ERBA, Carlo
Nacque a Vigevano (odierna prov. di Pavia) il 17 ott. 1811 da Francesco Antonio e da Caterina Brasca, primo di cinque figli maschi. Il padre, speziale, gestiva a Milano una farmacia in vicolo Calusca 2, di fronte alla chiesa di S. Eustorgio. L'E. studiò a Milano, ben presto interessato all'arte farmaceutica. Non volle tuttavia compiere nella farmacia del padre quel praticantato che la legge austriaca prevedeva come propedeutico al biennio di studi per il diploma: svolse il periodo di pratica a Vigevano nella farmacia dell'anziano dottor Gramatico.
Nei primi decenni dell'Ottocento la farmaceutica fu interessata da un radicale processo di trasformazione, che la emancipò dall'alchimia, dal semplicismo e dalla superstizione che ancora alla fine del Settecento la caratterizzavano. I progressi delle altre scienze, tra cui fondamentale la chimica, e più in generale la diffusione di un nuovo clima culturale e scientifico creavano i presupposti perché la pratica farmaceutica si consolidasse su basi scientifiche, anche in funzione del rapporto che essa andava sviluppando con il processo di industrializzazione in atto.
Il 13 sett. 1834 l'E. si diplomò farmacista, presso la facoltà medico-chirurgico-farmaceutica dell'università di Pavia. Qui cominciò subito a lavorare nella farmacia Bonifico a 120 lire mensili. Nel 1837 tornò a Milano e assunse la direzione dell'antica farmacia di Brera, in via Fiori Oscuri, situata proprio nell'omonimo palazzo. Famosa spezieria, esistente fin dal Trecento, era stata gestita prima dall'Ordine degli umiliati, poi dai gesuiti, quindi era passata in mani secolari. Sotto la direzione di Andrea Castoldi aveva conosciuto una fase di sviluppo e di floridezza; quando però l'E. ne assunse la guida, attraversava un momento di crisi e di decadenza.
Lo stesso E., in un diario (Cronistoria della ditta, Ms. autografo, in Archivio storico della Farmitalia Carlo Erba a Milano) in cui annotò le tappe fondamentali della carriera, indica tra i motivi di debolezza dell'attività farmaceutica in Italia la mancanza di moderni laboratori di ricerca, lo scarso collegamento con i progressi di quegli anni nei settori chimico e delle scienze mediche, particolarmente in Francia e in Germania, la lentezza con cui le nuove teorie si applicavano alla produzione e il conseguente ritardo nella commercializzazione dei nuovi preparati chimico-farmaceutici. L'E. si impegnò nel lavoro di laboratorio e nell'attività di ricerca, passaggi indispensabili per sviluppare anche in Italia un settore farmaceutico moderno indirizzato verso la produzione su vasta scala e soprattutto in grado di ridurre la dipendenza dall'importazione di prodotti esteri.
Tra i primi preparati del piccolo laboratorio annesso alla farmacia, l'E. ricorda il calomelano sublimato a vapore, alcuni sali di ferro, alcuni cianuri e l'acido cianidrico. Fin da questa fase la produzione e la commercializzazione di prodotti chimico-farmaceutici per uso industriale o privato furono sostenute da uno spiccato interesse per la ricerca applicata, che gli sembrava la base più idonea per una solida attività imprenditoriale. Tra il 1837 e il 1839 completò gli studi e gli esperimenti per la preparazione dei sali di bismuto e di chinina, degli ioduri e dell'acido valerianico. Intorno al 1840 cominciò a interessarsi ad un prodotto in voga tra la buona società milanese e particolarmente tra gli stranieri residenti o di passaggio: si trattava della magnesia calcinata pesante, un lassativo conosciuto col nome di Magnesia Henry. Provvide a importarlo dall'estero per far fronte alla richiesta, e contemporaneamente si impegnò a prepararlo nel suo laboratorio: posto in vendita col nome di Magnesia uso Henry, incontrò un enorme successo commerciale.
Si dedicò, quindi, alla preparazione delle capsule gelatinose, un nuovo sistema di somministrazione dei farmaci che si stava diffondendo soprattutto in Francia e di cui intuiva le grandi potenzialità per la versatilità del loro impiego. La ricerca fu impegnativa e per lungo tempo priva di risultati incoraggianti. Solo dal 1843 il suo laboratorio fornì le capsule gelatinose; costosissime, per ammissione dell'E., eppure sempre più richieste. Negli anni successivi si sforzò di migliorare la preparazione della Magnesia uso Henry e delle capsule gelatinose, ma si dedicò anche a studi per sostituire il decotto di tamarindo, diffuso in Lombardia, con una bevanda di più facile preparazione, più stabile dal punto di vista chimico e dal gusto più gradevole. Dopo alcuni anni di tentativi, nel 1848 presentò l'Estratto di tamarindo, che incontrò la stessa fortuna commerciale della magnesia.
Tra il '49 e il '51 la farmacia conobbe un forte incremento delle vendite, e contemporaneamente aumentarono le richieste di preparati da parte di altre farmacie italiane. La crescente domanda impose all'E. di dotarsi di un laboratorio più ampio e moderno, provvisto delle attrezzature più aggiornate e idonee a fornire una produzione di serie. Aprì un piccolo laboratorio accanto alla farmacia di Brera e vi installò un generatore di vapore da 5 Hp, una motrice, due grandi spostamenti (apparecchi per ottenere precipitazioni) a doppio fondo e altri tipi di strumenti. L'uso delle macchine per l'evaporazione nel vuoto gli creò qualche difficoltà, ma nel giro di pochi anni la severa pratica di laboratorio e la tradizionale tenacia gli consentirono la piena padronanza nell'uso delle apparecchiature più sofisticate. Nel nuovo laboratorio lavoravano 4 operai. La sua affermazione economica si accompagnò all'ascesa sociale, facilitata dai contatti inerenti alla professione (molti medici facevano parte di organismi amministrativi e politici) e dalla fortunata localizzazione della sua attività in un quartiere abitato dalla nobiltà e dalla buona borghesia.
Le vicende risorgimentali non segnalano la sua presenza, né a queste si fa riferimento nei citati suoi appunti, fatta eccezione per un breve accenno, a proposito del 1859, a un generale clima di fiducia da parte degli operatori economici, clima che si sarebbe instaurato a seguito dei "gloriosi avvenimenti di quell'anno". L'E. riferisce di aver maturato la decisione di passare alla produzione su scala industriale proprio nel 1859.
Nella primavera del 1860 acquistò l'area Medici (compresa tra via Moscova, via Solferino e via Marsala), per costruirvi uno stabilimento che entrò in funzione nel 1864. La nuova struttura fu dotata delle apparecchiature più moderne e più adeguate a soddisfare la domanda di prodotti chimico-farmaceutici che le nuove esigenze del costume borghese e del processo di industrializzazione andavano rendendo sempre più diversificata e quantitativamente più consistente. Nel 1862 si costituì la ditta Erba.
Presso l'Archivio notarile di Milano mancano sia l'atto di acquisto del terreno sia l'atto di costituzione della ditta; pertanto non è possibile fornire i dettagli delle due operazioni (estensione e prezzo del terreno, capitale sociale della ditta, ecc.). La fabbrica fu dotata, tra l'altro, di una caldaia da 25 Hp e di una motrice Farcot, che forniva l'energia necessaria al funzionamento di 4 apparecchi di vaporizzazione nel vuoto. Il catalogo dei prodotti si arricchì rapidamente: accanto agli estratti acquosi, alcolici e idroalcolici apparvero le chine, i rabarbari, le gialappe, la salsapariglia, la liquirizia, il cremortartaro, le gomme arabiche e lo zucchero. Prima del 1880 il listino dei prodotti Erba arrivò a comprendere 1736 voci. La commercializzazione della produzione incontrò un buon successo anche all'estero particolarmente nei paesi extraeuropei (Oriente e Americhe), dove non erano d'impaccio le produzioni delle più solide industrie farmaceutiche tedesca e francese. Non risulta che per l'impianto della nuova attività l'E. sia ricorso a soci finanziatori o a forme di indebitamento al di là del credito corrente, che l'apparato bancario e finanziario milanese certo non dovette negargli, considerata la solida fortuna commerciale della farmacia di Brera e i promettenti sviluppi del settore.
Negli anni '70 si ebbe il definitivo consolidamento della sua attività imprenditoriale. Già nel primo decennio postunitario egli aveva dimostrato una spiccata propensione ad occuparsi degli aspetti amministrativi dello sviluppo economico di Milano. Negli anni '60 lo troviamo tra i membri della Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri, diretta dai principali esponenti del ceto imprenditoriale milanese e nata nel 1838 con lo scopo specifico di preparare e qualificare la manodopera necessaria alla crescente industria. Compare inoltre come socio in un paio di circoli elettorali patrocinati dal giornale La Perseveranza, di noto orientamento conservatore. Nello stesso periodo il suo nome figura tra i soci della Camera di commercio di Milano e tra gli azionisti della Banca industriale di Milano. Nel 1867 fu tra i soci promotori dell'Associazione industriale italiana, fondata quello stesso anno nel capoluogo lombardo per iniziativa di alcuni tra gli esponenti più prestigiosi dell'imprenditoria e dell'aristocrazia milanese. Per un periodo che non siamo stati in grado precisare, ma con buona approssimazione sul finire degli anni '70, fu consigliere comunale.
In quegli anni Milano stava registrando un rapido sviluppo demografico e una notevole crescita del tessuto economico. All'interno di questo processo - in cui giocavano un ruolo importante la nuova struttura del credito, la congiuntura interna e internazionale, le novità tecniche, le scelte di politica economica del governo - la città si qualificava sempre più come centro di attività industriale, come polo commerciale e finanziario d'importanza nazionale ed europea, e come area interessata da una rapida diffusione della cultura scientifica e tecnologica. L'Assemblea municipale milanese vide in questo periodo tra i suoi membri numerosi esponenti della borghesia imprenditoriale che intendevano in tal modo partecipare alle scelte di fondo che avrebbero fissato gli indirizzi dello sviluppo urbano in materia di industrializzazione, credito, servizi, sviluppo edilizio ecc.
Il 25 sett. 1872 l'E. fu ascoltato dal Comitato d'inchiesta sulla situazione dell'industria in Italia, promosso dal governo nel 1870 per conoscere le caratteristiche quantitative e qualitative delle attività industriali e individuare le esigenze e gli orientamenti degli operatori economici in tema di politica economica, dazi protettivi, liberalizzazione degli scambi, costi, trasporti e quanto altro costituiva l'oggetto di vivaci polemiche tra imprenditori e tra questi e la classe di governo. In questa occasione l'E. sottolineò il carattere di novità della sua produzione e i buoni margini di profitto che l'attività comportava. Lamentò le difficoltà create al settore industriale dalla politica doganale adottata dal governo, che gravava di dazi le materie prime importate dall'estero. A suo giudizio questi "portavano incagli e null'altro" giacché molte delle materie prime gravate dovevano comunque essere importate in quanto l'Italia non ne disponeva (dunque non si potevano motivare i dazi con l'esigenza di proteggere materie prime nazionali che non esistevano). Sottolineò, come molti altri industriali, la carenza di personale tecnico esperto, che era necessario procurarsi all'estero, il che comportava per l'imprenditore un costo molto elevato. L'esigenza di disporre di quadri tecnici locali preparati veniva motivata anche con la precisa volontà di scongiurare il rischio che i tecnici stranieri si trasformassero prima o poi in imprenditori, intralciando lo sviluppo di un'industria autenticamente "nazionale". Era necessario, inoltre, ridurre la dipendenza dai prodotti esteri, sforzandosi di produrre all'interno quanto ancora si importava dagli altri paesi. In proposito egli fece ampi riferimenti alla propria esperienza e in particolare allo sforzo di emancipare il settore farmaceutico dalla dipendenza dai prodotti francesi, inglesi e tedeschi. Anche se molto restava da fare in tale direzione, l'E. riferì al Comitato che significativamente una piccola parte della sua produzione era esportata anche in Francia, Germania e Inghilterra, ossia in quei paesi dove l'industria farmaceutica era più solida e scientificamente più prestigiosa. La maggior parte della produzione, tuttavia, era esportata in Sudamerica, Egitto, Asia Minore, Costantinopoli e Smirne. L'E. non risparmiò un aperto atto d'accusa alla Francia che, nonostante il trattato di commercio con l'Italia, a suo giudizio boicottava con pretese motivazioni di carattere sanitario l'importazione delle sue specialità farmaceutiche, evidentemente dietro sollecitazione degli industriali francesi del settore. Dalle parole dell'E. emerse la sua convinzione che la classe politica italiana era culturalmente impreparata a gestire i problemi posti dallo sviluppo industriale e mancava dell'autorevolezza e del prestigio necessari a trattare a vantaggio dell'Italia con i governanti di altri paesi. La rilevata mancanza di volontà politica a proposito della vitale questione della revisione delle tariffe doganali e dei trattati di commercio e la pesantezza della burocrazia a livello centrale venivano segnalati dall'E. come onerosi impacci alla "nascente industria" e come dimostrazione dell'inesistente cultura industriale dei governanti.Le cronache economiche milanesi della fine degli anni '70 e dei primi anni '80 segnalano la presenza dell'E. nella Filatura dei cascami di seta, nella Società elettrica Edison (tra i fondatori), nella Fabbrica di munizioni Barthe, nella Società Ricordi. Sul piano della vita sociale va segnalato che egli frequentò i circoli e i salotti milanesi con parsimonia, concedendosi rari momenti di svago e sporadiche esperienze di viaggio. Fu tra i fondatori della Società milanese di esplorazione commerciale in Africa e nel 1879 finanziò la spedizione geografico-commerciale di P. Matteucci in Abissinia. Finanziò anche le ricerche dello psichiatra C. Lombroso sulle origini e le cause della pellagra, collaborando anche dal punto di vista tecnico agli studi di quello.
Il 31 dic. 1878, dopo 41 anni di attività, lasciò la farmacia di Brera. L'anno successivo rilevò da Carlo Vismara la farmacia situata in piazza Duomo 21, che ampliò e che tuttora esiste. Nel 1886 fece una donazione di lire 400.000 al politecnico di Milano perché provvedesse alla fondazione di una scuola di elettrotecnica che porta il suo nome.
Non sposato e senza figli, lasciò l'azienda al fratello più giovane, Luigi, affermato pianista, sposato con Anna Brivio, di una famiglia di setaioli. Morì a Milano il 6 apr. 1888.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. della Camera di commercio, Procedimenti verbali, anni 1840 e ss.; ibid., Arch. notarile, Testamento olografo di C E., 7 apr. 1888, notaio Nicola Zerbi; Prodotti medicinali ed igienici Carlo Erba, in Annali dell'industria e degli industriali di Milano, Milano 1862; Industrie nazionali: la Carlo Erba, in Il Sole, 12 apr. 1871; La Carlo Erba, Milano 1964; B. Caloro, Pionieri dell'industria italiana, Milano 1968, pp. 105-113; F. Vergani, Nonni e nipoti. Storia degli industriali italiani, Milano 1972.
Per un quadro dello sviluppo dell'industria chimica e in particolare farmaceutica alla metà dell'Ottocento si vedano G. Koerner, L'industria chimica in Italia nel cinquantennio 1861-1910, in Cinquant'anni di vita italiana 1860-1910, Milano 1911; C. Pedrazzini, La farmacia nella storia politica d'Italia, Pavia 1942. Riferimenti all'attività commerciale e imprenditoriale dell'E. sono negli studi di carattere generale sul processo d'industrializzazione in Italia e in quelli sullo sviluppo dell'economia lombarda dalla Restaurazione in poi. Se ne segnalano alcuni: G. Frattini, Storia e statistica dell'industria manifatturiera in Lombardia, Milano 1856; R. Ciasca, Evoluzione economica della Lombardia dagli inizi del secolo XIX al 1860, Milano 1923; R. Tremelloni, Storia dell'industria italiana contemporanea, Torino 1947; A. De Maddalena, L'industria milanese dalla Restaurazione austriaca alla vigilia dell'Unificazione nelle relazioni della Camera di commercio, in Riv. di studi e statistiche, 1957, n. 1; G. Are, Ilproblema dello sviluppo industriale nell'età della Destra, Pisa 1965; R. Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, Bologna 1967; B. Caizzi, L'economia lombarda durante la Restaurazione (1814-1859), Milano 1972; Borghesi e imprenditori a Milano dall'Unità alla prima guerra mondiale, a cura di G. Fiocca, Bari 1984; V. A. Sironi, Le officine della salute. Storia del farmaco e della sua industria in Italia... (1861-1992), Roma-Bari 1992, ad Ind.