CARRARA DEI VASCONI, Gerardo (Gerardo da Bergamo)
Nacque a Serina (Bergamo) verso la fine del sec. XIII. Come egli stesso afferma in uno schema di testamento conservato all'Archivio capitolare di Savona, entrò all'età di dodici anni e cinque mesi nel convento agostiniano dei SS. Filippo e Giacomo di Bergamo, dove fu educato ed avviato agli studi teologici. Dall'Ordine degli eremitani di S. Agostino fu inviato a Parigi per perfezionarsi in quella università, presso la quale si addottorò ed ottenne una cattedra di teologia. Resse anche il collegio agostiniano di Parigi, come attesta un documento del 20 sett. 1333 (Denifle-Chatelain, II, p. 409).
Il C. trascorse la parte centrale della vita in Francia, partecipando attivamente alle vicende politico-religiose del tempo. Cappellano di Filippo VI, si schierò decisamente al suo fianco in occasione della nota controversia che oppose il sovrano al papa Giovanni XXII a proposito della cosiddetta "visione beatifica". La tesi del pontefice, secondo la quale alle anime beate era preclusa la visione divina fino al giorno del giudizio, urtava contro la comune e da tempo radicata dottrina dell'immediata e totale fruizione del celeste godimento. Uno degli episodi più clamorosi della polemica, gravida di conseguenze politiche per l'intera Europa, fu la riunione dei docenti della facoltà teologica parigina convocata da Filippo VI nel castello di Vincennes alla quale prese parte anche il Carrara. Al termine del convegno, il 26 dic. 1333, i teologi rigettarono la tesi papale, sottoscrivendo poi, in data 2 genn. 1334, un formale documento di condanna che fu inviato ad Avignone. Alla riunione parteciparono anche Giacomo Fournier, allora cardinale prete del titolo di S. Prisca, e Pietro Roger, arcivescovo di Rouen e guardasigilli di Filippo VI. Il primo, asceso poco dopo al pontificato col nome di Benedetto XII, definì la questione teologica nel senso voluto dalla tradizione con la costituzione Benedictus Deus (1336), e il secondo, divenuto papa col nome di Clemente VI, ricompensò in un secondo tempo anche il C. con la nomina a vescovo di Savona (1342).
All'interno dell'Ordine degli eremitani il C. ricoprì, almeno fino alla promozione episcopale, un notevole ruolo, come dimostra la sua partecipazione ai capitoli generali di Parigi (1329, in qualità di "diffinitor provincie Lombardie"), di Grasse (1335) e di Siena (1338). Gli furono anche affidati delicati incarichi nell'ambito delle trattative con i canonici regolari di S. Pietro in Ciel d'oro a Pavia, che furono concluse con l'insediamento degli eremitani nella chiesa che conserva le spoglie di s. Agostino. è poi con ogni probabilità da riconoscere nel C. quel "frater Gyrardus Ordinis Fratrum. Heremitanorum, qui se appellat Vicarium Generalem in Lombardia Ordinis predicti" che il 23 febb. 1327 comunicò ufficialmente l'avvenuta concessione agli eremitani, da parte di Giovanni XXII, del diritto di stabilirsi presso la basilica pavese. Il 25 marzo dello stesso anno il priore generale Guglielmo da Cremona nominò il C. e fra' Lanfranco da Milano suoi procuratori per le trattative con l'abate di S. Pietro. Il 19 maggio 1327 il C. fu delegato dal priore generale ad acquistare, insieme con altri confratelli e per conto dell'Ordine, case e terre presso la basilica.
La nomina a vescovo di Savona (18 luglio 1342) segnò una svolta nella vita del Carrara. Succeduto al genovese Federico Cybo su una cattedra episcopale rimasta a lungo vacante e sulla quale si erano appuntate le mire del canonico Giorgio Niella, appartenente ad una potente famiglia locale, il C. si trovò ad affrontare la nuova esperienza pastorale in un ambiente turbato da gravi lotte intestine. Dovette quindi battersi per riacquistare al vescovado un ruolo importante nella vita cittadina ed un primo passo in questo senso fu costituito dal vittorioso processo contro i canonici Paganino dei Pontali e Antonio Baytano, che gli consentì di recuperare sostanziosi fondi sottratti alla mensa episcopale. Come sempre sollecito delle fortune del suo Ordine, trasferì i confratelli savonesi dalla lontana sede di S. Bartolomeo del Bosco alla chiesa di S. Stefano fuori le Mura. La carestia del 1346 costituì per il C. il banco di prova della successiva e ben più terribile peste degli anni 1348-49, durante la quale il vescovo si distinse per zelo e per abnegazione nell'assistenza alla cittadinanza, come ci riferiscono le cronache e come conferma la venerazione da cui la sua memoria fu circondata. Morì il 27 luglio 1355. Circa il luogo della morte le fonti non permettono di accertare con sicurezza se esso fu Savona o Bergamo. Il C. fu comunque sepolto, secondo il suo desiderio, nella chiesa del convento bergamasco del suo Ordine.
Delle opere del C., che fu anche canonista oltre che teologo, non è rimasta traccia. Si ricordano suoi commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo, al Cantico dei cantici e alle Epistole paoline, concordanze del Nuovo con l'Antico Testamento, due Quodlibet discussi a Parigi, ed infine un commento al titolo 17del terzo libro (de religiosis domibus) del Sesto delle Decretali.Scrisse anche una serie di biografie di vescovi savonesi.
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