LEVI, Carlo
Pittore e scrittore, nato a Torino il 29 novembre 1902. Laureato in medicina, dal 1923 espone nelle principali mostre nazionali e all'estero. Nel 1935-36 venne assegnato, per la sua attività antifascista, al confino di polizia, in Lucania. Successivamente, fino al 1942, fu in Francia, dove scrisse, nel 1939, sotto l'impressione della crisi bellica, Paura della libertà (Torino 1948). Rientrato in Italia, a Firenze, ebbe parte importante nel movimento della resistenza e, dopo la liberazione, nel giornalismo politico di quella città e poi di Roma (dove risiede).
L'importanza, nell'arte italiana contemporanea, della pittura del L., caratterizzata da una pienezza sensuale ed emotiva sotto il controllo di una lucida intelligenza, che arriva a compiute realizzazioni poetiche (Il fico e S. Arcangelo, 1936; Autoritratto, 1945, Roma, Gall. naz. d'Arte mod.; ecc.), consiste in quel suo reagire al formalismo accademico del "Novecento", per riattaccarsi alla grande tradizione dell'impressionismo e del postimpressionismo francesi. Nella mostra del 1929 dei "Sei pittori di Torino", insieme con Chessa, Menzio, Paulucci, ecc., affermò programmaticamente tale posizione, vicina a quella assunta, nello stesso tempo, a Roma da Scipione e Mafai.
Dalle esperienze del suo confino in Lucania, rievocate parecchi anni dopo (1944), col distacco necessario perché le impressioni si tramutassero in suggestioni, ma anche con un rinnovato fervore per l'imminente trionfo della libertà, prende origine il libro che ha dato al L. larga rinomanza di scrittore: Cristo si è fermato a Eboli (Torino 1945): ritratto morale, sociale, ma soprattutto poetico di una gente e di un paese; racconto veridico e pur favoloso di un viaggio alle origini della civiltà, compiuto vivendo amorevolmente a contatto di quella misera popolazione. Se l'importanza, dal lato storico, del libro sta nel suo carattere di testimonianza obiettiva (parecchi aspetti della "questione meridionale" ne escono singolarmente illuminati), ciò che più conta è il suo valore artistico, per quella rara capacità del L. di armonizzare - con gusto, appunto, pittorico, cui si uniscono reminiscenze letterarie, specie del Cecchi e del Lawrence - figure e paesaggio, uomini cose e animali in una atmosfera stregata, fatale, evocatrice a sua volta di riti e magie primordiali.
Bibl.: S. Solmi, in Arte italiana del nostro tempo, Bergamo, 1946; C.L. Ragghianti, C. L., Firenze 1948; P. Pancrazi, Scrittori d'oggi, IV, Bari 1946, pp. 281-89.