GRASSI, Carlo
Nacque a Bologna nel 1519 o nel 1520, figlio di Giovanni Antonio, futuro senatore di Bologna, e di Diana di Carlo Grati. Apparteneva a una famiglia di notevole rilievo nella vita politica bolognese, che poteva vantare diversi senatori e soprattutto numerosi prelati, titolari di importanti vescovati e di cariche curiali.
Il G. trascorse la giovinezza a Bologna, dove studiò diritto civile e canonico. In data non precisata abbracciò la vita ecclesiastica, seguendo le orme del fratello maggiore Achille iunior, che nel 1545 si trasferì a Roma e rassegnò al G. l'importante carica di arciprete della cattedrale di Bologna. Contemporaneamente successe a Gianfrancesco Grati, imparentato con la madre del G., come canonico della cattedrale di Bologna. Durante il pontificato di Giulio III il G. si trasferì a Roma, dove ottenne la carica di cameriere segreto. Nel 1555 prese gli ordini minori e il fratello Achille, che sarebbe morto nello stesso anno, rassegnò in suo favore il vescovato di Montefiascone. Non è chiaro se risiedette nella sua diocesi ed è probabile che negli anni successivi abbia trascorso lunghi periodi a Roma, dove non rivestì cariche di rilievo.
Il governo pastorale del G. fu dunque sostanzialmente incolore. Al di là dell'ordinaria amministrazione del vescovato, egli si limitò a promuovere il rifacimento della cattedrale, senza peraltro ottenere risultati significativi. Il G. uscì improvvisamente dall'oscurità nel corso della sede vacante seguita alla morte di Paolo IV (1559), un momento politico particolarmente difficile a causa delle tensioni suscitate dalla politica fanaticamente controriformista del papa. Mentre la popolazione romana dava sfogo all'odio accumulato contro Paolo IV e i suoi nipoti abbattendo le statue del pontefice, assalendo il tribunale del S. Uffizio e i palazzi dei Carafa, i cardinali riuniti in conclave sostituirono il governatore di Roma, Antonio Paganelli, con il G., che evidentemente era ritenuto in grado di affrontare la difficile situazione dell'ordine pubblico.
In effetti, grazie alla collaborazione della nobiltà romana, il G. riuscì a mantenere un minimo di ordine e a garantire la sicurezza del conclave, risultato tutt'altro che scontato. Nel marzo 1560, il G. lasciò la carica e fu nominato al governo di Perugia e dell'Umbria, un importante ufficio di rango legatizio, che tenne fino al 1561. Passò quindi al governo di Camerino come vicelegato del cardinale G.A. Serbelloni e nel 1564 a quello di Viterbo, guadagnandosi la stima di Pio IV e del cardinal nipote, Carlo Borromeo. Non deve dunque stupire se sin dall'inizio degli anni Sessanta il G. si trovò impegnato nel concilio di Trento, riaperto nel gennaio del 1562 dal papa dopo un lungo periodo di aggiornamento. Nell'autunno del 1562 il G. fu incaricato di recarsi presso il capo della delegazione francese, Charles de Guise, cardinale di Lorena, allo scopo di presentargli un breve papale e di rendergli omaggio. Compiuta la missione, il G. partì per Trento, dove giunse l'11 nov. 1562.
Gli interventi del G. al concilio furono numerosi ma, in genere, di non ampio respiro. Del resto, al pari della maggioranza dei vescovi presenti, anche il G. aveva una cultura più politico-canonistica che non teologica e tendeva a difendere il tradizionale punto di vista curiale, preoccupato di non alterare la centralità del magistero romano e di preservare i tratti salienti della struttura politico-ecclesiastica italiana. Così, nel gennaio 1563 il G. denunciò a Carlo Borromeo i tentativi francesi di "disputare de potestate Papae et concilii […] et tirar il concilio in infinito" (Šusta, II, pp. 156 s.) e sostenne la necessità di prevenire una simile prospettiva promuovendo da Roma un'energica riforma.
Nel novembre 1562 il G. partecipò alla discussione sul sacramento dell'ordine, cercando di contemperare l'affermazione della superiorità papale e la difesa dell'autonoma giurisdizione dei vescovi. Alcune settimane dopo intervenne invece sulla riforma del matrimonio, difendendo, sulla base di un'ampia disamina della natura del sacramento, la legittimità dei matrimoni clandestini, in quanto comunque fondati sul mutuo consenso dei coniugi. Di maggiore importanza fu un terzo intervento del G., svolto nella congregazione generale del 23 sett. 1563, in una fase particolarmente tesa della vicenda conciliare. Durante le discussioni sulla riforma della Curia e dell'episcopato si era infatti determinata una forte tensione tra il Papato e le potenze europee, e in particolare la monarchia francese, preoccupata di difendere l'ecclesiologia gallicana. Il 22 sett. 1563 l'ambasciatore francese Arnaud du Ferrier svolse un intervento molto duro, che lasciò costernata l'ala curialista del concilio, criticando i progetti di riforma già elaborati e contrapponendo all'azione del concilio i privilegi della Chiesa gallicana e le iniziative di riforma attuate dai sovrani. L'intervento suscitò la violenta reazione di molti vescovi e in particolare del G., che pronunciò un articolato voto in risposta a Ferrier. In sostanza, il G. avanzò il dubbio che l'ambasciatore avesse ampiamente oltrepassato i limiti del suo mandato e sostenne, sulla scorta di una serie di richiami all'esperienza dei concili antichi, l'assoluta scorrettezza di ogni tentativo dei sovrani di interferire nel concilio. Questa energica riaffermazione delle tesi curiali piacque molto all'episcopato italiano e i legati al concilio riferirono al cardinale C. Borromeo che "il vescovo di Montefiascone ha risposto in buona parte molto bene et prudentemente a quel che disse hieri l'ambasciator di Francia, et per ciò havemo ordinato che si copii sommariamente il voto suo per mandarlo […] a V. Ill.ma et Rev.ma S.ria" (Šusta, IV, p. 270).
Negli ultimi mesi del concilio il G. era ormai divenuto un esponente di qualche rilievo del partito curiale e insieme con Ugo Boncompagni, il futuro papa Gregorio XIII, partecipò ad alcune delicate trattative con la delegazione spagnola, che contestava il principio secondo cui solo ai legati papali spettava il diritto di fissare l'agenda del concilio. Nell'autunno 1562 la questione fu risolta in maniera favorevole alle tesi curiali, lasciando il diritto di proposta ai legati, anche se con l'obbligo di conformarsi ai dettami di un non precisato regolamento consuetudinario comune a tutti i concili generali. In tal modo, Filippo II di Spagna otteneva il modesto risultato di non vedere definitivamente riconosciuta un'innovazione procedurale che rompeva con la tradizione dei concili medievali, mentre il Papato si garantiva la possibilità di continuare a mantenere saldamente nelle sue mani la direzione dei dibattiti.
Esaurite queste trattative, il G. rimase poi a Trento fino al termine del concilio (4 dic. 1563) e ne sottoscrisse gli atti finali. In seguito riprese la sua carriera amministrativa e il 24 marzo 1565 ottenne un chiericato di Camera, carica prestigiosa e lucrosa, e fu nominato prefetto dell'Annona, assumendo così il controllo sugli approvvigionamenti granari di Roma. Nel 1567 Pio V gli conferì inoltre il compito di sovrintendere all'esazione di alcune imposte nelle province del Patrimonio e dell'Umbria. Qualche anno dopo il G. successe a Baldo Ferratini nel governo di Roma, che tenne dal giugno 1569 al maggio 1570.
Alla fine degli anni Sessanta il G. era ormai un autorevole prelato di Curia e poté favorire le carriere dei suoi parenti, come i fratelli Annibale e Cesare, e di suoi protetti, come il giurista Ottavio Puro, il quale alle dipendenze del G. iniziò un brillante cursus honorum che doveva condurlo nelle rote toscane. La lunga carriera del G. poteva a questo punto trovare il suo sbocco nel cardinalato. Nell'affollata creazione cardinalizia del 17 maggio 1570 Pio V promosse il G. alla porpora, ma egli poté godere poco della sua nuova dignità. Nel luglio 1570 il G. fu coinvolto nell'intensa attività diplomatica dispiegata dal Papato per unire le potenze cattoliche in una lega antiturca e partecipò con i cardinali Michele Bonelli, Giovanni Morone, Pierdonato Cesi e Giovanni Aldobrandini a una serie di conferenze con gli ambasciatori spagnolo e veneto.
Il G. morì improvvisamente, prima della conclusione delle trattative, a Roma il 15 marzo 1571. I suoi fratelli gli eressero una dignitosa tomba nella chiesa di Trinità dei Monti.
Fantuzzi (p. 246), seguito in ciò da altri repertori biografici, attribuisce al G. diverse opere (tra cui un Tractatus de exceptionibus ad materiam statuti excludentis omnes exceptiones, Marpurgi 1602, Venetiis 1629), che sono in realtà di un omonimo sacerdote e giurista siciliano. Allo stesso modo è assai dubbia l'attribuzione al G. di un opuscolo sul modo di liberare la Chiesa dalle eresie, citato in qualche repertorio biografico senza indicazioni tipografiche o catalografiche. Ammesso che tale opuscolo sia mai esistito, esso deve probabilmente identificarsi con il discorso pronunciato al concilio di Trento dal G. contro Arnaud du Ferrier.
Fonti e Bibl.: Concilium Tridentinum…, II, Diariorum pars secunda, a cura di S. Merkle, Friburgi Brisgoviae 1911; IX, Actorum pars sexta, a cura di S. Ehses, Friburgi Brisgoviae 1924, ad indices; XI, Epistularum pars secunda, a cura di G. Buschbell, ibid. 1937, p. 874; P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, a cura di G. Gambarin, III, Bari 1935, pp. 70 s.; J. Šusta, Die römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV., II, Wien 1909; IV, ibid. 1914, ad indices; Nuntiaturberichte aus Deutschland, 1533-1559, XIII, Nuntiaturen des Pietro Camaiani und Achille Grassi. Legation des Girolamo Dandino (1552-1553), a cura di H. Lutz, Tübingen 1959, ad ind.; Epistolae ad principes, II, S. Pius V - Gregorius XIII (1566-1585), a cura di L. Nanni - T. Mrkonjić, Città del Vaticano 1994, ad ind.; G.N. Pasquali Alidosi, Li canonici della chiesa di Bologna… dall'anno 1014 fino al 1616, Bologna 1616, pp. 38 s.; Id., Li dottori bolognesi di legge canonica e civile dal principio di essi per tutto l'anno 1616, Bologna 1620, p. 59; Id., I sommi pontefici, cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi bolognesi, Bologna 1621, p. 83; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna… centuria prima, Bologna 1670, p. 396; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, IV, Bologna 1784, pp. 245 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese ed altri edificii di Roma, III, Roma 1869, ad ind.; G. Constant, La légation du cardinal Morone près l'empereur et le concile de Trente, Paris 1922, ad ind.; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1924; VIII, ibid. 1924, ad indices; Il primo processo per s. Filippo Neri, I, a cura di G. Incisa della Rocchetta - N. Vian, Città del Vaticano 1957, ad ind.; N. Del Re, Monsignor governatore di Roma, Roma 1972, p. 87; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, IV, 1, Brescia 1979; 2, ibid. 1981, ad indices; A. Gardi, Lo Stato in provincia, Bologna 1994, p. 48; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, p. 710; Id., Senatus divinus. Verborgene Strukturen im Kardinalskollegium der frühen Neuzeit (1500-1800), Frankfurt a.M. 1996, ad ind.; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 48, 266; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, coll. 1210 s. (U. Mazzone).