GRIMALDI, Catalano
Figlio di Giovanni e di Pomellina di Leonardo Fregoso, nacque a Mentone nel 1415.
Le prime notizie su di lui risalgono al gennaio 1438 quando, accompagnando il padre in un suo viaggio a Milano, fu arrestato con lui in territorio visconteo e, quindi, consegnato a Ludovico di Savoia. I due trascorsero alcuni mesi tra Pinerolo, Moncalieri e La Turbie, in qualità di ostaggi nella speranza, rivelatasi del tutto vana, di convincere Pomellina Fregoso a cedere a Ludovico la rocca di Monaco in cambio della loro libertà. Restituiti al Visconti, i due vennero rilasciati nell'ottobre del 1440. Quattro anni dopo il G. sposava Bianca Del Carretto, figlia del signore di Finale Galeotto (I), continuando la lunga tradizione di amicizia tra le due maggiori famiglie signorili della Riviera di Ponente. Negli anni successivi si dedicò spesso alla pirateria finché, nel maggio 1454, alla morte del padre, non divenne signore di Monaco, Mentone e Roccabruna.
Il G. ereditava una difficile situazione, causata principalmente da alcune ardite decisioni paterne che, fra il 1448 e il 1449, avevano completamente rivoluzionato l'assetto del piccolo Stato. Giovanni, infatti, nell'intento di porre fine ai tentativi sabaudi di impadronirsi dei suoi domini, aveva accettato di fare atto d'omaggio a Ludovico di Savoia per i feudi di Mentone e Roccabruna; allo stesso tempo, si era accordato con il delfino, Luigi di Vienne (figlio del re di Francia Carlo VII con il quale era in rotta), per cedergli la rocca di Monaco. Questi due atti avevano provocato a Genova grande irritazione, giacché sia il duca sia il delfino si erano manifestati più volte ostili alla Repubblica genovese; soprattutto, però, la mossa di Giovanni aveva sconcertato i Fregoso allora al potere, da tempo protettori dei Grimaldi e loro stretti parenti.
Il G. non si era guadagnato negli anni precedenti una gran fama; in genere era ritratto come un supino esecutore di ordini, più legato a suo cognato, il doge Pietro Fregoso, marito di sua sorella Bartolomea, che non a suo padre. Tuttavia egli aveva avuto modo di dimostrare ottime doti marinaresche e militari che lo avevano fatto apprezzare dai Fregoso, i quali gli avevano più volte affidato il comando di navi e galee. Nei loro confronti, certo ispirato dalla madre, nipote del doge Tommaso Fregoso, il G. aveva manifestato sempre amicizia sincera, se non addirittura autentica devozione. Così, una volta divenuto signore di Monaco, prima sua cura fu quella di rendere nulla la vendita della rocca al delfino (cosa che maggiormente impensieriva i Genovesi), ribadendo però, al contempo, gli obblighi feudali che il padre aveva assunto con il duca di Savoia. Non appena preso possesso dei domini paterni egli inviò infatti presso la corte sabauda Antonio Grimaldi, signore di Châteauneuf, incaricandolo di rinnovare, a nome suo, il giuramento di fedeltà e di ricevere l'investitura di Mentone e Roccabruna. La cerimonia avvenne il 15 luglio 1454, nel castello di Chambéry, e il duca volle dare un segno della sua amicizia accordando al G. due diplomi, con i quali lo nominava suo scudiero (con relativa provvisione) e capitano generale dell'armata navale: carica peraltro puramente onorifica vista l'inesistenza di una flotta sabauda. Dalla Savoia Antonio Grimaldi si portò quindi a Grenoble, per regolare con il delfino il contenzioso relativo a Monaco.
Secondo quanto concordato cinque anni prima, questi ne aveva acquistato il dominio con la condizione che, fino al saldo dei 12.000 scudi pattuiti, la rocca sarebbe rimasta ai Grimaldi, solo inalberando lo stendardo delfinale. Il possesso di Monaco doveva rappresentare per il delfino, desideroso di riprendere quanto prima la politica espansionistica francese in Italia, il primo passo per una futura spedizione contro Genova, ribellatasi un quarantennio prima al dominio di suo nonno Carlo VI. Nessuno degli impegni da lui assunti con Giovanni Grimaldi nel 1449 era però mai stato adempiuto, né per quanto riguardava il pagamento del prezzo d'acquisto, né tantomeno per il rimborso delle spese sostenute per la custodia delle fortificazioni che, almeno dal 1451, i Grimaldi avevano tenuto in suo nome. Non è noto quale sia stato l'esito della missione del signore di Châteauneuf, non esistendo apparentemente alcun documento che testimoni il fatto, ma tutto lascia pensare che il giovane erede della corona di Francia, nel frattempo sempre più in contrasto col padre e ormai distratto da altri obiettivi, abbia rinunciato a ogni diritto su Monaco o, quanto meno, abbia accettato di fare tacitamente decadere il contratto.
Regolate così le questioni concernenti la condizione giuridica dei suoi domini, il G. poté dedicarsi interamente alle vicende genovesi e liguri, alle quali riservò una partecipazione ben diversa da quella dei suoi predecessori, dettata soprattutto dai vincoli di sangue che lo legavano ai Fregoso. Era allora doge suo cognato Pietro, il quale aveva assunto il potere nel 1450, con un colpo di Stato che, con il sostegno dei Fieschi, aveva deposto il cugino Ludovico Fregoso. La sostituzione, di là dalle rivalità personali e dalle ambizioni dei Fieschi, era stata voluta da Francesco Sforza, da poco tempo duca di Milano, desideroso di staccare Genova dall'influenza napoletana, cui gli Adorno e i due fratelli Fregoso avevano dovuto sottostare, riconoscendo una sorta di dipendenza feudale dal re Alfonso d'Aragona. Questi, nonostante i tentativi di Pietro Fregoso di trovare un accordo con lui, aveva mosso contro il Fregoso una guerra spietata per mare e per terra, dove aveva potuto contare sul sostegno del vasto fronte dei fuorusciti genovesi. Tutto il dogato di Pietro Fregoso si era così svolto in uno stato di guerra civile quasi permanente, che aveva visto i suoi avversari coalizzati, a dispetto delle latenti tensioni fra clan e partiti, sotto la guida di Giovanni Filippo Fieschi. In questo contesto il G. svolse in più di una circostanza il ruolo di tutore degli interessi dei Fregoso nell'estremo Ponente ligure.
Tale funzione era particolarmente evidente a Ventimiglia, dove si opponevano due fazioni facenti capo, rispettivamente, alle famiglie dei Galleani (ghibellini) e dei Giudici (guelfi), legati questi ultimi ai Grimaldi. Sulla città ambiva a imporre la sua autorità Benedetto Doria di Dolceacqua, che Pietro Fregoso aveva dovuto riconoscere capitano generale della Riviera di Ponente. Il Doria, nella primavera del 1454, aveva fomentato disordini all'interno di Ventimiglia, facendosi acclamare podestà dalla fazione ghibellina. Ne erano nati tumulti, ben presto estesisi al contado, tanto gravi da indurre il doge a fare appello ai signori di Monaco. I Grimaldi però altro non avevano fatto che cacciare i Galleani per richiamarvi i Giudici, senza che, per questo, cessassero le discordie. Il Fregoso non ne fu per nulla contento, ma stretto com'era dai suoi nemici, che proprio in quel periodo lo tenevano praticamente assediato in Genova, dovette accettare il fatto compiuto, solo limitandosi a invitare il G. alla moderazione.
La guerra civile che divampava nelle Riviere rendeva ogni controllo genovese su quanto accadeva nel dominio assolutamente impossibile e il G. (che aveva appena sventato un complotto del Doria per togliergli Monaco) ne approfittò per riprendere in grande stile le azioni di pirateria ai danni dei navigli in transito davanti alla rocca monegasca, senza riguardo alla loro bandiera.
La sua flottiglia venne rafforzata potendo contare, nel 1455, su almeno una galea e tre o quattro veloci fuste; essa fu di grande aiuto a Pietro Fregoso quando, il 29 luglio, fu costretto ad abbandonare Genova, incalzato dalle milizie dei Fieschi, degli Spinola, dei Doria, degli Adorno e di una parte degli stessi Fregoso. Il solo a restargli fedele fu proprio il G. che accorse con le sue navi per prenderlo in salvo, conducendolo a Sestri Levante, in attesa degli eventi: egli contava sulle divisioni tra i suoi avversari per poter rientrare in Genova e la sua previsione non fu smentita. Infatti, l'elezione a doge di Ludovico Fregoso (30 luglio), imposta da Giovanni Filippo Fieschi, venne contestata, causando violenti scontri per le vie cittadine tra i partigiani delle diverse fazioni. Di tale situazione approfittò il deposto doge per rientrare in Genova sulle galee del G., riconquistando senza grandi difficoltà il dogato.
Il G. fu ricompensato con la nomina a governatore e castellano di Ventimiglia (novembre 1455), ma l'opposizione dei Doria e degli Spinola, con i quali il Fregoso cercava di ristabilire un accordo, gli impedì di prendere effettivo possesso della carica. Il G. dovette restituire i contrassegni delle fortezze cittadine, ma il doge riuscì tuttavia a impedire che a Ventimiglia s'insediasse Benedetto Doria, il quale continuò però a fomentare complotti per entrarne in possesso. Del mancato governo sulla città il G. non mostrò d'adombrarsene; rimase fedele ai Fregoso (uno dei quali, Guido, fu da lui nominato podestà di Monaco) e, nel corso del 1456, intervenne più volte in sostegno del cognato, in particolare contro la flotta catalana di Bernat de Villamarì, inviata da re Alfonso a bloccare le coste liguri. Con altri esponenti della sua casata egli prese in seguito parte attiva alle trattative diplomatiche aperte dal doge con la corte di Francia allo scopo di concordare la cessione della signoria di Genova.
Il 24 maggio 1456, ad Avignone, gli emissari di Pietro Fregoso stipularono una convenzione segreta con il rappresentante del re, Giovanni di Lorena, duca di Calabria ed erede di Renato d'Angiò, che definiva i preliminari dell'accordo. In essa un capitolo a parte disponeva che, una volta ritornata Genova sotto il dominio francese, il G. avrebbe ottenuto dal re Carlo VII la protezione regia sui suoi domini e, con essa, la conferma del contestato diritto di riscuotere un pedaggio del 2% su tutte le merci in transito davanti a Monaco.
Ammalatosi gravemente verso la fine di quell'anno, il G. fece testamento in Monaco, il 4 genn. 1457, nominando erede l'unica figlia, Claudina, per la quale disponeva il matrimonio con il cugino Lamberto Grimaldi, signore di Antibes e consignore di Mentone, appartenente al ramo più prossimo della famiglia.
Il G. morì a Monaco, alla metà di luglio del 1457, e fu sepolto nella chiesa di S. Michele di Mentone.
Fonti e Bibl.: E. Cais de Pierlas, Documents inédits sur les Grimaldi et Monaco, Turin 1885, pp. 43-46; G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, Oneglia 1886, pp. 117 s., 121-123; G. Saige, Documents historiques relatifs à la Principauté de Monaco depuis le XVe siècle, I, Monaco 1891, pp. CXLV-CLVI; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, II, Genova 1826, Famiglia Grimaldi, p. 4.