Carlo e Nello Rosselli
Carlo e Nello Rosselli: il primo militante della politica, il secondo dedito alla ricerca storica; il primo impegnato nella lotta e il secondo nei suoi interessi storiografici. Le loro esperienze di vita furono autonome, ma al contempo intrecciate. Carlo fu un pensatore politico e un attivo antifascista, tanto da essere costretto all’esilio. Nello, che nutriva una forte passione politica, agì da esule in patria: da oppositore riconosciuto e perseguitato consegnò al proprio lavoro il compito di ricercare nel passato risorgimentale e nelle lotte del movimento operaio tra Otto e Novecento le ragioni dell’Italia del presente e della sua tragica crisi.
Carlo e Nello (vero nome Sabatino) Rosselli nascono a Roma, rispettivamente il 16 novembre 1899 e il 29 novembre 1900. Il terzo fratello, Aldo, il primogenito, nato nel 1898, morirà durante la Prima guerra mondiale. La madre, Amelia Pincherle, apparteneva a una facoltosa famiglia della borghesia ebraica veneziana ed era scrittrice di teatro e di letteratura. Il padre, Giuseppe Emanuele, proveniva anch’egli da una nota famiglia ebraica fortemente legata alle vicende del Risorgimento nazionale, amica e sostenitrice di Giuseppe Mazzini nel lungo esilio londinese. Proprio in casa del prozio, Pellegrino Rosselli, a Pisa, era morto Mazzini nel 1872.
Amelia, dopo la separazione dal marito, si trasferisce a Firenze nel 1903 con i tre figli, della cui educazione si assumerà tutta la responsabilità, trasmettendo loro il forte senso di una moralità austera, ma non per questo arida di affetto; un affetto che rimarrà saldissimo tra la madre e i figli per tutta la vita. Il profondo legame che, per parte sia di madre sia di padre, unisce la famiglia Rosselli al Risorgimento fa sì che profondo sia il sentimento di italianità che anima i tre fratelli; un sentimento che non si confonde né, da un lato, con il nazionalismo, né, dall’altro, con il sionismo, e che, in occasione del primo conflitto mondiale, viene rafforzandosi, essendo Amelia una fervida interventista. Aldo parte volontario nel giugno 1915, e come ufficiale di fanteria trova la morte in combattimento sulle Alpi Carniche nel marzo 1916. Carlo viene chiamato alle armi nel giugno 1917, svolge il servizio militare come ufficiale nell’artiglieria alpina e viene congedato nel febbraio 1920. Nello, pur non partecipando al conflitto, dall’aprile 1918 svolge il servizio militare e si congeda nel novembre 1919 con il grado di sottotenente.
Per Carlo e Nello, tornati a Firenze, risulta fondamentale l’incontro con Gaetano Salvemini. Per Carlo, che nelle trincee ha scoperto l’Italia proletaria e che si laurea dapprima, nel 1921, in scienze politiche a Firenze e quindi, nel 1923, in legge a Siena, riveste grande importanza anche l’incontro con Alessandro Levi, filosofo politicamente turatiano, tramite il quale scopre il socialismo. Nello, tornato agli studi, nel 1919 si lega di un affetto filiale a Salvemini, confidandogli la propria scelta di dedicarsi alla ricerca storica; nella primavera del 1920 questi gli affida una tesi sull’ultimo periodo della vita di Mazzini, che gli fa stendere per ben tre volte prima di consentirgli di laurearsi, nel marzo 1923, in filosofia e filologia. Nel novembre di quello stesso anno Carlo inizia a insegnare presso l’Università Bocconi di Milano quale assistente nel corso di economia politica di Luigi Einaudi; nel 1924, grazie all’appoggio di Attilio Cabiati, diviene docente incaricato di istituzioni di economia politica presso la facoltà di Economia di Genova.
Nel 1926 Carlo sposerà l’inglese Marion Cave, dalla quale avrà tre figli (tra cui la nota poetessa Amelia Rosselli); nello stesso anno Nello sposerà Maria Todesco, dalla quale avrà quattro figli.
Entrambi – e con loro Piero Calamandrei – fanno parte sin dalla fondazione del gruppo che, dal 1920, riunito intorno a Salvemini, costituisce il primo nucleo organizzato dell’antifascismo italiano. Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924), Carlo aderisce al Partito socialista unitario (PSU), mentre anche l’impegno politico di Nello si intensifica, e nel novembre 1924 a Livorno, dalla tribuna del quarto Congresso giovanile ebraico, egli lancia un messaggio di lotta e di mobilitazione.
Frattanto, dal 1919 a Firenze agisce un fascismo squadristico particolarmente violento e senza scrupoli, che ricorre anche all’assassinio politico; per gli antifascisti non è facile, ed è molto rischioso, trovare le forme per opporvisi. Al fianco di Salvemini, vero leader dell’antifascismo fiorentino in quegli anni difficili, Nello è particolarmente attivo, a partire dal 1920, nel raccogliere intorno allo storico pugliese coloro che desiderano discutere liberamente di argomenti politici, sociali, economici e culturali. Si tratta di un impegno che riscuote un grande consenso, tanto che, nel febbraio 1923, si decide di fondare un Circolo di cultura che inizia la propria attività due mesi dopo.
A Firenze, ove si fronteggiano gli squadristi più violenti e antifascisti di grande coraggio, nel giugno 1924 gli interventisti democratici danno vita all’associazione clandestina Italia libera, cui partecipa anche Nello, con un’attività rilevante. Oltre a Calamandrei, vanno ricordati quali membri del gruppo salveminiano Ernesto Rossi, Nello Traquandi e Nello Niccoli, poi tutti aderenti al Partito d’azione; gli ultimi due saranno attivissimi nella cospirazione e nella lotta armata (Niccoli, per es., sarà il comandante del Corpo volontari della libertà della Toscana).
Il fascismo, dopo aver superato la crisi provocata dall’assassinio di Matteotti, si appresta a dare l’assalto definitivo al moribondo Stato liberal-sabaudo e intensifica la propria azione aggressiva contro gli oppositori del regime. A Firenze l’offensiva è particolarmente violenta: il 31 dicembre 1924 gli squadristi assaltano le sedi del quotidiano liberal-democratico «Il nuovo giornale» e del Circolo di cultura; quest’ultimo viene sciolto il 5 gennaio 1925.
Carlo e Nello sono tra coloro che con più calore sostengono la necessità, vista la situazione, di passare alle vie illegali, un’idea che trova concordi Traquandi, Ernesto Rossi e altri; così, nel gennaio 1925 vede la luce «Non mollare», giornale clandestino e primo foglio dell’antifascismo italiano. Il giornale uscirà fino a ottobre, ma Nello non ne potrà seguire ogni numero poiché Salvemini in marzo lo invia a Berlino per un periodo di studio. Ed è in Germania che Nello apprende dell’arresto di Salvemini, avvenuto l’8 giugno, e del processo cui è sottoposto, nonché dell’irruzione squadristica nella propria casa, che viene devastata perché i Rosselli – cui i fascisti danno la caccia – sono accusati di aver ospitato Salvemini. Così Nello decide di prolungare la permanenza a Berlino e torna a Firenze solo in agosto, quando la situazione è ormai più tranquilla.
La calma, tuttavia, dura poco. Infatti, quando «Non mollare», il 20 settembre, pubblica una lettera a Benito Mussolini di Cesare Rossi, già suo capoufficio stampa, in cui questi minaccia di renderne note le responsabilità dirette nella promozione di azioni illegali e squadristiche contro gli oppositori del regime, a Firenze la violenza fascista dilaga con inaudita forza nella notte tra il 3 e 4 ottobre. Vengono uccisi tre esponenti di primo piano dell’opposizione, Gaetano Pilati, ex deputato socialista e invalido di guerra, Gustavo Console, consigliere provinciale socialista e corrispondente locale dell’«Avanti!», e Giulio Becciolini, militante del Partito repubblicano; vengono devastate molte abitazioni di antifascisti e diverse sedi massoniche, e anche l’associazione Italia libera è costretta a smobilitare. La casa dei Rosselli è oggetto di colpi di arma da fuoco, ma Nello, avvisato della rappresaglia, sin dal giorno prima aveva lasciato la città, trovando rifugio presso amici fuori Firenze. Nello e Carlo sono ormai nel mirino dei fascisti: sospeso «Non mollare» il 5 ottobre, Carlo lascia Firenze e si reca prima a Milano e poi a Genova; nel viaggio incontra Piero Gobetti – che nel 1923 ha fondato «La rivoluzione liberale» – e Max Ascoli.
Dal marzo all’ottobre 1926 Pietro Nenni e Carlo danno vita alla rivista «Il Quarto Stato». Sono gli ultimi mesi della residua, e ormai formale, libertà italiana, caratterizzati dal tentativo di creare un fronte unitario delle forze laiche, repubblicane e socialiste e, quindi, di organizzare l’opposizione unita della democrazia alla dittatura. Anche Nello prende parte all’iniziativa, soprattutto con recensioni. Risale però a questo periodo un articolo da lui scritto per il mensile repubblicano «Critica politica», diretto da Oliviero Zuccarini, e particolarmente indicativo dei suoi interessi storiografici, dal titolo I repubblicani e i socialisti in Italia (dal 1860 ad oggi) (25 luglio e 25 ottobre 1926).
Nel dicembre 1926 Carlo organizza, insieme a Ferruccio Parri, Sandro Pertini, Riccardo Bauer e Umberto Ceva, l’espatrio di Filippo Turati; di conseguenza viene condannato a dieci mesi di carcere, e nel settembre 1927 a cinque anni di confino nell’isola di Lipari, dove viene trasferito in dicembre. Nel luglio 1929 fugge da Lipari insieme a Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, e giunge a Parigi, dove fonda il periodico «Giustizia e libertà».
Nello, aderente all’Unione nazionale di Giovanni Amendola, il 1° giugno 1927 viene arrestato a Firenze; dopo due giorni di permanenza nelle carceri fiorentine delle Murate viene condannato a cinque anni di confino a Ustica, ove aveva chiesto di andare nella speranza di ritrovare il fratello (che vi era stato appena trasferito). Tornato in libertà nel febbraio 1928, dietro la garanzia di Gioacchino Volpe e Paolo Boselli che si occuperà solo di storia, non abbandona l’attività cospirativa e, messo sotto sorveglianza, nel luglio 1929 viene nuovamente arrestato e mandato in carcere a Frosinone, quindi al confino a Ustica e poi a Ponza; in novembre viene rilasciato.
Negli anni Trenta i due fratelli, nonostante l’esilio di Carlo, mantengono sempre contatti stretti. Hanno temperamenti diversi: Carlo assume l’impegno di teorico del socialismo unendolo a quello di militante rivoluzionario come scopo della propria vita, divenendo uno dei leader dell’antifascismo europeo; Nello si dedica agli studi storici, ma non per questo diserta la prima linea nella battaglia per recuperare la libertà perduta. Viaggiando in Italia e all’estero per ragioni di studio incontra di frequente Carlo. Questi, tramite il giornale «Giustizia e libertà», cerca di superare i contrasti tra i vecchi partiti battuti dal fascismo e di costruire un piano di lotta comune e rivoluzionario contro il regime. Nel 1930 pubblica in francese il saggio Socialisme libéral, scritto a Lipari nel 1927-28, e nel 1932 fonda i «Quaderni di Giustizia e libertà».
Allo scoppio della guerra di Spagna, nel luglio 1936, Carlo è tra i primi, alla testa di una colonna di volontari di cui fa parte anche Aldo Garosci, a recarsi a Barcellona per mettersi al servizio della Repubblica attaccata dai franchisti. Ottiene così risultati militari che hanno risonanza internazionale: la Spagna lo consacra come uno dei leader dell’antifascismo europeo, colui che Mussolini veramente teme. Rientrato in Francia nel marzo 1937 per curarsi i postumi di una flebite, si reca in Normandia, dove lo raggiunge Nello, riuscito a ottenere il passaporto che gli era stato bloccato; quando glielo riconsegnano, la sentenza è già stata emessa e il piano per eliminare i Rosselli già messo a punto. Viene portato a termine il 9 giugno 1937 dall’organizzazione di estrema destra francese Comité secret d’action révolutionnaire (meglio nota come Cagoule), su commissione del regime fascista italiano: i due fratelli sono assassinati a pugnalate a Bagnoles-de-l’Orne.
Accomunati dal motto di Giustizia e libertà, «insorgere per risorgere», così carico di sapore risorgimentale, Carlo e Nello Rosselli non sono stati solo due combattenti caduti nella lotta per la libertà del loro Paese. È riduttivo, infatti, ridurli al ruolo, seppure nobilissimo, di martiri: essi continuano a rappresentare l’ideale di un’Italia civile, giusta socialmente, democratica e moralmente consapevole. Secondo le parole che Calamandrei volle incise sulla lapide posta sulla loro casa fiorentina, richiamando proprio Giustizia e libertà: «Per questo vissero, per questo morirono».
A Carlo Rosselli, oppositore del fascismo fin dal suo sorgere e partecipe diretto delle vicende che precedettero l’affermazione totalitaria del regime, la cultura politica italiana deve il più originale tentativo storico-dottrinario di innovazione dell’idea e dell’ideologia del socialismo. Durante il confino di Lipari, infatti, riprendendo il filo di una riflessione peraltro già anticipata nel lavoro giornalistico, egli scrive il citato Socialisme libéral, un saggio teorico nel quale si propone di costruire su basi libertarie un socialismo di impronta democratica alternativo a quello di origine marxista, soprattutto nella versione positivistica e deterministica che si era affermata con la Seconda Internazionale.
Socialismo e democrazia sono nel pensiero di Carlo due concetti strettamente connessi, che si ridefiniscono in funzioni politiche autonome in grado di rendere possibile la loro compatibilità. Il liberalismo, inteso come dottrina delle libertà di uomini liberi, coniuga i due termini in quanto permea sia l’uno sia l’altro di una consapevolezza morale fondata proprio sul valore della libertà riguardante individui, gruppi e istituzioni. La dimensione etica che permea il socialismo rosselliano si fonda, infatti, sul riconoscimento della libertà, che solo un meccanismo democratico può salvaguardare. Tale meccanismo ha il suo fondamento nelle istituzioni, non solo in quelle che nascono dalla rappresentanza, ma anche in quelle che nascono dall’autorganizzazione dei cittadini, come i partiti e i sindacati. Il pensiero rosselliano si fonda su una concezione pluralistica dello Stato e della società; tale concezione, sul piano della teoria politica, conferisce alle istituzioni della democrazia un valore primario e, tuttavia, non statico, in quanto esse sono il risultato concreto dell’etica degli individui e, quindi, di ciò che il volontarismo degli individui mette in atto tramite la lotta politica.
Carlo è convinto fin dal 1924 che il liberalismo deve interpretarsi in una dimensione dinamica, come «continuo divenire, in via di perpetuo rinnovamento e di perenne superamento delle posizioni già acquisite» (Liberalismo socialista, «La rivoluzione liberale», 15 luglio 1924, p. 114).
Il saggio Socialisme libéral rappresenta, da una parte, una critica storico-politica al socialismo italiano che, irretito in un marxismo dalle attese messianiche, non ha compreso il valore della democrazia annullandosi nel determinismo economico, e, dall’altra, una vera e propria riformulazione dell’ideologia socialista fondata sul trinomio liberalismo-democrazia-giustizia sociale. Il socialismo, quindi, in quanto giustizia sociale è l’espressione di un’idea concreta della libertà e delle sue estrinsecazioni; esso non persegue un’indistinta eguaglianza, ma è frutto delle successive modificazioni che le lotte del movimento operaio mettono in campo contro gli assetti del capitalismo.
Per Carlo il socialismo non è un sistema, come lo rappresenta Karl Marx – il cui pensiero egli ha studiato a fondo –, ma un percorso continuo di conquiste civili, economiche e politiche, secondo la lezione di Eduard Bernstein, tali da segnare l’avanzamento delle classi proletarie riscattandole dalle ataviche condizioni di inferiorità e di oggetto di sfruttamento e profitto.
Il saggio sarà bersaglio di dure critiche da parte sia dei socialisti, in particolare di Giuseppe Saragat, sia dei comunisti, in particolare di Palmiro Togliatti. La polemica dei comunisti sarà costante e durerà fin dopo la Liberazione, poiché l’uscita dall’ortodossia marxista effettuata da Carlo lo ha fatto definire da Togliatti «un fascista dissidente» (La Concentrazione è morta! Viva il fronte unico!, «Vita operaia», 26 maggio 1934), nella convinzione che egli neghi l’attualità della lotta di classe. In realtà, Carlo valuta la storia nei suoi molti fattori determinati da ragioni oggettive e da specifiche volontà; la democrazia registra il risultato politico delle volontà che sono dentro la storia e la muovono, ma, con i suoi istituti, permette alle forze che vogliono emanciparsi di potersi organizzare per impostare la propria battaglia e conquistare i traguardi prefissi. La democrazia, quindi, non può essere estranea al movimento operaio e alle sue organizzazioni politiche, una volta che si creda alla storia non come al risultato di un canone scientifico bensì come a un insieme di sintesi relative: un moto continuo prodotto dalla volontà umana.
Nel riflettere criticamente sulla sconfitta della democrazia liberale e sulle insufficienze del socialismo italiano, e dimostrando quanto sia feconda in lui la lezione di Gobetti, Carlo scrive:
Il problema italiano è essenzialmente un problema di libertà; senza uomini liberi, nessuna possibilità di Stato libero. Senza coscienze emancipate, nessuna possibilità di emancipazione delle classi. Il circolo non è vizioso. La libertà comincia con l’educazione dell’uomo e si conclude con il trionfo di uno Stato in cui la libertà di ciascuno è condizione e limite alla libertà di tutti (Socialisme libéral, cit., trad. it. 1973, p. 456).
Nella dissociazione tra marxismo e socialismo, Carlo assegna a quest’ultimo un obiettivo ben diverso da quello tradizionale: infatti il socialismo, prima che profondo cambiamento materiale, è «in primo luogo rivoluzione morale» (p. 486).
Il socialismo liberale non ebbe mai, eccetto significative minoranze – si pensi all’azionismo socialista che si sviluppò in Toscana grazie a Tristano Codignola (1913-1981) –, il ruolo che gli sarebbe dovuto spettare nella complessa vicenda del socialismo italiano. A esso, invero, non si ispirò in toto nemmeno Giustizia e libertà, che volle essere un movimento di interventismo rivoluzionario contro il fascismo, assai attivo nella cospirazione e nella lotta politica e armata in Italia e nel quale, per volontà del suo fondatore, si trovarono uniti dall’antifascismo e dalla volontà di rinnovare la politica italiana socialisti, repubblicani, anarchici, liberali e cattolici democratici. A causa di questo carattere di novità e di rottura, i rapporti di Giustizia e libertà con le altre forze dell’antifascismo raccolte nella Concentrazione antifascista furono tutt’altro che facili, per la riluttanza di quest’ultima a mettere in piedi una piattaforma interventistica capace di «condurre la lotta rivoluzionaria» (Proposta di unificazione inviata da Giustizia e libertà alla direzione dei partiti e gruppi concentrazionisti nell’aprile 1934, «Quaderni di Giustizia e libertà», 1934, 11, p. 95).
Giustizia e libertà, nella convinzione che fosse essenziale portare il più possibile lo scontro rivoluzionario in Italia, riteneva, in polemica con i comunisti, che il compito primario fosse quello di abbattere il fascismo e poi camminare con ogni forza lungo la strada della democrazia poiché, come si legge nel secondo numero dei «Quaderni di Giustizia e libertà», «noi lottiamo per mettere le classi lavoratrici italiane in grado di costruire liberamente, da sé, il proprio destino» (Dittatura e democrazia, «Quaderni di Giustizia e libertà», 1932, 2, p. 23).
Nel 1933 Carlo comprende subito, a causa dell’avvento del nazismo hitleriano, che il nemico non è solo il fascismo italiano. Scrive: «Nella lotta non siamo più soli: non è più l’Italia, paese arretrato, il solo colpito» (Italia e Europa, «Quaderni di Giustizia e libertà», 1933, 7, p. 4); la battaglia per la libertà cambia di qualità per l’emergere minaccioso di un’anti-Europa rappresentata da Hitler, per cui «oggi più che mai la causa dell’antifascismo, si confonde con la causa della civiltà e dell’Europa. […] tutto il resto viene in seconda linea» (p. 7).
Nella guerra di Spagna Carlo vede lo scontro tra queste due Europe: famose e significative le parole che lancia da Radio Barcellona il 13 ottobre 1936: «Oggi in Spagna domani in Italia».
Lo scontro in atto, destinato a sfociare in un nuovo conflitto mondiale, richiede a suo avviso che le forze che si richiamano al movimento operaio si unifichino; ritiene che anche i comunisti, passata la stagione del ‘socialfascismo’, possano convergere su una posizione di lotta unitaria. La sua proposta in questo senso è contenuta nei cinque articoli che, di ritorno dalla Spagna, tra il marzo e il maggio del 1937, pubblica sul giornale «Giustizia e libertà» sotto il titolo generale Per l’unificazione politica del proletariato italiano: in essi il movimento di Giustizia e libertà viene indicato come l’elemento propulsore di tale processo, ossia, in altri termini, come il fattore centrale, una volta terminata la lotta contro il fascismo, della riunificazione della sinistra italiana sulla base dei principi del socialismo liberale.
Per Nello Rosselli lo studio della storia è un’esigenza positiva per comprendere la situazione italiana. Con lui prende avvio un filone storiografico rilevante, che troverà la propria specificità nell’analisi dei partiti e dei movimenti politici. Se il citato articolo del 1926, Repubblicani e socialisti in Italia dal 1860 ad oggi, già indica il senso della sua ricerca, vale a dire il tema della democrazia nell’ambito di un’ampia parte della sinistra – socialisti, anarchici, repubblicani –, il vero e proprio esordio come storico avviene l’anno seguente con la pubblicazione del volume Mazzini e Bakounine (rielaborazione della sua tesi di laurea), che segna una rilevante novità nella storiografia italiana sul socialismo. In esso, infatti, egli affronta il problema delle radici del movimento operaio italiano, testimoniando la sua caratura di storico dalla solida impostazione critica. Prima dell’opera di Nello non erano mancati studi sulla tematica, ma egli ha il merito di impostare scientificamente la questione. Così Salvemini inquadra il suo lavoro di storico, di cui il libro testimonia la maturità:
Egli si trova già tutto con le sue qualità definitivamente maturate nel suo libro Mazzini e Bakunin: diligenza meticolosa nelle ricerche, coscienza di quanto il processo storico sia complesso e sfuggevole, serenità e umanità nei giudizi, ordine e lucidità nella forma. Specialmente i capitoli sulle condizioni delle classi lavoratrici italiane nel primo decennio dell’Italia unita e quelli dell’ambiente sociale nel 1868 e sulla rivolta contro il macinato sono modelli di metodo e di buon senso, e danno conclusioni che oserei dire definitive, anche se nuovi particolari potranno essere aggiunti al quadro (prefazione a N. Rosselli, Saggi sul Risorgimento, 1946, 1980, p. XLIII).
Rilevante, storiograficamente, è la riflessione che Nello svolge sull’ultimo periodo della vita di Mazzini, tracciandone un profilo nuovo rispetto a quello del rivoluzionario sconfitto dall’esito sabaudo del Risorgimento nazionale. Egli mette in rilievo come Mazzini non sia al margine della storia italiana, a causa della sua azione a favore delle classi popolari, future protagoniste del movimento operaio, ed evidenzia, come rileva Giuseppe Galasso (1974),
la collaborazione di prim’ordine data alla costituzione della Prima Internazionale; la polemica con Marx culminata nell’opposto giudizio dato sulla Comune parigina; una fitta attività di lotta sociale in molte parti d’Italia; la separazione dall’Internazionale e la rabbiosa polemica con Bakunin (p. 122).
Ricostruendo il pensiero politico di Mazzini dopo l’Unità e sottolineando il profilo europeo della sua azione, Nello analizza le ragioni del fallimento del suo tentativo di arrivare a una collaborazione tra ceti borghesi e operai, e delinea come lo sviluppo dell’industria, incentivando la proletarizzazione, abbia portato con sé anche la nascita e l’affermarsi di un sentimento di classe.
Nel rileggere la storia, egli è, d’altra parte, attento ai problemi politici che l’Italia vive in quel momento, per cui il libro va considerato anche sotto il profilo del messaggio politico che emerge dalle sue pagine. Nello lo scrive negli anni in cui, attraverso sia l’Unione nazionale di Amendola sia la rivista «Il Quarto Stato», si cerca di riorganizzare le forze della democrazia italiana, ed egli intuisce che la questione della democrazia si pone nei termini di una vera e propria ideologia di massa, in grado come tale di non separare i ceti medi dalla classe operaia; di fare cioè del motivo democratico, al di là delle ragioni di ceto o di classe, il perno su cui organizzare un fronte sociale per salvaguardare la libertà contro la dittatura.
Questo testo gli permette, nel marzo 1927, di vincere il concorso di ammissione alla Scuola di storia moderna e contemporanea diretta da Volpe, sulla quale vigila il Comitato nazionale per la storia del Risorgimento presieduto dal senatore Boselli. Volpe, per quanto non insensibile all’idealismo e, quindi, assai distante dall’impostazione sociologico-positivistica di Salvemini, è, tuttavia, da quest’ultimo assai stimato, ed è stato proprio tramite Volpe e la frequentazione della Scuola che nel processo formativo di Nello ha trovato posto l’idealismo crociano.
Tuttavia, Nello rimane fedele alla lezione salveminiana, e ciò, in qualche modo, impedisce il contrasto con Volpe, il quale, dopo la fine della Prima guerra mondiale, imponendosi come sostenitore di una storiografia ben lontana dall’impostazione etico-politica di Benedetto Croce, è diventato alfiere di una concezione nazionalistica, ponendosi alla stregua di uno storico ufficiale del fascismo, pur non essendo alieno da un certo spirito liberale.
Rientrato alla Scuola – il periodo di permanenza è di tre anni – dopo la prima detenzione, nel 1928 Nello si vede assegnare una ricerca concernente le relazioni tra Italia e Inghilterra durante il Risorgimento. I programmi di ricerca, infatti, non sono liberi, poiché la Scuola punta a formare gli storici del regime, e il tema assegnato da Volpe a Nello mira a inquadrare il nuovo ruolo europeo dell’Italia nazionalistica. Il libro, che dimostra la solida maturità di Nello come ricercatore e come storico, uscirà postumo, nel 1954, con il titolo Inghilterra e Regno di Sardegna: dal 1815 al 1847.
In quegli anni vedono la luce opere fondamentali, quali la Storia del liberalismo europeo (1925) di Guido De Ruggiero e Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) di Croce. Entrambe sono in contrapposizione con la concezione di Giovanni Gentile, nella quale il Risorgimento è visto come una fase storica in cui si anniderebbero le radici dello spirito nazionale e, di conseguenza, del fascismo, e sono tendenti invece a rivalutare l’Italia liberale e a vedere nel Risorgimento la stagione dell’avvio della libertà italiana. Volpe, dal canto suo, ne L’Italia in cammino (1927) pone il problema dell’Italia postunitaria nel rapporto tra le masse popolari e lo Stato, ossia tra le classi lavoratrici e quelle dirigenti.
Si tratta di un tema che interessa Nello, nella convinzione che per comprendere la natura del fascismo non si possa prescindere da una revisione sia del Risorgimento sia dell’Italia liberale. Tale riflessione, divenuta più intensa nel periodo del confino, lo accompagnerà per tutta la vita, ed è evidente che non si tratta solo di una curiosità storiografica, ma di una problema di grande valenza politica. In uno scritto del 1930-31 – Studi sul Risorgimento italiano (dal 1912 in poi) (poi pubblicato in Saggi sul Risorgimento e altri scritti, 1946, pp. 303-29) – egli sostiene che, a fronte di certa letteratura postbellica che aveva manifestato «preconcetti nello studio degli uomini e delle cose del passato», è necessario fare opera di revisione nella «imminenza di prossime sintesi» (p. 306).
Il libro Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano (1932) nasce dalla necessità di studiare le correnti democratiche e socialiste risorgimentali reimpostando in una riflessione ad ampio raggio il problema complessivo del Risorgimento. A quest’opera, iniziata già nel 1925 su incarico dell’Istituto italiano per il libro del popolo – un organismo socialista chiuso dal fascismo nel 1926 – egli lavora intensamente tra il 1929 e il 1931, al ritorno dall’Inghilterra, ed essa si colloca a pieno titolo nell’ambito del riesame complessivo della vicenda risorgimentale, suo principale impegno come storico.
È da notare come in questi anni la questione del Risorgimento sia motivo di polemica non solo tra il fascismo e i suoi oppositori, ma anche tra i giellisti (gli appartenenti a Giustizia e libertà) e i comunisti. I giellisti, infatti, si rifanno apertamente alle radici politico-ideali democratiche del Risorgimento, paragonando la lotta che conducono per la libertà e un diverso assetto sociale dell’Italia alle lotte che il partito mazziniano e democratico aveva portato avanti nella stagione risorgimentale.
Il libro di Nello, quindi, va letto in questo contesto, nel quale politica e cultura, storia passata e lotte del presente si intrecciano strettamente, e va ricondotto, sotto il profilo etico-politico, al giellismo e alle spinte rivoluzionarie che lo caratterizzano anche a livello di singole iniziative. Pisacane aveva compiuto infatti un clamoroso gesto individuale, e ricordare questo dato nel 1932 ha un significato molto preciso. Tuttavia, proprio nell’introduzione al volume Nello prende le distanze da tale metodo di lotta e, con trasparente riferimento all’azione del fratello e alla lotta dei giellisti per la giustizia e la libertà, richiama la necessità della presenza delle masse per raggiungere tali fini. Le parole con cui chiude tale introduzione sono quanto mai indicative:
Giustizia vorrebbe dunque che andassimo più grati che non si soglia a quei pochi che, intesa in tempo la serietà del problema italiano, avvertirono la necessità che l’Italia s’avesse a fare col concorso se non proprio della maggioranza numerica dei suoi cittadini, delle più vaste categorie d’interessi; che si operasse in modo cioè da favorire la conversione – inevitabilmente lenta – di codesti interessi verso la soluzione auspicata, e si attendesse, per passare all’azione, la conversione compiuta. Sotto il qual punto di vista è lamentevole dunque che Pisacane chiudesse la sua vita dando un calcio solenne – anche lui! – a tali principi e metodi: ché di cittadini del suo stampo l’Italia, e nella crisi del ’59-’60 e nell’arduo periodo seguito all’unificazione aveva invero bisogno grandissimo. Il profeta suicida inconsciamente oscurava agli italiani il senso prezioso delle sue intuizioni e delle sue profezie (ed. 1977, pp. XV-XVI).
I viaggi compiuti all’estero e soprattutto le vicende tedesche creano in Nello una viva preoccupazione per la ripresa di un forte sentimento nazionalista in Europa. Ed egli, che ha mostrato interesse per le proposte del federalismo, matura l’idea di dar vita a una rivista di livello europeo quale luogo di collaborazione tra storici di diversi Paesi, anche al fine di europeizzare la storiografia italiana e studiare i fatti della storia nazionale in un’ottica europea. A tale progetto si applica a partire dal 1932, contattando Leone Ginzburg, Luigi Salvatorelli, Carlo Levi, Andrea Caffi, Luigi Einaudi, Francesco Ruffini, Salvemini e Guglielmo Ferrero. Sono soprattutto questi ultimi tre, che pure condividono il progetto, ad avanzare osservazioni in merito alle difficoltà presentate dall’iniziativa e alla necessità di darle una copertura politica, data la difficile situazione del periodo.
Risultano interessati anche Federico Chabod, Walter Maturi, Carlo Morandi, Alberto Maria Ghisalberti ed Ernesto Sestan della Scuola romana, confidando, forse, in una protezione da parte di Volpe, il quale mostra un certo interesse, pur ritenendo che gli studi internazionali appartengano all’ambito storiografico della diplomazia e non rientrino in una dimensione nazionalistica. Nel 1933, con la morte di Boselli, Volpe perde la direzione della Scuola, della quale viene nominato commissario Gentile, e così, a fronte di una stretta del regime, il progetto viene via via meno, sino a tramontare definitivamente nel febbraio del 1934.
Ritiratosi nella casa dell’Apparita, nei pressi di Firenze, Nello pensa a un volume su Mazzini uomo europeo, che ne ricostruisca la vita e il pensiero; ne parla con Ginzburg, che è magna pars della casa editrice Einaudi, ma l’arresto di questi nel giugno 1934 chiude definitivamente anche tale progetto.
Nello decide, allora, di scrivere una biografia di Giuseppe Montanelli (1813-1862), fucecchiese, presidente del Consiglio del Granducato di Toscana nel 1848-49, sostenitore di un’idea di Costituente in grado di risolvere la questione italiana organizzando la libertà e l’indipendenza del Paese sul modello federalista. In esilio per dieci anni dal 1849, Montanelli aveva partecipato con il pensiero e l’azione alle ultime battaglie per l’indipendenza e la morte lo colse nel 1862, appena eletto deputato al primo Parlamento nazionale. Considerato, ingiustamente, un minore del Risorgimento, Montanelli fu una straordinaria personalità del campo democratico, repubblicano e federalista, e il suo liberalismo radicale incontrò la realtà del nascente socialismo. Insieme ai garibaldini di Firenze fu attivo organizzatore della Fratellanza artigiana del capoluogo toscano. Il suo pensiero politico fu solido e originale, e si comprendono bene le ragioni dell’interesse di Nello, che in Montanelli vede espresse le forme concrete della libertà e della democrazia; testimonianza di un pensiero fondato sull’idea di incivilimento dell’Italia, propria anche di Carlo Cattaneo.
Su Montanelli, Nello raccoglie molti appunti e nel 1936 pubblica l’articolo Giuseppe Montanelli e il problema toscano nel 1859 («Archivio storico italiano», pp. 163-227); altri due testi verranno pubblicati postumi. Le pagine dedicate a Montanelli costituiscono il testamento, non solo storiografico, di Nello che, nello scrivere la biografia di questo pensatore e uomo politico, si propone non solo di continuare nella propria opera di revisione del Risorgimento, ma anche di testimoniare politicamente il fondamentale nesso tra libertà, democrazia e giustizia sociale, inteso anche come l’eredità più autentica del Risorgimento nazionale.
Socialisme libéral, Paris 1930 (trad. it. Roma-Firenze-Milano 1945, poi Torino 1973).
Oggi in Spagna domani in Italia, Parigi 1938, Torino 1967.
Scritti dell’esilio, a cura di C. Casucci, 2 voll., Torino 1992.
Dall’esilio. Lettere alla moglie, 1929-1937, a cura di C. Casucci, Firenze 1997.
Mazzini e Bakounine: 12 anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino 1927, nuova ed. con il titolo Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino 1967.
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Torino 1932, 1977.
Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Torino 1946, 1980.
Inghilterra e Regno di Sardegna: dal 1815 al 1847, a cura di P. Treves, Torino 1954.
Diario politico: novembre-dicembre 1929, «Il Ponte», 1967, 6, pp. 735-49.
Nello Rosselli, uno storico sotto il fascismo: lettere e scritti vari 1924-1937, a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze 1979.
G. Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, Parigi 1937, poi in Id., Scritti vari (1900-1957), a cura di A. Agosti, A. Galante Garrone, Milano 1978, pp. 723-32.
P. Calamandrei, Ricordo di Nello, «Il Ponte», 1945, 1, pp. 55-57.
A. Garosci, La vita di Carlo Rosselli, 2 voll., Roma-Firenze-Milano 1945.
A. Galante Garrone, Nello Rosselli e la storia diplomatica, «Il Ponte», 1955, 7 pp. 1036-44.
Non mollare! (1925), riproduzione fotografica dei numeri usciti, con tre saggi storici di G. Salvemini, E. Rossi, P. Calamandrei, Firenze 1955.
N. Tranfaglia, Carlo Rosselli dall’interventismo a Giustizia e Libertà, Bari 1968.
G. Galasso, Da Mazzini a Salvemini: il pensiero democratico nell’Italia moderna, Firenze 1974.
Il Quarto Stato di Nenni e Rosselli, a cura di D. Zucaro, Milano 1977.
Z. Ciuffoletti, Nello Rosselli storico e politico, in Giustizia e libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia. Attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio, Atti del Convegno internazionale, 10-12 giugno 1977, Firenze 1978, pp. 439-82.
Epistolario familiare: Carlo, Nello Rosselli e la madre, 1914-1937, a cura di Z. Ciuffoletti, Milano 1979, poi, con il titolo I Rosselli: epistolario familiare di Carlo, Nello, Amelia Rosselli, 1914-1937, Milano 1997.
G. Belardelli, Nello Rosselli: uno storico antifascista, Firenze 1982, poi, con il titolo Nello Rosselli, Soveria Mannelli 2007.
A. Rosselli, La famiglia Rosselli. Una tragedia italiana, Milano 1983.
P. Bagnoli, Carlo Rosselli tra pensiero politico e azione, con uno scritto di A. Galante Garrone, Firenze 1985.
P. Bagnoli, Carlo Rosselli: l’élite come minoranza attiva, in E.A. Albertoni, P. Bagnoli, Studi sull’elitismo, Milano 2001, pp. 121-47.
A. Colombo, I colori della libertà. Il mondo di Nello Rosselli fra storia, arte e politica, Milano 2003.
S. Visciola, Nello Rosselli alla Scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità: maestri dell’Italia civile, Atti della Giornata di studio, 2000, a cura di L. Rossi, Roma 2003, pp. 111-22.
S. Visciola, Nello Rosselli e i suoi ‘maestri’. Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in I Rosselli: eresia creativa, eredità originale, a cura di S. Visciola, G. Limone, Napoli 2005, pp. 113-39.
P. Bagnoli, Una famiglia nella lotta: Carlo, Nello, Amelia e Marion Rosselli, dalle carte dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, Firenze 2007.
S. Visciola, Nello Rosselli: uno storico alla ricerca della libertà in tempi difficili. Appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli Rosselli. L’antifascismo e l’esilio, a cura di A. Giacone, É. Vial, Roma 2011, pp. 26-42.
Aldo Garosci (Meana di Susa 1907 - Roma 2000), impegnato nel giornalismo, nella lotta politica e nel lavoro di storico, è una delle figure più significative e originali della storia politico-civile del Novecento. Antifascista fin dagli anni universitari, si laurea presso la facoltà di Giurisprudenza di Torino con Gioele Solari. Dopo la morte di Piero Gobetti (1926), collabora a «Il Baretti» e a «Voci d’officina». Esule a Parigi dal 1932, aderisce a Giustizia e libertà e partecipa con Carlo Rosselli alla guerra di Spagna, rimanendo ferito. Dopo la Francia, dal 1940 è esule negli Stati Uniti. Tornato in Italia nel 1943, partecipa alla Resistenza nelle file del Partito d’azione. Giornalista e storico, dal 1953 è docente universitario (prima di storia moderna e storia delle dottrine politiche a Roma, poi di storia del Risorgimento a Torino, infine di storia del Risorgimento e di storia moderna di nuovo a Roma).
Come storico coltiva molteplici interessi: durante l’esilio americano scrive La vita di Carlo Rosselli (che sarà pubblicata in Italia nel 1945), e alla vicenda dell’antifascismo dedica Storia dei fuorusciti (1953) e Gli intellettuali e la guerra di Spagna (1959). Studioso del Risorgimento – alla figura del mazziniano Antonio Gallenga dedica un ponderoso studio (Antonio Gallenga: avventura, politica e storia nell’Ottocento italiano, 1964) –, della Francia, del federalismo statunitense e delle libertà sanmarinesi, con i suoi lavori storiografici è espressione di una particolare necessità revisionista, intesa, però, non come meccanica rivisitazione di tesi oramai acquisite, ma come approfondimento di aspetti diversi, giuridici, sociali, economici, politici, con attenzione alla psicologia degli uomini e al ruolo delle idee. Per Garosci la revisione della storia significa, essenzialmente, avanzamento della ricerca, ossia la possibilità di compiere ulteriori percorsi lungo nuove rotte pur non disconoscendo il lavoro dei predecessori, con attenzione anche alla storiografia straniera.
Secondo un’impostazione comune a tutti gli storici di matrice azionista, Garosci sostiene che la storia può essere compresa solo se non la si limita con cesure, categorie, ambiti ristretti di conoscenza, compresi quelli accademici; essa è, sostanzialmente, intelligenza di un’evoluzione ininterrotta della quale bisogna essere consapevoli. La varietà degli interessi non è dispersione, ma urgenza etica di ampliare lo spettro della conoscenza nella convinzione concettuale che, nel fare storia, è fondamentale muoversi sempre tra continuità e unità.
Leo Weiczen (Fiume 1909-Milano 1999) – Valiani dal 1927, per l’italianizzazione imposta dalle leggi fasciste – è una delle personalità di maggiore spicco intellettuale e civile del Novecento italiano, nonché una delle coscienze morali più alte del Paese. Poliglotta – conosce ben otto lingue – è da subito oppositore del fascismo. Più volte arrestato, scontata la condanna al confino emigra in Francia nel 1936. Corrispondente di guerra in Spagna, dopo la caduta della Repubblica sconta ancora il carcere in Francia. In questo periodo, pur facendo parte del Partito comunista (che abbandonerà in occasione del patto tedesco-sovietico del 1939), grazie all’amicizia che lo lega ad Aldo Garosci e a Franco Venturi è influenzato dal movimento Giustizia e libertà. Dopo un lungo esilio nelle Americhe (1940-43), torna in Italia, dove partecipa alla Resistenza nelle file del Partito d’azione, di cui, insieme a Ferruccio Parri, è il massimo rappresentante nel Nord occupato dai tedeschi. Membro della Consulta nazionale nel 1945 e dell’Assemblea costituente nel 1946-48, nel 1980 viene nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Giornalista e storico senza cattedra – per tutta la vita fu, infatti, funzionario di banca –, Valiani, il cui lavoro più importante è il libro dedicato a La dissoluzione dell’Austria-Ungheria (1966), dedica, tra il 1945 e il 1999, molti studi alla storia del Novecento e, naturalmente, a quella dell’antifascismo e della Liberazione, con una grande e costante attenzione a quella del socialismo. Attento lettore di Kant, di Hegel, di Marx e dei pensatori dell’austromarxismo, sul piano storiografico è soprattutto a Benedetto Croce che riconosce un’influenza forte e marcata. Ha scritto a tale proposito:
I progressi delle scienze naturali ed umane dimostravano l’unilateralità della valutazione crociana della scienza. Man mano che rileggevo Croce e riflettevo sui suoi ultimi saggi, trovavo, tuttavia più attuale che mai, in un periodo di totalitarismi e di crociate ideologiche di segno opposto, la sua concezione della storia come storia intimamente spirituale, che si leva contro le requisitorie e le mode culturali, per ricongiungersi col faticoso cammino della libertà umana, dagli albori della civiltà antica ad oggi. […] Croce aveva rappresentato […] un allargamento di orizzonti. […] condivido, ma solo come un ideale cui tendere, l’identificazione crociana di filosofia e storiografia (Fra Croce e Omodeo. Storia e storiografia nella lotta per la libertà, 1984, pp. 2-3).
In Croce, quindi, Valiani trova la conferma del pensiero di Hegel per il quale, nel movimento dello Spirito, ogni filosofia è destinata a essere superata da un’altra filosofia che ne inveri le vive esigenze. In ciò, per Valiani, sta il senso della storia e del fare storia sul piano ideale e filosofico. Il pensiero di Croce gli fornisce inoltre il senso della storia come sviluppo dialettico attraverso il quale nella vita dei popoli, in cui irrompono passioni e sentimenti, rivive l’eredità del passato.
Valiani è probabilmente l’esponente di maggior rilievo tra gli storici che avevano vissuto la militanza azionista, in quanto indagatore del passato in cerca dei percorsi ideali dell’uomo inteso a perfezionare i principi e le regole della società e dello Stato. Nella sua riflessione si avverte il peso della convinzione, di origine settecentesca, di un continuo progresso, seppur segnato da cadute e regressioni. Ed è in tale convinzione che occupa un posto particolare il concetto della libertà intesa non in maniera passiva bensì come responsabilità, nel senso della crociana religione della libertà. Inoltre, sono forti in lui le spinte politiche del presente in grado di indirizzare la ricerca storica e, quindi, utili alla battaglia politica, come dimostra la sua costante rivendicazione – peraltro tipica di tutta la ‘storiografia azionista’ – del legame tra politica e cultura.