MALATESTA (de Malatestis), Carlo
Figlio di Galeotto (I) e di Gentile di Rodolfo da Varano, nacque il 5 giugno 1368. Alla morte del padre, avvenuta nel 1385, acquisì la signoria di Rimini e fu nominato rettore della Romagna dalla S. Sede. Il M. iniziò la carriera militare molto presto: nel 1382 era al servizio della Serenissima per difendere i Gonzaga dall'espansionismo visconteo e nel 1386, insieme con il fratello Pandolfo, riconquistò il castello di Santarcangelo rivendicato dalla famiglia Balacchi. In seguito, alternando la sua azione politico-militare tra Milano, Venezia, Firenze e la Chiesa, il M. rivelò particolari attitudini diplomatiche sapendosi giostrare nell'estrema mutevolezza e precarietà della situazione in cui operò. Dapprima consolidò i rapporti con il personaggio più influente del tempo, Gian Galeazzo Visconti, che lo indusse a rappacificarsi con i Montefeltro di Urbino. Il M., tramite questa alleanza per lui molto importante, nel 1387 impedì a Bernardone de Serres, al soldo di Antonio Della Scala in guerra contro Milano, di attraversare i territori malatestiani. In quell'anno, il papa Urbano IV conferì al M. il titolo di gonfaloniere della Chiesa e il 23 settembre, nel trasferirsi da Lucca a Perugia, richiese la sua scorta e quella del capitano di ventura Giovanni di Beltoft. Nella primavera successiva, Gian Galeazzo nominò il M. comandante del suo esercito nello scontro con i Carraresi di Padova. Lo invitò, inoltre, a sedare la questione sorta tra il fratello, Pandolfo, e il conte Antonio da Montefeltro, a causa delle mire espansionistiche che Pandolfo aveva esteso su Umbria e Toscana, istituendo una lega con Giovanni degli Ubaldini. Il 17 nov. 1388, per mediazione del signore di Milano, fu firmata la pace tra il M. e il Montefeltro: il Visconti riusciva così a indebolire il legame dei signori di Rimini e di Urbino con Firenze e a nominarli capitani delle milizie viscontee sul fronte bolognese.
In quegli stessi anni i rapporti tra i Malatesta e i Gonzaga si rafforzavano grazie a una proficua politica matrimoniale. Nel 1386 il M. sposò Elisabetta Gonzaga, unione foriera di privilegi nell'immediato, ma rivelatasi poi infeconda, cosa che comportò complicati procedimenti per la successione dinastica. Elisabetta, comunque, dimostrò di essere una moglie attenta e intelligente, tanto da gestire lo Stato con padronanza e competenza nei lunghi periodi di assenza del Malatesta. I legami familiari con la casata mantovana si consolidarono ulteriormente nel 1393 quando Margherita, sorella del M., sposò Francesco Gonzaga, signore di Mantova.
Nel 1390 Bonifacio IX, da poco salito al soglio pontificio, condonò ai Malatesta una rata del censo per l'aiuto prestato alla Chiesa nel recupero di Bertinoro; inoltre il 3 gennaio dell'anno successivo confermò loro la concessione del vicariato apostolico sulle città e i contadi di Rimini, Fano e Fossombrone; l'attestazione di stima fu rinnovata nel 1399, allorché fu aggiunto il vicariato di Senigallia, Cesenatico, Cervia e di altri centri minori. Al M. spettò la signoria di Rimini: nel corso del primo ventennio di dominio esercitò, grazie anche all'opera di podestà a lui fedeli, controlli e interventi sul Consiglio generale della città, che divenne l'organo di convalida dei provvedimenti signorili. Avviò, inoltre, una notevole attività di revisione e aggiornamento degli statuti del 1334, pervenendo in questo modo a disciplinare tutti gli aspetti della vita comunale, pur nella salvaguardia degli organismi locali.
Animato da un sincero sentimento religioso, a cui corrispose il misticismo della moglie, il M. esercitò un saldo controllo sull'autorità vescovile e sostenne generosamente gli ordini religiosi, con particolari attenzioni agli agostiniani e ai francescani, questi ultimi particolarmente privilegiati dai Malatesta, poiché la loro chiesa era divenuta il tradizionale luogo di sepoltura dei dinasti. L'opera del M. si distinse anche nel favorire la nascita di nuovi istituti religiosi, quali il convento di S. Maria delle Grazie e l'oratorio di S. Maria Annunziata Nuova di Scolca, e nell'unificare i diversi ospizi operanti in città in un solo ospedale, quello di S. Maria della Misericordia.
La pace del 1388 con Antonio da Montefeltro non durò a lungo: lo scontro riprese cruento nel 1392 e finì per gettare nel caos l'intera area romagnola. Costretto a intervenire come mediatore, il papa riuscì a far sottoscrivere, il 16 maggio 1393, un accordo tra i Malatesta e i Montefeltro, assicurando per diversi decenni la stabilità territoriale delle Marche e della Romagna. Nonostante la cessata inimicizia, le due casate venivano a trovarsi ancora una volta su posizioni opposte, dal momento che il conte di Urbino era divenuto uno dei fedelissimi di Gian Galeazzo Visconti, mentre il M. si era schierato apertamente con Venezia, avendo assunto il comando della lega antiviscontea promossa da Francesco Gonzaga. Nel frattempo, un altro fronte stava impegnando il M. insieme con il fratello Pandolfo: i due combattevano contro Cecco e Pino degli Ordelaffi per il controllo di Bertinoro, punto nevralgico di confine tra il Riminese e il Forlivese. I Malatesta si impossessarono della rocca, che nel 1394 il papa concesse loro in vicariato insieme con Roccacontrada. Nel maggio del 1396 fu raggiunto un accordo che coinvolgeva la Repubblica di Firenze, i signori di Mantova e Padova, i Malatesta e il Visconti, ma, per il mutato atteggiamento del duca di Milano, Firenze fu costretta a porsi a capo di una lega antiviscontea con alla guida il Malatesta. Alla lega avevano aderito il re di Francia Carlo VI, Bologna, Francesco Gonzaga e i signori di Padova e di Ferrara, ma Gian Galeazzo non si fece cogliere impreparato e inviò Iacopo Dal Verme, uomo d'arme e consigliere ducale, ad attaccare in forze il signore di Mantova. Il 28 ag. 1397, grazie ai rinforzi guidati da Andrea Malatesta, il M. sconfisse l'esercito visconteo presso Governolo. Il successivo ingresso nella lega della Serenissima indusse il Visconti a sottoscrivere un accordo. Tra i protagonisti della tregua, firmata a Pavia nel maggio 1398, figura ancora una volta il M., mediatore nel difficile rapporto tra Firenze e Milano.
Sul finire del XIV secolo il M. era dunque divenuto uno dei personaggi chiave della politica italiana, tanto che Bonifacio IX, oltre a rinnovargli anzitempo i vicariati apostolici, gli conferì nel 1399 la rosa d'oro, una delle più alte onorificenze, appannaggio di solito di monarchi, allo scopo di tenerlo il più possibile legato a sé. Nel 1402 il Visconti era giunto a estendere il proprio dominio su Pisa, Siena e Perugia, ma la sua morte, avvenuta in settembre, modificò ineluttabilmente le alleanze fra gli Stati. Il M., Pandolfo, Guidantonio da Montefeltro e Alberico da Barbiano facevano parte del Consiglio di tutela dei figli del duca, mentre la reggenza del dominio milanese veniva esercitata da Caterina Visconti. Il pontefice vide nella palese debolezza del Ducato l'occasione per rientrare in possesso dei feudi perduti e richiamò a sé tutti i suoi vassalli, il M. compreso. Con l'appoggio di Firenze Bonifacio IX si fece promotore di una nuova lega antiviscontea; il M. fu confermato gonfaloniere della Chiesa e comandante dell'esercito della lega, mentre Pandolfo restò al servizio dei Visconti in qualità di capitano delle armate. Nel 1403 le forze degli alleati riconquistarono il Bolognese e, sotto la guida del M., l'Umbria e la Toscana. Il Consiglio ducale si convinse infine a capitolare e si rivolse al M. e a Francesco Gonzaga, affinché trattassero una pace che non somigliasse troppo a una disfatta. Il 25 ottobre fu stipulato l'accordo, in base al quale Perugia, Assisi e Bologna erano restituite alla Chiesa. Pandolfo, dietro consiglio del M., fece atto di sottomissione al papa.
Intanto il Ducato di Milano si avviava verso una crisi inarrestabile: Giovanni Maria Visconti non era in grado di contrastare le forze coalizzate contro l'autorità ducale, a causa della sua giovane età e del carattere intemperante. Inoltre il potere risultava solo nominalmente nelle sue mani: di fatto a esercitarlo erano i capitani dell'esercito, primi fra tutti Pandolfo Malatesta e Facino Cane, che avevano dato vita a personali signorie all'interno dello Stato visconteo, il primo avanzando diritti sulle città di Brescia e Bergamo, il secondo occupando la zona dell'Oltrepò. La situazione fu ulteriormente aggravata dalla morte di Caterina Visconti che fino ad allora aveva contenuto gli eccessi del figlio, partigiano della fazione ghibellina capitanata da Facino Cane. Iacopo Dal Verme, dal canto suo a favore di una stabilità ormai incerta, aveva caldamente sostenuto la nomina del M. alla dignità di governatore del giovane duca, con compiti che ne includevano la tutela e la guida politica.
All'inizio del 1408 il M. entrò, tra le acclamazioni del popolo, in Milano e cominciò l'opera di ristrutturazione e consolidamento dello Stato riorganizzando l'apparato burocratico e diminuendo sensibilmente il numero dei membri del Consiglio generale. Restituito l'ordine all'interno delle mura cittadine, attraversò il Ticino con l'obiettivo di fiaccare l'eccessivo potere di Facino Cane e recuperare i territori da lui usurpati. Al termine di questa impresa si adoperò anche nei confronti di Estorre Visconti, reo di aver esteso il suo dominio su Monza. Il M. suggerì, poi, al giovane duca di contrarre matrimonio e la scelta di Giovanni Maria cadde su una nipote del M., Antonia, figlia del fratello Andrea. Dopo aver riportato l'ordine e assicurato stabilità ai confini dello Stato, il 27 ag. 1408 il M. si allontanò da Milano alla volta di Rimini, lasciando le redini dello Stato a Giovanni Maria, sotto la supervisione del suocero.
La famiglia Malatesta si confermava così ai vertici della scena politica, detentrice di un potere ingente non solo in Romagna ma anche nel Nord dell'Italia.
Prima di partire, il M. si era preoccupato di lasciare nelle mani del capo del Tribunale di provvisione un memoriale contenente consigli per il giovane Giovanni Maria (Franceschini, 1934). Lo scritto è un'interessante disamina di pratica politica, in cui emerge il valore di un uomo che fu sì un signore assoluto, ma capace di integrare gli interessi dello Stato con quelli dinastici, di porre alla base delle proprie decisioni un progetto politico saggio e lungimirante, doti che sarebbero mancate ai suoi pur capaci successori.
Ma l'imprevedibile Giovanni Maria cominciava già a sfuggire al controllo dei Malatesta, intavolando trattative segrete con i Francesi; quindi il M. ritenne opportuno consegnare Milano al fratello Andrea e lasciò un elenco che era la sua sintesi di norme e raccomandazioni necessarie per amministrare la città lombarda, in base alle quali il duca risultava sottoposto a una sorta di tutela malatestiana.
Quando il M. partì da Milano, questioni estremamente rilevanti lo impegnarono su un altro fronte: lo scisma d'Occidente, che vedeva contrapposti il pontefice di obbedienza romana, Gregorio XII, e quello di obbedienza avignonese, il catalano Benedetto XIII. Il 3 nov. 1408 Gregorio XII entrò in Rimini scortato dal Malatesta. Questi, una volta assicurata l'incolumità del pontefice, si recò a Pisa, dove si teneva il concilio ecumenico al quale partecipavano i maggiori esponenti delle due obbedienze, con la precisa intenzione di difendere la legittimità di Gregorio XII; ma il 26 giugno 1409 fu eletto papa il cardinale Pietro Filargis, che assunse il nome di Alessandro V ed ebbe a fianco, da subito, il fidato cardinale legato Baldassarre Cossa. Questi convinse il neoeletto papa a stabilirsi a Bologna, dove avrebbe potuto usufruire della protezione del temibile Braccio da Montone (Andrea Fortebracci) ed esercitare inoltre una pressione diretta sui signori rimasti fedeli a Gregorio XII, primo fra tutti il Malatesta. Il 25 settembre di quello stesso anno il Cossa e Andrea Malatesta, che aveva ricevuto in vicariato Cesena nel 1405, avevano avviato in quella città un consesso volto alla ricerca di una composizione dello scisma, ma anche questo tentativo fallì. Il 3 maggio 1410 morì Alessandro V, lasciando aperto uno spiraglio alla riunificazione della Chiesa: il M. inviò ai cardinali bolognesi concrete proposte di pace, ma ancora una volta rimase inascoltato e fu eletto papa Baldassare Cossa con il nome di Giovanni XXIII. Un importante sostegno al M. giunse da Luigi II d'Angiò che, costretto a rientrare in Provenza senza essere riuscito a conquistare il Regno di Napoli malgrado la vittoria su Ladislao d'Angiò Durazzo, affrancò dalla tutela di Giovanni XXIII la Romagna, che fu libera dunque di schierarsi con il M. e Gregorio XII. Ma l'alleanza tra Giovanni XXIII e re Ladislao mise di nuovo in pericolo Gregorio XII che da Gaeta, dove si era rifugiato, raggiunse via mare prima Porto Cesenatico, poi Rimini (24 dic. 1411) per porsi sotto la protezione del Malatesta. Nel frattempo divampava la guerra fra la Repubblica di Venezia e l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo re d'Ungheria, che rivendicava dalla Serenissima la città di Zara e la Dalmazia. Il 10 maggio 1412 il M. fu nominato capitano generale dell'esercito veneto e per ben due volte sconfisse gli Ungari, ma nella seconda battaglia, a Motta di Livenza, il 24 ag. 1412, il M. fu ferito tanto gravemente da dover abbandonare il campo e cedere il comando al fratello Pandolfo.
Abbandonate le armi, il M. continuò a cercare una soluzione allo scisma suggerendo la convocazione di un nuovo concilio, a Rimini o a Fano; la sua proposta fu avallata dai tre pontefici, ma l'imperatore Sigismondo fu irremovibile nell'indicare Costanza come sede ideale. Gregorio XII non vi partecipò personalmente e inviò alcuni suoi legati che, il 22 genn. 1415, proposero le sue dimissioni, inducendo in tal modo i cardinali a richiedere la stessa risoluzione agli altri due contendenti. Il 3 maggio 1415 il M. giunse a Costanza in veste di procuratore di Gregorio XII con il compito di pronunciarne la solenne rinuncia (4 luglio). Fu questo un passo determinante sulla via della composizione dello scisma e che portò, due anni dopo, all'elezione concorde di Martino V.
Sollevato da tali gravosi impegni diplomatici, nell'ultimo scorcio della sua vita, il M. riprese la militanza itinerante delle condotte con esiti, però, infelici. Il Ducato di Milano era ora retto da Filippo Maria Visconti, giovane più dotato del fratello e deciso a ricomporre l'unità territoriale del Ducato; con la successiva perdita della signoria di Pandolfo (III) su Brescia e Bergamo, la preminenza del M. si restringeva nuovamente alla Romagna e alle Marche. Antichi rancori con Guidantonio da Montefeltro, sostenitore di Giovanni XXIII, si stavano riaccendendo, conseguenza delle conquiste che nel 1412 il M., sotto la bandiera di Gregorio XII, aveva effettuato nel Fermano. Le ostilità ripresero tra la fine del 1414 e l'inizio del 1415, in quanto il M. aveva infranto la tregua con Ludovico Migliorati, signore di Fermo, e occupato numerosi castelli della Marca meridionale; inoltre, durante l'assenza del M., impegnato nel concilio di Costanza, era stato siglato a Fermo un accordo tra i suoi più accaniti nemici, Braccio da Montone, i da Varano e il Migliorati (4 marzo 1416).
Oltre che nella Marca, il M. fu coinvolto nel conflitto tra Perugia e Braccio da Montone, che stava tentando di diventare signore della città. Dopo un breve negoziato, il M. accettò il comando dell'esercito perugino e organizzò una campagna, ma il 12 luglio 1416 subì presso Assisi una pesante sconfitta da parte di Braccio e di Angelo Broglio (Tartaglia da Lavello) e fu catturato insieme con il nipote Galeazzo, Ceccolino Michelotti e Guidone di Biordo. Alla notizia della prigionia del fratello, Pandolfo tornò nella Marca e, su mediazione di Venezia e Firenze, intavolò trattative per la scarcerazione del M. che, dietro pagamento di un oneroso riscatto, fu liberato nel marzo 1417. La grossa somma erogata per la scarcerazione mise in difficoltà economiche lo Stato malatestiano; ciò non impedì comunque al M. di far eseguire, nel 1417, il restauro del porto di Rimini, progressivamente interratosi, al fine di potenziare i traffici marittimi.
Nel 1424 il M. fu coinvolto, insieme con il fratello Pandolfo, nella guerra fra il duca di Milano e Firenze, città con cui erano alleati i due Malatesta, che il 28 luglio furono pesantemente sconfitti a Zagonara, mentre la Romagna e i castelli del Pesarese furono saccheggiati dai Ducali. Il M. fu di nuovo fatto prigioniero e condotto a Milano, dove rimase fino al gennaio 1425, quando fu liberato da Filippo Maria. Tornato a Rimini, il M. si dedicò alla soluzione della difficile questione legata alla successione, poiché era privo di legittima discendenza. Da tempo alla sua corte aveva accolto i figli naturali del fratello Pandolfo: Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico. Il maggiore era stato legalmente adottato e nel febbraio del 1428 Martino V riconobbe ai fratelli la facoltà di ereditare il dominio malatestiano.
Ammalatosi di febbre quartana, il M. si recò nella più salubre Longiano, dove morì il 14 sett. 1429. Il suo corpo, trasportato a Rimini, fu tumulato con sommo onore nella chiesa di S. Francesco.
Nel M. si unirono le virtù dell'amante delle lettere, del mecenate, del poeta ma anche quelle del valente militare e del principe giusto. La posizione di prestigio - conseguita grazie alle sue spiccate attitudini diplomatiche e cercando nella costante fedeltà alla S. Sede la conciliazione fra idealità e pragmatismo, fra tradizione e innovazione -, fece di lui il principale moderatore della politica italiana. La ricerca del consenso fu sollecitata dal M. anche attraverso le forme di propaganda di corte: poeti, letterati, storiografi rinvenivano nella scoperta del mondo classico motivi e mezzi espressivi efficaci di esaltazione del signore e della sua dinastia. In questo contesto fu realizzato il codice miniato della Regalis Yistoria (Rimini, Biblioteca Gambalunga, Sez. chiusa - Mss., 35) che, dedicato al M. e da lui commissionato a un certo frate Leonardo dell'Ordine dei predicatori tra il 1385 e il 1390, traccia una fantastica genealogia malatestiana attingendo a testi precedenti, soprattutto alla Marcha di M. Battagli. Tra gli uomini di cultura che nella corte romagnola dettero voce alla propaganda malatestiana vi furono Leonardo Bruni, Gambino d'Arezzo, Simone Serdini e Pietro Tebaldo Turchi; quest'ultimo, in particolare, fu il tramite tra il M. e Coluccio Salutati.
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