Vedi CATACOMBE dell'anno: 1959 - 1994
CATACOMBE (v. vol. Il, p. 416)
Denominazione impropria e moderna degli antichi cimiteri sotterranei cristiani o ebraici. Come è noto, originariamente l’espressione ad catacumbas era la denominazione propria di una zona presso Roma, tra il Il e il III miglio della Via Appia, caratterizzata dall’avvallamento del suolo, ancora constatabile sotto e accanto alla Basilica di S. Sebastiano presso il Circo di Massenzio. Recentemente A. Ferma, non avendo il termine latino cumba, né il corrispondente greco κύμϐη il significato di avvallamento, ha supposto l’origine del nome nella presenza di un’insegna di osteria o di un rilievo marmoreo con barche (cumbae). Il nome è attestato per la prima volta nella Depositio Martyrum per localizzare le commemorazioni annue di S. Sebastiano e di S. Pietro, e nella Chronica Urbis Romae, ove è detto che Massenzio «fecit a circum in catacumbas». Non è esatta l’affermazione che il termine sia stato esteso agli altri cimiteri già nel IX secolo. Lo si trova deformato nel Chronicon Episcoporum S. Neapolitanae Ecclesiae, nella biografia di Fortunato, ma ancora in senso univoco per indicare un determinato ambiente della cattedrale vicino a tombe episcopali: «oratorium in caput catatumbae». Solo nel sec. XVI, dopo la progressiva riscoperta dei cimiteri sotterranei sparsi attorno a Roma, che si erano perduti nel Medioevo, il nome venne loro attribuito per la somiglianza con quello di S. Sebastiano che invece era sempre rimasto accessibile.
Origine. - Anche se intensamente studiata negli ultimi decenni, l’origine dei cimiteri sotterranei comunitari non è stata ancora completamente chiarita. Di certo non è stato per motivi di sicurezza, come una volta si credeva, che i cristiani hanno tanto sviluppato lo scavo sotterraneo. Ogni c. aveva infatti un’area cimiteriale all’aperto collegata con la parte sotterranea e funzionante insieme a questa, ma quasi tutti questi cimiteri sub divo sono andati distrutti per le espansioni urbane e le coltivazioni dei campi, mentre sottoterra è rimasta una grande ricchezza di monumenti anche nei secoli. Qualche recente scoperta ha contribuito alla conoscenza delle aree subdiali cristiane. Quattro cippi terminali uguali, trovati però fuori posto, dovevano delimitare a Roma il cimitero di S. Tecla sulla Via Laurentina. Si sono scoperti altri lunghi tratti del muro di recinzione del cimitero di S. Callisto. Simili recinzioni sono state individuate a Pretestato, Calepodio, Domitilla; fuori Roma a Concordia, a Salona, a Cornus in Sardegna, in varie necropoli spagnole come quelle di Cartagena, Tarragona e Ampurias, e africane quali Tipasa, Cartagine, Cherchel. Della grande c. di Pretestato a Roma si è scoperta la casa del custode, mentre gli scavi hanno rivelato presso la c. di Domitilla un vasto complesso di mausolei con una rete estesissima di sepolcri terragni anche a più piani.
Ovviamente nei primi tempi le proporzioni delle necropoli cristiane sia sotterranee sia subdiali erano molto limitate. L’idea di un cimitero riservato alla sepoltura dei soli fedeli con esclusione degli altri è attestata soltanto alla fine del II secolo. Le prime notizie letterarie si trovano in Tertulliano che parla delle «areae sepulturarum nostrarum» avversate dalla plebaglia pagana (Scap., 3) e del modo con cui veniva finanziato dalla comunità il seppellimento dei poveri mediante una cassa comune alimentata da offerte mensili volontarie (Apol., XXXIX, 5-6). Anche sotto l’aspetto monumentale nessuna scoperta permette di risalire a un tempo anteriore. Se qualche manufatto, quali gli ossuari palestinesi, alcuni dei quali scoperti recentemente negli scavi sul Monte degli Ulivi presso Gerusalemme e recanti discussi segni di cristianesimo, può forse essere datato al I sec. d.C., si tratta comunque di singole sepolture cristiane in aree comuni. Fu questa infatti la soluzione che nei primi tempi le comunità della nuova religione diedero al problema delle sepolture. Fin dall’inizio e in tutti i paesi, l’inumazione era stata scelta al posto della più economica e facile cremazione perché più confacente alla propria fede e alla propria sensibilità, secondo quanto affermava già al principio del III sec. Minucio Felice (Octav., 34). Fuori degli abitati esistevano in tutto il mondo romano spazi destinati a utilizzazione funebre. I monumenti più vistosi venivano allineati di preferenza lungo le strade pubbliche; le tombe comuni potevano essere collocate dovunque si possedesse il terreno.
A Roma le indagini archeologiche hanno mostrato due aree in cui si può documentare la prassi funeraria dei primi cristiani: presso la Via Appia sotto la Basilica di S. Sebastiano e nella necropoli vaticana sotto la Basilica di S. Pietro. Nella prima, povere tombe cristiane sono state trovate nelle gallerie della cava di pozzolana e sulle ripide pendici dell’avvallamento. La loro cristianità è sicura anche se vi mancano quelle espressioni epigrafiche o artistiche, proprie della nuova fede, che si vennero formando nel corso del III secolo. Il simbolo del pesce, unito talvolta all’àncora, oltre che più volte rappresentato, è anche spiegato nel celebre graffito del mausoleo degli Innocentiores, con la trascrizione in lettere formanti l’acrostico Ί(ησοΰς) Χ(ριστός) Θ(εοΰ) Υ(ΐός) Σ(ωτήρ). La croce a forma di T inserita tra le prime due lettere rende impossibile ogni altra interpretazione. Nella necropoli vaticana gli scavi hanno trovato le prove della sepoltura dell’apostolo Pietro in mezzo a sepolcreti pagani; modeste tombe di altri fedeli sono state scoperte entro e accanto ai mausolei di famiglie pagane che nel corso del II e III sec. si venivano addensando sulle pendici del colle. Il colombario familiare dei Giulii, databile alla metà c.a del III sec., fu trasformato occultando le olle funebri sotto la ricca decorazione a mosaico che è il più antico esempio di arte musiva cristiana a Roma.
Lo studio dell’origine dei cimiteri cristiani è reso difficile in molti luoghi appunto da questi inserimenti nelle aree comuni, che i fedeli occuparono del tutto al tempo delle conversioni in massa, dopo la pace costantiniana. La tipologia delle tombe all’inizio non presenta differenze, eccetto che nel generale rifiuto dell’incinerazione; addirittura nei cimiteri sotterranei si può trovare nei primi tempi una mescolanza di sepolture pagane e cristiane, come nella c. di S. Caterina a Chiusi o nel vasto cimitero di Domitilla, nel quale recenti indagini hanno individuato nuclei funebri inizialmente pagani nell’ipogeo detto dei Flavi e nelle stanze affrescate di Ampliato. Il beneficio dei primi cimiteri comunitari riservati fu molto probabilmente dovuto alla benevolenza di ricchi proprietari convertiti che misero a disposizione dei fratelli le aree dei propri sepolcreti di famiglia. Inumare dignitosamente i morti di una numerosa collettività comportava spazi non piccoli ed è noto che le aree vicine alle grandi città avevano forti costi. A Roma si ha per una sola catacomba l’attestazione sicura del possesso collettivo da parte della Chiesa all’inizio del III sec., quella che l’autore dei Philosophumena chiama τό κοιμητήριον, la cui amministrazione il papa Zeffirino (199-217) affidò al diacono Callisto. Quasi tutte le altre portano nomi quali Domitilla, Priscilla, Commodilla, Massimo, Pretestato, Trasone, Ottavilla, Bassilla, ecc., per i quali difficilmente si può trovare spiegazione diversa da quella loro attribuita da G. B. de Rossi (1822-1894), il fondatore della scienza archeologica cristiana: che si trattasse cioè dei proprietari dei terreni ove erano i loro sepolcreti di famiglia e che essi gratuitamente concessero per le sepolture dei correligionari. In molti di questi cimiteri sono stati individuati nuclei monofamiliari che denotano ampliamenti estesi, giustificabili solo con l’utilizzazione da parte di una collettività. In Africa la concessione di un’area sepolcrale ai fratelli di fede è attestata dalla celebre epigrafe di Evelpio a Cherchel in Algeria.
A risolvere il problema degli spazi concorse decisamente in molti paesi l’utilizzazione del sottosuolo, dove era possibile per la natura della roccia tufacea o calcarea. Lo scavo di ambienti sotterranei per vari usi, soprattutto a scopi idraulici, era molto praticato dagli antichi. In alcune regioni, come nel Lazio, veniva favorito dalla qualità del terreno, tufo terroso compatto assai facile da lavorare, ma insieme resistente e solido anche per ambienti non piccoli. A scopo funerario lo avevano scavato gli Etruschi che, oltre alle caratteristiche camere ipogee, molto spesso affrescate, crearono nei loro sepolcreti corte gallerie con tombe sovrapposte nelle pareti, non dissimili, se non nella lunghezza, dagli ambulacri cristiani. Spesso gli studiosi hanno richiamato sepolcreti precristiani quali modelli che avrebbero ispirato il sorgere delle catacombe. Un esempio frequentemente citato è l’ipogeo pagano di Anzio, presentato come una piccola c. di tre corridoi irraggiati da un vestibolo, in cui l’abbondante suppellettile darebbe una datazione tra il IV e il TI sec. a.C. In realtà si tratta invece di tre piccoli sepolcreti familiari, accessibili da un vestibolo, ma con tre ingressi distinti, chiusi con lastroni rettangolari di peperino incastrati in riseghe. L’unico elemento che richiama le c. cristiane o ebraiche è il tipo di gallerie con locali sovrapposti, che, come si è detto, è presente in monumenti etruschi e falisci. Della suppellettile inoltre si ignorano totalmente le condizioni di trovamento e nulla prova che gli oggetti fossero il corredo funebre dei sepolcri. Altri monumenti pagani sotterranei chiamati in causa in questi ultimi anni per illuminare il problema delle origini delle c., sembrerebbero più pertinenti se non altro per la datazione. Si tratta però sempre di ipogei familiari o di collegi di limitatissima estensione, mentre la creazione di vaste necropoli sotterranee destinate a collettività, finora non è stata provata se non per gli ebrei e i cristiani. La motivazione più accettabile rimane finora quella di natura economica: sottoterra gli spazi si potevano moltiplicare indefinitamente con l’abbassamento del suolo delle gallerie e lo scavo di altri piani sottoposti o sovrapposti. E possibile che nella predilezione per la sepoltura sotterranea influisse, nei cristiani, anche il ricordo della tomba del Redentore. Certo gli ambienti che in tal modo venivano creati rispondevano meglio all’idea che della morte avevano i credenti, cioè del sonno provvisorio in attesa del risveglio. Si sa che il termine da loro usato per indicare il luogo dei morti κοιμητήριον, dormitorio, è assolutamente caratteristico, nel mondo antico, dei cristiani e degli ebrei, raramente si trova in testi letterari pagani e sempre per indicare l’ambiente della casa dove si dorme. Quando volevano usarlo nel senso cristiano, i pagani ricorrevano a una circonlocuzione: τά καλούμενα κοιμητήρια, come nel testo delle confische imperiali (Eus., Hist. Eccl., VII, 10, 11, 13).
Tipologia. - Le c., a differenza dei cimiteri subdiali, quasi tutti distrutti, permettono lo studio delle strutture che differiscono notevolmente a seconda dei paesi e della natura delle rocce in cui sono state scavate. Gli studiosi in questi ultimi tempi hanno accentuato il rilevamento delle preesistenze che avrebbero condizionato e talvolta addirittura guidato lo sviluppo dello scavo, quali i cunicoli idrici e le cisterne, le cave di arenaria, gli ipogei funebri precedenti come nelle c. di S. Gennaro a Napoli, di S. Antioco in Sardegna e nella c. di Domitilla a Roma. Nelle più antiche ricerche (sec. XVII e XVIII), gli studiosi avevano spesso considerato i sepolcreti come cave di materiale trasformate. Oggi si distinguono chiaramente gli ambienti scavati in tipi di roccia utilizzabile, quale il tufo litoide o la pozzolana, dalle gallerie aperte nel tufo terroso di nessun valore commerciale. La forma stessa degli ambulacri è profondamente diversa; le pareti curve e irregolari delle cave mal si prestavano all’utilizzazione razionale e ordinata degli spazi, quale invece si poteva effettuare in gallerie scavate appositamente. Abbiamo senza dubbio zone anche vaste di cave di arenaria trasformate in sepolcreti, come a Roma nel cimitero di Priscilla o in quello detto di Via Anapo, ma il fenomeno rimane sempre un’eccezione rispetto alla straordinaria vastità delle c. scavate intenzionalmente a scopo funerario e con progetti definiti. Talvolta la creazione di un cimitero paleocristiano in arenari o in altri luoghi meno adatti fu determinata dalla presenza di un sepolcro di martire che vi era stato collocato in momenti di emergenza. Tale fu a Roma, p.es., l’origine del cimitero di Commodilla attorno alle tombe dei Ss. Felice e Adautto, del cimitero di Ciriaca presso la tomba di S. Lorenzo e di vari cimiteri orientali creati in cave di pietra o di sabbia, o, al sopraterra, in aree pagane, come a Corinto, o in zone disagiate. La preesistenza di cave potrebbe essere supposta per la somiglianza delle gallerie - è il caso delle c. di S. Gennaro a Napoli - con quelle prodotte dall’estrazione della pietra da costruzione. Ma il modo con cui gli ambienti sono intagliati nella roccia rivela, fin dal principio, l’intento funerario pur non escludendo l’utilizzazione commerciale del materiale di risulta. Questo infatti in più punti appare estratto non in modo avventato, bensì ritagliato in grandi blocchi squadrati dai quali si potevano ottenere massi più piccoli adatti a scopo edilizio. Anche le opere idrauliche che spesso negli ultimi anni sono state supposte come preesistenti agli ambienti catacombali, debbono essere attentamente valutate. Talvolta esse sono evidenti, come la cisterna a gallerie comunicanti rivestite di opus signinum presso Morlupo, il lungo acquedotto utilizzato, ampliandolo, quale decumano della c. di S. Giovanni a Siracusa, quello non lontano che preesisteva alla galleria centrale della c. di S. Maria di Gesù o vari cunicoli idrici che hanno lasciato chiare tracce nella c. romana ad duas lauros o nel cimitero ebraico superiore di Villa Torlonia, ecc. Però non sempre le ipotesi di preesistenze di natura idraulica segnalate dagli studiosi sono basate su tracce constatabili, ma su semplici anomalie degli ambienti sotterranei che potrebbero avere altra spiegazione.
Come si è detto, le strutture sono diversificate a seconda della natura del suolo. A Roma e nel Lazio la friabilità del tufo costrinse a gallerie larghe solo 1 metro c.a e a cubicoli di ridotte dimensioni, mentre lo sviluppo degli ambulacri avvenne soprattutto in altezza, fino a 5-6 m, e in piani sovrapposti. Le reti sotterranee sono varie di forma: sistemi a graticola, diramazione di gallerie da un’arteria normale alla scala d’accesso, sistemi a spina di pesce, a un unico largo ambulacro, sviluppi disordinati con l’aggiunta di gallerie senza piano prestabilito assai frequenti nel IV secolo. Per l’aereazione e la luce venivano scavati pozzi verticali, generalmente quadrati o rettangolari, detti lucernari, che potevano attraversare anche più piani e illuminare con ardite svasature anche più ambienti contemporaneamente. Le tombe sono collocate alle pareti, in cavità rettangolari chiamate loculi, sovrapposte le une alle altre, scavate a misura delle salme che dovevano accogliere. Finora si conosce un solo esempio di cimitero precostituito, con tombe non scavate su misura, in due zone della c. ebraica inferiore di Villa Torlonia. I loculi sono tutti uguali nelle pareti, lunghi c.a 6 piedi romani e ordinati in pile, separate tra loro da diaframmi di un piede e mezzo. I bambini o sono sepolti da soli nella grande tomba, oppure sono sistemati nei reparti in cui questa è divisa. Il disegno per questa utilizzazione razionale e più estetica degli spazi è evidenziato da strisce di calce bianca sulle pareti e nelle volte, o da lesene di tufo sormontate da archetti. Nelle c. cristiane in uno stesso loculo si possono trovare più cadaveri onde il nome, che compare talvolta anche nelle epigrafi, di bisomi, trisomi, quadrisomi, poliandri. I morti vi venivano collocati avvolti in un lenzuolo con legature sommarie, come si vede in qualche raffigurazione e come si è constatato talvolta in mummie eccezionalmente conservate; non veniva però praticata alcuna forma di imbalsamazione, solo talvolta si stendevano nelle pieghe del lenzuolo strati di calce. Il loculo veniva poi chiuso con tegole o con una lastra di marmo, accuratamente sigillate con calce. Il nome del defunto vi era scolpito o dipinto con minio o carbone, oppure semplicemente graffito nella calce fresca di chiusura.
Nei primi tempi il formulario delle iscrizioni fu semplicissimo, spesso ridotto al solo nome di battesimo; probabilmente è possibile riconoscere la cristianità del morto in questa estrema semplificazione che raramente si trova nelle tombe pagane contemporanee. Più avanti nel tempo si cominciò ad aggiungere il nome del dedicante, il giorno e il mese della morte, gli anni di vita e, in seguito, gli elementi cristiani specifici come acclamazioni piene di fede: «in pace», «refrigeret tibi Dominus», «vivas in Deo», oppure i simboli che traducevano in immagini gli stessi concetti: l’àncora simbolo dell’arrivo sereno al porto dell’eternità, la colomba con il ramoscello di ulivo che, come un giorno a Noè, annunziava la pace dopo la prova, il vaso con l’acqua zampillante simbolo del refrigerio, la palma o la corona segno del premio per una vita veramente cristiana. Con il IV sec., le epigrafi divennero sempre più lunghe, aggiungendo elogi per il defunto, notizie sulla vita, talvolta, e sempre più frequentemente nel tempo successivo, la data consolare della morte, elemento di fondamentale importanza per gli archeologi. La maggior parte però dei sepolcri più modesti delle c. rimase senza iscrizione. Per il riconoscimento, i parenti vi murarono molto frequentemente un fondo di coppa, o un frammento di piatto, una o più monete, una figurina d’avorio, una bambola o un giocattolo, un pezzetto di ceramica. Importanti sotto l’aspetto artistico sono, tra questi oggetti, i c.d. vetri dorati; quasi tutti furono salvati dalla distruzione perché affissi sui sepolcri delle catacombe. Per tale motivo vengono spesso chiamati vetri cimiteriali; sono per lo più fondi di coppe, costituiti da una foglia d’oro graffita e saldata a fuoco tra due vetri. Figure e iscrizioni erano eseguite rivolte verso l’interno della coppa per essere visti da chi beveva. Generalmente hanno un diametro da 8 a 10 cm. I soggetti raffigurati sono biblici, del Vecchio e del Nuovo Testamento, agiografici con rappresentazioni di martiri e di santi, mitologici; più raramente si hanno raffigurazioni della vita comune: scene di caccia, vita campestre, mestieri. I ritratti di un personaggio, o di due sposi, o di un’intera famiglia, sono talvolta di grande valore artistico per l’incisività delle fisionomie. Iscrizioni augurali o didascalie accompagnano spesso le raffigurazioni. Gli oggetti che più frequentemente si ritrovano presso i sepolcri delle c. sono le lucerne fittili e i vasetti di profumi, che assumono la stessa testimonianza d’affetto dei lumi e dei fiori portati ai nostri defunti.
Una forma di sepolcro più ricco era l’arcosolio. In esso la lastra di chiusura era collocata orizzontalmente ed era sormontata da una nicchia ad arco o, in epoca più antica, rettangolare o ad absidiola, spesso decorata con affreschi. Questo tipo di tomba era usato soprattutto nei cubicoli, piccole stanze che venivano aperte ai lati delle gallerie quali sepolcreti di famiglia o di corporazioni, corrispondenti alle attuali cappelle gentilizie; in qualche regione erano chiusi con porte e chiavistelli di cui rimangono le tracce. Nelle c. romane, i cubicoli sono di forme varie: quadrati, rettangolari, absidati, rotondi, poligonali; sembrano imitare i mausolei del sopraterra. Possono essere geminati e, talvolta, anche triplici e quadruplici. Nei tempi più antichi i cubicoli furono assai rari, piccoli e confinati generalmente ai margini delle regioni. Poi divennero sempre più ampi e numerosi, muniti di lucernari, la cui luce dava alla città sotterranea un aspetto diverso. In qualche cimitero si nota una concentrazione di cubicoli in zone determinate, e talvolta, come nel Coemeterium Maius, una netta distinzione della parte riservata a sepolture modeste, loculi disadorni in galleria, e di un’altra ricca di cubi- coli e arcosoli affrescati.
Fuori Roma le c. presentano tipologie molto differenziate. Ci sono complessi a gallerie divergenti da un vestibolo come nel cimitero inferiore di S. Gennaro a Napoli, o nelle due c. di Chiusi, e a S. Savinilla di Nepi, o a Falerii Novi. Le necropoli siracusane si presentano costellate di grandi rotonde, imitate dai silos o cisterne preesistenti, che erano però di dimensioni assai minori. Caratteristiche poi in tutta la Sicilia, dagli inizi del IV sec., le fughe di arcosoli polisomi che, addensate sulle due pareti dell’ambulacro, ne moltiplicano straordinariamente la recettività di sepolture. Fuori Siracusa sono frequenti anche i sepolcri a baldacchino, isolati nel centro del cubicolo e sormontati da quattro colonne o pilastri agli angoli, sorreggenti una imitazione di copertura. Nelle c. maltesi i baldacchini sono moltiplicati nello stesso ambiente, l’uno accanto all’altro, producendo insiemi pittoreschi. L’ottima qualità della pietra di Malta, facilissima da tagliare e insieme solida, permise la creazione di ipogei familiari vicinissimi che poi si sono uniti tra loro per la caduta delle sottili pareti divisorie. Nelle c. di S. Paolo e di S. Agata a Rabat gli archeologi hanno così potuto distinguere fino a 25 e 33 sepolcreti inizialmente separati e appartenenti a cristiani e a ebrei. Un’altra singolarità delle c. maltesi è la c.d. Fenstergrabkammer, piccola stanza fine- rana accessibile solo da una finestra, che si apre generalmente in una nicchia e che viene chiusa con l’accostamento di lastroni di pietra su misura In questi si nota talvolta lo scavo di canali e buchi per le libagioni funebri. La struttura più comune a Malta per il rito del refrigerio o pasto funebre è la c.d. agàpe, tavola scolpita nella roccia, generalmente rotonda e incavata con attorno il suolo in discesa per permettere ai commensali di sdraiarsi, che quasi ogni ipogeo possedeva. Gli impianti per questa consuetudine diffusa in ogni paese dell’orbis christianus, di carattere familiare o anche comunitario legato al culto dei martiri, si trova ovunque nei cimiteri. Nelle c. romane ci sono banchi scavati nel tufo lungo le pareti dei cubico- li, spesso con una o più cattedre simboleggianti la presenza dei defunti tra i commensali. La Chiesa tollerò questi riti di origine pagana cercando di volgerli a scopi caritatevoli. Collegate con il refrigerio sono anche le mensae di forma circolare, semicircolare, rettangolare e a sigma che si trovano specialmente nelle necropoli africane, iberiche, di Salona, ma si può affermare che non c’è regione cristiana antica che non ne presenti qualche esempio. Negli scavi di Cornus in Sardegna, pubblicati nel 1985, sono stati studiati i reperti che le circondavano: resti di alimenti, ossa di animali, gusci di molluschi, frammenti di vasellame fittile o vitreo, dati preziosi che in altri scavi erano stati spesso trascurati. Gli impianti idrici che si trovano nelle c., come i pozzi, le scale fino alla falda freatica, le condutture d’acqua, servivano oltre che per la calce delle murature e della chiusura delle tombe, anche per i banchetti.
Sviluppo e organizzazione. - Scoperte recenti hanno molto chiarito l’organizzazione dei cimiteri cristiani antichi. A Roma si sono identificati una quindicina di ipogei la cui gestione rimase probabilmente sempre privata; negli altri invece si estese progressivamente l’amministrazione ecclesiastica che, all’inizio del III sec., era limitata al solo cimitero di Callisto. I primi si distinguono per la loro limitata estensione, per la scarsità delle sepolture, per la varietà e l’abbondanza del repertorio decorativo. Il più caratteristico fu scoperto nel 1956 sulla Via Latina. Le c. comunitarie romane invece hanno assunto nel IV sec. proporzioni così colossali da divenire una delle caratteristiche monumentali più importanti della città. Più di trenta sono di notevole estensione e rivelano immediatamente la destinazione a collettività numerose. La loro amministrazione era strettamente legata all’organizzazione ecclesiastica della città, ciò che ha prodotto, a differenza degli ipogei privati, una certa uniformità nella distribuzione degli ambienti e soprattutto nella decorazione che è prevalentemente di carattere simbolico. Le maestranze dei fossores cristiani acquistarono ben presto una perizia tecnica che stupisce, specie se paragonata con il lavoro di altri scavi sotterranei non lontani da Roma. La prima menzione di questi operai specializzati è del 303, ma dovettero esistere fin dall’inizio dei cimiteri comunitari. Nel IV sec. appaiono inseriti nella gerarchia ecclesiastica accanto agli ostiari, custodi delle chiese e dei cimiteri. Nella seconda metà del secolo si arrogarono il privilegio di distribuire a pagamento i posti più ambiti nelle necropoli che avevano tombe di martiri: ciò è provato a Roma e altrove dalle epigrafi con i contratti e perfino talvolta con il prezzo di vendita. L’abuso durò anche nei primi decenni del V sec., ma cessando definitivamente in quell’epoca l’uso della sepoltura sotterranea e probabilmente per l’intervento dell’autorità ecclesiastica, i fossori cedettero i poteri ad altri amministratori che nelle iscrizioni e nelle fonti letterarie sono indicati come mansionarii, praepositi, presbyteri. A Roma, dove la documentazione è più ricca, si constata un ritorno a quell’organizzazione del servizio funebre, che nelle grandi linee sembra risalire al pontificato di Fabiano (236-250). La comunità era, organizzata in circoscrizioni chiamate tituli (le moderne parrocchie), a loro volta raggruppate in sette regioni ecclesiastiche. A ognuna di queste corrispondeva, fuori le mura, una determinata zona con alcuni cimiteri. Nel V sec. questi cessarono quasi tutti la funzione funeraria e divennero santuari di martiri. Quelli che non possedevano tombe venerate, come gli ipogei privati, venuto meno l’uso della sepoltura sotterranea, furono abbandonati e ben presto scomparvero sotto le frane e la vegetazione. Negli altri invece continuò la manutenzione molto attiva da parte dell’autorità ecclesiastica. Già dal pontificato di Damaso (366-384), appassionato cultore dei martiri, furono operate profonde trasformazioni nelle c. per facilitare l’accesso dei pellegrini. Furono aperte nuove scale e lucernari, stabiliti percorsi, costruiti al sopraterra oratori e basiliche, corredate talvolta di servizi quali ospizi, bagni, abitazioni per custodi. Le guerre gotiche in Italia, e altrove rivolgimenti politici e militari, contribuirono a rarefare sempre più le tumulazioni nei cimiteri lontani dalle città, ma non interruppero l’afflusso dei pellegrini. I papi e i vescovi continuarono a restaurare i santuari e a favorire la devozione. Furono scritte perfino delle guide per i visitatori stranieri, di cui rimangono esempi del VII e dell’VIII sec. negli itinerari alle c. romane; sono documenti preziosi per gli archeologi, perché nel IX sec., dopo i ripetuti saccheggi dei barbari, i santuari vennero progressivamente abbandonati e le reliquie dei martiri traslate dentro le mura delle città. Ciò segnò la fine per ogni c.: le chiese del sopraterra, non più restaurate, a poco a poco crollarono e gli ingressi dei sotterranei scomparvero. Qualche decennio dopo le ultime traslazioni si ignorerà perfino l’esistenza della maggior parte di questi luoghi già tanto celebri e frequentati. Torneranno alla luce nel sec. XV, periodo in cui compaiono le prime firme di visitatori, come nelle c. di S. Callisto, dei Ss. Marcellino e Pietro, nel Coemeterium Maius. Il rinvenimento casuale nel 1578 di un nucleo di gallerie con belle pitture sotto la moderna Via Anapo, suscitò grande entusiasmo tra i dotti che iniziarono una ricerca sistematica. Antonio Bosio (1575-1629) fu il principale di questi ricercatori: da solo scoprì una trentina di c. e stabilì le basi dello studio scientifico con l’analisi topografica dei monumenti alla luce dei documenti.
Questo metodo purtroppo non fu seguito nei secoli seguenti, in cui si cominciò a trasportare epigrafi e sarcofagi in musei e chiese, si aprirono un gran numero di tombe alla ricerca di presunti corpi di martiri che si credeva di riconoscere per la presenza del vasetto degli aromi scambiato per un’ampolla di sangue. L’asportazione dei materiali riutilizzabili nell’edilizia completò l’opera di distruzione; vaste regioni delle c. assunsero allora quell’aspetto di devastazione in cui il visitatore le vede oggi. Nel secolo scorso G. B. de Rossi riprese la ricerca scientifica e tracciò le linee maestre dell’archeologia cristiana. I suoi studi suscitarono un fermento di ricerche, esteso progressivamente alle altre parti del mondo antico.
L’arte nelle catacombe. - L’ottima sintesi fatta sull’argomento (v. vol. Il, pp. 419-422) non abbisogna di completamento, eccetto che per l’arte del mosaico di cui alcuni sorprendenti capolavori sono stati scoperti negli anni 1971-73 nelle c. di S. Gennaro a Napoli. Non erano noti sinora nei cimiteri sotterranei se non rari e piccoli esempi di questa arte, quali a Roma un arcosolio nelle c. di Domitilla e uno in quelle di S. Ermete. A Napoli sono state rinvenute splendide decorazioni a mosaico del V sec., nella Cripta dei Vescovi, sepolti presso la primitiva tomba di S. Gennaro. Sono busti di ecclesiastici fortemente caratterizzati nelle fisionomie, posti in un clipeo, al centro della lunetta, circondato da ornamentazioni di racemi, foglie di acanto o fiori. I mosaicisti, di grande perizia, hanno reso estremamente espressivi i volti di questi personaggi, soprattutto quello di un vescovo africano esiliato, Quodvultdeus, che rivela nello sguardo una profonda sofferenza. Nelle due vaste c. di Capodimonte vari altri sepolcri sono decorati a mosaico, ma purtroppo, per la caduta delle tessere, le raffigurazioni sono quasi irriconoscibili.
Catacombe ebraiche. - Gli scavi della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del 1973-74 hanno permesso lo studio sistematico delle c. di Villa Torlonia a Roma. E stata definitivamente confermata l’esistenza di due cimiteri distinti ognuno con proprio ingresso, messi in comunicazione solo in tempi moderni. La c. inferiore, più antica, risale all’inizio del III sec. e molto probabilmente apparteneva alla sinagoga della Suburra. E preceduta da un interessante atrio per la liturgia funebre e ha le tombe generalmente chiuse da muretti su cui è spalmata calce bianca con l’iscrizione dipinta in rosso. La c. superiore apparteneva a una comunità di ebrei più benestanti e ha cubicoli e arcosoli affrescati e molte tombe chiuse con marmo. Sono state trovate numerose epigrafi che danno notizie su funzionari della comunità, come il grammatèus e la carica sinora sconosciuta dell’archigerusiarca, e recano i caratteristici emblemi religiosi: la mĕnorah o candelabro, l’aron o scrigno della Torah, lo šofar o corno sacro, l’etrog, frutto del cedro, il lulav, la palma, ecc.
Nel 1984 sono stati pubblicati i risultati delle recenti esplorazioni nelle c. ebraiche di Venosa. Si tratta di varie epigrafi, dipinte o graffite, di cui una datata al 521, e di un interessantissimo arcosolio affrescato della fine del VI sec., in ottimo stato di conservazione. Nella lunetta campeggia la mĕnorah affiancata dall’etrog, dallo ‘šofar, dal lulav in forma di palmetta e dal vaso dell’olio per il candelabro. Il sottarco è interamente coperto di festoni vegetali con tralci di rose sparsi e due oggetti dalla copertura conica, rappresentanti forse l’aron.
AGGIORNAMENTO DEI PRINCIPALI CIMITERI E CATACOMBE (v. vol. II, pp. 425-432)
Roma:
Via Salaria Nova: la c. detta di Trasone o di Villa Massimo è invece il Coemeterium Jordanorum «ad sanctum Alexandrum» (U. M. Fasola, Il coemeterium Iordanorum ad S. Alexandrum, in Actas VIII Congreso Internacional de Arqueologfa Cristiana, Barcelona 1969, Città del Vaticano 1972, pp. 273-297); la c. detta dei Giordani deve essere chiamata cimitero «Anonimo di Via Anapo» (U. M. Fasola, Scavi nella catacomba di via Anapo, in Πρακτικα του 10ου Διεθνους Συνεδρίου Χριστιανικης Αρχαιολογιας, Θεσσαλονίκη 1980, Il, Città del Vaticano 1984, pp. 93-111); la c. di Trasone ad sanctum Saturninum era più vicina alla città di c.a mezzo chilometro, nel punto dove il Bosio vide i resti della basilica del martire a c.a 800 passi da Porta Salaria: ivi è un gruppo di gallerie accessibili da una botola presso Via Yser (A. Ferrua, in La Civiltà Cattolica, lI, 1967, pp. 146-148); c. di Priscilla (F. Tolotti, Il cimitero di Priscilla, Città del Vaticano 1970; D. Mazzoleni, Iscrizioni inedite della catacomba di Priscilla, in Πρακτικα του 10 ου..., cit., pp. 311-320).
Via Nomentana: Coemeterium Minus (U. M. Fasola, La regione delle cattedre nel Cimitero Maggiore, in RACrist, XXXVII, 1961, pp. 262-266).
Via Tiburtina: c. detta di S. Ippolito (G. Bertonière, The Cult Center of the Martyr Hippolytus on the Via Tiburtina, Oxford 1986).
Via Labicana: c. ad o inter duas lauros, detta anche dei Ss. Pietro e Marcellino (J. Guyon, Recherches autour de la tombe et de la basilique constantinienne des saints Pierre et Marcellin, in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Roma 1975, Città del Vaticano 1975, Il, pp. 307-323; id., Recherches sur les bâtiments constantiniens du site inter duas lauros, Via Labicana «Rome», in Πρακτικα του 10 ου..., cit., pp. 183-196; H. R. Seeliger, Die neue Dokumentation der Malereien der Katakombe der Heiligen Petrus und Marzellinus in Rom, ibid., pp. 501- 520; id., L’oeuvre de Damase dans le cimitière «Aux deux Lauriers» sur la Via Labicana, in Saecularia Damasiana, Città del Vaticano 1986, pp. 225-258; J. G. Deckers, H. Seeliger, G. Mietke, Die Katakombe “Santi Marcellino e Pietro”. Repertorium der Malereien, Città del Vaticano- Monaco 1987).
Via Latina: A. Ferrua, Le pitture della nuova catacomba della Via Latina, Città del Vaticano 1960.
Via Appia: c. di Callisto (U. M. Fasola, Santuari sotterranei di Damaso nelle catacombe romane. I contributi, in Saecularia Damasiana, cit., pp. 173-201; L. Reekmans, L‘oeuvre du pape Damase dans le complexe de Gaius à la catacombe de S. Callixte, ibid., pp. 259-281; P. Saint-Roch, Sur la tombe du pape Damase, ibid., pp. 283-290); sepolcro di S. Cornelio papa (L. Reekmans, La tombe du pape Corneille et sa région céméteriale, Città del Vaticano 1964); c. di Pretestato (F. Tolotti, Origine e sviluppo delle escavazioni nel cimitero di Pretestato, in Atti del IX Congresso..., cit., I, pp. 159-187); piccola c. sotto una necropoli pagana riutilizzata dai cristiani (U. M. Fasola, Un tardo cimitero cristiano inserito in una necropoli pagana della Via Appia. L’area “sub divo”. La catacomba, in RACrist, LX, 1984, pp. 7-42 e LXI, 1985, pp. 13-57); altra piccola c. di diritto privato all’incrocio con l’Appia Pignatelli (A. Ferma, Un piccolo ipogeo sull’Appia Antica, in RACrist, XXXIX, 1963, pp. 175-187).
Via Ardeatina: c. detta di Domitilla (P. Testini, Nuove osservazioni sul cubicolo di Ampliato in Domitilla, in Atti del IX Congresso..., cit., I, pp. 141-157; Ph. Pergola, Nereus et Achilleus Martyres. L‘intervention de Damase à Domitille, in Saecularia Damasiana, cit., pp. 203-224); basilica semipogea con tumulo centrale di martiri sconosciuti e rete di gallerie a due livelli (U. M. Fasola, Scoperte e risultati degli studi compiuti nel campo dei cimiteri cristiani antichi del 1954 ad oggi, in Atti del VI Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Ravenna 1962, Città del Vaticano 1965, pp. 16-17).
Via Portuensis: c. di Generosa ad Sextum Philippi (Ph. Pergola, art. cit., pp. 203-224).
Via Ostiensis: c. detta di Commodilla (A. Recio Veganzones, El “Carmen” paulino de Damaso y la interpretación de tres escenas pictóricas de la Catacomba de Comodila, in Saecularia Damasiana, cit., pp. 323-358).
Via Aurelia Vetus: c. presso il cimitero di S. Calepodio (A. Nestori, Un cimitero cristiano anonimo nella villa Doria Pamphili a Roma, in RACrist, XXXV, 1959, pp. 5-47).
Italia:
S. L. Agnello, Nuova planimetria dell’area cimiteriale dell’ex vigna Cassia in Siracusa, in Atti del IX Congresso..., cit., Il, pp. 5-10; J. Raspi Serra, Abitati e cimiteri cristiani nella Tuscia, ibid., pp. 417-423; U. M. Fasola, Le catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, Roma 1975; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristiani del Lazio, I, Etruria Meridionale, Città del Vaticano 1988.
Altre regioni d’occidente e d’oriente:
Romania. - Martyrium di Niculitel (I. Barnea, Les monuments paléochrétiens de Roumanie, Città del Vaticano 1977, pp. 91-92, con bibl.; D. Pallas, L’édifice cultuel chrétien et la liturgie dans l’Illirycum oriental, in Πρακτικα του 10ου…, cit., pp. 519-539).
Malta. - M. Buhagiar, Late Roman and Byzantine Catacombs and Related Burial Places in the Maltese Islands, Oxford 1986.
Africa settentrionale:
A. Di Vita, L'ipogeo di Adamo ed Eva a Gargaresc, in Atti del IX Congresso..., cit., II, pp. 199-256.
Bibl.: Studi sulle c. in generale: U. M. Fasola, Scoperte e risultati degli studi compiuti nel campo dei cimiteri cristiani antichi dal 1954 ad oggi, in Atti del VI Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Ravenna 1962, Città del Vaticano 1965, pp. 13-33; F- Testini, Le catacombe e gli antichi cimiteri cristiani in Roma, Bologna 1966; Catalogo delle fotografie di antichità cristiana della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, Roma 1974 (con aggiornamenti del 1975 e del 1980); A. Nestori, Repertorio topografico delle pitture delle catacombe romane, Città del Vaticano 1975; U. M. Fasola, P. Testini, I cimiteri cristiani, in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Roma 1975, I, Città del Vaticano 1978, pp. 103-157;· E. Conde Guerri, Los fossores de Roma Paleocristiana, Città del Vaticano 1979; P. Testini, Archeologia cristiana, nuova ed. con indici e aggiunte, Bari 1980; V. Fiocchi Nicolai, Rassegna di Archeologia Cristiana: 1976-1980, in Rivista di Storia e Letteratura religiosa, XIX, 1983, pp. 91-117; AA.VV., Saecularia Damasiana, Città del Vaticano 1986, passim; A. Ferma, Sigilli su calce nelle catacombe, Città del Vaticano 1986; Y. Duval (ed.), L'inhumation privilégiée du IV' au VIIIe siècle en Occident. Actes du Colloque, Créteil 1984, Parigi 1986; U. M. Fasola, V. Fiocchi Nicolai, Le necropoli durante la formazione della città cristiana, in Actes du XI' Congrès International d'archéologie chrétienne, Lyon 1986, II, Città del Vaticano 1989, pp. 1153-1205.
Sulle origini delle c.: F. Tolotti, Influenza delle opere idrauliche sull'origine delle catacombe, in RACrist, LVI, 1980, pp. 7-48; H. Brandenburg, Überlegungen zu Ursprung und Entstehung der Katakomben Roms, in Vivarium. Festschrift Th. Klauser, Münster 1984, pp. 11-49; L. Reekmans, Spätrömische Hypogea, in Festschrift F. W. Deichmann, Magonza 1986, pp. 11-37; Ph. Pergola, Le catacombe romane: miti e realtà, in A. Giardina, A. Schiavone (ed.), Società romana e impero tardoantico, II, Roma-Bari 1986, pp. 333-350, 484-490.
Sul rito del refrigerio nelle c.: P. A. Février, A propos du repas funéraire. Culte et sociabilité. «In Christo Deo, pax et concordia sit convivio nostro», in CArch, XXVI, 1977, pp. 29-45; id., Le culte des morts dans les communautés chrétiennes durant le y siècle, in Atti del IX Congresso..., cit., pp. 211-302, con bibl.; E. Jastrzebowska, Untersuchungen zum christlichen Totenmahl auf Grund der Monumente des 3. und 4. Jahrhunderts unter der Basilika des Hl. Sebastian in Rom, Francoforte 1981; Α. M. Giumella, G. Borghetti, D. Stiaffini, Mensae e riti funerari in Sardegna. La testimonianza di Cornus, Taranto 1984.
Temi iconografici: A. Recio Veganzones, Iconografia en estuco del pastor en las catacombas de Roma, in Atti IX Congresso..., cit., II, pp. 425-440; A. Fausone, Die Taufe in der frühchristlichen Sepulchralkunst, Città del Vaticano 1982.
Epigrafia: Inscriptiones christianae Urbis Romae séptimo saeculo antiquiores, IV, Roma 1964; V, 1971; VI, 1975; VII, 1980; VIII, 1983; IX, 1985.
Catacombe ebraiche: B. Lifshitz, Prolegomenon all'ed. anastatica di J. B. Frey, Corpus Inscriptionum Judaicarum (Corpus of Jewish Inscriptions. Jewish Inscriptions from the 3rd Cent. B.C. to the 7th Cent. A.D.), I, New York 1975, pp. 21-107; D· Mazzoleni, Le catacombe ebraiche di Villa Torlonia, in RACrist, LII, 1976, pp. 7-62; C. Colafemmina, Nuove scoperte nella catacomba ebraica di Venosa, in AA. VV., Puglia paleocristiana e altomedievale, IV, Bari 1984, pp. 33-49; C. Vismara, I cimiteri ebraici di Roma, in A. Giardina, A. Schiavone (ed.), op. cit., pp. 351-392, 490-503.