MARCHESETTI, Carlo
Nacque a Trieste il 17 genn. 1850 da Giuseppe, imperial regio commissario di polizia, e da Teresa Malli. Mostrò un precoce interesse per gli studi botanici e naturalistici che coltivò sotto la guida di M. de Tommasini, botanico di fama conosciuto nel 1868, al quale il M., orfano di padre dall'età di tredici anni, si legò con un rapporto quasi filiale. Al seguito dell'anziano maestro - al quale avrebbe dedicato un carme in segno di devozione (A Muzio de Tommasini pell'ottantesimo anniversario, Trieste 1874) - compì esplorazioni botaniche, raccogliendo e classificando la flora di Trieste, dell'Istria, della Dalmazia, delle Alpi Giulie. Pose così le basi di un erbario, che avrebbe compilato e arricchito per tutta la vita. Nell'ottobre 1868 fu nominato membro della Società agraria di Trieste, sotto gli auspici di Tommasini. Conseguita brillantemente la maturità presso il ginnasio comunale superiore di Trieste, abbandonò l'idea di dedicarsi agli studi giuridici e s'iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Vienna (3 ag. 1869).
Gli anni trascorsi nella capitale asburgica furono essenziali per la formazione scientifica del M. che, insieme con i corsi di medicina, frequentò lezioni di mineralogia, chimica, fisica, zoologia e botanica tenute da illustri specialisti come A.E. von Reuss, E. Fenzl, K. Bernhard Brühl. Gli impegni universitari non lo distolsero tuttavia dall'attività di raccolta floreale. A tale scopo compì escursioni nelle Alpi austriache, in Ungheria occidentale e, durante le vacanze estive, ancora nella regione Giulia. Primo frutto delle sue ricerche fu lo scritto Ein Ausflug auf die julischen Alpen, pubblicato nelle Verhandlungen der K.K. Zoologisch-Botanischen Gesellschaft in Wien, XXII (1872), pp. 431-436, società di cui era divenuto socio. Il lavoro, in cui è descritta la flora del monte Porsen, posto a nord di Cerkno, nel Tolminese, mise in luce la solida preparazione scientifica del Marchesetti.
Tra maggio e giugno 1873 si recò in Italia, dove visitò Bologna, Firenze e Padova. Il viaggio fu occasione per incontrare studiosi italiani di fama come A. Bertoloni, F. Parlatore e R. De Visiani. Laureatosi il 16 dic. 1874, l'anno seguente ottenne l'autorizzazione a esercitare la professione medica a Trieste. Ma l'interesse per le scienze naturali allontanò la prospettiva di una carriera medica. Desideroso di ampliare i propri orizzonti di ricerca, nell'estate del 1875 partì per un secondo viaggio in Italia, che lo portò a Roma e in Abruzzo.
Dall'esperienza ricavò due lavori, uno contenente osservazioni floristiche sulle zone visitate (Botanische Wanderungen in Italien, ibid., XXV [1875], pp. 603-612), l'altro sulla vegetazione e la flora del Gran Sasso (Catalogo delle piante raccolte sul Gran Sasso d'Italia al 29 e 30 giugno 1875), apparso nel primo numero del Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali (I [1875], pp. 238-243), ch'era appena sorta a Trieste. Lo stesso volume accolse altri contributi del M. d'ambito botanico (Della presenza di piante alpine nelle paludi del Friuli, p. 194; Flora dell'isola S. Catterina presso Rovigno, pp. 223-232) e zoologico (Di alcune nuove località del Proteus anguinus, pp. 192 s.). Sono questi i primi segni di un eclettismo che avrebbe portato il M., tipico esponente della cultura asburgica, a misurarsi in discipline diverse, con un'attitudine diffusa tra gli scienziati dell'epoca che non conoscevano rigide divisioni di specialità. Suoi principali campi d'indagine furono la botanica e l'archeologia preistorica, ma non trascurò l'antropologia, la geologia, la geografia, la paleontologia e la zoologia.
Il 1° ott. 1875 si imbarcò per Bombay con l'incarico ufficiale di studiare le malattie endemiche dell'India e i loro rimedi. Toccati l'Egitto e l'Arabia, discese la costa sudoccidentale della penisola indiana fino a Tellicherry, fermandosi a Bombay, Pangjim, Karwar. Si spinse anche nell'interno, visitando i monti del Coorg e Sattari, dove rinvenne una foresta pietrificata. Alla scoperta, che in patria gli diede notorietà, dedicò il saggio Un nuovo documento preistorico trovato nell'India, ibid., II [1876], pp. 233-240 (in versione inglese: On a pre-historic monument of the western coast of India, in The Bombay Branch Royal Asiatic Society's Journal, XIX [1876], pp. 215-218), dal quale emerse per la prima volta il suo interesse per la paletnologia.
Al viaggio in India, conclusosi nell'aprile del 1876, dedicò altri contributi: Ricordi d'un viaggio alle Indie orientali, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, II (1876), pp. 197-207; Profili della flora indiana, ibid., pp. 208-228; Di alcune piante usate medicalmente alle Indie orientali, ibid., IV (1878-79), pp. 77-82.
La propensione alla molteplicità d'interessi fu alimentata, nel settembre 1876, da un nuovo viaggio che lo vide navigare lungo le coste della Liburnia e della Dalmazia fino all'isola di Pelagosa, in compagnia di R.F. Burton, esploratore e scrittore inglese. Il M., che nel giro di pochi anni avrebbe proseguito l'indagine sui castellieri istriani avviata da Burton, dedicò a Pelagosa un saggio (Descrizione dell'isola di Pelagosa, ibid., II [1876], pp. 283-306), il più completo dell'età giovanile, in cui approfondì ogni aspetto dell'isola, sul piano geologico, climatico, botanico, zoologico, storico, mostrando una certa maturità di giudizio anche sul versante della paletnologia.
Interessi naturalistici e storici confluirono anche nel contributo Del sito dell'antico Castello Pucino e del vino che vi cresceva, apparso in Archeografo triestino, s. 2, V (1877-78), pp. 431-450, completato poi da una nota successiva (Aggiunte e correzioni all'articolo sul Castello Pucino, ibid., VI [1879-80], pp. 58-60).
Il 20 ott. 1876 il M. divenne direttore del Museo civico di storia naturale di Trieste, succedendo al polacco S. Syrski. Iniziò subito il riordino del museo, cercando di incrementarne le collezioni e creando i primi nuclei di futuri importanti patrimoni, come per la sezione dell'entomologia. Riprese la pubblicazione degli Atti del Museo civico di antichità di Trieste, nei quali diede conto regolarmente delle attività svolte dall'istituto e delle nuove acquisizioni. Sotto la sua direzione, per la nuova serie, videro la luce i volumi 1 (1884), 2 (1890), 3 (1895) e 4 (1903).
Il 23 apr. 1877 tenne una conferenza presso la Società adriatica di scienze naturali, avente per tema la descrizione fisico-antropologica di una bambina pigmea appartenente alla tribù degli Akka dell'Africa equatoriale, condotta a Trieste dall'esploratore italiano R. Gessi (Note intorno ad una fanciulla della tribù degli Acca, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, III [1877-78], pp. 408-424). Nel 1880, per arricchire il patrimonio del Museo, intraprese una seconda spedizione in Oriente. Il viaggio, che avrebbe dovuto portarlo a Hong Kong, s'interruppe però a Singapore per il sorgere di una malattia (1881). Nello stesso anno fu ufficialmente incaricato dall'I.R. Governo marittimo di studiare la situazione della pesca del Litorale austriaco e di organizzare la sezione a essa dedicata per la mostra di Trieste del 1882. Di qui nacque lo scritto La pesca lungo le coste orientali dell'Adria (Trieste 1882), in cui evidenziò il decadimento di tale attività nell'alto Adriatico, suggerendone i rimedi.
Nei primi tempi del suo mandato presso il Museo civico, tuttavia, l'interesse predominante fu la botanica. Dedicò qualche nota ai casi teratologici (Alcune mostruosità della Flora illirica, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, III [1877-78], pp. 514-517), alla costituzione floristica dell'oasi calcarea di Isola, presso Capodistria (Particolarità della Flora d'Isola, ibid., IV [1878-79], pp. 162-167), alla descrizione di specie nuove come la Moehringia tommasinii, intitolata al suo maestro (ibid., V [1879-80], pp. 327-329), e alla flora avventizia di Campo Marzio di Trieste (Florula del Campo Marzio, ibid., VII [1882], pp. 154-167). Nello studio Su un nuovo caso di simbiosi analizzò la specie Marchesettia spongioides, un'alga proveniente dal golfo di Singapore con la particolare fisionomia di spugna (Atti del Museo civico di storia naturale di Trieste, n.s., I [1884], pp. 239-244).
Nel 1881, intanto, aveva sposato Anna Farolfi, figlia di Vincenzo, uno dei fondatori della Società adriatica di scienze naturali. Nel 1889 aderì alla Società botanica italiana e nel settembre 1890 prese parte a Verona a un congresso di botanici. Fu questa l'occasione per farsi conoscere oltre i confini del territorio austriaco e presentare un suo nuovo lavoro, La flora di Parenzo (ibid., II [1890], pp. 25-122), contenente un catalogo di 1055 specie. Trent'anni di ricerche confluirono poi nella sua opera maggiore in quest'ambito di studi, Flora di Trieste e de' suoi dintorni (Trieste 1896-97), pubblicata in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del Museo civico di storia naturale.
Il lavoro tratta un complesso di oltre 1700 entità, ordinate secondo il sistema di A.-P. De Candolle, per ciascuna delle quali si danno descrizione, sinonimia, denominazioni volgari, distribuzione. Completa l'opera una parte generale, contenente una descrizione delle condizioni geografiche e fisiche del territorio preso in esame, con suo bilancio fitogeografico, e una nota storica sulle ricerche botaniche compiute nella regione Giulia tra il XVI e il XIX secolo.
Accuratissime furono le ricerche di bibliografia botanica regionale, raccolte negli Atti del Museo civico di storia naturale di Trieste (n.s., III [1895], pp. 129-210) e nelle postume Aggiunte alla bibliografia botanica della Venezia Giulia (ibid., XI [1931], 2, pp. 217-356). La fama di botanico del M. è documentata dalle nuove specie a lui intitolate, come la Marchesettia spongioides, dedicatagli dall'algologo F. Hauck nel 1882, e l'Euphrasia marchesettii, nome coniato dal botanico viennese R. von Wettstein. Il M. partecipò alla formazione della Flora Italica exiccata, inviando oltre cento specie di piante rare o endemiche della Venezia Giulia, accompagnate spesso da preziose osservazioni.
Intanto, agli studi botanici, andava affiancando le indagini d'archeologia preistorica e protostorica. La sua attività esplorativa, che interessò il versante meridionale delle Alpi orientali e l'Istria, va posta nel quadro di un'epoca molto feconda per le ricerche di paletnologia, che si affermava allora come scienza autonoma. Nel contesto di una generale fioritura degli studi, che aveva portato, tra la prima e la seconda metà dell'Ottocento, alla scoperta e definizione delle culture di Hallstatt, Villanova, Golasecca ed Este, la Venezia Giulia si presentava in uno stato d'arretratezza e isolamento da cui sarebbe uscita grazie all'opera pionieristica del M., che iniziò l'esplorazione scientifica delle necropoli, dei castellieri e delle grotte di quel territorio, condotta attraverso ricerche topografiche, indagini di superficie e scavi. Rigoroso nel metodo appreso alla scuola naturalistica positivistica viennese, si applicò con moderna sistematicità alla documentazione degli scavi e all'archiviazione dei reperti, prestando particolare attenzione alla contestualizzazione del dato archeologico e allo studio dell'ambiente antico. L'ottima conoscenza della letteratura archeologica e delle collezioni museali di tutta Europa gli consentì, inoltre, di formulare agili confronti nello studio dei materiali.
Nel febbraio-marzo 1883 avviò le ricerche nell'insediamento di Cattinara, sul colle della Chiusa, presso Trieste, considerate poi il vero inizio dello studio scientifico della paletnologia locale. Sette saggi di scavo rilevarono la presenza di un abitato dell'Età del bronzo finale - Età del ferro, con segni di continuità fino all'epoca romana. Il M. illustrò i risultati dello scavo in una breve relazione (Il castelliere di Cattinara, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, VIII [1883], pp. 307-311). Nello stesso anno mise in luce una parte della necropoli di Vermo (Beram) (La necropoli di Vermo presso Pisino nell'Istria, ibid., pp. 265-294; Di alcune antichità scoperte a Vermo presso Pisino d'Istria, in Archeografo triestino, s. 2, X [1884], pp. 416-424). Ma la sua maggiore impresa furono gli scavi di Santa Lucia di Tolmino (Most na Soèi), nell'alta valle dell'Isonzo, oggi in Slovenia, una fra le più grandi necropoli dell'Età del ferro sino allora conosciute, che lo impegnarono, a più riprese, dal 1884 al 1902.
Il sito, già noto localmente nella prima metà dell'Ottocento, era stato indagato per la prima volta con finalità scientifiche nel 1880-81 da P. de Bizzarro. Il M. proseguì l'opera, finanziato dalla Società adriatica di scienze naturali, portando alla luce circa 4000 tombe a incinerazione dotate di ricchi corredi, che fornirono una vasta quantità di dati sulla cultura, sui riti funebri e sul costume degli antichi abitatori di quel territorio. Inquadrato il sito in un ambito culturale definito di tipo "veneto-alpino" - con un'interpretazione nella sostanza confermata dagli studi successivi - diede i primi ragguagli sui rinvenimenti nel Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali (IX [1886], parte 2a, pp. 94-162) e in Archeografo triestino (s. 2, XIII [1887], pp. 246-250). Nel 1893 pubblicò l'edizione delle annate di scavo 1885-92 offrendo una vasta, sistematica e documentata sintesi della necropoli (Scavi nella necropoli di Santa Lucia presso Tolmino, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, XV [1893], pp. 3-334). Quanto indagato dopo il 1892 rimase sostanzialmente inedito dacché apparvero solo alcuni dati generali: ibid., XIX (1899), pp. 153-158; XX (1900), pp. 23-27; XXI (1903), pp. 225-227.
Il sito di Santa Lucia, che in quegli anni fu esplorato anche da J. Szombathy (1886-90) ed E. Maionica (1890-91), destò l'interesse di M. Hoernes, fondatore della cattedra di preistoria dell'Università di Vienna, che per primo ne propose una divisione cronologica in due fasi. Da quel momento Santa Lucia acquistò un posto importante nel panorama complessivo dell'Età del ferro in Europa. Negli anni Settanta del Novecento, su impulso di un comitato internazionale nato per sostenere lo studio delle antichità protostoriche nelle Alpi orientali (Ostalpenkomitee), è stata avviata una sistematica opera di riordino, schedatura e pubblicazione dei reperti di Santa Lucia, conservati, per volontà testamentaria del M., nei Civici Musei di storia ed arte di Trieste. Al principio degli anni Novanta risale, infine, una ristampa anastatica (Scritti sulla necropoli di Santa Lucia di Tolmino: scavi 1884-1902, a cura di E. Montagnari Kokelj, Trieste 1993) di questi scritti del M. su Santa Lucia pubblicati nei voll. 9, 19, 20 e 21 (1884-1902) del Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali.
I successi delle scoperte di Santa Lucia entusiasmarono il M. che intensificò le indagini sul territorio. Si dedicò all'esplorazione delle necropoli di Caporetto (1886-1904), una delle più ricche e vaste dell'alto Isonzo, di San Pietro al Natisone (1889), di Brežec, a nord di San Canziano (1896-1900), di Redipuglia (1901) e di Ponikve, nota anche con il nome di necropoli Celtica (1903-04). Nel 1908-09, nel vallo del castelliere di San Canziano, scavò il cosiddetto Tesoretto, un ricco deposito di elementi d'ambra.
Il M. dava puntualmente notizia delle sue scoperte, alle quali però non sempre seguiva la pubblicazione integrale dei rinvenimenti. Gli scavi del sepolcreto dei Pizzughi, nella penisola istriana (1904-06, 1908-09, 1913), rimasero inediti.
Le indagini nelle necropoli procedettero di pari passo a quelle sui castellieri, attuate con ricognizioni di superficie e in misura minore con sondaggi. Fin dall'Ottocento l'attenzione degli studiosi locali si era concentrata sulle vaste macerie in pietrame presenti in molte alture del Carso triestino e dell'Istria. Gli studi del M. consentirono di identificarle con resti di fortificazioni dell'Età del bronzo e del ferro. Frutto del suo lavoro, durato circa vent'anni, fu il volume I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia (in Atti del Museo civico di storia naturale di Trieste, n.s., IV [1903], pp. 1-206; rist. anast., a cura di A.M. Radmilli - D. Cannarella, Trieste 1981).
L'opera analizza gli insediamenti fortificati di Trieste e del Carso, censendo, con brevi note descrittive, i castellieri dell'Alto Isonzo, del Natisone, dei dintorni di Gorizia, dell'Istria e delle isole del Quarnero. Il M. riflette sulla diffusione del fenomeno, sull'importanza dei toponimi per l'individuazione delle cinte fortificate, sulla loro posizione e tipologia, sull'economia degli antichi abitatori. Il lavoro, seppur debole sul piano della ricostruzione storica e delle questioni relative alle migrazioni dei gruppi etnici, rimane un caposaldo nella storia degli studi della preistoria giuliana e istriana.
Il M. si occupò anche di siti e materiali precedenti l'Età del bronzo. A lui si devono la prima definizione del Neolitico locale e il primo riconoscimento della presenza dell'uomo sul Carso fin dal Paleolitico. La sua attività di ricerca in questo campo fu intensissima, ma le pubblicazioni interessarono solo le indagini condotte in sei grotte: San Daniele, San Canziano, Orso (Gabrovizza), Azzurra (Samatorza), Povir e Pocala.
I contributi più importanti sul tema furono: Sugli oggetti preistorici scoperti recentemente a San Daniele del Carso, in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, IV (1878-79), pp. 93-105; Ricerche preistoriche nelle caverne di San Canziano presso Trieste, ibid., XI (1889), pp. 1-19; La caverna di Gabrovizza presso Trieste, in Atti del Museo civico di storia naturale di Trieste, n.s., II (1890), pp. 143-184; La grotta azzurra di Samatorza, ibid., III (1895), pp. 249-255; Alcuni oggetti preistorici trovati in una voragine presso Povir, ibid., pp. 257-260; Relazione sugli scavi paletnologici eseguiti nel 1904 dal dr. C. M., in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, XXIII (1907), pp. 233-235. Delle indagini nella grotta Pocala (1904-08), particolarmente interessanti per il rinvenimento, accanto a resti di Ursus spelaeus, di manufatti in selce attribuiti al Paleolitico medio, il M. avrebbe dato notizia al congresso dei naturalisti italiani, tenutosi a Milano fra il 15 e il 19 sett. 1906.
Nel 1903 assunse la direzione del Civico Orto botanico, che riorganizzò completamente, dedicando particolare attenzione alla flora locale e, nello stesso anno, diede alle stampe un nuovo lavoro, frutto dei suoi viaggi in Egitto (1875-76 e 1898: Appunti sulla vegetazione egiziana, in Atti del Museo civico di storia naturale di Trieste, n.s., IV [1903], pp. 209-230).
Nel 1921, avendo superato l'età prevista dai regolamenti comunali, fu nominato direttore onorario del Museo di storia naturale e prefetto del Civico Orto botanico. Nello stesso anno si dimise dalla carica di presidente della Società adriatica di scienze naturali, nomina che aveva ricevuto nel 1901. Sempre nel 1921 fece parte del comitato ordinatore del congresso della Società italiana per il progresso delle scienze, svoltosi a Trieste, presiedendone la sezione botanica. In questa occasione annunciò il suo progetto in corso d'opera di una Flora della Venezia Giulia, alla quale attese fino agli ultimi giorni della vita, senza tuttavia riuscire a portarla a compimento.
Nel 1924 pubblicò Isole del Quarnero: ricerche paletnologiche (in Notizie degli scavi di antichità, s. 5, XXI [1924], pp. 124-148), uno studio sulle isole dell'Adriatico croato, in parte già da lui indagate, dove aveva accertato l'esistenza di cinquantanove castellieri, nonché di tumuli e di caverne abitate anticamente. Fu il suo ultimo contributo archeologico.
Colpito da un grave malore, il M. morì a Trieste il 1° apr. 1926.
Il M. compì viaggi, per convegni o escursioni di raccolta, in Grecia, Spagna, Scandinavia, Francia, Belgio, Inghilterra. Nel luglio del 1887 divenne membro corrispondente della K.K. Zentral-Kommission für Erforschung und Erhaltung der Kunst und historischen Denkmale, istituzione per la tutela dei beni di valore storico-artistico del territorio asburgico. Fu in stretto contatto con gli studiosi più importanti della preistoria europea, oltre che membro e socio corrispondente di numerose istituzioni museali e scientifiche, fra cui la K.K. Geologische Reichsanstalt (1882), l'Österreichischer Fischverein (1884), la Reale Accademia medica di Roma (1887), la Società botanica italiana (1889), la Münchener Anthropologische Gesellschaft (1895), il Kaiserliches Archaeologisches Institut di Berlino (1897), il K.K. Österreichisches Archäologisches Institut di Vienna (1899), l'Accademia scientifica veneto-trentino-istriana di Padova (1904).
Fonti e Bibl.: Nell'Archivio diplomatico della Biblioteca civica di Trieste è conservato il Fondo Carlo Marchesetti, contenente diari, relazioni di scavi, disegni, fotografie, lettere e studi inediti. Necr., in Boll. della Soc. adriatica di scienze naturali, XXX (1929), 1, pp. 1-59; in Pagine istriane, I (1950), 4, pp. 13-18 (C. Lona). L. Poldini, Storia dell'esplorazione floristica nell'Italia di Nord-Est dal 1888 al 1988, in 100 anni di ricerche botaniche in Italia (1888-1988), a cura di F. Pedrotti, Firenze 1988, p. 553; Atti della Giornata internazionale di studio su C. M. … 1993, a cura di E. Montagnari Kokelj, Trieste 1994, pp. 29-34, 37-57, 59-71 (con elenco delle Citazioni di Santa Lucia in manuali, opere di sintesi, dizionari in ordine cronologico), 79-83, 87-97, 115-130, 149-158, 193-207, 213-219, 279-369 (con rassegna completa della bibliografia delle opere del M.); C. M. e i castellieri 1903-2003. Atti del Convegno internazionale di studi, Castello di Duino (Trieste)… 2003, a cura di G. Bandelli - E. Montagnari Kokelj, Trieste 2005, pp. 33-53, 67-85, 87-95, 443-453, 537-555, 591-607.