CASTELLO (fr. château; sp. castillo; ted. Schloss; ingl. castle)
Fortilizio, che s'erigeva nell'epoca medievale per dimora e difesa dei signori feudali. In Toscana con la parola castello si designa una terra murata con o senza rocca. (Per rocca a differenza del castello deve intendersi un fortilizio occupato da un presidio militare e funzionante da ridotto della terra murata).
Dal secolo VII al XII i castelli sorsero specialmente nelle campagne, isolati, su siti dominanti, oppure in località ove preesistevano acropoli preromane (Veio, Galeria) o castri romani (Solaro alessandrino, Albano romano, Castel d'Appio), o speciali robusti edifici, come i mausolei (il mausoleo di Adriano, che divenne Castel S. Angelo, il mausoleo di Cecilia Metella, che fu poi castello dei Caetani); dal sec. XII essi sorsero anche nelle città e nei borghi.
Un castello nel suo completo sviluppo, quale si riscontra in quelli dal sec. XII al XV, comprendeva: la cinta, il mastio e il palazzo baronale. Le prime due parti garantivano la sicurezza e la difesa al palazzo, dove il signore dimorava e amministrava la giustizia.
La cinta costituiva la difesa perimetrale del castello; nei primi tempi era formata da una palizzata, poi la si fece di muro alto da 5 a 10 metri, prima senza torri, poi con torri distanti da 30 a 50 metri, le quali la suddividevano in tratti dette cortine. Molti castelli ebbero anche due o tre cinte, o sull'intero perimetro, o su tratti parziali di esso, specialmente quando la cinta più esterna racchiudeva un borgo; in tali casi gli abitanti di questo erano soggetti a un giure speciale nei riguardi del signore, e si dicevano gens in manso nata (da cui masnada e masnadiero).
Sino al sec. XIII le mura ebbero raramente un fossato; poi lo ebbero specialmente castelli di pianura, nei quali spesso era acqueo. Dal sec. XV il fossato divenne ampio e profondo.
Le torri della cinta nei primi secoli si fecero a pianta o semicircolare, chiuse alla gola (Campiano, Badia di Musignano, Rocca Scalegna), o circolare (Meleto, Montemale, Fontanellato); dal secolo XIII in poi si fecero generalmente a pianta quadrata o rettangolare (Savignano, Monteriggioni, Lagopesole); si ebbero però anche torri pentagone (Dozza nel Bolognese, Lucera di Puglia), esagonali (Monfestino Modenese), ottagonali (Villanova Solaro, Castel del Monte di Puglia), ennagonali (Spormaggiore in Alto Adige). Le torri erano sempre più alte del muro di cinta, spesso di molto; in varî castelli normanni di Sicilia e in Catania sono tuttora alte 30 m. Nel sec. XV l'introduzione delle armi da fuoco obbligò ad abbassare le torri a livello delle cinte; però allora si approfondirono i fossati, entro cui esse in gran parte si nascondevano per ripararsi contro i tiri eseguiti da lontano; inoltre si fecero molto robuste e con pareti fortemente scarpate (Sarzanello, Forlì, Recanati). Le torri erano a 3 0 4 piani divisi da solai di legno o da vòlte di muratura, comunicanti tra loro con scalette interne o ricavate nella grossezza dei muri. Esse generalmente erano coperte da tetto, di paglia nei primi secoli, poi di ardesie o di coppi secondo gli usi locali; in Alta Val d'Adige il tetto ebbe forma acuta piramidale (Cornedo, Castel Tasso). Sul loro piano più alto si collocavano le maggiori macchine balistiche, cioè catapulte o briccole, che lanciavano cesti o reti piene di sassi, oppure balestre o trabocchi, che lanciavano grossi verrettoni o saette, sassi e palle di pietra.
Nelle pareti delle cortine e delle torri si ricavavano saettiere, situate alte sul suolo esterno, talvolta su più ordini, di forma varia, ma sempre strombate, con la sezione ristretta verso l'esterno. Gli arcieri e i balestrieri accedevano ad esse da ripiani interni di muratura o di tavolato. Sulla sommità delle torri e delle cortine correva verso la parete esterna un muretto, detto parapetto o pettorale, che lasciava verso l'interno un cammino di ronda o rondello o girone; e nel sec. XIII, per proteggere i difensori, s'introdusse nuovamente l'uso dei merli sul parapetto come nell'antichità, i quali si dissero guelfi se coperti da conci piani, e ghibellini se terminavano con blocchi a doppio corno. Questo qualificativo, che alla fondazione del castello denotava il partito politico del feudatario, in seguito non mantenne tale rispondenza. Le aperture tra un merlo e l'altro, frequentemente si chiudevano con tavolati girevoli su perni orizzontali, detti ventole o mantelletti, i quali al momento opportuno si rialzavano per far passare i proiettili. Inoltre il parapetto con i sovrastanti merli, in luogo di essere a piombo con la parete esterna del muro, era sporgente da essa e sostenuto da mensole o beccatelli con sovrapposti archetti, in modo da permettere di ricavare sul piano del girone, internamente al parapetto, una serie di aperture orizzontali per la difesa piombante, dette perciò piombatoie o caditoie per il getto verticale di proiettili d'ogni specie sull'assalitore.
Il cammino di ronda era bensì continuo per tutta la cinta, ma in ogni cortina, presso le torri che la comprendevano, era sbarrato da porte, o interrotto da fosso con ponte levatoio manovrato dalla torre, allo scopo d'isolare quella cortina che fosse caduta in potere dell'assalitore, e impedire così che questo s'impadronisse in un colpo di tutta la cinta. Ai suoi varî tratti si accedeva o con scale dai cortili, o con ponti da altre torrette e dallo stesso palazzo interno.
Il complesso dei beccatelli, dei sovrastanti archetti e dei merli, che nel Medioevo costituì il particolare tecnico caratteristico del castello, nei secoli successivi divenne un motivo ornamentale per la sommità e di palazzi-castelli e di ville.
Una speciale importanza ebbe l'ingresso attraverso la cinta. Sino al sec. XII, quando i castelli non avevano fossato, esso era formato da un androne, largo tanto da permettere il passaggio di due cavalli affiancati, chiuso con robusti battenti. Introdottosi poi l'uso dei fossati, si ricorse nuovamente al ponte levatoio già in uso nell'antichità. Questo generalmente fu costituito da un tavolato girevole intorno a due perni fissi nei fianchi del portone; l'estremo del tavolato, che poggiava sulla controscarpa del fosso, era appeso mediante due catene agli estremi di due travi (sporgenti da feritoie situate sopra e lateralmente al portone), anch'esse girevoli e imperniate nel muro. Quando tali travi, manovrate dall'interno, si facevano rotare, tiravano su il tavolato, che si drizzava davanti al portone, come una seconda chiusura, mentre le travi si disponevano verticali entro apposite lunghe scanalature che sempre esistevano lateralmente all'entrata dei castelli.
L'ingresso era il luogo dove sempre si esercitava la prima offesa dell'attaccante, cosicché per la sua sicurezza fu oggetto di particolari cure e organizzato potentemente e con accorgimento. Molto comunemente si ricorse all'espediente di aprire l'ingresso in una torre speciale, più robusta delle altre della cinta, ben difesa con saettiere e con caditoie (Poppi, Galliate, Cafaggiolo); altre volte lo si aprì tra due robuste torri vicinissime (Castelnuovo di Napoli, Saluzzo, Milazzo); in questo caso esso di solito sboccava in un cortiletto, in modo simile a quanto si usava dai Romani per le porte dei loro oppidi o castri. Con l'introduzione del ponte levatoio all'ingresso principale del castello si adottarono due porte, l'una a fianco dell'altra, delle quali, una, carraia, si teneva ordinariamente chiusa, l'altra detta pusterla o porta di soccorso, consentiva il passo a un sol cavallo per volta; e ciascuna ebbe il proprio ponte levatoio. Inoltre gli androni di passaggio spesso si sbarravano con saracinesche (simili alle romane catafractae) formate da un cancello di legno o di ferro, sospeso a funi, manovrato con argani dall'alto, il quale scendendo verticale chiudeva il passaggio; altre volte tali chiusure eran formate da tante travi verticali indipendenti e ciascuna sospesa per suo conto, le quali, scendendo, chiudevano l'ingresso anche se in esso si fosse eventualmente introdotto di sorpresa un carro o un altro qualunque ostacolo; in tal caso erano detti organi. Dopo l'ingresso, tutto l'insieme delle comunicazioni interne era studiato in modo da ingannare od ostacolare il nemico che vi fosse penetrato; perciò in esse si avevano tratti sinuosi, false entrate, passaggi ciechi, trabocchetti e porte basse e saette.
Il mastio (fr. donjon) era una torre molto alta che svolgeva una doppia funzione; quella di sorvegliare la cinta, il terreno esterno e i vari cortili interni, e quella di costituire il ridotto per l'estrema difesa; esso perciò era situato su un punto dominante, o nell'interno del castello (Offagna presso Ancona, Volterra, Vernante) o in un punto della cinta stessa (Tivoli, Gradara, Salemi). Esso in Toscana è anche detto cassero per analogia con la torre poppiera o cassero delle galee, che aveva su queste funzione analoga a quella del mastio. Nei primi castelli esso fu spesso di legno, ed era detto battifolle; poi fu di muro, a pianta circolare (Villafranca, Malgrate, Sciacca), ma dopo il sec. XIII ebbe pianta quadrata (Rivara Canavese, Verrone, Acquedolci); era costruito con muri grossi, di altezza maggiore di tutte le altre torri, coronato da merli e piombatoie. Con la sua elevazione e imponenza, col vessillo del signore che vi s'inalberava al vento, esercitava sullo spirito della popolazione un'azione di tangibile dominio; e perciò costituì l'elemento che diede al castello italiano dal sec. XII al XV la sua potente caratteristica e la sua particolare affermazione: da Chatel-Argent e Cly in Val d'Aosta a Salemi e Castiglione in Sicilia, quasi tutti i castelli, anche quelli di cui restano solo i ruderi, mostrano ancora il loro superbo mastio. Esso nei primi secoli, quando il castellano vi dimorava, fu isolato (Castell'Arcione di Roma); in seguito fece corpo con il palazzo, nel quale il castellano pose la sua dimora ordinaria, ma tuttavia, anche uniti, il palazzo e il mastio mantennero una notevole discontinuità architettonica che tradiva la profonda differenza della loro funzione; solo i grandi architetti seppero fondere le due parti in un complesso armonico e omogeneo, come si osserva nel castello di Cafaggiolo, dovuto a Michelozzo (1430) e in varî castelli senesi. In ogni caso il mastio si poteva isolare dal palazzo o con ponte levatoio, o con trabocchetti, o con robuste porte.
Talvolta al mastio non si accedeva dalla corte del castello o del palazzo, ma dal castello o palazzo per mezzo di un ponte levatoio; ne dà un bell'esempio la cosiddetta torre dei Galluzzi a Bologna.
Dal sec. XV alcune torri, specialmente d'ingresso, si munirono di sopralzo, formato da una torricciola più stretta superiormente alla principale. Questo si fece specialmente nei castelli comunali per disporvi la campana che chiamava i militi a raccolta. Il sopralzo però, molto usato all'estero, non è caratteristico del castello italiano.
Dallo stesso sec. XV il mastio cominciò a perdere molto di importanza, perché le artiglierie facilmente lo demolivano; cosicché gl'ingegneri militari che già propendevano per nuovi tipi preannunzianti il fronte bastionato italiano, nei loro studî lo abolirono. Così Francesco di Giorgio (sec. XV), in tutti i progetti del suo trattato, sebbene in pratica lo adottasse nella rocca del Sasso di Montefeltro; e così Giuliano da Sangallo (sec. XV) negli studî del suo "taccuino senese", sebbene lo progettasse per la rocca d'Ostia.
Il terzo elemento del castello era il palazzo. Nei castelli dal sec. VII al X esso non esisteva perché, come si è accennato, il castellano abitava nel mastio. Poi fu costituito da un fabbricato, dapprima (secoli XI e XII) a uno o due ambienti semplicissimi (Scerpena, Rossana, Baradello) e in seguito, raffinandosi la vita del feudatario, si ampliò sempre più con pareti robustissime, coronate da merli e piombatoie, guarnito, specialmente agli angoli, da torri. Esso dal sec. XIV ebbe generalmente pianta quadrata o rettangolare con uno o più cortili. Vi si accedeva da un suo proprio ponte levatoio, e si entrava in un cortile, intorno a cui correva parzialmente un portico e una o più scale che mettevano ai piani superiori. Dal portico si accedeva ai locali del pianterreno, nei quali erano il corpo di guardia, la "sala di giustizia" col trono per il signore, e altri locali per scuderie, cucine e servitù; nei sotterranei si trovavano le prigioni e i magazzini; nei piani superiori le camere di abitazione. Dal sec. XIV le sale, le camere e i cortili cominciarono a ornarsi con iscrizioni e pitture, o religiose o araldiche, e con sculture o stemmi marmorei (Issogne, Malpaga, Torrechiara, Belcaro).
In qualche palazzo dei castelli settentrionali in luogo delle torri angolari si usò porre, alla sommità degli angoli, le guardiole o garitte (Grinzano, Verzuolo), delle quali si fa largo uso soprattutto nei castelli restaurati (Montalto Dora, Vincigliata).
Dall'armonico intreccio e sviluppo dei tre elementi: cinta, mastio e palazzo, si formò il castello italiano. Però non tutti i castelli d'Italia presentano in modo spiccato tali tre elementi. La varietà della topografia, della climatologia e degli eventi politici delle varie zone del nostro paese influirono moltissimo sulle sue forme particolari, insieme col sentimento artistico degl'ingegneri che lo progettavano e con la ricchezza delle case feudatarie, o principesche, che ne ordinavano la costruzione.
Le cronache dànno notizia di castelli sin dai primi secoli medievali: ricordano nel sec. V tra altri, quelli di Persiceto, Busso, Verabulo, Monteveglio e Ferroniano, i quali formarono la difesa occidentale dell'Esarcato e resistettero agli assalti dei barbari sino agli ultimi anni del regno di Odoacre (476 d. C.). Di essi e degli altri eretti sino al sec. XIII non restano oggi che rari e miseri ruderi. I castelli pervenuti a noi sono di epoca posteriore, però assai spesso vi si riscontrano parti, specialmente fondazioni e torri, di epoche anteriori. Dal sec. XIII il castello si affermò completo e perfetto in forme tipiche; in una, la più antica, si distinguono nettamente i citati tre elementi costitutivi: la sua pianta è irregolare perchè la cinta esterna segue il margine del ciglione su cui è costruita l'opera, i suoi prospetti verticali mostrano il rilievo preponderante del mastio, mentre il palazzo sporge sulla cinta turrita, ora come costruzione più compatta e serrata, specialmente nelle zone più fredde, ora più diradata, con rilievi a dominio vario, sicché il castello assume un aspetto architettonico movimentato, gradevole all'occhio. Questo tipo è molto comune nell'Italia settentrionale e centrale (Fenis, Vigoleno, Collalto Sabino, Cafaggiolo) e tali sono specialmente i castelli Scaligeri (Sirmione, Malcesine, Soave, Torri di Benaco). Il castello della seconda forma tipica presenta invece una struttura più semplice e più rude; esso è costituito da una cinta di sviluppo quasi secondario in confronto al palazzo baronale che si erge come grosso blocco cubico; qualche volta senza torri (Adernò, Paternò, Bobbio, Ussel, Verrès), ma più spesso con torri agli angoli. Queste furono rotonde (S. Leo, Avezzano, Castelnuovo di Napoli, Otranto) o quadre (Fossano, Quattro Torri di Siena, Celano, Trani). Per lo più c'è anche il mastio (Trebbio, Poppi, Lagopesole); altre volte manca e la sua funzione è affidata ad una delle torri (Fossano, Ivrea, Gallese). Si può dire che in questo tipo il palazzo si sia fuso in una sola grandiosa costruzione difensiva col mastio e con una delle cinte.
La distribuzione dei castelli in Italia è molto irregolare. Essa dipese dalle condizioni topografiche e politiche; molti gruppi nel primo Medioevo sorsero sulle grandi vie di comunicazione (Val d'Aosta, Val d'Adige, Via Flaminia), altri gruppi sorsero in zone la cui storia fu particolarmente intessuta di continue guerre. In Piemonte, oltre la Val d'Aosta, ne sono gremiti il Canavese, il Saluzzese e le Langhe. In Lombardia sono pochi nella campagna, ma invece sorsero in tutte le maggiori città come castelli comunali. Nel Veneto, oltre parecchi sulle Prealpi, se ne hanno centinaia nell'Alto Adige, ove nel sec. XIV si combatté una strenua lotta fra l'elemento latino e quello germanico. L'Emilia n'è ricchissima, specialmente lungo le antiche strade che dalla Valle Padana mettevano nella Toscana. La Lunigiana, la regione Matildea, il Montefeltro, lo Spoletano ne ebbero a dovizia, per ragioni politiche. Nel territorio laziale, per le lotte tra Imipero, papato e baroni si ebbe uno svolgimento tutto particolare di queste costruzioni, che vi furono numerose, ma soggette a continue distruzioni. Nell'Italia meridionale le coste pugliesi, e calabro-sicule videro innalzarsi in gran numero castelli, specie contro le azioni dei Saraceni e dei Turchi; mentre nel resto della regione, le dinastie che si avvicendarono li trasformarono continuamente con intrecci di forme e stili.
Tali castelli in parte andarono distrutti nelle lotte tra guelfi e ghibellini, e nei rivolgimenti politici avvenuti di poi. Per altri nel sec. XVI s'iniziò una profonda crisi prodotta da due fatti: uno politico perché il governo concentrato nelle mani di pochi principi rese inutili moltissimi di tali piccoli fortilizî; il secondo, tecnico, perché con l'introduzione delle artiglierie essi perdettero gran parte della loro efficienza bellica. Le torri e il loro mastio si dimostrarono mezzi di difesa deboli e impari alle necessità, mentre invece per grossi eserciti, quali poi si formarono, muniti di potenti artiglierie, si richiedevano fortificazioni più ampie e robuste. Per tale crisi, numerosissimi castelli della piccola nobiltà, sparsi per la campagna, perdettero ogni importanza bellica e divennero semplici abitazioni di proprietarî; ma riuscendo poco comodi a causa della loro ubicazione, in gran parte furono abbandonati e caddero in rovina; altri, specialmente gli antichi castelli comunali, restarono al servizio di principi per i presidî delle città, oppure si trasformarono in reclusorî, e in altri edifici pubblici: solo pochi fiorirono ancora di vita rigogliosa nei secoli successivi, trasformandosi nei cosiddetti palazzi-castelli. Però in questi vi furono radicali cambiamenti: gli elementi bellici divennero parte secondaria di fronte all'elemento palazzo, che si sviluppò in relazione alla fastosità della vita che vi si conduceva, con ampî edifici e cortili, riccamente ornati, con maestose facciate, con finestre contornate da pregevoli modanature, con ingressi cinti da portali marmorei scolpiti; il castello-palazzo ebbe anche torri e coronamenti di beccatelli, archetti e merli, motivi architettonici che servivano ora solo a dare alla costruzione un fittizio aspetto bellico (Agliè, Moncalieri, l'Ambrogiana). (V. tavv. CXIII-CXVIII).
Marina. - Il castello era sulle navi antiche una soprastruttura a prua in contrapposto al cassero. Nell'uso odierno si chiama così quella soprastruttura pontata, sistemata a prua sul ponte superiore, che serve spesso come alloggio all'equipaggio.