CASSIODORO (Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator; più spesso detto Cassiodorus Senator o semplicemente Senator, che è nome proprio e non designazione di dignità)
Nacque a Scyllacium (Squillace) tra il 485 e il 490.
La sua famiglia era probabilmente originarla della Siria, dove si trova il nome nelle forme Κασιόδωρος e Κασσιόδωρος, connesso con il culto di Zeus Kasios. La forma in genitivo "Cassiodorii" ha fatto postulare a S. Maffei e ad altri al suo seguito un nominativo "Cassiodorius", che non esiste. Della sua famiglia C. poteva tracciare la storia solo per le tre precedenti generazioni (Var., 1, 4). Dal tempo del bisnonno si era stabilita nel Bruzio, verosiniilmente già a Squillace, dove aveva influenza (Var., 11, 39, 5). Della ricchezza familiare C. parla in Var., 1, 4, 17; di Squillace, con tipico amore del luogo natio, in Var., 12, 15 e Inst., 1, 29. Al ramo orientale della famiglia apparteneva il "prefetto" Eliodoro (Var., 1. 4, 15)apparentemente da identificarsi con il "comes sacrarum largitionum" del 468 in Cod. Iust., 10, 21, 3. Del bisnonno C. ci dice che difese il Bruzio e la Sicilia da un attacco di Vandali (Var., 1, 4, 14), probabilmente nel 455. Suo nonno, amico di Ezio, venne inviato ambasciatore ad Attila con il figlio di Ezio, Carpilione, probabilmente nell'anno 448 (ibid.;cfr. Priscus, fr. 8, Fragmenta historicorum Graecorum, a cura di C. Múller, IV, Parisiis 1851, p. 81, che sembrerebbe indicare che Carpilione fu piuttosto ostaggio che legato). Il padre (su cui Var., 1. 3 e 4; 3, 28; 9, 24, 9)fu "comes privataruni" e "comes sacraruin largitionum" sotto Odoacre, governò la Sicilia da consolare nel 489 e come tale passò dalla parte di Teodorico con la sua provincia; ne ebbe per ricompensa la correttura della propria regione, Bruzio e Lucania: un privilegio. Tra il 501 e il 507 diventò prefetto del pretorio, dopo di che ebbe la dignità di patrizio e fu richiamato a corte nel comitato di Teodorico con lettere scritte dal figlio orinai questore.
La famiglia doveva poi essere imparentata con i Simmachi. come è indirettamente indicato da Inst., 1, 23, 1, "ad parentem nostrain Probam virginern sacram". Proba era forse figlia dì Quinto Aurelio Simmaco, console nel 485, e quindi sorella di Rusticiana moglie di Boezio: in ogni caso congiunta di Simmaco. Questa parentela di C. con Simmaco e con Boezio sembra anche asserita da C. in uno schizzo autobiografico di cui abbiamo solo un riassunto scoperto da A. Holder e pubblicato da H. Usener sotto il nome di Anecdoton Holderi nel 1877. Il testo ha per titolo Ordo generis Cassiodororum qui scriptores extiterint ex eorum progenie vel ex quibus eruditis (sic). Seguono tre brevi caratterizzazioni di Simmaco, Boezio e C. stesso, che dunque dovrebbero essere gli scrittori della famiglia di C. (Simmaco come storico, Boezio come filosofo). La brevità del riassunto, le sue possibili corruttele, e infine la vaghezza stessa del concetto di parentela nel Basso Impero rendono i rapporti di parentela di C. con Simmaco e Boezio assai incerti. Ammirazione per gli Anicii è messa in bocca al re Teodato da C. in Var., 10, 11, e 12 del 535. D'altra parte la tragedia di Simmaco e Boezio nel 523deve per qualcheanno aver consigliato C. ad essere reticente sul suo rapporto con i due. Di fatto l'Anecdoton Holderi, contenendo già un'allusione alle Variae pubblicate nel 538 ed essendo dedicato a Rufio Petronio Nicomaco Cetego ancora vivo nel 548 (Procopii Caesariensis De Bello Gothico, 3 [7], 25, 10), anzi nel 556 (Ph. Jaffè-S. Löwenfeld, Regesta Pontificum Romanorum, n. 992), appartiene agli anni in cui C. poteva di nuovo liberamente vantarsi della sua parentela con Simmaco e Boezio, con gli Aureli e gli Anicii.
Vagamente C. ci fa sapere che "iuvenis adeo" fu "consiliarius" di suo padre prefetto del pretorio e come tale recitò un panegirico (perduto) di Teodorico, per cui fu ricompensato con l'elezione alla questura (Anecd. Hold.; Var., 9, 24, 3: "primaevum"). Poiché la questura è circa del 507, la nascita è probabilmente da porsi circa vent'anni prima, intorno al 485-490. Nato poco dopo la fine dell'Impero in Occidente, C. vide l'apogeo e la rovina dei dominio gotico in Italia, la restaurazione bizantina e la sua erosione da parte dei Longobardi. La sua attività di questore non deve essere durata oltre il Sii, poiché nessuna delle lettere raccolte in Variae, I-IV, da lui scritte come questore a nome di Teodorico, può essere datata dopo quell'anno. Nel 514 il C. fu console ordinario, un onore senza effettive incombenze amministrative.
Una frase di C. nei suoi Chronica (Chron. Min., II, 160 Mommsen) relativa all'anno dei suo consolato non deve essere interpretata nel senso che egli personalmente avesse fatto da conciliatore per la fine dello scisma laurenziano. L'Anecd. Hold., dichiarandolo "patricius et consul ordinarius postmodum", sembra implicare che C. fu elevato al patriziato prima o durante il suo consolato. Ma nessuna delle Variae gli attribuisce la dignità di patrizio, che dunque non può essere anteriore al 537. Un passo delle Variae (II., 39, 5)suggerisce che C. abbia anche governato, come correttore, il Bruzio e. la Lucania, ma ciò non è sicuro (E. Stein, Histoire du Bas-Empire, II, Paris 1949, p. 109 n. 2). La data, se la correttura fosse reale, cadrebbe tra il 515 e il 523, anni in cui C. sparisce dall'amministrazione centrale. Sono però gli anni della sua attività storiografica. Nel 519 egli scrive i suoi Chronica da Adamo al consolato di Eutarico, marito della figlia di Teodorico, Amalasunta. Questo scritto di occasione, su ordinazione dello stesso Eutarico, è compilato, come C. afferma, da s. Gerolamo, da Tito Livio (cioè da una epitome del medesimo), da Aufidio Basso (storico dell'età tiberiana), dal Chronicon Paschale "clarorum viroruin auctoritate firmatum" con il che pare si intenda precipuamente Vittorio Aquitano. Sono poi adoperati la cronaca di Prospero Aquitano e i Consolari Italici, nonché Eutropio. La compilazione, frettolosa, è talvolta ridicola, come quando copia s. Gerolamo a proposito di una porta di Gerusalemme "qua Bethleem egredimur" (II, 142 Mommsen). L'adulazione per i sovrani gotici gli fa trasformare la battaglia di Pollenza in una vittoria dei Goti contro Stilicone (II, 154) e lo induce ad altre scorrettezze. Si noterà che l'anno 476 non ha per questa cronaca il significato di fine dell'Impero occidentale che assume nella cronaca del conte Marcellino composta intorno allo stesso anno 519 e rielaborata nel 534 (Chron. Min., II, 91 Mommsen).
Nel 523 succedette a Boezio in qualità di "magister officiorum", il che indica come egli avesse saputo al momento giusto tenersi distante dal medesimo; le Variae che si riferiscono a questo ufficio vanno dal 523 al 527 e sono comprese nei libri 5,8 e 9,1-14. Dopo la morte di Teodorico nell'agosto 526 C. rimase nella medesima posizione sotto Atalarico, figlio della reggente Amalasunta (ormai vedova di Eutarico) per circa un anno. Una Varia (9, 25, 8) dice stranamente che C. come "magister" funse da questore. C. di nuovo sparisce per ricomparire come prefetto del pretorio nel 533 (le lettere di nomina in Var., 9, 24-25) ancora sotto Atalarico. In quella posizione sopravvisse alla morte di Atalarico (534), all'assassinio di Amalasunta da parte di Teodato da lei associato al trono (535) e alla deposizione e uccisione di Teodato per opera di Vitige (536). Si ritirò nel 537, quando ormai la guerra di Giustiniano contro i Goti era in pieno svolgimento, e Belisario già si trovava in Italia dalla metà del 536.
Le Variae concernenti l'attività di C. come prefetto del pretorio vanno da 9, 15 alla fine del libro 12 e ultimo. Frammenti di discorsi, l'uno forse in onore dì Eutarico e Teodorico (519?)e l'altro per il matrimonio di Vitige con la riluttante Matasunta, orfana di Eutarico e Amalasunta (536), sono conservati in fogli palinsesti del sec. VII (E. A. Lowe, Codices Latini Antiquiores, III, Oxford 1938, p. 342). Quale sia stato l'atteggiamento politico tenuto da C. in tutti questi anni di alternanza fra potere e ozio erudito è impossibile dire. È in verità dubbio che di atteggiamento politico si possa parlare per chi riuscì a superare delle crisi come quella dell'assassinio di Amalasunta e della eliminazione di Teodato, C. non fu certo identificato con le trattative segrete di Teodato con la corte di Costantinopoli e in genere con una qualsiasi tendenza filobizantina. Le Variae sono come opera retorica ed erudita una espressione inconfondibile della personalità di C., ma le decisioni politiche e legali in esse contenute non possono attribuirsi a C. senza arbitrio.
Un altro difficile problema è proposto dalla Historia Gothorum in dodici libri. Secondo l'Anecdoton Holderi, qui come altrove un riassunto confuso del testo di C., questa storia sarebbe stata scritta per ordine di Teodorico. Non dobbiamo necessariamente dedume che fosse stata finita prima del 526. Alla storia come già nota e presumibilmente perciò conclusa alludono Variae, 9, 25 del 533 e la prefazione delle Variae (circa 538). Estratti di particolari di questa storia sono da riconoscere verosimilmente nell'excursus erudito di Variae, 11, 1 e certamente in 12, 20 (da confrontarsi con jordanes, Getica, 30). La prefazione delle Variae dà il numero (dodici) dei libri e Variae 9, 25 indica la tendenza ideologica: "originem [ = historiam] Gothicam historiam fecit esse Romanam". Cioè C., riprendendo e perfezionando la tesi già adombrata nei suoi Chronica, presentava i Goti come continuatori e parte integrante della civiltà (civilitas) romana: "civilitas" è tipica parola di Cassiodoro. In particolare i Goti avevano la stessa nobiltà di origine dei Romani ("ut sicut fuistis a maioribus vestris semper nobiles aestimati, ita vobis [= Romanis] antiqua regum progenies [= Gothi] inperaret".
La storia gotica di C. è andata perduta, ma i Getica di Jordanes, scritti nel 551, si danno esplicitamente come riassunto della storia di Cassiodoro. Due questioni strettamente connesse sono se il riassunto possa permetterci di ricostruire le linee della storia di C. e se la parte, in verità assai breve, riferentesi al periodo posteriore alla morte di Teodorico debba considerarsi una aggiunta di Jordanes indipendente da Cassiodoro. La prima questione può ritenersi risolvibile con grande probabilità. Pur nel riassunto di Jordanes è riconoscibile a tratti lo stile di C., e nella differenziazione aiuta l'altra opera di Jordanes, Romana, scritta all'incirca nello stesso 551, che non dipende da C. (ma può dipendere da altra fonte, per esempio la storia romana di Simmaco, suocero di Boezio), La conferma è nell'orientamento ideologico dei Getica di Jordanes che corrisponde alla definizione su citata di Variae 9, 25. Si può dunque dedurre dal testo di Jordanes che C. avesse a fonte principale una storia gotica di Ablabio (a cui fa allusione Var., 10, 22, 2); accettasse la comune confusione di Geti e Goti con il risultato di arricchire la storia gotica con episodi di storia getica e scitica (per esempio, la personalità mitica di Zalmoxis); seguisse i metodi tradizionali dell'etriografia greco-romana nel descrivere popoli stranieri, ma accentuasse tutto ciò che poteva andare a vantaggio dei Goti e renderli degni di governare i Romani. Anche così, resta per altro dubbio se determinati particolari siano da attribuirsi a C. o a Jordanes. Per fare un esempio solo, Jordanes sia in Getica, 242, sia in Romana, 344segue Marcellino nel collocare la fine dell'Impero di Occidente con Romolo Augustolo nel 476, e in ciò differisce dai Chronica di Cassiodoro. Non si sa se C. avesse cambiato opinione, quando redasse la storia gotica, o questa sia una innovazione di Jordanes (A. Momigliano, La caduta senza rumore di un impero nel 476, in Riv. stor. ital.)LXXXV [1973], pp. 1-17). La seconda questione, se l'ultima parte di Jordanes rifletta opinioni di C., dipende dalla valutazione della posizione di C. come esiliato a Costantinopoli e va perciò considerata più oltre. La storia gotica di C. è la prima delle grandi storie di nazioni germaniche a noi pervenuta, ma non è provata la sua diretta influenza su quelle di Gregorio di Tours, Isidoro di Siviglia e Beda.
Tra il 537 e il 538 C. decise di raccogliere i documenti della sua attività cancelleresca in una grossa opera che intitolò, data la varietà del suo contenuto, Variae. Due libri sono di formulae (libri 6 e 71, cioè di modelli di diploma di nomina alle alte gerarchie dello Stato, che C. calcolava di poter ancora usare in ufficio (Var., Praef., 14), e perciò dovrebbero essere anteriori al suo ritiro nel 537. Gli altri dieci libri rappresentano lettere ufficiali effettivamente scritte da lui a nome proprio o più spesso a nome dei re gotici, e in talune di esse C. scrive (con debito elogio) di sé.
Resta incerto se C. abbia sottoposto i testi a revisione nella forma e nel contenuto al momento della raccolta; certo è che egli ce ne presenta una scelta da cui è escluso ogni materiale compromettente (ostile a Boezio e Simmaco, ostile a Costantinopoli, ecc.). Nelle Variae C. è soprattutto uno stilista, che cambia di tono secondo le persone a cui scrive ("quia necesse nobis fuit stilum non unum sumere qui personas varias suscepimus admonere": Praef., 15). Perfino il giuoco politico diventa giuoco stilistico; si confronti Var., 11, 13 del 535 (unica lettera scritta a nome del Senato romano) con le minacce di Teodato contro il Senato e il clero di Roma riportate in Act. Conc. II, 5, p. 135, 30 (E. Schwartz, Zu Cassiodor und Prokop, in Sitzungsberichte der Bayer. Akad. der Wiss.., 1939, n. 2, p. 19). Con la norma "semper gratum est de doctrina colloqui cum peritis" (Var., 2, 40, 17) C. giustifica le sue digressioni erudite. Per mandare un citaredo al re dei Franchi disserta con Boezio sulla musica (ibid.); fa parlare Teodorico di aritmetica con Boezio (1, 10); a Simmaco filosofo lo fa parlare da filosofo (2, 14); e per il medesimo Simmaco fa una digressione sul teatro e i generi teatrali (4, 51). Un provvedimento minore per Como ispira una descrizione delle bellezze del lago (11, 14); famosa è la pittura della laguna veneta (12, 24). E così le Variae crescono fino a costituire una specie di informe enciclopedia del sapere tardo antico e anche un documento di primo ordine della sensibilità artistica e tecnologica di questa età. Nonostante pregevoli contributi (per esempio, A. T. Heerklotz, Die Variae des Cassiodor als kulturgeschichtliche Quelle, Diss., Univ. Heidelberg 1926; G. Vismara, Rinvio a fonti di diritto penale ostrogoto nelle Variae di C., in Studia et doc. historiae et juris, XXII [1956], pp. 364-75) le Variae sono ancora da studiare da questo punto di vista.Ma le Variae non riflettono ancora l'impegno religioso che, con il decadere dei Goti, sostituisce in C. l'impegno politico. Già intorno al 536 egli aveva cercato, d'accordo con papa Agapito, di fondare a Roma una scuola di studi teologici sul modello di quelle di Alessandria e di Nisibi, con annessa biblioteca. Il piano fallì per la morte di Agapito e l'invasione bizantina (Instit., Praef., i). Non sembra che si debba presupporre una residenza a Roma di C. nel 536, ma a Roma egli dovette risiedere prima di trasferirsi o essere trasferito a Costantinopoli, poiché vi lasciò una biblioteca distrutta poi nella guerra di Totila (Instit., 2, 5, 10: "librum... quern in bibliotheca Romae nos habuisse atque studiose legisse retinemus, qui si forte gentili incursione sublatus est...": vedi H.-I. Marrou, Mél. d'archéol. et d'hist., XLVIII [1931] pp. 128-169).
Di questo impegno religioso il primo documento importante è il De anima che egli scrisse subito dopo la composizione delle Variae (Var., Praef., 11)e che considerava come libro tredicesimo delle medesime (Expos. Psalm., 145, 2: "in libro animae, qui in Variarum opere tertius decimus continetur"). Il De anima allude all'attacco di Giustiniano contro i Goti in 18, 10-11: "invidit, pro dolor, tam, magnis populis, cum duo essent" (A. van de Vyver, Cassiodore et son wuvre, in Speculum, VI [1931] p. 253). La preghiera finale del De anima conserva ancora la profonda emozione con cui C. scoprì una nuova vita: "ex servis filii, ex impiis iusti, de captivis reddimur absoluti". S. Agostino è la principale ispirazione (De civitate Dei, De quantitate animae, Epistula 166, ecc.). Altre fonti sono Lattanzio, De opificio Dei, Boezio, Institutio arithmetica e forse soprattutto Claudiano Mamerto, De statu animae;ma C. riconosce di aver usato anche scrittori profani. Nella tradizione medievale, che indica la grande fortuna dell'opera, essa appare o aggiunta alle Variae o trasmessa indipendentemente. L'anima umana è per C. incorporea e immortale, risiede nella testa, ma si estende al corpo che ne è il tempio, e ha natura paragonabile alla luce. C. è con s. Agostino antiplatonico nella teoria della memoria e parla di una visione mistica del soprasensibile. Il De anima indica una certa familiarità con testi medici, da cui può derivare la nozione non altrimenti testimoniata (a quanto sembra) che l'anima entra nel feto nel quarantesimo giorno dopo il concepimento (9, 11). Non più impegnato nella collaborazione con un governo di eretici, C. entra nella sua nuova fase sotto l'egida di s. Agostino. Ma C. era certo stato da tempo in contatto con Dionigi l'Esiguo, morto intorno al 540, di cui diede più tardi in Inst., 1, 23, 2 un ritratto pieno di devota riconoscenza e ammirazione: "interveniat pro nobis qui nobiscuin orare consueverat...". Quasi subito dopo, quando probabilmente risiedeva ancora a Ravenna, C. iniziò il voluminoso commento ai Salmi, di nuovo su modello agostiniano (Expositio Psalmorum, Praef.). Il lavoro naturalmente prese molto tempo: costituisce l'opera maggiore per mole e forse per ispirazione di C., è anzi l'unico commento a tutto il salterio nella patristica latina. Verso la fine dell'opera (138, 24)C. cita con approvazione due opuscoli di Facondo di Ermiana "pro defensione trium. capitulorum" presentati ("nuper") a Giustiniano nel 548. Poiché d'altra parteil commento pare dedicato a papa Vigilio(Praef., dove il "pater apostolicus" è quasi certamente Vigilio), che condannò i tre capitoli nell'aprile 548, è da assumere o che il lavoro sia stato finito nei primi mesi del 548 o che C. si sia dimenticato della frase compromettente di 138, 24 quando redasse più tardi la dedica al papa: date le oscillazioni di Vigilio ciò non avrà contato molto (R. Devreesse, Pelagii Diaconi... In Defensione Trium Capitulorum, Città del Vaticano 1932;J. Straub, Die Verurteilung der drei Kapitel durch Vigilius, in Kleronomia, 11 [1970], pp. 347-375; 1. M. Clément-R. Vander Plaetse, Facundi Hermaniensis Opera, Turnholti 1974, pp. VIII-X, che propone un'interpretazione improbabile del testo di Cassiodoro). In ogni caso il commento ai Salmi va considerato come un prodotto del periodo costantinopolitano di Cassiodoro. Fu poi riveduto a uso dei monaci nel periodo di Vivario, come sembra confermare, tra l'altro, una frase della Praefatio evidentemente aggiunta: "quain tamen codiceni etiam per quinquagenos psalmos... partitus...". Il commento illustra sistematicamente per ogni salmo le partizioni, il contenuto e il significato morale e religioso. Uno degli scopi dell'autore è di dimostrare che gli scrittori biblici osservano, anzi originano le norme retoriche: vedi per esempio Ps. 22, 6: "sicpsalmi istius principia, media et finis, decora diversorum schernatum luce radiantur". Perciò in questo commento la combinazione di cultura classica e cristiana di C. è profonda. Il commento spesso finisce in preghiera. Donde l'ipotesi di Chr. Molirmann che la serie italiana dei "Psalter Collects" (Collecta in Psalmos)edita da A. Wilmart e L. Brou (London 1949)sia stata iniziata da C. nel periodo vivariense (Vigiliae Christianae, VI [1952], pp. 1-19, poi in Etudes sur le latin des chrétiens, III [1965], pp. 245-263;per un'altra ipotesi, vedi H. Ashworth, The Psalter Collects of Pseudo Jerome and Cassiodorus, in Bull. of the Jonn Rylands Library, XLV [1963], pp. 287-304 che la riconnette con papa Giovanni I). Si badi che d'altra parte C. diventò sempre più cosciente del carattere proprio, ieratico, del linguaggio biblico (Inst., 1, 15, 2). L'analisi retorica del commento ai Salmi non costituisce necessariamente il suo pensiero più maturo. Interpretare il commento ai Salmi sulla base delle Institutiones (J. M. Courtés, 1964, pp. 361-375; A. Ceresa Gastaldo, in Vetera Christian., V [1968], pp. 61-72) ha i suoi rischi. Ma alla retorica si sovrappone naturalmente il metodo figurale di esegesi con terminologia non sempre consistente. E poiché Davide è considerato l'autore di tutti i Salmi, Davide parla in essi profeticamente, spesso in nome di Cristo (cfr. già Ps. 3, 1).
Non c'è segno che C. avesse alcuna parte nell'abortito tentativo di Vitige di staccare Belisario da Giustiniano. Belisarlo occupò Ravenna, riaffermò la sua lealtà a Giustiniano, si impadronì del tesoro di Vitige e della sua stessa persona e tornò a Costantinopoli con Vitige, sua moglie Matasunta e membri dell'aristocrazia gotica come prigionieri. C. non è mai nominato dalle fonti in tutte queste vicende: di lui non si sa più nulla sino a quando riappare a Costantinopoli nel 550 come un personaggio influente al seguito di papa Vigilio, di cui sembra avere sostenuto la politica ecclesiastica (Vigilius papa, Epist. ad Rusticum et Sebastianum, in Migne, Patr. Lat., LXIX, col. 49A; G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et ampl. collectio, IX, Florentiae 1761 p. 357). A possibile che fosse già stato portato a Costantinopoli nel 540; ma è altrettanto possibile che fosse fuggito da Roma a Costantinopoli nel 546 con l'amico Cetego e altri aristocratici italici all'avvicinarsi di Totila. È in ogni caso probabile che C. sia rimasto a Costantinopoli sino alla proclamazione da parte di Giustiniano della prammatica sanzione nel 554.
Dunque almeno una decina di anni di esilio. Che l'uomo orinai sessantenne riuscisse a impadronirsi interamente del greco o a esercitare una reale influenza sulla politica di Giustiniano è più che dubbio. Le fonti greche lo ignorano, il che implicitamente conferma la sua scarsa importanza politica per il periodo di ufficio sotto i successori di Teodorico. Ma C. non si limitò a commentare i Salmi durante l'esilio. Ci sono due probabili indizi della sua attività all'interno della colonia degli esuli italiani in Costantinopoli, e almeno uno di questi sembra suggerire un tentativo non riuscito di influire sulla politica italiana dei Bizantini. L'Ordo generis Cassiodororum, così malamente conservato nell'Anecdoton Holderi, si colloca naturalmente in questi anni sia per la dedica a Cetego sia per l'evidente sforzo di fugare i vecchi sospetti degli amici e famigliari di Simmaco e Boezio e ricostituire l'unità dell'aristocrazia italica. D'altra parte Jordanes dichiara di essere stato persuaso da un amico a riassumere la storia gotica di C., e di averla avuta in prestito dall'amministratore di questo per tre giorni soltanto. Jordanes termina la sua storia con la nascita di Germano, figlio postumo di Germano, congiunto di Giustiniano, e di Matasunta. Il piccolo Germano è presentato inaspettatamente come promettente simbolo dell'unione tra la gente Anicia e la gente Amala. Matasunta era Amala, ma la definizione di Germano padre come Anicio - e non come membro della famiglia imperiale di Costantinopoli - è strana, anche se deve avere necessariamente qualche corrispondenza nelle parentele di Germano. Una possibile spiegazione è che questa strana definizione provenga da C., il quale, come si può vedere dall'Anecdoton Holderi, era in fase di ammirazione per gli Anicii e ansioso di apparire loro congiunto: egli poteva avere interesse a mettere in valore gli elementi Anicii nella ascendenza di Germano. Politicamente il finire una storia gotica con il rampollo di una unione amalo-anicia, cioè gotico-romana, era un implicito invito a Giustiniano a continuare la politica di collaborazione tra aristocratici gotici e aristocratici italici, che stava alla base della ideologia della storia gotica di Cassiodoro. La conclusione di Jordanes corrisponde così perfettamente alle idee di C. che viene naturale domandarsi se egli non appartenesse alla cerchia di C., e cercasse di viascondere il diretto intervento di C. nella compilazione dell'effitome e vi accogliesse aggiunte fatte da C. alla sua storia gotica dopo il 538 per aggiornarla con la nuova situazione. Tutto ciò spiegherebbe anche la convenzionale menzogna di aver avuto il manoscritto di C. solo per tre giorni. L'anno 551, decisivo per la liquidazione della troppo lunga guerra in Italia, era il momento giusto per approntare un riassunto della storia di C. per chi volesse esprimere la speranza che l'Italia non fosse sottoposta a diretto regime bizantino, ma fosse lasciata più autonoma sotto un governo di aristocratici latini con la collaborazione di sopravvissuti aristocratici gotici. Se tale era l'azione tentata da C. e dai suoi amici con l'aiuto del goto Jordanes (di cui è possibile l'identità con un vescovo omonimo presente allora in Costantinopoli), non c'è che da registrare un fallimento (su questa complessa questione v. da un lato Momigliano, Secondo contributo, pp. 209 ss.; dalI'altro D. R. Bradley, The composition..., [1966], pp. 67-79; N. Wagner, Getica, 1967, pp. 41-57).La politica sparì in ogni caso dall'orizzonte di C. quando egli tornò in Italia in pieno possesso dei.beni aviti e di quelli eventualmente donatign dai re gotici (siccome garantiva la prammatica sanzione). C. si avvicinava ormai ai settant'anni, ma aveva ancora davanti a sé il periodo più creativo della sua vita. in qualità di rinnovatore, accanto a s. Benedetto, della vita monastica e, come tale, di mediatore della cultura antica. Per quanto egli facesse risalire la sua "conversio" al tempo in cui comincio a scrivere il commento ai Salmi, cioè intorno al 538 (De orthogr, Praef., p. 144, 1 Keil), non ne consegue affatto che egli avesse già fondato allora il suo monastero vivariense e tanto meno che egli si fosse fatto monaco prima di andare a Costantinopoli. Il monastero vivariense appare solo dopo la fine del governo gotico in Italia, e fu fondato da C. nella sua tenuta di Squillace.
Vivario fu una sede di vita religiosa e culturale in una maniera che non sembra aver chiari precedenti. Come a Lérins, la fondazione di C. ammetteva e favoriva tanto la vita cenobitica quanto quella anacoretica; e c'erano anche precedenti in Italia per monasteri che funzionavano come scriptoria (P. Riché, Education et culture dans l'Occident barbare, Paris 1962, pp. 201-204). Ma nessun altro aveva il suo centro nella biblioteca. Non c'è prova che C. si facesse egli stesso monaco e tanto meno che fosse abate (Inst., 1, 32, 1). La frase misteriosa di Exp. Psalm., 100, 8 "et quod sanctorum diximus meritis applicatum, indigno mihi fuisse collatum" non necessariamente si riferisce alla tonsura (contro H. Thiele, 1932, pp. 379 s.; cfr. A. van de Vyver, 1941, p. 83). Del monastero, rivolgendosi ai monaci in Inst., 1, 8, 14; 1, 32, 2, ecc., C. parla sempre come se appartenesse a loro ("monasteriurn vestruin"). Il monastero è descritto in Inst., 1, 29: la località è stata identificata in contrada di San Martino a un chilometro dal fiume Alessi (probabilmente il Pellena di Cassiodoro). A s. Martino era dedicata la chiesa del monastero, come risulta dalle miniature di Vivario in manoscritti delle Institutiones, di cui il più antico è il Bambergensis Patr. 61 (H. J. IV, 15), f. 29v (la identificazione è dovuta a P. Courcelle, Le site du monastère de Cassiodore, in Mél. d'archéol. et d'hist., LV[1938], pp. 259-307). Il monastero derivava il suo nome dal vivaio di pesci, che appare nella miniatura, sul fiume Pellena. Annesso al monastero vivariense c'era un eremitaggio "montis Castelli" per gli anacoreti (Inst., 1, 29, 3). "Monasteriuni Vivariense sive Castellense" è la denominazione data da C. stesso in Inst., 1, 29, titolo. La scuola di Nisibi, che già aveva attratto l'attenzione di C. prima dell'esilio, era ridiventata, a quanto pare, di moda in quegli anni per la pubblicazione da parte del questore Giunilio Africano dì una traduzione latina dì un'introduzione allo studio della Bibbia scritta da Paolo di Nisibi "qui in Syrorum schola in Nisibi urbe est edoctus" (Migne, Patr. Lat., LXVIII, col. 15). Questo scritto di Giunilio è esplicitamente menzionato da C., Inst., 1, 10, 1, come una delle sue guide. È curioso che non ci siano pervenute lettere di C. del periodo vivariense: segno forse del relativo isolamento del nuovo istituto.
C. non fa parola di una regola per il suo monastero. Solo raccomanda di seguire "tam, patrum regulas quam pracceptoris proprii iussa" (Inst., 1, 32, 1) e inoltre consiglia gli scritti di Cassiano purgati del loro pelagianesimo (Inst., 1, 29, 2). La congettura di M. Cappuyns che C. fosse l'autore della, Regula Magistrì (Lauteur de la Regula magistri: Cassiodore, in Rech. de théol. anc. et méd., XV [1948], pp. 209-68) dopo molte discussioni sembra essere caduta in discredito: vedi tra i più recenti Regulae Benedicti Studia, I (1972). I monaci incapaci di lavoro intellettuale coltivavano campi e giardini (Inst., 1, 28, 5); il resto doveva dedicarsi all'intendimento delle scritture sacre per cui era necessaria la conoscenza delle scritture profane. Le sette arti liberali sono chiaramente subordinate alla contemplazione di Dio: la poesia profana è tenuta fuori. Donde il programma approntato da C. stesso nelle sue Institutiones, riviste più di una volta fra il 560 circa e la morte (Inst., 1, 15, 10 e 30, 2 citano il De orthographia composta da C. verso la fine della sua vita). La storia del testo, di cui il primo libro è dedicato alle lettere divine e il secondo alle secolari è complicata. Secondo P. Courcelle esisterebbero due redazioni delle Institutiones saecularium litterarum, che permetterebbero di seguire l'accrescersi della cultura di C. per l'arrivo dì nuovi libri a Vivario: la redazione più antica sarebbe poi stata interpolata da monaci di Vivario dopo la morte di C. (P. Courcelle, Histoire d'un brouillon cassiodorien, in Revue des études anciennes, XLIV [1942], pp. 65-86). Anche questa teoria presenta delle difficoltà. Le Institutiones sono allo stesso tempo una introduzione elementare alle lettere divine e umane e un catalogo di libri da leggersi. I Disciplinarum libri di Varrone non sembra fossero direttamente noti a C. (M. Simon, Zur Abhängigkeit spätrömischer Enzyklopädien von Varros Disciplinarum libri, in Philologus, CX [1966], pp. 88-93). Non tutti i libri elencati erano nella biblioteca di Vivario (Inst., 1, 1, 4). C. distingue inoltre tra i suoi libri personali (Inst., 1, 31, 2; 2, 2, 10) C la biblioteca del monastero (1, 4, 4; 1, 8, 14) sebbene sia verosimile che la biblioteca privata fosse a un certo punto confluita con quella del monastero (1, 3, 1; 1, 15, 14; 2, 2, 10). Dalla sua descrizione ci si può fare una idea di una biblioteca tardo-antica con armadi numerati di cui uno riservato ai libri greci (1, 8, 15; 1, 14, 4). Allo studio deì testi si dovevano accompagnare edizioni, collazioni, excerpta e revisioni di testi scritturali (1, 1, 10; 1, 2, 13; 1, 5, 2; 1, 6, 5; 1, 14, 2). C. preparò o fece preparare una Bibbia in nove codici, di cui si discute se contenesse la Vetus Latina o la Vulgata geronimiana, un'altra Bibbia in cinquantatré senionì a caratteri piuttosto minuti contenente la Vulgata e infine una terza Bibbia in codice grandior di novantacinque quaternioni che probabilmente dava la revisione di s. Gerolamo sul testo della Esapla (Praef. 8; 1, 12, 3;1, 14, 2; 1, 5, 2). I libri sacri erano provvisti dì sommarì, o già esistentì o scrittì ex novo. I sommari furono poi raccolti in un'opera separata, il Liber memorialis sive titulorum (De orthogr., Praef.). C. inoltre preparò o fece preparare commenti a testi biblici. Per i libri storici della Bibbia (Sam., Reg., Chron. inclusi nella sez. 1, 2 De regum [sic]delle Inst.), non avendo trovato un commento completo C. ne compilò uno egli stesso servendosi d'Origene, s. Agostino, s. Ambrogio, s. Gerolamo e lasciò pagine bianche per aggiunte. Per simile scopo raccolse in un volume quanto s. Gerolamo aveva scritto sui Vangeli (1, 7, 1): forse da identificarsi con il testo pubbl. da G. Morin, Anecdota Maredsolana, III, 2, Maredsous 1897, pp. 317-398. In 1, 8, 1 C. racconta di essersi imbattuto in una esposizione delle tredici epistole paoline attribuita a Gelasio. Poiché si accorse che era inficiata di pelagianesimo (si trattava in verità di un'opera di Pelagio stesso), purgò il testo della "prima epistula ad Romanos" degli errori dottrinali e demandò ai monaci dì fare lo stesso per le altre epistole ("reliquas in chartacio codice conscriptas vobis emendandas reliqui"): per il lavoro di C. pervenutoci sotto il nome di Primasio vedi A. Souter, Pelagius' Expositions of Thirteen Epistles of St. Paul, I, Cambridge 1922, pp. 318-26. Simili compilazioni sono anche indicate per opere profane. C. fece un'epitome della retorica di Fortunaziano (2, 2, 10), che è, sia detto per inciso, una delle sue fonti per la dottrina retorica delle Institutiones. Tutto ciò è perduto. C. compose anche un riassunto con breve commentario delle Epistole, Atti e Apocatisse: Complexiònes in Epistolas Apostolorum, scoperto tra i codici della Bibl. capit. di Verona nel 1712 e per la prima volta ed. da S. Maffei nel 1721: il codice risale al VI secolo (Lowe, Codices Latini Antiq., IV, Oxford 1947, n. 496). Nella lista delle opere di C. nel suo De orthographia le Complexiones appaiono come ultime. Dovrebbero dunque aver immediatamente preceduto il De orthographia che è una compilazione del più che nonagenario maestro per i monaci che dubitavano della propria capacità di copiare i manoscritti ortograficamente (per la sua relazione con un analogo trattato di Anneo Cornuto, cfr. A. D. Nock, Kornutos, in Realencyclopädie der Altertumswissenschaft, Suppl. V, Stuttgart 1931, col. 997). Uno dei più abili assistenti di C., il prete Bellator, scrisse commenti a Ruth (1, 1, 9), Sapienza di Salomone (1, 5, 5), Tobia, Ester, Giuditta e Maccabei (1, 6, 4) di notevole estensione. La ragione è sempre la medesima: "priscas explanationes nequaquam potui reperire".
Ma forse la parte più importante del lavoro patrocinato da C. a Vivario fu la traduzione di opere greche, tutte di carattere sacro. Come si può dedurre dall'elogio di Dionigi l'Esiguo in Inst., 1, 23, 2 erano ormai pochi i monaci che conoscessero entrambe le lingue. Ciò è stato confermato da P. Courcelle, Les lettres grecques en Occident, Paris 1948. pp. 318 ss., contro G. Rohlfs, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma - Halle 1933, pp. 120 ss. C. non cercò di restaurare lo studio del greco, anzi indicò, per quanto possibile, traduzioni latine già esistenti, come per Ippocrate e Galeno (1, 31, 2). Tuttavia fece accortamente ricorso a monaci istruiti in greco per traduzioni: Muziano, Bellator, Epifanio e forse altri ("amici nostri"). Si può dare la lista delle traduzioni di opere greche compiute a Vivario sotto C. che ci sono pervenute: i) Historia Ecclesiastica Tripartita di Socrate, Sozomeno e Teodoreto, tradotta da Epifanio (Inst., 1. 17, 1: ed. di W. Jacob e R. Hanslik, in Corpus Script. Eccl. Lat., LXXI, Vindobonac 1952:vedi Hanslik, Epiphanius Scholasticus oder Cassiodor? in Philolopus, CXV [1971], pp. 107-13); 2) Antiquitatum Iudaicarum libri XXII, traduzione di "amici nostri" delle Antiquitates e del Contra Apionem di Giuseppe Flavio (Inst., 1, 17, 1: incompiuta ed. critica di F. Blatt, The Latin Josephus, I, Copenhagen 1958 [cfr. la recens. di S. Lundström, in Gnomon, XXXI (1959), pp. 619-24];il Contra Apionem è stato già edito da C. Boysen, Vindobonae 1898); 3) Adumbrationes in Epistolas canonicas, una scelta da Clemente Alessandrino, Hypotyposes, tradotta da Muziano (?) (Inst., 1, 8, 4:ed. di O. Stählin, Clemens Alexandrinus, III, Leipzig 1909, pp. 203-15); 4) Codex Encyclius, tradotto da Epifanio (Inst., 1, 11, 12: testo in G. D. Mansi, Sacrorum Concil. nov. et ampl. collectio, VII, Florentiae 1762, pp. 777-96); 5)Didymus, In VII Epistolas canonicas, tradotto da Epifanio (Inst., 1, 8, 6:ed. di F. Zoepfl, Didymi Alexandrini in Epistolas canonicas brevis enarratio, Münster 1914);6) Philo Carpasius, In Canticum, tradotto da Epifanio (Inst., 1, 5, 4:ed. di F. Foggini, Roma 1750)e ascritto da C. erroneamente ad Epifanio di Cipro (Courcelle, Les lettres grecques, pp. 364-67); 7)Ioliannes Chrysostomus, In Epistolam ad Hebraeos homiliae XXXIV, tradotte da Muziano (Inst., 1, 8, 3:testo in Migne, Patr. Lat., LXIII, col. 237-456); 8)Didymus, In Proverbia, tradotto da Epifanio (Inst., 1, 5, 2: forse pervenuto in ms. ora perduto, ma edito da T.. Peltanus, Catena Graecorum Patrum in Proverbia Salomonis, Antverpiae 1614, pp. 6 ss.: v. Courcelle, Les lettres grecques, p. 382 n. 3, ma anche R. Devreesse, Dict. de la Bible, Suppl., I, Paris 1928, pp. 1161-1162).
Non ci sono invece Pervenuti il De Musica di Gaudenzio tradotto da Muziano (Inst., 2, 5, 1), le In I-II Esdrae homiliae II di Origene tradotte da Bellator (Inst., 1, 6, 6)e le In Actus apostolorum homiliae LV di S. Giovanni Crisostomo tradotte da "amici nostri" (Inst., 1, 9, 1). La traduzione più importante è quella di Epifanio per le storie ecclesiastiche dei continuatori di Eusebio. Una compilazione delle tre storie era già stata fatta in greco da Teodoro Anagnostes (Lettore) circa il 515(vedi l'edizione di G. C. Hansen, Berlin 1971). Questa compilazione fu seguita da Epifanio per I, 1-II, 12 e IV, 25, 17-IV, 38, 4. Per il resto Epifanio tornò ai testi originali pur seguendo il criterio compilatorio di Teodoro Anagnostes che era di scegliere uno dei tre autori come base per la narrazione degli episodi comuni a tutti e tre, e di aggiungere ciò che ogni autore aveva di particolare, così da riportare i fatti narrati nelle tre storie. La traduzione fu attentamente seguita da C. che ne scrisse la prefazione e forse la rivide stilisticamente. Gregorio Magno in una lettera del 597condannò questa traduzione o piuttosto l'opera di Sozomeno in essa inclusa (Mon. Germ. Hist.., Epist.., I., p. 479 n. 21). Perciò l'opera di Epifanio ebbe qualche difficoltà a diffondersi, ma con il fallimento dell'impresa di una nuova storia ecclesiastica di Giovanni Diacono nel IX secolo essa acquistò autorità e nuova diffusione. Altra traduzione di importanza essenziale per la cultura del Medioevo fu quella di Flavio Giuseppe. Anche qui si notano coincidenze stilistiche con C. ("finniferi globi" in Antiq., 12, 7, da confrontare con Variae, 9, 6 e Exp. Psalm., 101, 4). Il testo di Vivario fu usato da Ottone di Frisinga, Widukind, Pietro dì Blois, ecc. Le traduzioni della Tripartita e di Giuseppe hanno anche interesse per gli errori di greco che contengono.
Non è qui possibile indicare l'importanza e l'influenza delle Institutiones, un libro base della cultura medievale. Manca ancora perfino una attenta analisi della sua struttura intellettuale, benché sia evidente l'agostinianesimo temperato da una preferenza per la lettura devota piuttosto che per la discussione teologica. Basti accennare all'importanza delle Institutiones come guida per la costituzione e catalogazione delle biblioteche medievali. Un bell'esempio è fornito dal catalogo del monastero di Murbach in -Alsazia nel IX sec. (W. Milde, Der Bibliothekskatalog des Klosters Murbach aus dem g. Jahrhundert, Heidelberg 1968).
C. aveva novantatré anni quando scrisse la prefazione del De orthographia;deve essere dunque morto intorno all'anno 580, e venne probabilmente seppellito a Vivario.
Nel settembre 1952 un sarcofago fu scoperto vicino alla cappella di S. Martino già identificata da Courcelle come appartenente a Vivario. La data del sarcofago e alcuni graffiti greci suggerirono a G. Iacopi la teoria che si trattasse dei sarcofago di Cassiodoro. La tesi è stata accolta da P. Courcelle, Nouvelles recherches sur le monastère de Cassiodore, in Actes du Ve Congrès international d'archéol. chrétienne 1954, Città del Vaticano 1957, pp. 511 s.; ma sembra tutt'altro che accertata (contro, ma non bene informato, U. Kahrstedt, Kloster und Gebeine des Cassiodorus, in Römische Mitt., LXVI [1959], pp. 204-208). Dopo la morte di C. Vivario sopravvisse per qualche tempo: è menzionato come in difficoltà in due lettere di papa Gregorio I del 598 (Mon. Germ. Hist., Epist., II, pp. 32 e 33 s.). La dispersione della biblioteca avvenne probabilmente nel VII secolo. Ma di essa non sappiamo nulla. Teorie facili furono altrettanto facilmente eliminate, da ultimo con particolare autorità da G. Mercati. Ma P. Courcelle Les lettres grecques en Occident, ha dato qualche argomento per ritenere che una parte dei libri di C. sia passata da Vivario al Laterano, e di lì poi dispersa. Tra i manoscritti di probabile provenienza da Vivario è da annoverarsi Vat. lat. 5704 (Lowe, Cod. Lat. Ant., I, Oxford 1934, n. 25), che contiene il commento al Cantico dei Cantici attribuito a Epifanio di Cipro. Per intermediario romano (forse il Laterano) passò probabilmente al monastero di Jarrow il codex grandior dell'antica versione della Bibbia, che Beda pare aver visto (De Templo Salomonis, 17, in Migne, Patr. Lat., XCI, col. 775; Corpus Christianorum, Series Latina, CXIXA, Turnholti 1969, p. 192, e De Tabernaculo, 12, in Migne, Patr. Lat., XCI, col. 454 B; Corpus Christ., Ser. Lat., CXIX A, p. 81). Esiste iina non ben definita relazione tra il codex grandior e il Codex Amiatinus della Vulgata scritto a Jarrow per ordine di Ceolfrido (690-716) a cui allude probabilmente Beda in Vita sanctorum abbatum, 15 (Migne, Patr. Lat., XCIV, col. 725 A; p. 379, Plummer). Per il discusso problema della posizione del Codex Amiatinus (Lowe, Cod. Lat. Ant., III, p. 299) in rapporto a C. si veda, per esempio, C. Christ, Handbuch der Bibliothekswissenschaft, III, 1, Wiesbaden 1955, p. 130; B. Fischer, Codex Amiatinus und Cassiodor, in Bibl. Zeitschr., VI (1962), pp. 56-79 (fondamentale); R. L. S. Bruce-Mitford, The Art of the Codex Amiatinus, in Journ. of the British Archaeol. Association, s. 3, XXXII (1969), pp. 1-25. Note marginali di mano di C. si sono volute vedere in Cod. Petropolitanus Q. v. I, ff. 6-10 (O. Dobiache-Rojdestvensky, Le codex Q. v. I 6-10 de la Bibl. Publique de Leningrad, in Speculum, V [1930], pp. 21-48, seguito da Lowe, Cod. Lat. Ant., XI, p. 1614).
C., così come da vivo non era mai divenuto una personalità dominante nella politica, non fu dopo la sua morte riconosciuto una personalità dominante della vita spirituale. Giovanni di, Salisbury, uno dei suoi pochi ammiratori. lo presenta nella Historia Pontificalis come un convertito dal paganesimo al cristianesimo. Dante non lo nomina. Una modesta leggenda dell'VIII o IX secolo parla di tre martiri di Calabria, Senator, Viator e Cassiodorus: fu probabilmente ispirata da qualche iscrizione che associava il nome di Cassiodorus Senator con quello di Fiavius Viator, console nel 495 (H. Delehaye, Saint Cassiodore, in Mél. Fabre, Paris 1902, pp. 40-50 = Mél. d'hagiographie, Bruxelles 1966, pp. 179-88). L'indirizzo nuovo di cultura dato al monachesimo occidentale da C. fu assorbito dall'Ordine benedettino. Le sue opere ebbero efficacia autonomamente con poco riferimento alla personalità dell'autore (Isidoro di Siviglia, Beda, Alcuino, Rabano Mauro). Stranamente, solo certe espressioni delle Variae in favore della tolleranza, che erano espressioni in verità della politica di Teodorico, riacquistarono attualità nelle guerre di religione e richiamarono l'attenzione su C. ministro cattolico di re ariano tra la fine dei XVI e la fine del XVII sec., in specie in Francia (A. Momigliano, Un appunto di I. Casaubon dalle Variae di C., in Tra latino e volgare. Per C. Dionisotti, Padova 1974, pp. 615 ss.). I benedettini di St.-Maur trovarono naturalmente C. di loro gusto e C. fu spesso presentato come un benedettino. Lo sforzo di C. di dare una qualche giustificazione intellettuale (o almeno letteraria) al governo gotico rimane uno degli episodi più singolari della caduta di Roma antica. E il modo con cui C., rendendosi conto della nuova situazione sotto il governo bizantino, mirò a una sintesi di cultura classica e biblica per una comunità religiosa modesta e ristretta, ma cosciente delle proprie responsabilità, mantiene un valore esemplare.
Opere ed edizioni. Delle Laudes, scritte dal 506 in poi (Ordo gen. Cass. e Variae, Praef., ii), cirestano solo frammenti, editi a cura di L. Traube, in Mon. Gertn. Hist., Auct. Antiq., XII, Berolini 1894, pp. 457-484. I Chronica, composti nel 519, furono pubblicati da T. Mommsen, ibid., Chron. Min., II, Berolini 1894, pp. 109-161. L'Historia Gothorum, iniziata prima del 526 e compiuta forse nel 533, originalmente in dodici libri, sopravvive solo nell'epitome di Jordanes (Getica), edita da Mommsen, ibid., Auct. Antiq., V, 1, Berolini 1882, e da A. Holder, Germanischer Bücherschatz, V, Freiburg i. B. 1882; trad. e commento in inglese di C. Mierow, The Gothic History of J0rdanes, Princeton 1915; in russo di E. C. Skržinskaya, Moskva 1960. Le Variae, pubblicate nel 537 o nel 538 in dodici libri, sono edite a cura di Mommsen, in Mon. Germ. Hist., Auct. Antiq., XII, Berolini 1894, e da A. J. Fridh, Corpus Christ., Ser. Lat., XCVI, Turnholti 1973: sommario e traduz. di T. Hodgkin, The Letters of Cassiodorus, London 1886 (con introduz.). Del De Anima, orig. pubblicato come libro XIII delle Variae intorno al 538, possediamo l'edizione critica di J. W. Halporn, in Traditio, XVI (1960), pp. 39-109, e Corpus Christ., Ser. Lat., XCVI; trad. tedesca e introd. di L. Helbling, Cassiodorus, Vom Adel des Menschen. De Anima, Einsiedeln 1965. L'Ordo generis Cassiodororum, composto tra il 537-38 circa e, forse, il 550, Si è conservato solo in breve riassunto (l'Anecdoton Holderi), edito da H. Usener, Anecdoton Holderi, Leipzig: 1877; Mommsen, in Mon. Germ. Hist., Auct. Antiq., XII, pp. V s.; J. J. van den Besselaar, Cassiodorus Senator en ziin Variae, Nijmegen-Utrecht 1945, p. 206; A. J. Fridh, Corpus Christ., Ser. Lat., XCVI, pp. V s. L'Expositio Pkalmorum, composta tra il 538 e il 548, è edita a cura di M. Adriaen, in Corpus Christ., Ser. Lat., XCVII-XCVIII, Turnholti 1958. Per le Institutiones, la cui prima redazione è circa del 560 (in due libri, Institutiones divinarum litterarum e Institutiones saecularium litterarum), si ha l'edizione critica di R. A. B. Mynors, Oxford 1937; trad. inglese e introd. di L. W. Jones, An Introduction to Divine and Human Readings by Cassiodorus Senator, New York 1946. Perduto è il Liber memorialis sive titulorum, ricordato nella prefazione del De orthographia, e scritto a Vivario in data ignota. Un Codex de grammatica, un codice contenente opere di grammatica, è ricordato in Inst., 2, 1, 3, pp. 96 s. Mynors: il suo contenuto viene elencato in De orth., Praef., p. 144 Keil, e in una seconda versione di Inst., 2, 1, 3 (vedi l'apparato in Mynors, p. 96, e la sua discussione della relazione tra le due versioni nella introduzione, pp. XXVIXXX). A parte opere di Donato e Sacerdote, il codice includeva "de orthographia librum et alium de etymologiis". Queste sono state considerate opere perdute di C. stesso (il "liber de orthographia" deve essere naturalmente distinto dal più tardo opuscolo con il medesimo titolo, pervenutoci, che lo cita). C. aggiunge "sed quia continentia magis artis grammaticae dicta est, curavimus aliqua de nominis verbique regulis pro parte subicere" (p. 96 Mynors, apparatus). M. Cappuyns vede in questo passo un riferimento all'opera pervenutaci "de oratione et de octo partibus orationis" inclusa da Garet tra le opere di C. e ristampata in Migne, Patr. Lat., LXX, coll. 1219-40 (vedi la discussione di Garet, ibid., LXIX, col. 435). L'attribuzione è contestata da H. Keil (Gramm. Lat., VII, Leipzig 1886, p. 140), ma difesa da Cappuyns (col. 1374). Le Complexiones Apostolorum furono scritte in data incerta; ma l'opera è l'ultima e perciò forse la più recente di quelle elencate nella prefazione al De orthographia; l'unico manoscritto fu edito da S. Maffei, Firenze 1721, ed il suo testo è riprodotto in Migne, Patr. Lat., LXX, coll. 1319-1418. Il De orthographia, composto da C. a novantatré anni, cioè circa nel 580, fu pubblicato da Keil, Gramm. Lat., VII., pp. 143-210. Infine, la Regula Magistri è attribuita a C. da Cappuyns (L'auteur de la Regula Magistri: Cassiodore, in Rech. de théol. anc. et méd., XV [1948], pp. 209-68): ediz. diplomatica a cura di H. Vanderhoven-F. Masai-P. B. Corbett, La règle du maître, Bruxelles 1953, e ediz. critica, con commento, di A. de Vogüe, Paris 1964. Un commento al Cantico dei Cantici talvolta attribuito a C. (Migne, Patr. Lat., LXX, col. 1056, ma vedi LXIX, col. 433) appartiene, a quanto pare, a un Aimone del IX sec. (A. Vaccari, Scritti derudizione e di filologia, I, Roma 1952, pp. 331-40).
L'editio princeps delle Institutiones., I, è di C. Plantin, Antverpiae 1566 (curata da J. Pamelius); di Institutiones, II, vi è una strana compilazione di J. Sichardus, Basileac 1528, su cui si veda Mynors, p. L; delle Variae di M. Accursius, Augustae Vindelicorum 1533;dell'Expos. in Psalmos di J. Amerbach, Basileae 1491. La prima edizione delle opere complete di C. è di G. Fornerius, Parisiis 1579, ristampata nel 1589. Fra le edizioni successive si notino quelle di Ginevra (per esempio, quella curata da P. Brosseus e G. Tomerius nel 1622). L'ediz. ancora oggi di base è quella del maurino J. Garet, Rotomagi 1679, rist. a Venezia nel 1729e poi sostanzialmente incorporata in Migne, Patr. Lat., LXIX-LXX, che costituisce il più recente testo completo (J. Garet scrisse anche la biografia fondamentale di Cassiodoro). Una nuova edizione è in corso di pubblicazione nel Corpus Christianorum.
Bibl.: Per la bibliografia su C. fino al 1959 si veda A. Momigliano, Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 219-29; per quella fino al 1972 A. J. Fridh nella sua edizione delle Variae, 1973, pp. XVII-XXXIL Si notino in partic. i seguenti scritti: D. de Sainte-Marthe, La vie de Cassiodore, Paris 1695; A. Franz, M. Aurelius Cassiodorius Senator, Breslau 1872; H. Usener, Anecdoton Holderi: ein Beitrag zur Geschichte Roms in ostgothischer Zeit, Bonn 1877; T. Hodgking, The Letters of Cassiodorus, being a condensed translation of the Variae Epistolae (con introduzione), London 1886; L. M. Hartmann, Cassiodorus, in Realencyclopädie der Altertumswissenschaft, III, 2, Stuttgart 1899, coll. 1671-1676; P. Lelimann, Cassiodorstudien, in Philologus, LXXI (1912), pp. 278-99; LXXII (1913), pp. 503-17; LXXIII (1914), pp. 253-73; LXXIV (1918), pp. 351-58 (ristampate in Erforschung des Mittelalters, II, Stuttgart 1959, pp. 38-108); A. Kappelmacher, Iordanis, in Realencyclopadie der Altertumswissenschaft, IX, 2, Stuttgart 1916, coll. 1909-29; J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919, passim; F. Schneider, Rom und Romgedanke im Mittelalter, München 1926, pp. 82-96; G. A. Punzi, L'Italia del VI sec. nelle Variae di C., Aquila 1927; A. van de Vyver, Cassiodore et son oeuvre, in Speculum, VI (1931), pp. 244-92; H. Thiele, Cassiodor, seine Klostergründung Vivarium und sein Nachwirken im Mittelalter, in Stud. und Mitt. zur Gesch. d. Benediktiner-Ordens, L (1932), pp. 378-419; G. Mercati, Marci Tullii Ciceronis De Re Publica libri e codice rescripto Vaticano latino 5757 Phototypice expressi, Città del Vaticano 1934; P. Courcelle, Le site du monastère de Cassiodore, in Mo. d'archdol. et d'hist., LV (1938), pp. 259-307; A. van de Vyver, Les Institutions de Cassiodore et sa fondation d Vivarium, in Rev. Unddictine, LIII (1941), pp. 59-88; P. 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Svennung, Zu Cassiodor und Jordanes, in Eranos, LXVII(1969), pp. 71-80; V. E. Hagberg-L Svennung, Studia Gotica, Stockholm 1972, pp. 20-57. Importante, in specie per il commento ai Salmi di C., R. Schlieben, Christliche Theologie und Philologie in der Spätantike, Berlin 1974. Cfr. inoltre V. Iliescu, Bemerkungen zur Gotenfreundlichen Einstellung in den Getica des Jiordanes, in XII Conférence Eirene 1972, Amsterdam 1975, pp. 411-428.