LOMELLINI, Carlo
Quintogenito della numerosa prole (diciassette figli, di cui dieci maschi) di Napoleone e Teodora Di Negro, il L. nacque intorno al 1360, probabilmente a Genova.
Ricordato una prima volta nel 1376, fu (come il padre e i fratelli) banchiere, mercante e armatore, particolarmente attivo nel commercio con il Levante, le Fiandre e l'Inghilterra. L'interesse per la mercatura, comune a tutta la famiglia, non sembra che lo abbia però allontanato da Genova dove, ereditata dal padre una domus con loggia nella contrada di Banchi, si dedicò agli inizi del secolo XV a una proficua attività immobiliare, acquistando numerose abitazioni nella zona della Ripa.
Assente per molti anni dalla vita pubblica cittadina, costretto con il padre e i fratelli, nel 1399, a fuggire temporaneamente a Savona al tempo dei tumulti antinobiliari che sconvolsero Genova, ricevette un primo incarico ufficiale dal Comune nell'ottobre 1401, quando fu deputato, con Carlo Cicogna, all'organizzazione delle cerimonie per la venuta del nuovo governatore Jean Le Meingre (detto Boucicaut). Erano gli anni della dominazione francese, iniziata nel 1396 con la vendita della città allora fatta dal doge Antoniotto Adorno al re di Francia Carlo VI. I Lomellini, come tutta la nobiltà guelfa e il ricco ceto mercantile, aderirono al nuovo regime grazie al quale, nel 1403, ottennero la restituzione del governo della Corsica alla maona che dal 1386 ne aveva ottenuto l'amministrazione dal Comune genovese e della quale essi (e il L. tra gli altri) erano i maggiori azionisti.
Nell'estate 1407 fu nominato commissario del Comune per trattare l'acquisto di Sarzana da Gabriele Maria Visconti, già signore di Pisa e figlio naturale del defunto duca Gian Galeazzo. Insieme con Francesco Giustiniani e con il francese Guillaume de Meulhon (all'epoca capitano generale della Riviera di Levante) egli ottenne la dedizione delle terre di Falcinello, Castelnuovo, Santo Stefano di Magra e Sarzana e, ai primi di settembre, ricevette in consegna dal Boucicaut - previo esborso di 26.000 ducati - il borgo di Livorno, che questi aveva ottenuto precedentemente dal Visconti in occasione della vendita di Pisa ai Fiorentini.
Eletto anziano nel 1408, l'anno successivo, mentre era in viaggio nel Tirreno su una propria nave, fu catturato da corsari sardi e trasferito in Sicilia, da dove riuscì avventurosamente a fuggire. Rientrato a Genova, non è noto se seguì il fratello Leonello nella decisione, maturata in quegli anni, di passare dalla fazione guelfa a quella ghibellina; di certo, però, egli sostenne negli anni successivi i Fregoso, facendosi loro fideiussore, nel 1412, per 4500 fiorini dovuti ai Fiorentini.
La moglie del L., Ginevra Leccavela, alla morte del padre Sorleone, appartenente a un'antica famiglia nobile guelfa legata ai Lomellini da consolidati rapporti d'affari, ereditò una considerevole somma di denaro, che il L. impiegò nell'attività bancaria, accrescendo così ulteriormente il proprio patrimonio.
Eletto membro dell'Ufficio di provvisione nel 1420, l'anno successivo fu uno dei più accesi fautori dell'avvento della signoria viscontea; fu anziano nel 1423 e in quell'anno prestò un notevole quantitativo di denaro al Comune per l'armamento della flotta che, sotto il comando di Guido Torelli, fu inviata a Napoli in appoggio degli Angiò contro Alfonso V d'Aragona. L'anno successivo fu mandato quale ambasciatore al duca, per sventare il paventato progetto di una cessione di Savona al sovrano aragonese; in tale occasione il Visconti, che ne conosceva i meriti e la fedeltà, volle insignirlo del titolo di cavaliere, con una solenne cerimonia che si svolse in ottobre nel castello di Abbiategrasso. Nuovamente inviato a Milano nel 1426 con incarichi diplomatici, nel 1427 ottenne dal duca, per la durata di dieci anni, il governo di Ventimiglia e del vicino castello della Penna, parti integranti del territorio genovese, a garanzia di un credito di 3000 lire da lui vantato nei confronti del Comune (forse il prestito del 1423).
La cessione, che seguiva di pochi mesi quella di Ovada a Isnardo Guarco e di Pieve di Teco a Francesco Spinola, creò grande malcontento all'interno della cittadinanza genovese, anche perché il L. si comportò come se fosse stato il signore feudale di Ventimiglia, rifiutando di riconoscere l'autorità del Comune. Le proteste genovesi non smossero però il duca, tanto più che il L. difese energicamente gli interessi viscontei nel Ponente ligure, dapprima stroncando una rivolta dei Ventimigliesi e, quindi, dando un importante contributo alla sconfitta di Giorgino Del Carretto, consignore del Finale, ribellatosi al duca con altri signori della Riviera di Ponente.
Nel governo di Ventimiglia il L. diede prova di notevoli capacità, tanto da essere in seguito ricordato per la sua giustizia e umanità; ciò gli valse una notevole popolarità, che egli seppe sfruttare per dare vita, in questa parte della Liguria, a una vera e propria fazione a lui legata, che poté crescere e prosperare grazie all'appoggio dei Grimaldi di Monaco, i quali, nell'estremo Ponente, erano i soli fautori del partito guelfo. Tale risultato egli riuscì a ottenere però soprattutto per il costante benvolere di Filippo Maria Visconti e dei suoi governatori a Genova i quali, dal 1426 al 1435, fecero in modo che tanto il vicariato di Porto Maurizio che le principali podestarie e castellanie della Riviera di Ponente a ovest di Albenga fossero assegnati a personaggi della famiglia Lomellini.
La nomina a capitano della spedizione organizzata nel marzo 1433 per la riconquista della lontana colonia di Cembalo, nel Mar Nero, fu quindi il coronamento di una brillante carriera politica, nonostante prima di tale data il L. non avesse mai dato prova di particolari attitudini militari, se non (ma è un'ipotesi) negli scontri contro i ribelli del Ponente ligure.
Cembalo, situata nella punta meridionale della Crimea, era caduta in mano genovese nel 1365 dopo essere stata a lungo possesso dei signori greci di Theodoros, vassalli dei Tartari. Essi cercarono più volte di recuperarla e vi riuscirono inaspettatamente nel 1432 quando, ribellatisi gli abitanti greci della città, vi entrò il principe Alessio di Theodoros, sostenuto da Hagi-Gheray, khān di Solgat, capitale dei Tartari di Crimea.
La spedizione, organizzata nel corso dell'inverno, salpò da Genova, sotto il comando del L., il 22 marzo 1434, forte di dieci "navi grosse" e altrettante galee, sulle quali erano imbarcati oltre 6000 soldati. Essa raggiunse velocemente il Mar Nero dove, senza incontrare resistenza, riprese il controllo di Cembalo. Da qui passò a Caffa e, quindi, volendo castigare il khān per l'appoggio dato ai ribelli, verso la metà di luglio puntò su Solgat. Per raggiungere la città, posta all'interno, L. fece sbarcare le truppe, ma la marcia d'avvicinamento, rallentata dai numerosi carriaggi con le armi pesanti, non fu effettuata con le dovute misure protettive, così che, a poche miglia da Solgat, la colonna genovese fu colta di sorpresa dai Tartari e completamente distrutta. Solo pochi uomini riuscirono a raggiungere Caffa, il resto fu ucciso o fatto prigioniero.
Tra i morti fu anche il L., la cui testa, con quella degli altri caduti, fu collocata da Hagi-Gheray su una torre di teschi all'ingresso di Solgat.
La colpa della sconfitta, dovuta, ancor più che alla mancata vigilanza, al panico che aveva preso le truppe genovesi alla vista dei primi cavalieri dell'avanguardia tartara, fu interamente addossata al Lomellini. Ciò non pregiudicò, tuttavia, le ragioni dei suoi figli, Galeotto e Sorleone, che l'11 ott. 1435 furono confermati dal duca di Milano nel possesso, a titolo di feudo, della città di Ventimiglia e del suo distretto. La loro signoria durò pochi mesi perché già sul finire del 1436 la città tornò nelle mani dei Genovesi. Dei dieci figli del L. si ricorda in particolare il primogenito, il già menzionato Galeotto, il quale, benché giovanissimo, si distinse al comando di una nave nella battaglia di Ponza (5 ag. 1435); re Alfonso V d'Aragona, informato del valore del giovane genovese volle conoscerlo e, in segno di ammirazione, lo creò cavaliere. Più volte impegnato in uffici del Comune, a Genova e nelle Riviere, nel 1446 sposò Maria Del Carretto, figlia di Galeotto, marchese del Finale.
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