitici in base al concetto di velocità di reazione. Si venne così negli ultimi decennî del secolo scorso alle classiche ricerche di Arrhenius, di Ostwald, di Bredig e di altri che studiarono a fondo la dinamica dei processi catalitici e cercarono di precisarne il campo, indipendentemente dalle supposizioni sul meccanismo intimo del fenomeno. Tale tentativo non riuscì completamente; tuttavia le ricerche predette rappresentano una tappa imporntante.
Solo negli ultimi tempi la teoria di questi fenomeni ha fatto notevoli progressi fruendo delle nuove concezioni cinetico-statistiche e fotochimiche dei fenomeni chimici: si è potuto così stabilire una distinzione ben netta fra le vane cause d'accelerazione dei processi chimici dovute ad agenti diversi. Infine, indipendentemente o quasi dagli studî teorici, in questi ultimi decennî si sono moltiplicate le applicazioni della catalisi a numerosissimi processi industriali, alcuni dei quali di fondamentale importanza.
Prime ricerche sulla catalisi. - Sui fenomeni di tipo catalitico anteriori a quelli che richiamarono l'attenzione di Berzelius è inutile soffermarci. È noto oggi che le fermentazioni si devono a speciali catalizzatori organici detti enzimi; ma di queste fermentazioni si avevano solo nozioni del tutto empiriche. Tuttavia nel campo delle azioni enzimatiche va ricordata l'opera dello Spallanzani che nel 1785, con le sue ricerche sulla digestione (fenomeno che egli poté riprodurre in vitro), riuscì a coglierne con sagacia alcune caratteristiche.
I principali fatti richiamati e collegati dal Berzelius (1835) sono i seguenti. Anzitutto nel 1794 Fulhame aveva dimostrato che per provocare certe reazioni era necessaria l'aggiunta di tracce d'acqua, cosicché egli aveva supposto si verificassero reazioni intermedie fra i reagenti e l'acqua. Nel 1806 Clément e Desormes avevano studiato l'ossidazione dell'anidride solforosa mediante l'ossido d'azoto tentando di spiegarla in base a processi ciclici imperniati sulla formazione d'un composto intermedio: il solfato di nitrosile. Nel 1812 Kirchhoff aveva scoperto la trasformazione dell'amido in destrine e zuccheri in presenza di piccole quantità di acido cloridrico che rimanevano inalterate. Nel 1818 Thénard si era occupato della decomposizione catalitica dell'acqua ossigenata per opera di piccole quantità di certe sostanze: è questa una delle più tipiche azioni catalitiche presa poi come punto di partenza di numerose indagini teoriche. Il Davy nel 1817 aveva trovato che il platino in fili facilita la reazione del metano e di altre sostanze combustibili con l'ossigeno, e Dobereiner nel 1822 aveva scoperto che il platino suddiviso provoca, anche a freddo, la combustione dell'idrogeno e del gas illuminante. Nel 1834 comparvero le notevoli ricerche di Mitscherlich sull'azione dell'acido solforico nella formazione dell'etere etilico, azione della quale egli non poté dare spiegazione alcuna.
Tutti questi fenomeni avevano in comune il carattere che le sostanze che provocano le reazioni restano inalterate. Ma Berzelius mise inoltre in evidenza con molta acutezza che, nelle esperienze di Mitscherlich, le condizioni sperimentali potevano essere scelte in modo che, aggiungendo alcool all'acido solforico, si ottenesse lo sviluppo contemporaneo di etere e d'acqua allo stato di vapori. Ciò indica chiaramente che l'azione dell'acido solforico non può essere dovuta alla sua affinità per l'acqua; e perciò Berzelius conchiuse dicendo che l'azione dell'acido solforico e quella degli altri corpi nel facilitare le reazioni devono attribuirsi a una nuova forza che chiamò catalitica senza fare su di essa alcuna speciale ipotesi, ma dichiarando di non ritenerla essenzialmente diversa dalle affinità elettrochimiche della materia. Dette infine il nome di catalisi all'azione derivante dalla foma catalitica. Con ciò intendeva richiamare l'attenzione dei chimici su importanti fenomeni che secondo lui dovevano essere considerati da un unico punto di vista.
Il Liebig si oppose al concetto di forza catalitica introdotto dal Berzelius denunziandolo come altrettanto erroneo di quello di forza vitale: secondo Liebig il compiersi di tali fenomeni si doveva a moti vibratorî molecolari trasmessi dal catalizzatore ai reagenti.
Una prima classificazione dei fenomeni catalitici si può fare esaminando se il complesso dei reagenti e del catalizzatore forma o no un sistema omogeneo. Nel primo caso si parla di catalisi omogenea e nel secondo di catalisi eterogenea. Fra le ricerche più importanti della prima metà del secolo scorso sulla catalisi ricordiamo quelle di Faraday che s'occupò specialmente della catalisi eterogenea studiando l'influenza dei metalli e di altre sostanze solide nel provocare combinazioni tra sostanze gassose. In base a tali ricerche, iniziate nel 1833, per precisare l'utilizzazione del voltametro a gas tonante nella misura delle quantità di elettricità, Faraday diede un'interpretazione fisica dei fenomeni catalitici da lui studiati. Egli riguardò il catalizzatore come una sostanza capace di produrre sulla sua supetficie una condensazione dei reagenti, ciò che faciliterebbe la combinazione. A tale ipotesi fu fatto l'appunto che in simili casi si sarebbe dovuto ottenere lo stesso effetto con forti pressioni, ciò che molte volte non avveniva, cosicché nacque il dubbio che non si trattasse d'un fenomeno esclusivamente fisico.
D'altra parte nello studio della catalisi omogenea la spiegazione più plausibile si aveva nell'ipotesi che si formassero composti intermedî dotati di maggiore reattività. Tale interpretazione era stata data fin dal 1794 da Fulhame, come si è detto; poi venne esplicitamente formulata da Clément e Désormes e provata da Williamson (1854), che riprendendo in esame il caso studiato da Mitscherlich, dimostrò in modo sicuro la formazione d'un composto intermedio: l'acido etilsolforico. In seguito si poté dimostrare la formazione di composti intermedî anche in qualche caso di catalisi eterogenea.
Catalisi ed equilibrio chimico. - Con le ricerche del Wilhelmy (1850) sull'inversione del saccarosio per azione di acidi forti in soluzioni diluite, lo studio dei fenomeni catalitici entra in una nuova fase. Le disquisizioni sull'intima natura della catalisi vengono messe da parte e incomincia uno studio accurato dell'andamento dei fenomeni catalitici, specialmente riguardo al fattore tempo. Il Wilhelmy seguì passo passo la reazione d'inversione e se ne servì per stabilire con chiarezza il concetto di velocità di reazione: il che condusse a un'interpretazione dinamica dell'equilibrio chimico.
Già il Malaguti aveva intuito che certe reazioni erano incomplete perché a un certo punto si raggiungeva uno stato d'equilibrio fra reazioni opposte. Più chiaramente questo concetto venne stabilito da Lowenthal e Lennsen (1862), da Berthelot (1862) e infine da Guldberg e Waage (1867) con la riesumazione del principio di Berthollet modificato col concetto di masse attive.
Considerando una reazione chimica del tipo
la legge di Guldberg e Waage ci conduce alla relazione
valida per le soluzioni ideali e per i gas perfetti. In essa i simboli [A] stanno a indicare le concentrazioni molecolari delle specie in equilibrio.
Per i sistemi reali si è introdotto il concetto di "attività" aAr d'una determinata specie molecolare Ar, definita dalla relazione:
dove FAr è l'energia molare libera. La condizione d'equilibrio in un sirstema a temperatura costante si definisce ponendo eguale a zero il cambiamento d'energia libera, cioè:
il che corrisponde a scrivere
Supponiamo ora che la reazione, espressa dalla (1), avvenga in presenza d'un catalizzatoie X, il quale rimane inalterato durante la reazione. Ripetendo il ragionamento troviamo, al posto della (2), la relazione
e quindi possiamo dedurre che la costante di equilibrio non è alterata dall'intervento del catalizzatore in ogni sistema ideale. Nel caso invece dei sistemi reali l'aggiunta del catalizzatore, anche nell'ipotesi che la sua attività rimanga inalterata, può provocare variazioni nei valori delle attività delle specie reagenti e quindi modificare il valore di Ka. Limitandosi a considerare una reazione che avvenga in un sistema gassoso reale in presenza. d'un catalizzatore solido, è facile mostrare che esso non esercita alcuna influenza sul valore di Ka. Il materiale sperimentale finora disponibile conferma tali vedute, in quanto. per nessun caso di reazioni gassose, in presenza di catalizzatori solidi, si è mai constatato un cambiamento delle condizioni di equilibrio. Considerando invece soluzioni reali, si trova che la presenza del catalizzatore può influire sul valore delle attività dei reagenti e provocare quindi uno spostamento dell'equilibrio. Jones e Lapworth hanno infatti dimostrato sperimentalmente che, nell'idrolisi dell'acetato di etile in presenza di HCl, la costante d'equilibrio cresce al crescere della concentrazione dell'acido.
Secondo Ostwald, "i catalizzatori sono sostanze che cambiano la velocità d'una reazione chimica senza modificare i fattori energetici. della reazione". Una tale definizione comprende anche la catalisi negativa, cioé il fenomeno del rallentamento di una reazione dovuto a sostanze diverse da quelle reagenti. Essa introduce inoltre il concetto che la reazione deve essere considerata capace di prodursi anche in assenza del catalizzatore, per quanto con estrema lentezza. Molti studiosi dei fenomeni catalitici, tra cui H.E. Armstrong, non condividono un tal modo dì vedere. La questione non può peraltro essere sottoposta a un saggio cruciale.
Comunque, le reazioni catalizzate sono sempre reazioni capaci di avvenire spontaneamente, cioè legate a una diminuzione di energia libera del sistema. Molte immagini si sono usate per spiegare l'intervento del catalizzatore nel senso di Ostwald, paragonandolo al lubrificante in una macchina, alla frusta per i cavalli, ecc.
Azioni mediali: il solvente. - In ogni modo, secondo il concetto di Ostwald, le azioni mediali, per esempio l'influenza del solventi rientrerebbero nel quadro delle azioni catalitiche. Un tale modo di vedere, tuttavia, non è condiviso da tutti gli studiosi. Se si accetta il criterio in base al quale il catalizzatore non deve alterare la costante d'equilibrio, le influenze mediali escono fuori del quadro della catalisi; ma con tale criterio - come si è accennato - il quadro dei fenomeni catalitici verrebbe a restringersi oltre ogni limite.
Vedremo in seguito che piccole tracce d'acqua, specialmente in sistemi gassosi, esercitano una notevole azione catalitica, e in verità riesce difficile classificare in categorie diverse una tale azione e quella che l'acqua in eccesso può esercitare sui reagenti che vi si trovino disciolti: dovendosi insomma interpretare il fenomeno come essenzialmente dovuto al carattere polare delle molecole d'acqua.
Le indagini di Menschutkin, intese a valutare l'influenza del solvente sulla velocità della reazione fra trietilammina e joduro di etile, non hanno però condotto a stabilire una rigorosa dipendenza tra costante dielettrica e costante di velocità, come appare dal seguente specchietto:
Forse sarebbe più giusto dire che le azioni mediali risultano dal sovrapporsi di puri fenomeni catalitici ad altre influenze. Così ad esempio il solvente può modificare profondamente il decorso d'una reazione, alterando la solubilità dei prodotti della reazione stessa. Inoltre l'aggiunta di sostanze indifferenti per rispetto alla reazione principale può intervenire alterando la solvatazione di ioni o di molecole che prendono parte alla reazione. E infine anche molecole puramente inerti possono intervenire disattivando, per urto, molecole attive dei reagenti. Le ricerche finora eseguite non sono arrivate ancora al punto da permettere una discriminazione precisa fra i varî fattori.
La catalisi considerata in rapporto alla cmetica chimica. - Molta luce è venuta sui fenomeni di catàlisi dallo studio più approfondito della cinetica chimica. La velocità d'una reazione viene definita per mezzo del coefficiente k di proporzionalità tra la velocità stessa e il prodotto delle masse attive. L'esame dei valori numerici di tali coefficienti ci indica subito alcune particolarità di grande interesse. In primo luogo, paragonando il numero di molecole che reagiscono col numero di urti che avvengono nell'unità di tempo, si trova che solo una piccola frazione di questi risulta efficace. Considerando poi le variazioni del coefficiente k in funzione della temperatura T si trova che esso cresce sempre al crescere di questa, ma con legge esponenziale, cioè con una rapidità molto maggiore di quella con la quale cresce il numero di urti. Occorre pertanto concludere che solo una piccola frazione del numero totale di urti risulta efficace, e che il numero di urti efficaci cresce molto più rapidamente che non il numero di urti totali, al variare della temperatura.
Tali particolarità si spiegano oggi quasi concordemente ammettendo che per alcune o per tutte le specie reagenti ci sia un certo numero di molecole attive le quali possono reagire, e che soltanto gli urti tra le molecole attive risultano efficaci ai fini della reazione.
Secondo Arrhenius la forma attiva A1 di una specie molecolare A si formerebbe con estrema rapidità di guisa che la sua concentrazione [A1] si può porre eguale a quella corrispondente all'equilibrio:
La costante K varia in funzione di T secondo l'equazione ben nota:
dove E è la tonalità termica della reazione A → A1.
La concentrazione delle molecole attive, e quindi la frazione di urti efficaci, crescerebbe in funzione della temperatura con legge esponenziale, in ottimo accordo con i risultati sperimentali. Si ottiene infatti per il coefficiente di velocità:
Di regola si designa come coefficiente di temperatura della velocità di reazione il rapporto tra i valori di k relativi a due distinte temperature che differiscano di 10°, e spesso si prescelgono le temperature di 25° e 35°. In tal caso
La teoria di Arrhenius, benché renda abbastanza bene conto del meccanismo del fenomeno non è oggi più accettata. Fin dal 1914 il Marcelin, intr0ducendo i metodi statistici nella dinamica chimica, pose a base dello studio della velocità di reazione il seguente postulato: "Se in un sistema avviene una reazione chimica, il numero di molecole che nell'istante considerato reagiscono è dato dal numero di molecole che nell'istante stesso hanno roggiunto o superato un valore determinato dell'energia molecolare". Tale valore è stato dal Marcelin chiamato energia critica e la differenza E tra esso e l'energia media molecolare energia critica relaliva. L'energia critica non è da confondersi con l'energia della reazione: quest'ultima misura la differenza delle energie medie di due edifici molecolari (prodotti iniziali e finali); l'energia critica, invece, misura lo sforzo necessario per condurre questi edifici allo stato instabile capace di farli reagire. Il Marcelin ha dimostrato che se k è la costante di velocità di reazione, R la costante dei gas, Σ l'energia media di una grammimolecola nella zona critica, U l'energia media della gmmmimolecola, si ha:
Ora (Σ − U) è appunto ciò che il Marcelin ha chiamato energia critica relativa E, e che formalmente corrisponde al calore di trasformazione della forma inattiva in quella attiva secondo Arrhenius.
L'aumento di k provocato dal catalizzatore può attribuirsi a una diminuizione di E. In altri termini il catalizzatore agirebbe nel senso di provocare un rallentamento dei legami di valenza nelle molecole reagenti, talché basti un più piccolo incremento di energia, rispetto al valore medio, a provocare la reazione. Il controllo sperimentale di questo punto si può ottenere eseguendo due coppie di misure della velocità di reazione, la prima senza il catalizzatore e la seconda col catalizzatore, e calcolando poi per ognuna di tali coppie di valori di k, quello di E con una formula del tipo della (10). È interessante premettere che per reazioni dello stesso tipo, ad esempio la decomposizione dei cloruri di diazobenzene sostituiti:
la velocità di reazione e l'energia di attivazione variano al variare del gruppo sostituente. Nicoll e Cain hanno trovato i seguenti valori:
Analoghe variazioni si hanno quando si fa avvenire una stessa reazione in solventi diversi. Quest'analogia tra l'influenza dei gruppi sostituenti nella molecola e quella esercitata dal solvente (solvatazione) è molto importante per spiegare l'azione dei fattori che accelerano le reazioni chimiche. Riportiamo alcuni dati di Cox relativi alla velocità di addizione tra anilina e bromoacetofenone, in varî solventi:
La discussione di questi risultati porta alla medesima conclusione. che abbiamo già adombrata nel paragrafo relativo alle influenze mediali, Paragonando solventi di costituzione simile esiste un netto parallelismo tra k ed E: il che corrisponde a riconoscere, da parte del solvente, un'azione complessa la quale però si riduce formalmente e sostanzialmente a una azione di tipo catalitico quando ci limitiamo a considerare solventi dello stesso tipo, cioè quando restano sensibilmente costanti le influenze di tipo costitutivo. Infine servendosi delle relazioni quantistiche si può definire una frequenza eccitatrice
ricollegando così i fenomeni di attivazione con quelli fotochimici. Su tale concetto si basa la teoria radiochimica (v. cinetica, chimica). Le ricerche di Cohen e collaboratori hanno mostrato che il miscuglio cloro-idrogeno umido è sensibile alle radiazioni visibili (regione bleu dello spettro) corrispondenti a un valore di E pari a 52.000 cal. circa, mentre disseccando i gas la sensibilità fotochimica si sposta verso l'ultravioletto e raggiunge 3000 A (E = 94.500 cal.) quando la pressione parziale del vapore d'acqua scende a 10-7 mm. In questo caso il catalizzatore acqua provoca una sensibile diminuzione di E. Altri esempî si hanno nella decomposizione dell'ossido nitroso per il quale Hinshelwood e Pritchard hanno trovato una diminuzione di E da 55.000 a 32.500 cal. nella reazione catalizzata. Rideal e Norish hanno trovato una diminuizione di E da 51.460 calorie per la reazione
in fase gassosa, fino a 25.750 cal. per la reazione eterogenea catalizzata alla superficie dello zolfo.
Esistono però anche risultati in base ai quali si deduce un aumentato dell'energia d'attivazione E per aggiunta del catalizzatore. Ma per spiegarli basta tener conto del fatto che le concentrazioni accessibili analiticamente, e in base alle quali si deduce il valore di k, possono essere anche diverse da quelle che realmente intervengono, e in tal caso il valore di E che si calcola dalla formula (10) rappresenta la somma delle energie di attivazione e di tonalità termiche. Finora non esistono argomenti sicuri da contrapporre al concetto in base al quale il catalizzatore interviene abbassando il valore dell'energia critica relativa (energia di attivazione, incremento critico di energia).
Catalisi negativa. - Abbiamo già accennato al fatto che la definizione di Ostwald non esclude l'intervento di sostanze estranee capaci di ridurre la velocità di una reazione chimica. Gli esempî del genere non mancano e basta per tutti ricordare la vecchie esperienze di Thénard sulla stabilizzazione dell'acqua ossigenata a mezzo degli acidi. Bigelow (1893) mostrò che molte sostanze (mannite, benzaldeide, alcool benzilico) diminuiscono sensibilmente la velocità dell'ossidazione del solfito sodico.
Di grande importanza sono gli studî di Moureu e collaboratori sui cosiddetti antiossigeni e antiossidanti.
Essi mostrarono ad esempio, che l'aggiunta di composti del tipo fenolico a molte sostanze capaci di autossidazione, esercitava una notevole azione inibitrice. L'aggiunta d'una molecola d'idrochinone su ogni 40.000 molecole di acroleina, arresta praticamente le reazioni di autossidazione di questa sostanza.
I casi studiati da Moureu e da Dufraisse sono numerosissimi e possono ricollegarsi a molti processi tecnici, quali la protezione della seta, della gomma, di alcuni colori organici, ecc. Le ricerche estese di Migdley (1923) sugli antidetonanti hanno fornito una nuova serie di esempî d'inibizione chimica. Il più energico antidetonante per le miscele di aria e benzina è il piombo tetraetile, il quale, secondo le esperienze di Taylor, inibisce anche fortemente l'autossidazione della benzaldeide.
Non tutti si accordano nell'accettare i fenomeni di catalisi negativa come manifestazione d'una proprietà inibitrice esplicata per via diretta sui reagenti; ma alcuni propenderebbero a credere che l'inibitore agisca sottraendo al sistema un catalizzatore naturalmente presente.
A tali conclusioni pervenne Titoff (1903) nel suo studio sulle reazioni di Bigelow già citate e di Young (1901); questi studiando l'ossidazione del cloruro stannoso trovò che H2S, presente in concentrazioni 0,000005 N fa aumentare la velocità di reazione del 25% e che i sali di cromo e manganese, la mannite, l'anilina, KCN e molti alcaloidi la riducono notevolmente. Titoff, esaminando l'azione contemporanea di catalizzatori negativi e positivi nell'ossidazione del solfito sodico, concluse dicendo che i catalizzatori negativi agiscono semplicemente sopprimendo l'attività dei catalizzatori positivi. Le più moderne ricerche portano a concludere che vi sono anche altri meccanismi di azione. Taylor insiste sulla possibilità che l'inibitore agisca sottraendo uno dei reagenti, attraverso la formazione di un composto di addizione con esso. Un esempio molto istruttivo è il seguente: un campione di benzaldeide ridistillata assorbiva 2 cmc. di O2 per minuto (5•1019 molecole di ossigeno, e altrettante quindi di benzaldeide che reagiscono); ma aggiungendo 5 mg di idrochinone (3•1019 molecole) l'assorbimento si riduceva a 0,005 cmc. per minuto. Il numero di molecole dell'inibitore, per quanto piccolo, è sufficiente a bloccare tutte le molecole attivate. Non mancano esempî che possono essere classificati tra le reazioni a catena: in tal caso l'inibitore agirebbe bloccando a un certo punto la molecola attiva e quindi riducendo la lunghezza della catena. Si hanno quindi almeno tre meccanismi distinti per la catalisi negativa, e probabilmente tutti sono accettabili, rappresentando altrettante diverse categorie di fenomeni.
Autocatalisi. - Per completare Questa esposizione dell'andamento dei fenomeni catalitici consideriamo infine il caso che, nel corso della reazione, si formi un prodotto (finale o intermedio) capace di agire come catalizzatore rispetto alla reazione stessa; si avrà in questo caso un decorso tutto particolare. La reazione da principio, per la quasi assenza del catalizzatore, decorrezà lentissima, anzi con velocità quasi nulla (periodo d'incubazione), poi man mano aumenterà di velocità fino a divenire alle volte violenta; e infine decadrà più o meno rapidamente. In questo caso il fenomeno dicesi autocatalisi e tali reazioni per il loro andamento caratteristico si dicono anche reazioni febbrili.
Uno degli esempî più noti è quello della reazione fra rame e acido nitrico non troppo diluito (Veley) catalizzata dall'acido nitroso presente inizialmente in tracce: poi la quantità di questo si accresce cosicché la reazione, lentissima da principio, diviene tumultuosa. Assai caratteristica è pure la reazione fra nitrato potassico e acido formico (Quartaroli): si sviluppa N2O e CO2, ma come prodotto intermedio si forma N2O3 che catalizza la reazione, la quale perciò ha un decorso tipicamente febbrile. Aggiungendo all'inizio quantità piccolissime di H2O2, KCl O3, urea, ecc., esse impediscono praticamente la reazione distruggendo in sul nascere N2O3, e mantenendola perciò alla velocità minima iniziale senza che, per la lentezza di tale decorso, si consumi (almeno per lungo tempo) la sostanza inibitrice. H2O2, KCl O3, ecc., che qui agiscono come catalizzatori negativi, forniscono un altro esempio di catalisi negativa dovuta a distruzione del catalizzatore positivo. Interessanti fenomeni autocatalitici si hanno anche nelle reazioni che avvengono al limite tra due fasi distinte. Un esempio caratteristico si ha nella dissociazione dell'ossido d'argento (Lewis): l'argento che si forma è l'autocatalizzatore. Il fenomeno viene a mancare nella dissociazione dell'ossido mercurico (Taylor) perché nelle condizioni di esperienza il mercurio formato vaporizza e l'interfase viene a mancare.
Reazioni autocatalitiche del tipo descritto si hanno ancora nella decomposizione dei permanganati, nella riduzione a bassa temperatura dell'ossido di rame, nell'idratazione delle sostanze completamente disseccate, ecc. Anche la reazione ossidativa nell'essiccamento dell'olio di lino crudo è di tipo autocatalitico, come mostrano le curve tempo-aumento di peso (Genthe). Ai fenomeni di autocatalisi, fanno riscontro fenomeni di autoinibizione, quando uno dei prodotti della reazione funziona da catalizzatore negativo. Un esempio si ha nell'idrolisi dell'acido bromosuccinico, dove l'acido bromidrico che si forma, ritarda l'ulteriore svolgimento della reazione (Müller).
Classificazione delle reazioni catalitiche. - Abbiamo già accennato alla differenza fondamentale esistente tra la catalisi omogenea e quella eterogenea. Distingueremo i seguenti casi di catalisi omogenea: catalisi per ioni H+ ed OH-; catalisi da parte di altri ioni; catalisi da parte dell'acqua; idrolisi ed eterificazioni; condensazioni della chimica organica. Per la catalisi eterogenea distingueremo: reazioni di catalisi microeterogenea; reazioni di catalisi macroeterogenea; reazioni enzimatiche.
Catalisi omogenea. - L'idea che il catalizzatore possa intervenire formando un complesso molecolare con i reagenti, è molto antica e - come abbiamo già accennato - ha ricevuto anche delle conferme. Kekulé e van 't Hoff hanno espresso l'opinione che le reazioni di sostituzione siano precedute dalla formazione d'un composto di addizione, stabile alle più basse temperature. Guye e i suoi collaboratori hanno in molti casi potuto provare sperimentalmente che le reazioni, le quali avvengono da sole con velocità apprezzabili, sono quelle in cui i reagenti formano tra loro un composto di addizione, attivandosi così reciprocamente.
Bjerrum considera che nella reazione semplice
avvenga la formazione d'un composto intermedio AB capace di trasformarsi con grande rapidità nel prodotto finale C, e che pertanto si possa direttamente porre
D'altra parte, secondo la legge di azione di massa,
nei sistemi ideali, e in quelli reali
dove le f stanno a indicare i coefficienti di attività, cioè quei coefficienti che soddisfano alla relazione
dove il simbolo a secondo membro designa l'attività della specie molecolare nel sistema considerato, secondo la definizione, di cui alla formula (3). Pertanto la (11) diventa
la quale riconnette la velocità della reazione alla concentrazione e alla stabilità del complesso intermediario. Già Guye e Jeanpêtre avevano dimostrato l'esistenza d'un complesso di tal genere nella reazione di bromurazione dell'acido isobutilacetico e successivamente Kendal e i suoi collaboratori hanno estesa la dimostrazione a molti casi di eterificazione e d'idrolisi. Su tali basi è facile concepire il catalizzatore X come una sostanza capace di fornire complessi binarî con i reagenti, o addirittura dei complessi ternarî dotati di grande reattività.
La formazione di tali complessi, attraverso le valenze accessorie parzialmente non saturate, provocherebbe un rilassamento dei legami principali di valenza e diminuirebbe quindi il valore dell'energia critica di attivazione. Vedremo in seguito che un tal modo di vedere può essere applicato anche alla spiegazione dei fenomeni di catalisi eterogenea.
a) Catalisi per ioni idrogeno e ossidrili. - Uno dei casi più importanti e studiati di catalisi omogenea è quella dell'inversione del saccarosio, oggetto fin dal 1850 di ricerche da parte di Wilhelmy, come s'è detto. Essa è indicata dalla reazione
la quale avviene con estrema lentezza cosicché solo bollendo per lungo tempo la soluzione si può constatare una debole scissione. In presenza invece di piccole quantità di acidi f0rti, la reazione avviene con velocità misurabile e può essere seguita passo a passo con un polarimetro; la velocità appariva proporzionale alla concentrazione dello ione idrogeno e tale relazione di semplice proporzionalità costituì il primo metodo per ottenere questo importante dato. Poiché la concentrazione dell'acqua si può praticamente considerare invariabile, la reazione risulta monomolecolare e perciò la costante è data dalla formula
ove a è la quantità iniziale di zucchero, x la quantità trasformata nel tempo t (contato dall'inizio della reazione). Altre reazioni consimili, accelerate cataliticamente dallo ione idrogeno, sono la scissione idrolitica degli esteri di acidi carbossilici, le idratazioni, l'eterificazione di acidi carbossilici, la scissione dell'etere etildiazoacetico, ecc. La presenza di composti intermedî in queste reazioni è difficile a provarsi per quanto, da ricerche recenti di Harned, Lewis, Kendall, ecc., sembri anche dimostrata la presenza di complessi tripli fra zuccheri, acqua e ione idrogeno.
Particolarmente interessanti sono gli studî di Kendall, il quale ha potuto dimostrare per mezzo dell'analisi termica la formazione di composti di ossonio tra gli eteri e gli acidi, mettendo in evidenea le relazioni che intercorrono tra la forza dell'acido, la natura dei radicali alchilico e acido dell'etere, e la stabilità del complesso armato. Tali relazioni concordano con i risultati sperimentali sull'influenza che la natura dell'acido e la natura del substrato (Löwenherz) hanno sulla velocità di reazione.
Una delle più gravi difficoltà contro la primitiva teoria di Arrhenius circa la proporzionalità tra concentrazione di ioni idrogeno e velocità di reazione si ebbe nello studio dell'influenza esercitata dall'aggiunta di sali dell'acido che si adopera come catalizzatore. L'aggiunta del sale, avente l'anione in comune, retrograda la dissociazione dell'acido e dovrebbe provocare quindi un rallentamento della reazione. Ciò accade infatti per gli acidi deboli; ma con gli acidi forti si ha spesso l'effetto contrario: l'aggiunta del sale produce un aumento della velocità di reazione.
Molte teorie sono state proposte per spiegare un tale comportamento. Di esse restano ora in campo essenzialmente due. La prima deriva dalle ricerche di Goldschmidt, è stata ulteriormente sviluppata da varî autori (Kendall, Senter, Taylor) e ha oggi il suo più forte sostenitore nel Dawson. Secondo tale modo di vedere, l'azione catȧlitica non deriverebbe soltanto dalla presenza di ioni idrogeno, ma anche da quella delle molecole indissociate. Si giunge cosi a una teoria dualislica della catalisi. Nulla si oppone ad ammettere che le molecole indissociate e magari l'anione possano formare, come gli ioni idrogeno, complessi dotati di maggiore reattività. E d'altronde gli studî molto accurati di Poma (1911) hanno messo in evidenza che, per un dato acido, la natura del catione del sale neutro aggiunto non ha praticamente alcuna influenza. Viceversa, a parità d'ogni altra condizione, l'influenza esercitata dal sale aggiunto dipende in modo notevole dalla natura dell'anione (comune con quello dell'acido) e precisamente l'azione acceleratrice è tanto maggiore per quanto maggiore è la forza dell'acido. Ordinando gli acidi secondo una serie nella quale la forza va decrescendo, si constatano progressivamente azioni acceleratrici sempre più piccole, fino a che - per gli acidi molto deboli - l'aggiunta del sale neutro provoca addirittura un ritardo. La teoria dualistica è stata in seguito generalizzata considerando separatamente l'influenza degli ioni idrogeno e ossidrile, dell'anione e delle molecole indissociate. La velocità della reazione per un acido HA risulterebbe dalla somma di quattro termini:
Il primo e l'ultimo termine divengono rispettivamente trascurabili nelle soluzioni molto alcaline o molto acide. Dawson ha applicato la precedente relazione (17), valutando le concentrazioni in base alle ordinarie formule dell'equilibrio valide per i sistemi ideali, e ha potuto dimostrare il buon accordo, tra i valori sperimentali della velocità e quelli calcolati, per la reazione tra iodio e acetone che avvenga in soluzioni tamponate a vari ph. È interessante ricordare che in questi casi la velocità della reazione passa per un minimo molto distinto per un valore intermedio del ph (catenaria catalitica) e ciò rappresenta la più chiara dimostrazione della insufficienza della primitiva spiegazione di Arrhenius.
La seconda teoria è stata essenzialmente elaborata dal Lapworth, il quale ammette che l'agente attivo della catalisi sia lo H+ anidro e che gli ioni idrati H2O+ e in genere H+ • nH2O non abbiano alcuna efficacia. L'azione acceleratrice dei sali neutri si spiegherebbe ammettendo che la loro aggiunta sottragga acqua al sistema, e faccia quindi crescere la concentrazione degli ioni idrogeno anidri. Dal punto di vista teorico la concezione di Lapworth è basata sulla considerazione che lo ione H+, una volta entrato a formare un complesso H3O+ ad es., deve praticamente perdere ogni attività, come possiamo constatare per lo ione NH3 • H+.
I fondamenti sperimentali si hanno poi in tutta una serie di misure sulla velocità di reazioni svariate in solventi organici (decomposizione dell'etere diazocetico, bromurazione di chetoni, trasformazione idrazobenzene → benzidina, ecc.). In tutti questi casi l'aggiunta di minime quantità d'acqua provocava una sensibile diminuzione della velocità di reazione; e ciò veniva interpretato come dovuto all'idratazione degli ioni H+.
Non mancano esempi di reazioni catalizzate dalla presenza degli ioni OH- come la mutarotazione degli zuccheri (Urech), la trasformazione della isocianina in atropina (Bredig), la racemizzazione della scopolamina (Herz), le condensazioni aldoliche, ecc. Gli alcali agiscono anche nei processi di eterificazione e di idrolisi e probabilmente la loro influenza è da addebitare agli ioni OH-, la cui azione può essere interpretata volta a volta come quella degli ioni H+.
Molte delle reazioni su ricordate sono state studiate per servirsene come metodo per la misura della concentrazione di ioni ossidrili; ma anche qui sono da porre notevoli limitazioni dovute alle influenze secondarie (sali neutri, colloidi, ecc.); e alla mancanza della semplice proporzionalità.
b) Catalisi da parte di altri ioni. - Numerosi esempî di catalisi omogenea si hanno, nei quali varî sali agiscono da catalizzatori e quasi sempre l'azione catalizzatrice può essere attribuita a uno degli ioni. In questo campo la reazione più studiata è la decomposizione del perossido d'idrogeno. Molti sali metallici e in particolar modo i sali ferrici e quelli rameici accelerano lo svolgimento di ossigeno. Si ha anzi qui un esempio interessante di esaltazione reciproca di due catalizzatori, in quanto si trova che in soluzioni acide una mescolanza di sali di ferro e di rame esercita un'azione maggiore di quella corrispondente alla somma delle azioni esercitate singolarmente (Traube). Fenomeni analoghi si hanno nella reazione tra perfosfato e ioduro potassico:
la quale è catalizzata dai solfati ferrosi, rameico, manganoso e di zinco. La mescolanza di questi due ultimi solfati esercita un'azione superiore a quella che si potrebbe prevedere in base alla semplice addittività. Anche gli anioni esercitano marcate azioni catalitiche. Nella decomposizione dell'acqua ossigenata intervengono cataliticamente gli ioni Br- e J-. Gli ioni mercurosi e mercurici funzionano da catalizzatori in molte reazioni. Importantissima per la sintesi organica è l'idratazione dell'acetilene:
L'acetaldeide viene poi idrogenata per dare alcool metilico o ossidata per dare acido acetico (sali di manganese come catalizzatori). Per fare avvenire la reazione (18) si usano sali di mercurio mescolati ai corrispondenti acidi (solforico, fosforico, acetico, ecc.), o anche mescolanze più complesse che hanno dato luogo a svariati brevetti. I miscugli d'acido nitrico e nitrato mercurico conducono invece all'acido ossalico. È nota da tempo (1896) l'esperienza accidentale di Graebe circa la trasformazione della naftalina in acido ftalico in presenza di solfato mercurico. L'aggiunta di solfato rameico provoca un'attivazione molto sensibile. Molti cloruri metallici e di metalloidi agiscono infine come catalizzatori nelle clorurazioni, ma qui il fenomeno è abbastanza complicata. Slater ha studiato la cinetica della clorurazione del benzene in presenza di FeCl3, SnCl4 e JCl3. Per i primi due composti si ha un coefficiente di temperatura della velocità sensibilmente normale, mentre per l'ultimo il coefficiente di temperatura è straordinariamente basso.
I casi di catalisi da parte di ioni si prestano meno a una trattazione generale, potendo presentarsi spesso reazioni intermedie e di tipo diverso. Non mancano esempî interessanti di azioni specifiche. Ricordiamo a titolo d'esempio le reazioni tra H2O2 e acido tiosolforico studiate da Abel (1907). In presenza di ioni J- si ha prevalentemente il decorso indicato dall'equazione:
e in presenza di ioni molibdici si forma acido solforico:
c) Catalisi da parie dell'acqua. - L'azione catalitica del vapore d'acqua in molte rreazioni, sia in sistema omogeneo che eterogeneo, fu messa in evidenza da Dixon fin dal 1884 e poi da Baker (1894).
Il primo mostrò che il miscuglio di CO e ossigeno non detona quando i gas sono molto secchi. L'aggiunta di altri composti contenenti idrogeno (H2S, C2H,, H2CO2, NH3, HCl), agisce in modo analogo al vapor d' acqua, mentre altri gas (SO2, CS2, CO2, N2O, C2N2, CCl4), sarebbero senza azione alcuna. Baker provò poi che il carbone, lo zolfo, il fosforo non reagiscono con l'ossigeno secco e che in assenza di vapor d'acqua l'idrogeno solforato non agisce sui sali dei metalli pesanti. Gli esempî oggi conosciuti sono numerosissimi. Concordemente varî autori attribuiscono l'influenza dell'acqua al carattere fortemente polare delle sue molecole: si avrebbe anche qui la formazione di complessi con indebolimento dei legami di valenza principali. Le già ricordate ricerche di Cohen sulla reazione tra Cl2 e H2 dimostrano chiaramente che l'energia critica di attivazione è molto più piccola per i gas umidi. Per interpretare il meccanismo di azione dell'acqua sono molto utili alcune esperienze di Norrish, sulla reazione tra etilene e bromo. Era già noto che nella massa d'un miscuglio gassoso di tali sostanze, a O° e allo stato secco, non avviene alcuna reazione; ma che una reazione molto lenta si verifica sulle pareti di vetro del recipiente. Norrish mostrò che anche questa reazione scompare se le pareti vengono coperte di paraffina (sostanza non polare); che se però alla paraffina si sostituisce l'acido stearico (sostanza nettamente polare) la reazione riprende con una velocità anche maggiore di quella che si osservava sulle pareti di vetro.
Contro un tal modo di vedere stanno però le esperienze di Baker sull'essiccamento intensivo e sulla necessità d'un prolungato contatto con l'acqua per ottenere l'attivazione. Questo autore ha dimostrato che il miscuglio tonante fortemente disseccato non dà luogo a reazioni nemmeno a 1000° e che le prime tracce d'acqua che si formano nella reazione non agiscono cataliticamente. Del pari il benzene fortemente disseccato e che bolle a 106° non riacquista le sue proprietà anche quando vi si faccia gorgogliare dentro del vapore d'acqua: occorre il contatto di alcuni giorni per far sì che il benzene riacquisti il suo punto di ebollizione normale di 80° Secondo la teoria di Smiths (allotropia dinamica), si dovrebbe ammettere che le molecole siano capaci di esistere in almeno due forme distinte; l'una attiva e l'altra inattiva, e che l'eliminazione completa dell'acqua sposti l'equilibrio verso la forma inerte, necessitando poi del tempo dopo l'aggiunta di acqua per ripristinare le condizioni primitive.
Non è da escludere che anche l'attivazione da parte di un catalizzatore in un sistema omogeneo debba essere preceduta da un periodo di induzione, come si osserva spesso nei casi di catalisi eter0genea. Il problema è ancora allo studio e i risultati delle ricerche in corso sulle più semplici reazioni (H2 + O2; H2 Cl2) permetteranno certamente di gettare nuova luce sui fenomeni di cinetica chimica e di catalisi.
d) Condensazioni della chimica organica. - Ci troviamo qui in presenza dei fenomeni più complessi e di più incerta interpretazione, specialmente per la difficoltà di eseguire accurate determinazioni cinetiche.
Ci limiteremo perciò a elencare le reazioni più importanti.
Reattivo di Grignard. - È adoperato in sostituzione dei magnesioalchili introdotti nella sintesi organica da Frankland e Cahours. Barbier mostrò che, al posto dei magnesio-alchili, si potevano adoperare l'alogenuro alchilico e il magnesio, come ad esempio nella reazione:
nella quale probabilmente agisce il derivato organo-magnesiaco misto
Grignard (1900) trovò che l'etere anidro è un ottimo catalizzatore per la preparazione di un tale composto, la quale avverrebbe attraverso la formazione d'un complesso molecolare
al quale si può assegnare la formula di un sale di ossonio:
Che l'etere agisca qui effettivamente da catalizzatore è dimostrato dalla possibilità di preparare il composto organomagnesiaco misto in soluzione benzolica per aggiunta di una traccia di etere (Tchelinzeff). Altri eteriossidi (ossido di amile) e le ammine terziarie funzionano da catalizzatori, come ad esempio la dimetilanilina.
In quest'ultimo caso si avrebbe la formazione del complesso attraverso la pentavalenza dell'azoto. Anche in questa preparazione si hanno fenomeni d'inibizione da parte di alcune sostanze come l'anisolo, il cloroformio, il solfuro di carbonio, l'acetato di etile. E ciò è tanto più interessante in quanto quest'ultimo composto agisce efficacemente da catalizzatore per preparare i derivati organozincici misti (Elaise).
Sintesi di Friedel e Crafts. - Serve essenzialmente a introdurre catene laterali nel nucleo benzenico a mezzo di un cloruro alchilico RX
Gli scopritori trovarono (1877) che il cloruro di alluminio anidro agisce come energico condensante. La reazione è stata estesa ai fenoli (Paternò), ai naftoli (Bakunin) e ha dato luogo a numerose ricerche. Il cloruro ferrico anidro, il cloruro di zinco, il cloruro rameoso, i metalli suddivisi si sono dimostrati efficaci catalizzatori. Molti studî di cinetica si sono fatti su questa reazione (Steele, Menschutkin, ecc.), la quale si presterebbe bene alle misure titolando l'idracido che si svolge; ma i risultati sono da considerare con molta cautela perché non mancano importanti reazioni secondarie. L'esistenza di composti di addizione del tricloruro di alluminio con il benzolo o con cloruri alchilici sostituiti è stata dimostrata da varî sperimentatnri (Gustavin, Menschutkin). Si deve ritenere che i metalli agiscano per formazione dei corrispondenti cloruri, i quali sarebbero i veri e proprî catalizzatori.
Condensazioni aldoliche. - Abbi iamo già accennato all'influenza degli alcali nel provocare la condensazione aldolica.
La reazione più semplice con l'aldeide acetica
può essere seguita da altre tra aldolo ed aldeide acetica mentre l'aldolo, a caldo e in presenza di disidratanti, può dar luogo a formazione di aldeide crotonica:
Reazioni del genere con formazione di prodotti ad alto peso molecolare si verificano nella preparazione della bakelite.
Sintesi dî Perkin-Oglialoro. - Questa importante sintesi è basata essenzialmente sulla reazione del gruppo aldeidico con un gruppo - CH2 - d'un acido, anidride o sale della serie grassa pervenendo alla produzione di acidi non saturi:
Perkin (1868) adoperava miscugli di aldeide, anidride e sale sodico (di regola dello stesso radicale dell'anidride) e considerava il sale come un condensante. Oglialor0 (1878) trovò che con il fenilacetato sodico, anidride acetica e aldeide benzoica si perveniva all'acido fenilcinnamico, mostrando così che il sale poteva essere considerato tra i reagenti e l'anidride come un condensante. In tutti questi casi per decidere l'intervento nella reazione dell'uno più che dell'altro dei costituenti bisogna tener conto anche delle reazioni di doppio scambio che possono avvenire tra sale e anidride (Bakunin). Non è facile dare in breve un quadro esatto di tutte le numerose ricerche compiute, ma occorre ricordare che anche le ammine terziarie possono agire da condensanti ed è lecito pensare che tra aldeidi e condensanti si formino complessi intermediarî del tipo dei sali di ossonio. È caratteristico il fatto che si possono bensì avere composti di addizione attivi tra anidride acetica e nitrobenzaldeide; ma che i composti di sostituzione che tali sostanze dànno (diacetati di nitrobenzilidene) non hanno nessuna influenza nella sintesi (Bakunin).
Catalisi eterogenea. - Abbiamo già accennato alle esperienze di Faraday sulla catalisi eterogenea e abbiamo ricordato che il meccanismo da lui proposto, considerando il catalizzatore come una sostanza capace di produrre sulla sua superficie una condensazione dei reagenti (adsorbimento), non può essere accettato, in quanto la semplice compressione dei reagenti gassosi non provoca lo stesso effetto del catalizzatore. Si è condotti perciò ad ammettere che il catalizzatore eserciti con la sua superficie un'azione specifica, distinta dall'azione adsorbente. I solidi dotati d'un grande sviluppo di superficie sono capaci di adsorbire grandi quantità di gas e di vapori. Come esempio tipico può essere citato il carbone, del quale esistono alcune varietà ottenute con speciali accorgimenti, e che mostrano un potere adsorbente straordinariamente elevato.
Il volume adsorbito dipende dalla natura e dello stato fisico del solido e dalla natura del gas adsorbito: si tratta cioè d'un fenomeno selettivo. Tale volume cresce al crescere della pressione e al diminuire della temperatura, raggiungendo però un valore limite di saturazione. Langmuir ha per primo cercato di sottoporre a calcolo esatto i processi di adsorbimento, che già avevano dato luogo a ricerche di Freundlich e di altri, considerandoli dal punto di vista cinetico e ricercando perciò le condizioni dell'equilibrio dinamico tra la condensazione e la rievaporazione delle molecole. Al principio il numero delle molecole che si condensano è proporzionale alla superficie totale del solido; ma poiché le molecole in virtù delle forze di coesione rimangono per un certo tempo a contatto del solido prima di rievaporarsi, avverrà col procedere del tempo che le molecole del gas trovano uno spazio sempre più ridotto disponibile per condensarsi. Per conseguenza il numero di molecole che si condensano nell'unità di tempo andrà diminuendo, mentre crescerà il numero di quelle che si evaporano.
L'equilibrio è caratterizzato dalla condizione in cui il numero di molecole che si condensano è uguale al numero di quelle che si rievaporano in un dato intervallo di tempo. Calcoliamo separatamente questi due numeri: secondo la formula di Heiz-Knudsen il numero μ di molecole che incidono nell'unità di tempo sull'unità di superficie di un solido esposto in un'atmosfera gassosa alla pressione p, è uguale a
dove M è il peso molecolare, T la temperatura assoluta. Indicando con a la frazione di molecole che non subiscono la semplice riflessione e con la frazione di superficie rimasta libera, il numero di molecole che si condensano nell'unità di tempo sarà αμϑ. D'altra parte, limitandosi a considerare una superficie unitaria, se ϑ è la frazione di superficie libera ϑ′ = 1 − ϑ è la frazione di superficie occupata dalle molecole condensate e il numero di queste che rievaporano nell'unità di tempo sarà proporzionale a ϑ′, poniamo che sia ν ϑ′. Nelle condizioni di equilibrio i due nunìeri dovranno essere uguali:
ovvero
cioè
indicando con σ il rapporto
Sostituiamo ora nella (22) a μ il suo valore dato dalla (19) e avremo
dove
è evidentemente costante per un dato gas. Se ora indichiamo con x il numero di molecole-grammo, adsorbite nelle condizioni di equilibrio dall'unità di superficie, avremo &out;mx molecole adsorbite e tale numero diviso per il numero totale N0 di molecole adsorbibili rappresenterà certamente la frazione ϑ′ di superficie coperta:
dove a è una costante caratteristica per il solido adsorbente. Eguagliando i valori di ϑ′ dati dalle (23) e (25) si ottiene
da cui risulta che la quantità di sostanza adsorbita per unità di superficie (e per un dato adsorbente anche per unità di peso) cresce al diminuire di T e al crescere di p. A temperatura costante la (26) può scriversi
e si trova che, alle più basse pressioni quando p è tragcurabile rispetto all'unità, si ha
cioè una relazione di semplice proporzionalità; mentre alle pressioni molto alte, quando l'unità risulta trascurabile rispetto a σ′1 p, si ha sensibilmente
Tali considerazioni rapidamente svolte coincidono con i fatti sperimentali, di cui il diagramma della fig. 1 dà un'idea. Esso rappresenta le isoterme di adsorbimento dell'anidride carbonica sul carbone attivo (Titoff).
La trattazione di Langmuir è implicitamente basata sull'assunto che i gas e i vapori si condensino formando uno strato monomolecolare. Un tal modo di vedere non è da tutti accettato e alcune esperienze dello stesso Langmuir non lo confermano per qualche caso. Però le misure del calore svolto durante l'adsorbimento dimostrano in modo certo che la quantità di calore che si sviluppa nella formazione del primo strato è sensibilmente maggiore di quella che corrisponde alla formazitme degli eventuali strati successivi ed è anche di gran lunga superiore all'ammontare del calore latente di liquefazione. Ciò induce a ritenere che le forze, le quali entrano in gioco per la formazione dello strato molecolare, sono molto più ingenti di quelle di coesione e possono essere invece paragonate a quelle che si manifestano nella saturazione di valenze secondarie (composti di coordinazione). Le esperienze di Langmuir hanno inoltre dimostrato che le molecole adsorbite vengono a impiantarsi sulla superficie del solido con una determinata orientazione, confermando quindi che non si tratta di fenomeni analoghi a quelli di coesione, bensì dovuti all'intervento di determinati gruppi atomici o di determinati atomi.
Questa sommaria esposizione permette di illustrare e interpretare le principali caratteristiche dei catalizzatori adoperati nella catalisi eterogenea, tra le quali ci occuperemo in principal modo delle seguenti: 1) specificità dell'azione; 2) influenza del modo di preparazione del catalizzatore sulla sua attività; 3) possibilità di esaltare l'attività d'un catalizzatore con opportune aggiunte. Per quanto riguarda la specificità dell'azione trȧttasi di una proprietà molto importante in relazione con l'analoga caratteristica degli enzimi. Il fatto che uno stesso miscuglio possa dar luogo a reazioni diverse dipendenti dalla natura dell'enzima si verifica anche per i catalizzatori. Nel campo della catalisi omogenea abbiamo già citato un esempio (reazione tra acqua ossigenata e tiosolfati) e non mancano altri casi interessanti nel campo delle ossidazioni organiche.
Per la catalisi eterogenea il fenomeno è molto più marcato. Purtroppo noi non siamo in grado di ricavare dalla massa di dati sperimentali disponibili in proposito alcuna legge di carattere generale. Basterà, a titolo d'esempio, esaminare quello che avviene per il miscuglio di ossido di carbonio e idrogeno. Con catalizzatori metallici a base di ferro si ottiene la reazione
con l'ossido di zinco si ha la sintesi dell'alcool metilico
o dei suoi omologhi superiori. Fischer con nichel e sali alcalini ha ottenuto dei miscugli complessi, che egli designa brevemente con il nome di Synthol, e che contengono alcoli superiori, aldeidi, acidi, eteri, ecc. Infine con i metalli ridotti si possono anche ottenere idrocarburi superiori.
In rapporto con la specificità del catalizzatore sta anche il fatto che non sempre esiste un parallelismo tra potere adsorbente e attività catalitica e ciò indica che, per l'attivazione, non solo è necessario che entrino in gioco le valenze secondarie; ma che ciò avvenga attivando quel determinato gruppo atomico che deve reagire. Mittash ritiene che nel caso citato del miscuglio ossido di carbonio-idrogeno si abbia una serie di reazioni successive e che i varî catalizzatori si differenzino in quanto sono o no capaci di attivare i successivi prodotti della reazione.
In merito all'influenza che il metodo di preparazionne ha sull'attività del catalizzatore, ricorderemo che in primo luogo deve intervenire l'estensione della superficie che il catalizzatore mostra per unità di peso, trattandosi essenzialmente di fenomeni superficiali come abbiamo precedentemente spiegato.
Constable ha trovato inoltre che le diverse facce d'un cristallo hanno azione diversa. Il ferro ridotto che si adopera nella sintesi dell'ammoniaca, ha attività variabile a seconda che si parta da ossidi ottenuti per calcinazione diretta dei nitrati oppure per disidratazione dell'idrossido precipitato; i tecnici del Fixed Nitrogen Research Laboratory degli S. U. d'America affermano che migliori risultati si ottengono passando attraverso la magnetite fusa.
Gli studî di Parravano sulle differenti proprietà fisiche e chimico-fisiche dell'allumina preparata con diversi metodi hanno portato nuova luce su questi fenomeni. Già molti autori (Bone, Armstrong, Pease, Constable) erano stati condotti ad ammettere che non tutta la superficie dei catalizzatori è attiva, ma che esistono delle zone o centri attivi localizzati là dove è più intenso il campo elettromagnetico, dovuti a valenze parzialmente non saturate, analoghe a quelle che determinano l'aggruppamento nel reticolo cristallino.
Un allargamento o una deformazione del reticolo cristallino del catalizzatore conferisce a questo una maggiore attività (Parravano). Si comprende perciò anche la grande influenza che la temperatura di preparazione ha sull'efficacia del catalizzatore come era stato messo in luce dal Sabatier. L'accrescimento della grandezza dei granuli e l'assestamento del cristallo provocano una diminuzione dell'attività. La legge di distribuzione dei centri attivi sul catalizzatore varia notevolmente col metodo di produzione e con l'età. In genere nella fase iniziale il catalizzatore mostra un'attività crescente; come se si adattasse ai prodotti della reazione.
Esiste di regola anche una temperatura optimum di attivazione. Dai numerosi risultati raccolti si può dedurre che ciò dipenda dal sovrapporsi di due influenze contrarie quando cresce la temperatura alla quale si compie l'attivazione preliminare. Da un lato l'aumento di temperatura favorisce la mobilità delle particelle che devono orientarsi, per raggiungere l'orientamento più efficace; e dall'altro esercita un'azione nociva in quanto favorisce la tendenza all'agglomerazione (sintering). Esempi di questo comportamento si hanno per molti catalizzatori d'idrogenazione, e per il platino adoperato nella ossidazione catalitica dell'ammoniaca. In quest'ultimo caso l'attivazione del catalizzatore è accompagnata da una sensibile variazione nell'aspetto della sua superficie esterna (vedi fig. 2) e la capacità di adattamento è tanto forte che - come vedremo meglio in seguito - il catalizzatore può finanche adattarsi alla presenza di alcuni veleni.
Catalizzatori misti; Promotori; Veleni. - Fin dall'inizio delle ricerche sulla catalisi gli sperimentatori avevano potuto osservare la notevole influenza che alcune impurezze hanno sull'attività del catalizzatore: come lo zolfo nella catalisi del miscuglio tonante in presenza di platino (Davy, 1817). Tali sostanze prendono di regola il nome di veleni, ma è forse utile distinguere tra l'azione che può esercitare un'impurezza inizialmente presente nel catalizzatore e quella d'una sostanza estranea che si accumuli alla superficie di esso portatavi dai reagenti stessi. Il primo caso rientra nello studio generale dei catalizzatori misti (a due o più componenti), il secondo può considerarsi come vero e proprio fenomeno di avvelenamenti) graduale del catalizzatore.
Nello studio della catalisi omogenea abbiamo avuto occasione di ricordare diverse reazioni per cui la presenza contemporanea di più catalizzatori esercita un'influenza maggiore di quella che si prevederebbe in base a una semplice relazione di addittività. Il comportamento dei catalizzatori binarî (a due componenti) è stato sistematicamente studiato per la catalisi eterogenea, e il primo esempio di pratiche applicazioni si è avuto nell'uso del ferro-molibdeno per la sintesi dell'ammoniaca.
I varî casi che si possono presentare sono illustrati nel diagramma della fig. 3. Quivi sono rappresentati due gruppi di curve disegnate rispettivamente a tratto pieno e punteggiate; inoltre sulle ascisse sono riportate col solito metodo le composizioni del miscuglio catalizzatore e sulle ordinate le attività rappresentate con unità arbitrarie. Le curve a tratto pieno si riferiscono a miscugli di due costituenti di cui l'uno è dotato di proprietà catalitiche (A) e l'altro è inerte (B.). Quattro casi sono possibili:
Ia). L'attività catalitica varia linearmente in funzione della composizione. È quanto si verifica con molti supporti inerti adoperati per sostenere alcuni catalizzatori metallici (palladio, platino, nichel ridotto, ecc.).
IIa). L'attività catalitica cresce gradualmente al crescere della concentrazione del costituente inerte fino a un massimo, a partire dal quale poi decresce rapidamente. Fenomeni del genere sono molto comuni e vanno compresi sotto la denominazione generica di "azione del supporto". Armstrong e Hilditch hanno per primi messo in evidenza un tal fatto per il nichel ridotto su un supporto di Marina fossile (Kieselguhr) e lo hanno attribuito alla possibilità. che il supporto fornisce, di effettuare la riduzione a una più elevata temperatura evitando il dannoso effetto dell'agglomerazione (sintering) che si produrrebbe qualora il catalizzatore fosse da solo in massa. Altre ricerche hanno poi mostrato che il supporto può agire esercitando un potere di adsorbimento preferenziale sui veleni che accompagnano i reagenti, accrescendo così per via indiretta l'attività del catalizzatore. Non nancano infine dei casi in cui il supporto attivatore mostra un sensibile potere di adsorbimento per uno dei reagenti, come avviene per l'anidride solforosa (nei processi di ossidazione catalitica), la quale è adsorbita in modo sensibile dall'amiato e dal solfato di magnesio che sono supporti attivanti per il platino catalizzatore (Beebe, 1925). Un pari fenomeno si produce con i mattoni di diatomee per rispetto all'acido cloridrico, e la proprietà va ricollegata con la favorevole azione che tali supporti hanno per il cloruro rameoso nel processo Deacon.
IIIa). L'attività catalitica aumenta molto rapidamente per l'aggiunta di piccole quantità d'un costituente B di per sé inerte, raggiunge subito un massimo e poi decresce lentamente fino a zero. In questo caso si dice che la sostanza B è un "promotore" e noi studieremo a parte il fenomeno. Esempio tipico del genere si ha nell'aggiunta di piccole quantità di Al2O3 al ferro ridotto adoperato nella sintesi dell'ammoniaca.
IVa). L'attività catalitica decidere rapidamente per minime aggiunte del costituente B, inattivo di per sé stesso. Si tratta allora d'un veleno del catalizzatore: come ad es. le tracce di S nel ferro usato per la sintesi dell'ammoniaca.
Le curve punteggiate del diagramma si riferiscono a miscugli di cui entrambi i costituenti sono dotati di proprietà catalitiche. Tre casi sono essenzialmente possibili:
Ib). L'attività varia linearmente, cioè i due catalizzatori non esercitano in influenza l'uno sull'altro, il che avviene tli regola.
IIb). L'attività passa per un minimo ed è rappresentata da una curva he presenta la convessità all'asse delle ascisse. Ciò avviene per i miscugli di platino e palladio, entrambi attivi, nell'ossidazione dell'ammoniaca.
IIIb). L'attività passa nettamente per un massimo mostrando che i due catalizzatori si attivano reciprocamente. Abbiamo in proposito già citato il caso del ferro-molibdeno, e non mancano esempî di catalizzatori a tre o più componenti.
Le curve IIIa) e IIIb) nonché l'uso dei catalizzatori multipli ci portano nel campo dei cosiddetti "promotori" e della "coattivazione". Tali effetti hanno dato un gran contributo alle applicazioni pratiche della catalisi. Gli americani hanno potuto realizzare un catalizzatore complesso "Hopkalite" con una mescolanza di ossidi metallici (Mn, Cu, metalli alcalini e alcalino-terrosi) capace di provocare a temperatura ordinaria l'ossidazione di CO con l'ossigeno atmosferico. Durante la guerra la Badische Anilin und Soda Fabrik ha potuto compiere l'ossidazione dell'ammoniaca in grande scala sostituendo al platino catalizzatori misti a base di ossido di ferro e di bismuto. Per tale via sono stati anche sensibilmente migliorati i catalizzatori per la sintesi dell'ammoniaca prima con aggiunta d'un solo ossido (silice, allumina, ecc.) e poi con l'aggiunta di due ossidi l'uno a carattere acido e l'altro a carattere basico (Larson).
Molto si è discusso sopra questi fenomeni non ancora del tutto chiariti, ma in relazione con i già ricordati studî sulla deformazione dei reticoli cristallini sono anche da porre i recenti risultati di accurate indagini roentgenspettrografiche di Natta sugli ossidi di zinco attivati per la sintesi di alcool metilico. Egli ha potuto provare che l'esaltazione del potere catalitico si consegue o per mezzo di aggiunte, che durante la preparazione e l'uso impediscono l'ingrossamento dei granuli cristallini, oppure per la formazione di soluzioni solide, e conseguente deformazione del reticolo fondamentale.
Per quanto riguarda i "veleni" veri e proprî che accompagnano i reagenti, la loro azione è ben nota fin dai primordî degli studî sulla catalisi; anzi molte volte la difficoltà di purificare i reagenti ha per lungo tempo ritardato la realizzazione pratica d'importanti processi. Ricordiamo l'influenza dei composti d'arsenico nell'ossidazione dell'anidride solforosa. Nel quadro, che abbiamo brevemente tracciato, l'avvelenamento dei catalizzatori si spiega con grande facilità. I veleni debbono considerarsi come sostanze capaci d'essere fortemente adsorbite dai centri attivi dei catalizzatori, impedendo così che essi possano esercitare la loro azione sui reagenti. La constatazione del fatto che minime quantità di veleni bastano a rendere inattivo un catalizzatore, fu il primo indizio che indusse Armstrong a formulare l'ipotesi che non tutta la superficie del catalizzatore è attiva, bensì solo alcuni punti o zone di essa. Vero è che nella catalisi microeterogenea si possono presentare esempî di avvelenamento del catalizzatore per agglomerazione delle particelle e conseguente riduzione della superficie attiva; ma anche per tali sistemi Meyerhof (1919) ha potuto dimostrare che ci sono casi di vero e proprio adsorbimento preferenziale del veleno. Così gli alcoli e gli uretani diminuiscono l'attività del nero di platino nella decomposizione dell'acqua ossigenata pur senza che si manifesti per tali aggiunte, all'esame ultramicroscopico, alcun agglomeramento delle particelle.
Talora due veleni presenti contemporaneamente si neutralizzano a vicenda. Nell'ossidazione dell'ammoniaca, una piccola quantità di H2S accanto a C2H2 o anche PH3 (tutti veleni da soli), esercita un'azione protettiva. Aggiungiamo che ci sono poi veleni i quali hanno soltanto una azione transitoria sul catalizzatore: tali differenze debbono essere determinate dalla differente intensità dei legami attraverso cui si determina la formazione del primo strato monomolecolare di assorbimento.
Studio del catalizzatore. - Quando si studia un catalizzatore per la catalisi eterogenea deve tenersi conto del fatto che, nella pratica, i prodotti liquidi o gassosi da trattare sono fatti circolare sulla massa del catalizzatore. Si presenta allora il problema di determinare il valore più opportuno della velocità di circolazione dei fluidi reagenti sul catalizzatore solido. Se con V si indica il volume dei reagenti che passa nell'unità di tempo nella camera di catalisi di volume v, il rapporto
prende il nome v di "velocità spaziale". Tale rapporto ha un valore comparativo per un determinato tipo di reazione e di catalizzatore, ma non un valore assoluto. Infatti la velocità con la quale i fluidi lambiscono la superficie del catalizzatore non dipende dal volume della camera di reazione, ma dalla frazione di tale volume che rappresenta lo spazio vuoto e tale frazione dipende coeteris paribus dal volume e dalla forma dei granelli del catalizzatore. Così pure il volume V non può facilmente determinarsi: esso si assume, per convenzione, eguale al volume dei reagenti misurati nelle condizioni normali. Ma nel passaggio sul catalizzatore tale volume può variare per effetto della reazione e per effetto dei cambiamenti di temperatura.
Se riportiamo su due assi coordinati ortogonali il rendimento percentuale R, sulle ordinate, in funzione delle velocità spaziali
sulle ascisse, v otteniamo un diagramma del tipo della fig. 4. Per piccoli valori di
R tende al valor limite corrispondente alle condizioni d'equilibrio per la temperatura di esperimento; al crescere della velocità spaziale R tende ad annullarsi. In pratica più che il rendimento percentuale R interessa conoscere il lavoro del catalizzatore, cioè la quantità di sostanza prodotta nell'unità di tempo dall'unità di volume del catalizzatore. Tale quantità L, a meno di un fattore numerico dipendente dalle unità prescelte, è rappresentata dal prodotto
e il diagramma che rappresenta L. in funzione della velocità spaziale avrà l'andamento indicato dalla fig. 5. dopo un primo tratto rettilineo si ha un ulteriore aumento graduale fino a un massimo, di là dal quale la curva tende a raggiungere assintoticamente l'asse delle ascisse. Sui due diagrammi considerati si hanno altrettante curve per ogni temperatura di esperienza. La rappresentazione completa del fenomeno può farsi con superficie dei rendimenti o dei lavori riferite a tre assi coordinati ortogonali (fig. 6). Per mezzo di queste curve si possono studiare quasi tutti i problemi pratici come Pascal e i suoi collaboratori hanno mostrato in molti casi. Ma nelle pratiche applicazioni è da tener presente inoltre che il procedere della reazione implica spesso degli effetti termici notevoli, onde di regola la velocità spaziale e la temperatura non possono essere considerate come variabili indipendenti. Si entra qui in uno dei campi più delicati della tecnologia chimica dove bisogna riconoscere che molta parte purtroppo è ancora affidata all'intuito del progettista; il quale è sempre però utilmente guidato dai diagrammi dei quali abbiamo fatto cenno, nonché dalla conoscenza degli effetti termici in giutico.
Catalisi microeterogenea. - l sistemi microeterogenei rappresentano un termine di passaggio tra gli omogenei e i macroeterogenei. Si tratta per solito di sistemi dispersi in cui il catalizzatore è allo stato colloidale e la reazione avviene all'interfase tra solido e liquido. È stato merito principalmente del Bredig (1901) d'aver fornito un metodo generale di preparazione di soluzioni colloidali e di averne studiate le azioni catalitiche cercando di cogliere le analogie di comportamento tra i sali inorganici e i fermenti. Tali analogie sono state fissate nei fenomeni di avvelenamento e anche in alcuni casi molto interessanti di reazioni ritmiche, con le quali si è voluto perfino stabilire un'analogia tra i diagrammi rappresentativi dell'attività in funzione del tempo ed i rilievi cardiografici.
Per maggiori particolari v. colloidi. Qui basterà ricordare che lo studio cinetico di molte reazioni in presenza di colloidi non permette di classificarle esattamente.
Se il reagente fosse in concentrazione sufficiente per tener continuamente satura la superficie delle particelle e se si avesse da fare con una pura reazione di superficie, la velocità dovrebbe rimanere costante in funzione del tempo, cioè si dovrebbe avere una reazione di ordine zero. Viceversa se la concentrazione non fosse tale da permettere la saturazione, si avrebbe un adsorbimento proporzionale alla concentrazione del reagente nel liquido cioè regolato dalla velocità di diffusione della sostanza disciolta verso l'interfase; e la velocità di reazione varierebbe secondo la stessa formula valida per le reazioni monomolecolari. Infine per concentrazioni basse, che non possono dare la saturazione della sostanza adsorbita, e per piccole velocità, si dovrebbe avere in ogni istante una concentrazione della sostanza adsorbita, collegata a quella esistente nella massa del liquido dalla legge dell'adsorbimento isotermico. Si giungerebbe allora a un andamento cinetico tale, che la costante di velocità calcolata con la formula delle reazioni monomolecolari, andrebbe crescendo col tempo.
Praticamente tutti i varî casi ricordati si presentano. La maggior parte delle ricerche sono state eseguite sulla decomposizione dell'acqua ossigenata. Bredig ha trovato velocità proporzionali alle concentrazioni istantanee. Però il coefficiente di temperatura piuttosto alto porterebbe a escludere la predominante influenza dei fenomeni di diffusione, che si deve ammettere per un simile andamento.
Si sono trovati anche coefficienti di velocità, calcolati in base alla f0rmula logaritmica, crescenti col tempo per reazioni che avvengon0 in presenza di un notevole eccesso del catalizzatore. E in conclusione si è condotti a pensare che la catalisi microeterogenea, anche dal punto di vista del meccanismo di azione, occupi un posto intermedio tra la catalisi omogenea e la macroeterogenea in quanto non mancherebbe la formazione di composti intermedî accanto a fenomeni di adsorbimento. In un caso limite (decomposizione di H2O2 da parte del mercurio), Bredig e Antropoff hanno potuto svelare la presenza d'un perossido di mercurio; e Bredig stesso, come Haber, ritiene accettabile anche la vecchia ipotesi di Berthelot consistente nell'ammettere la formazione d'un ossido intermedio instabile del platino.
Reazioni enzimatiche. - Per uno studio sistematico di queste reazioni v. enzimi. Qui ricorderemo soltanto che gli enzimi debbono essere considerati come catalizzatori colloidali e che, per essi, il carattere della specificità è più che mai accentuato. I fenomeni di avvelenamento degli enzimi sono molto caratteristici. Euler ha trovato che l'adsorbimento che avvelena l'enzima è perfettamente reversibile e che, ad esempio, l'invertina avvelenata da ioni mercurici ricupera la sua attività se la soluzione è trattata con H2S e inoltre che - per una data concentrazione del veleno - la diminuzione di attività è tanto più piccola per quanto più elevata è la concentrazione del reagente (saccarosio). Ciò dimostrerebbe che si ha da fare con fenomeni di adsorbimento nei quali il saccarosio e gli ioni mercurici entrano in concorrenza in proporzione delle rispettive concentrBzioni rispetto al sostegno (enzima) che deve adsorbirli.
Catalisi macroeterogenea. - Gli esempî di catalisi macroeterogenea sono oltremodo numerosi e hanno dato luogo a un gran numero di applicazioni pratiche. Ricorderemo i processi principali raggruppandoli per tipo di reazioni.
Il processo più importante di sintesi catalitica, a partire dagli elementi, è quello che conduce all'ammoniaca. La reazione
fu studiata da Le Chatelier, Nernst e Haber e questi studî condussero a fissare le condizioni fondamentali di lavoro: pressioni elevate, catalizzatori capaci di dare una sufficiente velocità a temperature piuttosto basse.
La prima realizzazione su grande scala fu fatta dalla Badische Anilin und Soda Fabrik lavorando a 200 atmosfere, a circa 5500 e con catalizzatore a base di ferro ridotto.
Non si può qui nemmeno lontanamente accennare all'enorme mole di studî cui questa importantissima sintesi ha dato luogo sia per la parte puramente catalitica, sia per tutti i problemi chimici e tecnologici connessi.
Ricorderemo soltanto che le principali altre soluzioni proposte e realizzate possono dividersi in due gruppi. Da un lato abbiamo i metodi fondati sull'uso di pressioni molto alte (iperpressioni) auspicate da Claude e realizzate anche in Italia brillantemente dal Casale, il quale ha costruito impianti in tutto il mondo. Dall'altro canto abbiamo i metodi fondati sulla ricerca dei catalizzatori particolarmente attivi per poter lavorare a temperature e quindi anche a pressioni più basse.
Reazioni di ossidazione. - Uno dei più vecchi processi di ossidazione catalitica si ritrova nel metodo Deacon (1868) per la preparazione del cloro a partire dall'acido cloridrico:
Trattandosi d'una reazione esotermica (log K = 2,43 a 352°; log. K = O a 600°) la ricerca d'un adatto catalizzatore per lavorare a basse temperature ha grande importanza. Risultano efficaci varî sali di rame, l'asbesto platinato, il cloruro ferrico; ma nessuno dei catalizzatori proposti è risultato superiore al cloruro rameoso su supporti di pomice, mattoni di diatomee, ecc. L'H2SO4, FeCl2, SO2 e As2O3 sono veleni piuttosto energici.
Nel campo della grande industria chimica inorganica ha assunto notevole importanza l'ossidazione catalitica di SO2, per la quale Davy aveva consigliato l'uso della spugna di platino, fin dal 1812. La prima realizzazione industriale si ebbe soltanto nel 1875 quando Squire e Messel per preparare oleum, usarono come materia prima i gas puri provenienti dalla decomposizione di acido solforico su mattoni arroventati.
Solo al principio del nuovo secolo le ricerche sull'equilibrio della reazione
da parte di Knietsch e Krauss, e le loro misure cinetiche hanno permesso d'industrializzare il processo a partire da SO2 ottenuta per combustione di solfo o di piriti.
La Badische Anilin und Soda Fabrik raggiunse per prima il risultato di purificare i gas in grande scala eliminando i composti di arsenico, antimonio, fosforo, piombo, i quali avvelenano il catalizzatore di platino.
Abbiamo già accennato alla favorevole influenza che può esercitare la natura del supporto, il quale varia nei differenti impianti della Badische, di Tentelew, di Schroder-Grillo. Molta importanza hanno le caratteristiche costruttive dell'apparecchio e il modo di disporre il catalizzatore specialmente al fine di regolare gli effetti termici che sono cospicui. Oltre il platino si sono adoperati anche catalizzatori di ossido ferrico e, specialmente in questi ultimi tempi, il pentossido di vanadio.
Un altro vecchio processo, che solo di recente è entrato trionfalmente nella pratica, è quello di ossidazione dell'ammoniaca, scoperto fin dal 1839 da Kuhlmann:
Anche qui hanno avuto importanza per la realizzazione le accurate ricerche scientifiche di Ostwald e Brauer (1903).
Di regola si adoperano ora come catalizzatore reti di platino semplici o multiple, talvolta anche scaldate elettricamente. La recuperazione del calore ha grande importanza perché una deficienza del contenuto termico, nei gas che devono reagire, può far sì che avvenga la reazione collaterale più esotermica:
la quale rappresenta una pura perdita.
Come abbiamo ricordato, oltre la rete di platino, si sono adoperati catalizzatori a base di ossidi: meglio tra tutti rispondono i miscugli binarî di ossidi di Fe e Bi, di Fe e Cu o anche miscugli ternarî. Sembra però che con tali catalizzatori misti non si raggiungano le alte rese del platino (95%). Molta importanza hanno i ripieghi escogitati dai diversi inventori per assicurare la giusta durata di contatto in modo uniforme per tutta la massa gassosa e per realizzare il recupero di calore evitando la decomposizione termica dell'ammoniaca.
L'ossidazione dell'alcool metilico a formaldeide:
è catalizzata dai metalli ridotti (Cu, Ag e leghe Cu−Ag). Le ricerche di Sabatier e quelle successive di Orloff hanno dimostrato che in realtà si potrebbe ottenere la formaldeide con un processo semplice di disidrogenazione:
Ma in pratica l'ossidazione in presenza d'aria è più adatta perché la formazione di H2O fa diminuire la pressione parziale di H2 (migliorando le condizioni di equilibrio), fornisce calore per la reazione endotermica di disidrogenazione e contribuisce a conservare in efficienza il catalizzatore.
Molti studî sono stati eseguiti su questa reazione, alcuni dei quali per paragonare l'attività dei varî catalizzatori. Fokin (1913) ottenne i migliori risultati con leghe Cu −Ag (84% di resa) e Hoechstetter ha annunziato rese del 96% in presenza di argento rivestito con piccole quantità di rodio e di platino.
Per ossidazione catalitica si può passare dalle aldeidi agli acidi, come si pratica industrialmente con l'acetaldeide per ottenere acido acetico, in presenza di sali di manganese. Su nero di platino l'alcool metilico può essere direttamente ossidato ad acido acetico. L'ossido di vanadio permette di ossidare, con buoni rendimenti, zuccheri e amidi ad acido ossalico. Notevoli le ossidazioni degl'idrocarburi in presenza di varî catalizzatori. Con pentossido di vanadio si ottengono benzaldeide e acido benzoico dal toluene e si può ossidare la naftalina ad anidride ftalica.
È impossibile qui ricordare tutte le ricerche eseguite e le reazioni proposte. Menzioneremo soltanto le reazioni di ossidazione in presenza di carbone attivo, la cui attività può notevolmente essere accresciuta riscaldandolo, durante la preparazione, in presenza di adatti promotori.
Un'applicazione della catalisi che ha destato grandi speranze e attorno alla quale continuano ancora gli studi è la combustione di superficie con la quale, in alcuni esperimenti su caldaie, si sono raggiunti rendimenti termici superiori al 92%. A seguito degli studî di Bone e Court si costruiscono oggi caldaie tubolari con tubi riempiti di adatti catalizzatori di materiale refrattario granulare e anche forni con diaframmi porosi di refrattario, attraverso cui il miscuglio dei gas combustibili con aria viene ossidato cataliticamente.
Tra le reazioni di ossidazione si può, da un certo punto di vista, far rientrare anche quella che avviene tra ossido di carbonio e vapore d 'acqua:
la quale è stata specialmente studiata dai tecnici della Badische Anilin und Soda Fabrik per ottenere idtogeno a spese dell'ossido di carbonio contenuto nel gas povero e nel gas d'acqua. Il catalizzatore è qui indispensabile per poter lavorare a basse temperature (550°-600°). Gli studî e i brevetti esistenti in proposito sono numerosissimi; ma in pratica, ragioni di resistenza e d'economia limitano la scelta del catalizzatore agli ossidi di ferro con varî promotori: ossidi di cromo-nichel, alluminio, cerio, zinco, piombo.
Reazioni d'idrogenazione. - Lo studio sistematico di queste reazioni è in gran parte dovuto a Sabatier e ai suoi collaboratori. Essi hanno esaminato il comportamento di moltissimi miscugli d'idrogeno e vapori di sostanze organiche su metalli ridotti finemente divisi, hanno indicato con precisione i metodi e le condizioni più opportune per la preparazione di tali catalizzatori, e hanno messo in evidenza le influenze avvelenatrici di molte sostanze che spesso accompagnano l'idrogeno.
Così ad es. si possono preparare ammine aromatiche a partire dai corrispondenti nitroderivati (su nichel); si può ridurre il gruppo
e trasfomiare le anidridi in lattoni.
Le aldeidi vengono facilmente ridotte ai corrispondenti alcoli e in tal modo, a partire dall'acetilene, attraverso l'acetaldeide, si può ottenere alcool metilico sintetico (in presenza di nichel ridotto a 140°).
L'ossido di carbonio e l'anidride carbonica possono essere ridotti producendo metano, processo che ha destato molta speranza per l'arricchimento catalitico del gas acqua, invece di ricorrere al cracking di olî. Una riduzione parziale può condurre ad alcool metilico, come abbiamo già accennato, in presenza di catalizzatori a base di ossido di zinco. La reazione avviene con notevole diminuizione di volume
e quindi si lavora a pressioni elevate, dell'ordine di 200 atmosfere. Anche il carattere di esotermicità rende questo procedimento anal0g0 a quello per la sintesi dell'ammoniaca.
La Badische Anilin und Soda Fabrik propose l'uso dei catalizzatori a base di ZnO con ossidi di cromo quali promotori. Abbiamo già ricordato gl'importanti studî di Natta su tale argomento, studi che hanno condotto agl'impianti industriali del Coghinas (Sardegna). In Italia anche la S.I.R.I. di Terni produce alcool metilico sintetico.
Particolarmente interessanti, non solo dal punto di vista teorico ma anche per le applicazioni pratiche, sono le idrogenazioni dei composti non saturi. Tali idrogenazioni possono compiersi per il doppio legame etilenico, il triplo acetilenico, nel nucleo aromatico, nei legami multipli tra carbonio e azoto e anche in nuclei complessi. Gli studî di Rideal e Pease, sull'idrogenazione dell'etilene in presenza di nichel e di rame, hanno avuto grande importanza per stabilire la teoria dei centri attivi.
Le più estese applicazioni pratiche si contano nel campo dell'idrogenazione di olî animali e vegetali. I gliceridi di acidi non saturi hanno di regola punti di fusione più bassi che non i gliceridi dei corrispondenti acidi saturi e la trasformazione per idrogenazione catalitica di quelli in questi, che hanno maggior valore commerciale, si designa anche come "indurimento catalitico dei grassi"
Solo dopo le accurate ricerche di Sabatier e Senderens l'idrogenazione in fase liquida è stata convenientemente realizzata. Molti processi sono oggi in uso nei quali funzionano, volta a volta, da catalizzatori, il nichel, i suoi ossidi, alcuni suoi sali organici e talvolta anche i metalli preziosi (platino e palladio).
I particolari tecnologici dei diversi procedimenti sono svariatissimi specialmente per separare il catalizzatore dal liquido. Si lavora tanto a pressione atmosferica quanto a pressioni elevate.
In questi ultimi anni i processi di saturazione dei doppî legami per idrogenazione hanno avuto ulteriore sviluppo per i tentativi di Bergius intesi a idrogenare il carbone, i residui di petrolio e i catrami primarî. Avvengono reazioni complesse con i prodotti ossigenati, solforati, azotati, ecc.; ma essenzialmente la bergizzazione ha lo scopo di fornire l'idrogeno che viene a mancare quando un idrocarburo complesso si depolimerizza per dar luogo a idrocarburi più volatili:
In tal modo si potrebbe direttamente fluidificare il carbone ottenendone idrocarburi da usare in sostituzione di quelli del petrolio di cui appare prossimo l'esaurimento nel mondo.
L'enorme sforzo tecnico e finanziario della I. G. Farbenindustrie ha permesso di realizzare la bergizzazione su grande scala; ma la convenienza economica di questa nu0va industria è tuttora in discussione. Le grandi compagnie petrolifere "Standard Oil" e "Dutch Shell" hanno riunito i loro sforzi a quelli del potente gruppo chimico tedesco.
Reazioni di disidrogenazione. - Esse derivano di regola dall'invertibilità dei fenomeni d'idrogenazione. Si possono quindi ottenere aldeidi dai corrispondenti alcoli - come abbiamo già visto nel caso dell'aldeide formica - idrocarburi aromatici dagli idroaromatici corrispondenti, e reazioni analoghe con vari idrocarburi.
L'interesse alla disidrogenazione degli idrocarburi più pesanti provenienti da fonti diverse (petrolî grezzi, olî di scisto, ecc.) è determinato dslla possibilità di ottenere l'isoprene, un idrocarburo a cinque atomi di carbonio con due doppî legami, di cui il caucciù non sarebbe altro che un polimero (Harries):
La polimerizzazione dell'isoprene può condurre anche a preparare terpeni e canfora ed è essa stessa accelerata cataliticamente (sodio metallico).
Reazioni di disidrogenazione molto cospicue si hanno nei processi di cracking, adoperati sempre più largamente per ricavare idrocarburi leggieri (benzine) dai petrolî e per arricchire il gas d'acqua.
La crackizzazione è in fondo un fenomeno di demolizione termica che si verifica operando a temperature e a pressioni elevate; ma i catalizzatori intervengono accelerando e modificando il corso delle reazioni. Abbiamo già detto che la demolizione molecolare degli idrocarburi complessi conduce a una deficienza d'idrogeno alla quale - in assenza di interventi idrogenanti - si fa fronte o con formazione di doppî legami o con separazione di carbonio.
Questo carbonio finemente diviso, che si separa, ha per proprio conto una notevole azione catalitica (Mazzetti), come del resto ne hanno le pareti dei recipienti. Sabatier e Sanderens hanno studiato per primi l'azione dei metalli ridotti nella sintesi e nella decomposizione dei petroli. Benché finora le applicazioni sistematiche di catalizzatori nei processi di cracking siano ancora molto limitate, pure è indubbio che da questo lato sono da attendere i maggiori progressi.
Processi di disidratazione. - La più classica reazione del genere, nel dominio della catalisi omogenea è quella della disidratazione degli alcoli per ottenere gli eteri.
Tale semplice disidratazione si ottiene difficilmente in fase vapore su catalizzatori solidi. Su allumina a 210° si può preparare etere etilico dal corrispondente alcool (Pease e Yung); ma di regola la reazione procede oltre fino all'etilene:
Sabatier e Sanderens hanno mostrato che molti ossidi funzionano da catalizzatori in tali reazioni; ma che spesso essi catalizzano collateralmente una reazione di disidrogenazione. Sono disidratanti puri ThO2, Al2O3, N2O3 e disidrogenanti puri MnO2, SnO, CdO, Mn2 O4 MgO, oltre i metalli ridotti. Molti altri ossidi hanno una funzione mista.
Anche qui il numero delle reazioni possibili è grandissimo. Dai chetoni e dalle aldeidi si possono ottenere gli . drocarburi non saturi con due doppî legami (tipo isoprene):
Dalle ammidi si ottengono i corrispondemi nitrili:
Numerosi sono anche gli esempî di esterificazioni in fase vapore (Sabatier e Mailhe).
Interessa anche di ricordare le reazioni catalitiche in presenza di torina per preparare le ammine eliminando acqua tra alcoli e ammoniaca, oppure per ottenere i tioli partendo da alcoli e H2S.
Può rientrare in questo gruppo il procedimento catalitico di preparazione dei chetoni per contemporanea eliminazione di H2O e CO2 dagli acidi alifatici. Funzionano da catalizzatori i carbonati dei metalli alcalino-terrosi, la torina, l'allumina, gli ossidi di zinco, cadmio, cromo, e gli altri metalli.
Bibl.: P. Pascal, Synthèse et catalyses industrielles, Parigi 1925; E. K. Rideal e H. S. Taylor, Catalysis in theory and practice, Londra 1926; Structure et activation des molécules, Parigi 1928; U. Pratolongo, Studi di meccanica statistica, Milano 1920.