PALLAVICINO, Carlo
PALLAVICINO (Pallavicini, Palavicino), Carlo. – Nacque a Salò, sul lago di Garda, intorno al 1638. Sposò Giulia Rossi di Padova, da cui ebbe il figlio Stefano Benedetto, futuro letterato e poeta teatrale.
Assunto il 15 maggio 1646 come soprano della basilica di S. Antonio di Padova, con stipendio annuo di 70 ducati, Pallavicino, detto «Ballottino» (Documenti, 1977, p. 29), ricevette nell’istituzione antoniana, per la quale lavorò più di 20 anni, la prima formazione musicale e professionale. Nel 1647 e nel 1648 si assentò con alcuni colleghi per cantare a Monselice e Lendinara; il 12 giugno 1649 fu nominato contralto, con un compenso annuale di 85 ducati. Il 27 gennaio 1654, passato nel frattempo tra i tenori, chiese di assentarsi per cantare in un’opera eseguita a Venezia, che gli permettesse di «buscar dui para di abiti» (Billio, 1996, p. 60), forse come forma di compenso (si sarà trattato del Ciro di Giulio Cesare Sorrentino e Francesco Provenzale, risarcito per il teatro di Ss. Giovanni e Paolo da Francesco Cavalli: è la sola opera del carnevale 1654 a recare nel libretto una data successiva a tale); di fatto, fu assente circa due mesi. Di ritorno al Santo, coll’appoggio del maestro di cappella Antonio Dalla Tavola, il 20 febbraio 1655 fu nominato terzo organista, «ai concerti» (per l’esecuzione di brani concertati), ruolo creato ad hoc per lui (ibid.). Il 22 dicembre 1659 Dalla Tavola, suo probabile insegnante di contrappunto, rinunciò temporaneamente a parte del proprio stipendio, affinché lo si aumentasse a Pallavicino fino a 100 ducati annui (onde evitare che lasciasse l’istituzione, essendo «di sì rari talenti e profittevole» alla cappella; ibid.). Il 22 agosto 1660 il compositore inoltrò una lettera di scuse per essersi allontanato da Padova, assicurando di voler riprendere servizio quanto prima e spiegando che «accidenti funesti, che sicariamente sono stati esercitati contro della mia vita […] benissimo noti alla città tutta, m’hanno necessitato improvvisamente, per consulte avute, d’assentarmi da questa città, col lasciar correr voce di mia gran lontananza» (ibid., p. 61 n.). Fu forse per questa lunga assenza che nel gennaio seguente (1661) i responsabili della cappella esitarono prima di riconfermagli l’incarico; e forse per lo stesso motivo nel maggio 1662 chiese il permesso per un viaggio «necessitato dai miei travagli, a lor benissimo noti» (ibid.).
Nel carnevale 1666, nel piccolo teatro veneziano di S. Moisè, furono dati i suoi primi drammi per musica, Demetrio (presumibilmente dal 4 gennaio) e Aureliano (prima ‘tardiva’ il 25 febbraio), entrambi su libretto di Giacomo dall’Angelo (del primo si conserva la partitura a Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, 408). Il 3 gennaio il compositore aveva chiesto ai responsabili della cappella antoniana una licenza di un mese per sé e per tre colleghi (fra cui Agostino Steffani) coinvolti nell’esecuzione di una sua opera, assicurando tuttavia la presenza per la festa della Lingua di sant’Antonio, il 15 febbraio (Billio, 1991-92, p. 140). Dato che la licenza fu approvata il 30 gennaio, si dovrebbe supporre che l’opera in questione fosse l’Aureliano, le cui prove iniziarono probabilmente prima di metà febbraio.
A metà maggio 1666 Pallavicino fu radiato dalla cappella del Santo: essendo «partito senza la dovuta lisenza, per servir fori d’Italia […] fu ordenato doversi immediate il suo nome depenarsi dallo Rollo et libri sudetti, intendendosi casso, né doversi più tener né riconoscer per musico della Veneranda Arca […] resti per sempre e in perpetuo escluso di poter più servir in questa capella, e restando la presente parte presa, non possi mai esser revocata» (ibid., pp. 141 s.). Non è accertato se il compositore si sia messo in viaggio già nel 1666 per Dresda, dove è attestato con certezza dopo il giugno 1667. Forse fu proprio un musicista al servizio del principe elettore Giovanni Giorgio II a istradarlo verso l’Elba: l’8 febbraio 1666 il soprano Domenico Melani aveva avuto un permesso per l’Italia, e a Venezia aveva assistito all’Aureliano, dandone un giudizio lusinghiero all’elettore (Frandsen, 2006, p. 58).
Pallavicino accettò di mettere in musica, al posto di Antonio Cesti, il Tiranno umiliato d’amore, ossia il Meraspe, uno dei drammi lasciati incompiuti dal defunto Giovanni Faustini, e ciò su commissione del fratello di costui, Marco, fino al carnevale 1667-68 impresario nel teatro veneziano di Ss. Giovanni e Paolo, di proprietà dei Grimani.
L’opera incontrò non poche traversie. Il libretto, pur completato e riveduto da Nicola Beregan e altri, era d’uno stile ormai superato, intessuto com’era di molti recitativi e poche arie: il che suscitò nel corso dell’estate 1667 le rimostranze dei cantanti scritturati. Ma era ormai tardi per poter intervenire sull’opera, poiché – così scrisse l’impresario al cantante Nicola Coresi (6 agosto) – Pallavicino si trovava a Dresda «per un’opera di quel duca» (finora non identificata) e non sarebbe tornato a Venezia prima di novembre (Glixon - Glixon, 2006, p. 202 n.), quindi poco prima del debutto, il 14 dicembre. Ricevuto il 27 giugno, un acconto per il Tiranno (200 ducati) era partito per la Sassonia; né tornò per l’allestimento: il saldo fu infatti ritirato il 6 gennaio 1668 da Antonio Ugieri, collaboratore di Faustini e conterraneo di Pallavicino (ibid., p. 167 n.).
Secondo Fürstenau (1861, p. 147), il compositore fu assunto alla corte di Dresda dapprima come vicemaestro di cappella (ruolo, quest’ultimo, spartito con Giovanni Andrea Bontempi, Historia della ribellione d’Ungheria, Dresda 1672, p.7, e da documenti contabili citati da Frandsen, 2006, p. 61; in un permesso di viaggio del 22 giugno 1669 è indicato come «camerae nostrae theatralis musicae praefectus», ibid., p. 58).
Sembra nondimeno che per la corte sassone abbia lavorato prevalentemente nel campo della musica da chiesa: i diari di corte registrano, tra fine dicembre 1672 e fine marzo 1673, numerose esecuzioni di sue composizioni sacre, oggi disperse (Frandsen, 1997, II, app. 1, pp. 29 s.; alla Sächsische Landesbibliothek di Dresda si conservano brani manoscritti a lui attribuiti sul frontespizio: Non tremiscite, Ad arma demones, Laetatus sum, segnati Mus.1813-E-500, 501, 502, e Messa a 5, Kyrie e Gloria, Dixit Dominus, Confitebor segnati Mus.1813-D-1,2,3,4).
Nel 1670 lo stampatore bolognese Marino Silvani pubblicò brani di Pallavicino in due collettanee, la Nuova raccolta di motetti sacri a voce sola di diversi eccellenti autori moderni (Ecce Filii) e le Canzonette per camera a voce sola di diversi autori (Ma per quanto, La speranza, Chi la dura). Lontano com’era dall’Italia, Pallavicino è (con Orazio Tarditi) il solo autore a essere citato senza la sede d’impiego.
Il 4 ottobre 1672, qualche mese dopo la nascita del figlio (21 marzo), chiese, da Dresda, di essere riassunto alla cappella del Santo, ma non ottenne l’incarico prima del 30 dicembre 1673: aveva lasciato la Sassonia il 21 aprile dello stesso anno, percependo tuttavia una pensione fino alla morte di Giovanni Giorgio II, nel 1680. Al Santo fu nominato «maestro sopra li concerti, sì di voce come de instromenti, tra salmi e messe solenni con la sopraintendenza del padre maestro nostro di cappella» (Billio, 1996, p. 61), con stipendio annuo di 120 ducati; ma dopo sei mesi, il 19 giugno 1674 già chiese di potersi licenziare.
Sempre nel 1674 fu nominato «maestro di coro» nell’Ospedale degli Incurabili a Venezia, e con il Diocleziano (dramma di Matteo Noris; 11 dicembre 1674; partitura a Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, 409; estratti in Pietropaolo-Parker, 2011, pp. 12-21), riprese a lavorare per il teatro di Ss. Giovanni e Paolo, per il quale negli anni successivi compose Enea in Italia (Giacomo Francesco Bussani; intorno al 4 dicembre 1675; ibid., Mss. It., cl. IV, 412, 414) e Galieno (Noris; circa dal 3 febbraio 1676; ibid.,Mss. It., cl. IV, 424; le attribuzioni delle musiche di questi drammi si desumono dalle cronologie teatrali, a partire da Ivanovich 1688, peraltro non sempre impeccabili).
Non risultano drammi suoi nel 1677, ma solo oratorii per gli Incurabili: S. Francesco Xaverio (attribuito a Pallavicino da Francesco Caffi, che fa riferimento a uno «stampato libretto», da lui supposto di Camillo Badoer, oggi irreperibile; Gillio, 2006, pp. 223 s.); La vita e morte di santa Teresa, versi di Francesco Maria Piccioli (14 dicembre; cfr. Selfridge-Field, 2004, p. 921), forse corrispondente all’«oratorio» di Francesco Maria Piccioli stampato successivamente come Fuga nella nascita, vita e morte di santa Teresa (Venezia 1686). Negli stessi anni sempre agli Incurabili vennero eseguiti altri oratorii, di cui restano i libretti, Maddalena penitente (22 luglio 1680) e Le allegrezze di Maria Vergine (settembre 1680), ma non vi sono prove certe dell’attribuzione a Pallavicino.
Nel carnevale 1678, per l’inaugurazione del nuovo teatro di S. Giovanni Grisostomo (anch’esso di proprietà dei Grimani), compose Il Vespesiano, dramma di Giulio Cesare Corradi (partitura a Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, 462); con lo stesso poeta e nello stesso teatro, nel carnevale seguente produsse Il Nerone (31 dicembre 1678); l’11 novembre 1679, con le spettacolari Amazzoni nell’Isole Fortunate (dramma di Piccioli) inaugurò il teatro privato di Villa Contarini a Piazzola (partitura ibid., Mss. It., cl. IV, 384).
Nel resoconto sul Nerone apparso nel Mercure galant (aprile 1679) Pallavicino è definito «un des sçavans maistres qu’il y ait en ce pays-là. Sa manière est aussi galante que spirituelle» (Selfridge-Field, 1985, p. 342). Nella stessa gazzetta francese (dicembre 1679) sono descritti, dallo spettatore Jacques Chassebras de Cramailles, anche i grandi effetti spettacolari delle Amazzoni, testimoniati dalla ristampa di un’incisione scenica del libretto, il carosello equestre delle viragini: «le plus étonnant et le plus pompeux spéctacle dont on a jamais parlé» (Nestola, 2002, pp. 130); l’opera fu replicata nel teatro Contarini il 10 o 11 novembre 1680, come si apprende dal Mercure galant di febbraio 1681 (ibid., pp. 333 s.).
Dopo Messalina (30 dicembre 1679; Piccioli; partitura a Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, 437), suo unico dramma per il teatro di S. Salvatore, e dopo Bassiano, overo Il maggior impossibile (8 dicembre 1681; Noris; partitura a Modena, Biblioteca Estense, Mus. F. 896) per Ss. Giovanni e Paolo, dal carnevale 1682 Pallavicino riprese la collaborazione col S. Giovanni Grisostomo, con Matteo Noris come poeta teatrale: a Carlo re d’Italia (20 o 21 gennaio 1682) seguirono Il re infante (10 gennaio 1683), Licinio imperatore (17 dicembre 1683), Ricimero re dei Vandali (attorno al 22 gennaio 1684; eccetto Il re infante, tutte le altre attribuzioni sono dedotte da cronologie teatrali). Nelle stagioni di carnevale dal 1685 al 1687 lavorò in parallelo per entrambi i teatri dei Grimani. A Ss. Giovanni e Paolo, presumibilmente dal 4 gennaio 1685, diede Massimo Puppieno (Aurelio Aureli; partitura a Pesaro, Conservatorio, ms.I.17), attorno al 26 dicembre 1685 e al 4 febbraio 1686 rispettivamente Didone delirante (Antonio Franceschi) e L’amazone corsara, ovvero L’Alvilda regina dei Goti (Corradi; partitura a Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Mus.ms.145, con indicazione attributiva coeva), Gierusalemme liberata (Corradi) dal 28 dicembre 1686 (partitura a Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus.1813.F.2); la paternità musicale di gran parte dei drammi dati a Ss. Giovanni e Paolo è dichiarata sul frontespizio o nella prefazione dei relativi libretti. Per S. Giovanni Grisostomo compose, in base alle cronologie teatrali, Penelope la casta (28 gennaio 1685; Noris), Amore innamorato (19 gennaio 1686; Noris) e il «melodrama» Elmiro, re di Corinto (26 dicembre 1687; libretto «d’incerto» per Ivanovich, 1688, p. 444, rivisto da Girolamo Frisari per Giovanni Carlo Bonlini, Glorie della poesia, Venezia 1730, p. 239, e di Vincenzo Grimani per Leone Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, col. 285, ma forse di Nicolò Beregan, il solo autore veneziano che in quei decenni usasse la dicitura ‘melodramma’ per i suoi libretti, tutti pubblicati adespoti; cfr. Selfridge-Field, 1985, pp. 134-142).
Della Gierusalemme, la Pallade veneta (febbraio 1687) disse: «La musica, basti il dire, che fu del famoso signor Carlo Pallavicino, Pallade di questa scienza di paradiso […] ha goduto una frequenza così grande d’ascoltanti […] ed era così ripiena […] di canzonette così dolci e proprie […] che non si poteva bramare di più» (ibid., p. 155); l’opera fu replicata a Dresda il 2 febbraio. Diverse altre opere di Pallavicino godettero di numerose riprese in città italiane o all’estero: di Diocleziano, Il re infante, Penelope, L’amazone corsara risultano da quattro a sei allestimenti extraveneziani, di Vespesiano e Massimo Puppieno più di dieci. Pallavicino, che con Giovanni Legrenzi e Antonio Sartorio fu l’operista veneziano più acclamato degli anni Settanta e Ottanta, nel penultimo decennio del secolo fu anche il più alacre.
Il 7 dicembre 1686, qualche settimana prima dell’Elmiro e della Gierusalemme, fu eseguito con successo il suo oratorio Il trionfo dell’Innocenza (Piccioli), occasionalmente replicato fino alla seconda metà di febbraio 1687, alla presenza di principi e duchi: Pallade veneta (gennaio 1687) cita l’esecuzione del 12 gennaio e dice che Pallavicino «non ha pari nella vivezza e nella vaghezza delle fughe e de’ passaggi» (ibid., p. 142). Si ha anche notizia che agli Incurabili furono inviate fanciulle forestiere perché potessero perfezionare con lui la propria formazione musicale (cfr. ibid., p. 180).
Ai primi di gennaio del 1687 fu di nuovo assunto come «camerata theatralis musicae praefectus» a Dresda (Fürstenau, 1861, p. 291). Si presume (ibid.) che Pallavicino possa essersi trovato a Dresda già nel gennaio 1686, per l’allestimento dell’Alarico (di autori ignoti), e che sia poi tornato in Italia; è però probabile che il nuovo contratto con la corte sassone risalisse al carnevale 1685, quando il nuovo elettore, Giovanni Giorgio III, assistette nel teatro di S. Angelo al Teseo tra le rivali di Aurelio Aureli e Domenico Freschi, a lui dedicato. Nel gennaio 1688 fu eseguito agli Incurabili l’oratorio Iberia convertita (Piccioli; Pallade veneta di febbraio lo menziona col titolo Spagna convertita, definendo il musicista «spirito elevato e bizzarro»; ibid., p. 207).
La sera del 29 gennaio Pallavicino morì a Dresda nella sua casa in Bettelgasse; il 4 febbraio fu sepolto nel monastero cistercense femminile di St. Marienstern a Panschwitz-Kuckau.
Della morte, e del lutto veneziano, dà conto fra gli altri Pallade veneta (marzo 1688): si apprende che Pallavicino intendeva ritornare a Venezia («morì sul punto istesso che stava risolvendo il suo viaggio a questa volta per riassumere la direzione di queste virtuose sirene del luogo pio degl’Incurabili»; Selfridge-Field, 1985, p. 210); le fanciulle dell’Ospedale celebrarono in privato una messa da requiem e qualche giorno dopo un concerto pubblico in sua memoria, direttore Giovanni Legrenzi, allora maestro di cappella in S. Marco. Legrenzi conosceva Pallavicino almeno dall’estate 1661, quando si incontrarono a Padova: il primo, attivo dal 1656 come maestro di cappella dell’accademia ferrarese dello Spirito Santo, protetta dai Bentivoglio, propose al compositore salodiano, per conto di questi ultimi, un incarico, con relativo salario, ma Pallavicino rifiutò, spiegando di essere al servizio esclusivo del Santo (Morelli, 1994, pp. 54, 63; Monaldini, 2000, pp. 164 s.).
Sempre nel 1688 fu eseguito a Modena Il trionfo della Castità, oratorio di Giovanni Matteo Giannini, a lui attribuito sul frontespizio del libretto (si dovette trattare della ripresa di una precedente esecuzione veneziana; partitura a Modena, Biblioteca Estense, Mus.F.895). Una partitura di quest’oratorio, secondo Charles Burney (1789, IV, pp. 113 s.) fu portata in Inghilterra da «Mr. Wright of Chester» e appartenne all’organista della città, John Bailey (1776-1803), ma è oggi introvabile nelle biblioteche inglesi.
Alla morte, Pallavicino lasciava incompiuta la partitura di Antiope, dramma per musica del figlio Stefano Benedetto, completata dal nuovo compositore di corte, Nicolaus Adam Strungk, e rappresentata a Dresda il 14 febbraio 1689 (partitura a Dresda, Sächsische Landesbibliothek, Mus.1813.F.4). Al figlio lasciò in eredità una villa nella zona di Manerba del Garda, detta ‘Belvedere’ o ‘Belgioioso’, di proprietà dei Pallavicino da metà Seicento, e l’isola prospiciente, ‘dei conigli’, oggi ‘di S. Biagio’ (Coronelli, 1704, V, coll. 918 s.; Brunati, 1837, p. 100).
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