BELLMAN, Carl Michael
Poeta svedese; delle cui canzoni risuona ancora oggi, a quasi un secolo e mezzo dalla sua morte, ogni angolo della Svezia. Nacque a Stoccolma il 4 febbraio 1740 da una famiglia d'origine tedesca immigrata in Svezia verso la metà del sec. XVII. Fatti pochi studî a Upsala, dove il nonno, Johann Arendt B. (1664-1709), latinista e poeta, era stato professore d'eloquenza, s'impiegò subito, perché c'erano in casa, pare, 21 figli (di 15 si conoscono i nomi), e il padre, segretario della Real cancelleria, mal poteva provvedere a tutti. Ma per il mondo degli uffici passò di rado "un ospite più singolare". Assunto in una banca, dopo pochi anni (1763) dovette, per pasticci varî, intraprendere quel viaggio in Norvegia che era allora d'uso per tutti coloro che avevano con la giustizia qualche piccolo conto da regolare. Accolto, al ritorno (1764), nella Real manifattura, non fu colpa sua, ma dopo breve tempo (1766) la manifattura si chiuse. Presso la Direzione generale delle dogane perseverò poi per cinque anni (1767-72), ma, dicono le note caratteristiche, "spesso assente per malattia o per altre cause". E quando finalmente re Gustavo III, che lo proteggeva, gli procurò un buon posto di segretario alla Direzione del lotto, suo primo pensiero fu di cercarsi un supplente, che gli facesse il lavoro a metà stipendio.
Era un poeta, e soltanto un poeta; anche nel particolar significato che l'immaginazione del popolo attribuisce alla parola: l'uomo eternamente sedotto da tutte le seduzioni della vita, al di fuori delle convenzionali leggi della realtà; colui al quale tutti perdonano tranne i creditori; "gran peccatore", ma, come dice il Levertin, "peccatore per grazia di Dio". In seguito agl'improvvisi mutamenti di fortune, che il sec. XVIII aveva portato anche in Svezia, tutta Stoccolma era stata presa in quel tempo da una febbre di vivere e di godere. "Sempre in banchetti, sempre in danza, fra musiche d'arpe e di violini" appariva la città a B., secondo una sua propria descrizione; e nulla di meglio il destino gli avrebbe potuto procurare. Fedele suddito del suo monarca anche quando il professar fedeltà poteva costare qualcosa, egli era candidamente commosso della benevolenza che il suo re gli dimostrava: marito e padre di famiglia (sposò nel 1777 una buona donna, Lovisa Federika Grönlund, e n'ebbe tre figli), amava le sue creature, e a dimostrarlo basterebbe il dolce canto di ninna-nanna Lilla Carl, sof sött i frid (Piccolo Carlo, dormi dolcemente in pace); ma fra le pareti della reggia, se piacevole era comparir qualche volta, restare a lungo dava disagio; e fra le domestiche mura, se buona cuoca era la moglie massaia, la mensa spesso era parca, di necessità. Le "bettole e taverne", di cui "era dappertutto fiorita, al centro e nei sobborghi, la città" furono il vero e naturale mondo della sua vita: il suo regno.
Quasi tutti i personaggi della sua poesia sono stati colti, in tale mondo, dalla realtà: Fredman, "orologiaio di Stoccolma, senza orologio, senza officina e senza bottega" - nella realtà Jean Fredman (1712-1777), già orologiaio di corte che regolava il tempo e montava la carica a tutte le pendole della reggia, più tardi, dopo la sua rovina, gran bevitore "con un orologio al posto dell'anima, e al posto del corpo una intera taverna" - il lagrimoso Compar Movitz, musicista compositore, che con l'arte dei suoni commuove il cuore delle donne, ma, se il caso occorra, sa maneggiar da artista anche il pennello, e ha fra le altre amiche una malata di tisi, per amor della quale piange quando è ubbriaco - nella realtà Friedrich Mowitz (m. 1779), già soldato zappatore, poi invalido, confezionatore di parrucche e infine ombrellaio - l'imponente Kaporal Mollberg, solenne e maestoso presenziatore di ogni convito di battesimo o di sepoltura, gran mastro di cerimonie in tutti i riti, "gran maresciallo o tambur maggiore" dappertutto dove si beve e si banchetta, marziale costruttore a parole di una Svezia grande, tanto più grande quanto più beve - nella realtà Lars Mollberg Yttergren (m. 1772), già "possessore di una fabbrica e di una casa", poi "cavaliere senza cavallo e senza gualdrappa", vice caporale nel reggimento della Guardia del Corpo, e maestro di danza per le osterie. È tutta una folla di figure che s'affaccia nelle varie poesie, scompare, s'avvicenda, ritorna: Christian Wingmark, o "Wingmark con la grande parrucca", gran virtuoso di flute-douce; Meissner Öhleim, "naso rosso in campo azzurro", Pehr Bergström, o "fratel Pehr", sveltissimo nel far capriole, insuperabile nel dar lo sgambetto quando si balla la polka; Jergen Puckel, col suo mazzolino di fiori in mano, piccolo e gobbo e sempre in amore, tedesco che fa l'elegante, tanto che, quando s'inchina nel minuetto, la camicia gli sale su, stirata e dura; "Compar Berg" dal naso fesso, sempre infagottato in un buffo abito d'antenati, "maestro di cappella" della compagnia, pittore di tappezzerie e virtuoso di tutti gli strumenti, che, pur di suonare, non gl'importa anche se casca il mondo; Joachim Wetz, poeta di nozze che coscienziosamente vuota il bicchiere con la dolce persuasione di tracannare sub specie aeternitatis; e via via, uomini e donne, madri e figliole, mogli ed ostesse, beccamorti che fan gli osti, cantanti senza voce, suonatori senza strumenti: ora fedeli habitués, ora semplici "ospiti di passaggio", "senza ulteriori connotati", come Christian Samuel Bredström, "che non ha mai visto la luce del giorno, se non attraverso il fondo della bottiglia". Osservati dal vero, son fissati ciascuno genialmente in una propria linea caricaturale; e l'inesauribile genialità inventiva di B. nel trovare sempre nuovi atteggiamenti, nuove pose, nuove situazioni impedisce che la fissità dei loro tratti li renda più simili a maschere che a uomini.
Di rado accade di veder sorgere, da una serie di liriche, un mondo così vario di figurazioni umane, e così concreto, tangibile. La realtà vi è segnata, senza esitazioni, anche nei suoi aspetti più crassi, materiali. Ma nessun peso di realtà poteva impacciare il libero slancio di una ispirazione, la cui più intima natura era la musica, il canto. Ogni lirica è infatti nata con la musica che l'accompagna, in un solo atto di creazione. Per molto tempo si è creduto che B. fosse anche l'inventore delle sue melodie: recenti indagini hanno invece accertato che lo spunto musicale è stato per lo più tolto da canzonette francesi, da canti popolari, da arie di opere. Ma non soltanto B. ha quasi sempre modificate le melodie secondo i suoi scopi: quel che più conta è che le ha rinnovate, sentendole direttamente come "sue proprie", e componendo anche le poesie entro l'atmosfera che da esse si irradia. In un mutevolissimo rapporto di accordi e di calcolate dissonanze, la musica e la poesia si ripercuotono l'una sull'altra, si integrano e si completano: esistono, l'una nell'altra, in una sola unità vivente. Ed è bensì vero che le poesie possono anche essere "gustate in sé e per sé" ma esse esercitano sempre sul lettore l'impressione come di una musica nascosta che circoli fra le parole, e determini non soltanto la scelta del ritmo e il suo svolgimento, ma anche il succedersi delle immagini, il loro tono, il loro colore.
L'"ebbrezza del canto" sovrasta così e domina la bacchica orgia; e porta tutta la grazia del Settecento anche nell'osteria fumosa.
Supa, dricka,
Och ha sin flicka
Âr hvad Sancte Fredman lär.
"Bere e tracannare, aver la propria ragazza e far l'amore: ecco ciò che il santo Fredman insegna", ma lo insegna in tempo di minuetto. La musica che guida le danze dei cavalieri alla corte, è pur quella che regola le danze anche dei "Cavalieri di Bacco", l'"Ordine" nuovo che B. ha fondato. E Ulla Vinblad (Ulla foglia di vite), ragazza d'osteria e Musa del poeta, "femminino eterno ed eterna giovinezza" - era, nella realtà, una povera demimondaine, Maria Kristina Kjellström (1744-1798), moglie di Erik Nordström, doganiere che nella poesia di B. "non suona nessun strumento, ma prescrive da sé i suoi vini" - Ulla Vinblad è vegliata dagli Amorini quando dorme placida sul suo letto "con le mani intrecciate dietro la nuca"; è assistita dalle Grazie quando fa toletta, come se fosse Venere in persona; e Ninfe e Tritoni fan corteo, danzando nelle acque, intorno alla sua barca, quando ella si reca alla sua taverna al Djurgården.
Per questo carattere della sua poesia, B. fu chiamato "l'Anacreonte del Nord". Ma in realtà non ha col poeta greco nessuna somiglianza. L'ebbrezza che egli canta ha un tutt'altro tono: è istintiva, esuberante, veemente. Ha un non so che di primitivo. Ha di tratto in tratto il bisogno dell'aria libera. Nel bel mezzo di una partita a carte, a notte tarda, la poesia spalanca improvvisamente le finestre sopra il bianco, vitreo paesaggio invernale che si desta sotto l'alba nascente, nel primo, lento risveglio della primavera. E c'è giocondità, non leggerezza. In fondo al bicchiere il vino ha spesso dei riflessi strani, misteriosi e oscuri.
Nessun cantore del vino e dell'amore ha mai avuto l'immagine della morte così presente. La morte, il disinganno, il dolore, la malattia son dappertutto in agguato; e Compar Movitz "col sudor freddo dei tisici sopra la pelle gialla", beve il suo bicchiere e tende le corde al suo strumento, mentre "la tosse gli sconquassa le cavernosità del petto". Il tono impetuoso, tripudiante, che l'ebbrezza assume, sembra talvolta quello di "un'ebbrezza che è necessaria per vivere": Jag ser Fröjas tempel gunga: Eldar kring i luften ljunga. / Full och vålt / Står Jag i Chårons båt. (Ecco: di Freia il tempio vacilla: / Nell'aria lingueggiano tutt'intorno le fiamme. / Ubbriaco fradicio, / Nella barca di Caronte io sto". Ma sono momenti soltanto. Semplice di cuore e di pensiero, B. aveva la candida fede religiosa dei semplici, anche se sui testi sacri si divertiva a compor parodie; e anche il pensiero della morte, se gli dava tristezza, non gli faceva sgomento. L'"ebbrezza amara", che più tardi sarà propria dei romantici, dà accenni soltanto, e non invade la sua poesia. Quella "cosa oscura, profonda") che è la morte, sembra far diventare anzi più profondo il godimento della vita. Basta che B. oda "suon di violini, tintinnio di bicchieri, risa di donne"; e il cuore gli dà un balzo in petto; ed egli non resiste più: "Qui è il regno di Bacco, canta, qui è il Dio d'amore: qui è ogni cosa - e anch'io son qui". E la sua gioia resta una "gioia con le rosse guance", anche se le guance sono, come osservò Tegnér, "qualche volta rigate da una lagrima".
Anche le stesse liriche degli ultimi anni, con la loro velata malinconia, col loro rassegnato "presentimento di morte vicina", continuano i festevoli motivi di tutta la sua poesia, solo in un tono nuovo, più pacato, chiaro, purificato da quel senso di distacco dalla vita, che sembra renderne la bellezza ancora più adorabile.
Quegli ultimi anni furono assai tristi per B. La miseria crebbe nella sua casa. Fu costretto a domandare più di una volta sussidî, aiuti; a chiedere di essere "dichiarato" (1788). Conobbe anche per breve tempo la prigione per debiti (1794). E anche la salute andò sempre peggiorando. Morì di mal di petto il 2 febbraio 1795.
Opere: All'infuori di singole poesie sparse, l'opera migliore di B. è racchiusa nelle raccolte Fredmans Sånger e Fredmans Epistlar, pubblicate la prima nel 1791, e la seconda nel 1790 con prefazione del Kellgren. B. stesso considerava le Epistole come il suo capolavoro: il titolo è parodistico, rimasto dal tempo in cui B. si dilettava di parodiare i testi biblici; ma, nella maggior parte di esse, ogni elemento parodistico è scomparso: il loro numero doveva essere di 100, quando B. si propose una prima volta di riunirle nel 1774: sono ora 82; e la loro forma, che pare improvvisata, è spesso il risultato di una lunga elaborazione. Tutte e due le raccolte vennero poi ristampate molte volte, a parte, e nelle edizioni delle opere: Valda Skrifter, ed. P.A. Sondén, Stoccolma 1835-36, voll. 16; con musica ed. A. Drake; Samlade Skrifter, ed. Carlén, voll. 4, Stoccolma 1855-61, con musica ed. J.A. Josephson, ivi 1861, completata da C. Eichhorn, voll. 2, Stoccolma 1876-77; Samlade Skrifter, ediz. popolare, voll. 4, Stoccolma 1870; Dikter, ed. R. Steffen, Stoccolma 1916.V. ora l'edizione critica, curata dalla Società Bellman: Skrifter, Stoccolma 1921 segg. Fra le traduzioni straniere (in inglese, francese, tedesco), la migliore è quella di F. Niedner, Berlino 1909.
Bibl.: Oltre i saggi di Arndt, Reise in Schweden, Lipsia 1807; di Atterbom, Svenska siare och Skalder, VI; v. le geniali caratteristiche del B. scritte dal Levertin, in Samlade Skrifter, VII e IX. E cfr. N. Erdmann, B. en kultur- og karaktärsbild, Stoccolma 1898; V. Andersen, Bacchustoget i Norden, Copenaghen 1904; F. Niedner, Der Schwedische Anakreon, Berlino 1905; R. Steffen, B. och hans Diktning, Stoccolma 1908; K. Ek, Fredmannsgestalten, Stoccolma 1905; M. Lamm, Upplysningstidensromantik, Stoccolma 1918; G. W. Lundberg, Bellmannsfigurer, Stoccolma 1927. Sulla musica del B. rimangono fondamentali le ricerche di J. Flodmark, B.s Melodiernas ursprung, Stoccolma 1882; e cfr. anche A. Lindgren, Bellmansmusiken, Stoccolma 1895 e T. Norlind, Svensk Musikhistoria, Stoccolma 1918.