CALCIO, Carburo di
Il carburo (o acetiluro) di calcio è uno di quei carburi metallici che si decompongono per azione dell'acqua con la formazione d'idrocarburi, ed è tra essi il più importante dal punto di vista tecnico. La sua formula chimica è CaC2, il suo peso molecolare è 64,07. Può ottenersi in vario modo, ma la sua preparazione industriale avviene per via termoelettrica a partire da carbone e ossido di calcio; restano in tal modo assorbiti 4 kwh. per ogni kg. di carburo prodotto. Pertanto un quintale di carburo, che occupa all'incirca un volume di 40 litri, accumula 400 kwh. Per tale carattere, nei primordî dell'industria idroelettrica, la fabbricazione del carburo di calcio si sviluppò come mezzo di assorbire i superi di energia di carattere stagionale che ormai però sono stati molto ridotti dal collegamento delle centrali idroelettriche fra loro e con centrali termoelettriche e dall'impianto dei bacini montani. La loro utilizzazione d'altronde non giustificherebbe l'installazione dei forni di grandissime potenze (12-16 mila kw.), che l'industria del carburo ormai preferisce, per il loro elevato rendimento, ai piccoli forni di un tempo.
Il carburo di calcio, come tutti i carburi dei metalli alcalini e alcalino-terrosi, reagisce con l'acqua dando luogo a formazione di acetilene
Il primo carburo di questo tipo (K2C2) fu ottenuto da Davy (1836) in occasione delle sue indagini intese a preparare metalli alcalini per riduzione termica a mezzo del carbone. Successivamente Wöhler (1863) ottenne il carburo di calcio notevolmente impuro, scaldando una lega di zinco e calcio in presenza di carbone. Il primato della preparazione del carburo al forno elettrico, secondo il principio ora in uso nella tecnica, è conteso fra il canadese T. H. Wilson e il francese H. Moissan. La reazione di formazione del carburo è la seguente:
Viceversa, partendo da calcio metallico il processo di formazione è nettamente esotermico:
Le reazionì (2) e (3) non conducono mai al prodotto puro. Per ottenere quest'ultimo bisogna ricorrere al metodo di Moissan, facendo gorgogliare acetilene in una soluzione di calcio metallico nell'ammoniaca liquida. Il precipitato cristallino di monoacetiluro di calcio CaC2•C2H2, per decomposizione termica nel vuoto, fornisce l'acetiluro CaC2 allo stato di grande purezza.
La maggior parte delle indagini sulle proprietà chimiche e fisiche del carburo di calcio sono state condotte su prodotti ottenuti con i metodi ordinarî e quindi contenenti maggiori o minori quantità di impurezze e specialmente di CaO. Ruff e Foerster (1923) hanno determinato la temperatura di rammollimento (fusione incipiente) di alCuni campioni di carburo, a vario tenore di CaO, ottenendo i seguenti valori:
In base a tali dati si potrebbe, per estrapolazione, fissare il punto di fusione CaC2 intorno a 2300° e si potrebbe dedurre che il sistema CaC −CaO dà luogo ad un eutettico corrispondente a un tenore di circa il 30% di CaO e con un punto di rammollimento a 1620° (fig.1). Analogamente a quanto si pratica in metallurgia, vengono designati come ipereutettici i carburi con un tenore di CaC2 superiore al 70% e come ipoeutettici quelli a tenore più basso. Le ricerche micrografiche di Scheumberger (1926) confermano i risultati dell'analisi termica e forniscono un metodo di classificazione dei prodotti. Nella fig. 2 si hanno 3 fotogrammi tra i più caratteristici.
I cristalli puri di CaC2, ottenuti da Moissan, sono trasparenti e incolori. I prodotti tecnici ad alto valore hanno un aspetto perlaceo, e il colorito diventa sempre più cupo a misura che il titolo diminuisce. La densità del carburo fuso è di 3,4. La resistività elettrica varia in funzione del contenuto percentuale e della temperatura, come è indicato dal grafico della fig. 3. Il calore specifico molecolare medio, tra 20° e 325°, ascende a 14, 15; tale valore medio sale a 17,6 quando si considera l'intervallo 20°-725° C. Numerose ricerche sono state eseguite per fissare la temperatura di formazione del carburo di calcio; i risultati sono controversi. Tale temperatura si può fissare intorno ai 1600°; ma è probabile che la formazione di carburo, a partire da CaO e C, non avvenga per reazione tra solidi, iniziandosi soltanto appena è raggiunta la temperatura eutettica (circa 16200).
Nemmeno i calori di formazione sono noti con estrema precisione. Le tonalità temiiche trascritte nelle fommule (2) e (3) riguardano le reazioni a partire dal diamante e rispettivamente da CaO e da Ca allo stato solido per giungere anche a CaC2 solido.
La reazione tra CaC2 e acqua indicata dalla (1) avviene in presenza di eccesso d'acqua. In difetto d'acqua si forma invece CaO per l'ulteriore reazione:
Un chilogramma di CaC2 puro dovrebbe dare teoricamente g. 406 di acetilene, pari a 348 litri a 0° e 760 mm. In pratica però un buon carburo dà uno sviluppo di circa 300 litri e i prodotti che non vanno direttamente al consumatore, ma servono a ulteriori elaborazioni chimiche (calciocianamide, sintesi organiche), sono anche di titolo più basso (280 litri).
Le soluzioni acquose saline concentrate, quando non dànno luogo a reazioni secondarie, determinano uno sviluppo di acetilene più lento e più regolare di quello che si ha con la sola acqua. Perciò nella prova analitica del titolo, eseguita misurando il volume di gas che si svolge, si adopera una soluzione di cloruro sodico, anche perché in essa l'acetilene è meno solubile che in acqua. Gli acidi diluiti agiscono di regola come l'acqua. Più complicate sono le reazioni in presenza di acidi concentrati. Così l'acido solforico concentrato provoca la formazione di aldeide crotonica e di prodotti resinosi: per prolungato contatto del carburo con H2SO4, di densità 1,75 si formano anche dei tiocomposti.
Una delle più importanti reazioni del carburo è quella con l'azoto che dà luogo a formazione della calciocianamide
Tale reazione s'inizia nell'intorno di 1200° e nella tecnica è realizzata alla temperatura di circa 1300°: per valori più alti si hanno fenomeni di evaporazione e decomposizione della calciocianamide.
Molto interessanti sono le reazioni con H2S, che allo stato liquido ha un comportamento analogo a quello dell'acqua, e con gli alogenuri, i quali dànno prevalentemente luogo a formazione dei derivati saturi C2X6.
La preparazione industriale del carburo si effettua a partire da calce e carbone (di regola coke o antracite) in forni elettrici alimentati con corrente alternata. Nei primi tempi la produzione aveva carattere intermittente e si effettuava in forni cosiddetti a blocco (fig. 4) di cui il crogiuolo era montato su di un carrello mobile. La figura rappresenta un modello già abbastanza perfezionato, adoperato dalla Compagnie Électrométallurgique des procédés Gin et Leleux a Merano e avente la potenzialità di 300 kw. In tali forni, a operazione finita, l'íntero crogiuolo veniva allontanato e fatto raffreddare per recuperare poi il carburo allo stato solido sotto forma di blocco. L'aumento della potenzialità dei forni dette subito la possibilità di sottrarre il carburo allo stato fuso, intermittentemente. La fig. 5 mostra un forno a fusione del tipo Rathenau costruito dalla A. E. G. Tutti questi forni avevano il crogiuolo con suola conduttrice ed erano azionati in gruppi di due, da alternatori bifasici. Specialmente in America furono proposti anche forni di tipo rotativo con alimentazione e scarico continui; ma la complicazione meccanica del sistema ne ha impedito la diffusione. I vecchi forni a blocco consumavano circa 7 kwh. per kg. di carburo prodotto, nei piccoli forni a fusione si scendeva già a 5,75; ma oggigiorno, nei grandi forni trifasi da 12.000 kw. il consumo è sceso a 3,5 kwh. per kg. di carburo. Tali forni sono costituiti da una suola metallica di forma rettangolare, o ellittica di circa 4 × 7 m., ricoperta di uno strato di ferro-silicio in granelli agglomerato con vetro solubile, al disopra del quale s; trova la pigiata di carbone (coke di petrolio, residui di elettrodi) impastata con circa il 7% di catrame. Le pareti laterali sono costituite da lamiere e profilati e sono ricoperte di mattoni refrattarî. La suola del forno è connessa col neutro del trasformatore e tre pacchetti di elettrodi fanno capo alle tre fasi (fig. 6). Talvolta il forno è parzialmente coperto ed è munito di tubi per il recupero dei gas (essenzialmente CO) che si svolgono durante la reazione. È stata anche ripetutamente tentata la costruzione di forni completamente chiusi per il recupero dei gas (forni Helfenstein). Per ogni tonnellata di carburo si dovrebbero avere circa 1.000.000 di calorie utilizzabili ricuperando il CO.
Nei forni a fusione di grande potenza la colata si effettua intermittentemente forando la massa periferica, in basso del forno, per mezzo di un elettrodo ausiliare (fig. 6). La massa fusa viene colata in carrelli, che passano al reparto raffreddamento. I blocchi solidi, frantumati o macinati - a seconda del bisogno - passano al commercio o alle successive lavorazioni. Le grandi intensità di corrente che sono in gioco in questi forni, che marciano sotto tensioni piuttosto basse (100 fino a un massimo di 170 V), rendono molto importanti le perdite per cadute induttive e consigliano particolari accorgimenti nella disposizione dei conduttori, i quali devono chiudere il circuito racchiudendo col loro sviluppo la minima superficie possibile. Si ritorna perciò oggi da alcuni all'uso di forni monofasi (forni Miguet) con i trasformatori disposti al disotto della suola del forno in modo da ottenere la possibilità di un percorso comune dei conduttori di andata e di ritorno per quasi tutta la lunghezza, diminuendo così le perdite di carattere induttivo.
Gli elettrodi sono di grafite artificiale e sono preparati partendo da carboni naturali o artificiali per quanto più possibile poveri di cenere e di sostanze volatili (nero fumo, antracite, coke di petrolio, carbone di storta), agglomerati con catrame e compressi fino a 300 atmosfere. I blocchi così ottenuti vengono cotti a 1400°. Il completo processo di cottura dura circa venti giorni, durante i quali la temperatura viene aumentata gradualmente fino al massimo (in circa 12 giorni) e poi fatta diminuire lentamente, e ciò per evitare le rotture dovute alle variazioni di densità. Si adoperano ordinariamente dei forni a camera. La densità di corrente negli elettrodi varia da un massimo di 10 Amp-cmq. nei piccoli elettrodi, fino a un minimo di 4 negli elettrodi che hanno notevole sezione. Il consumo di elettrodi si è ridotto nei forni più moderni a 15-20 kg. per tonnellata di carburo. Nei forni di media potenza tale consumo può salire a 50 kg. Il ricambio degli elettrodi richiede sempre notevoli spese e provoca interruzioni di marcia che si cerca oggi di evitare introducendo l'uso di elettrodi continui, i quali vengono preparati e cotti in situ a misura del consumo. Di tale tipo è l'elettrodo Söderberg, il cui montaggio è illustrato dalla fig. 7. La massa dell'elettrodo è contenuta in un sottile lamierino di ferro, il quale si prolunga notevolmente al disopra dei contatti per la corrente: essa viene alimentata continuamente dall'estremo superiore e pigiata meccanicamente. Il calore stesso del forno opera la cottura dell'elettrodo con la gradualità necessaria, quando esso avanza per effetto del consumo.
La regolazione della corrente nei forni viene fatta regolando la distanza degli elettrodi dalla suola del forno e la tendenza odierna è di effettuare lo spostamento degli elettrodi per mezzo di servomotori azionati da regolatori automatici.
Scheumberger ha eseguito un accurato bilancio dell'energia consumata e delle materie piime adoperate nella produzione del carburo di calcio. Egli ha trovato che, in un forno da 4500 kw., circa il 64% dell'energia viene utilizzato per gli effetti termici e chimici, la restante parte risultando perduta come segue: trasformatori, 4%; conduttori, 4%; irraggiamento, 25%; evaporazione, 3%. Per produrre 1 t. di carburo si consumavano inoltre: 1 t. di calce al 95%; 700 kg. di coke col 10% di ceneri e 50 kg. di elettrodi. Solo il 78% della calce veniva utilizzato per il carburo (CaC2), circa il 16% restava inalterato nel prodotto e il resto veniva perduto nei fumi. Sopra 100 parti di coke + 7 parti di elettrodi, 51 parti si ritrovano sotto forma di carburo o di grafite, 25 parti sono allontanate sotto forma di CO e il resto viene perduto per combustione e per la riduzione di Fe2O3 e SiO2.
I consumi di energia e di sostanza diminuiscono a mano a mano che crescono la potenzialità del forno e la purezza dei materiali impiegati.
ll carburo di calcio viene adoperato per la produzione di acetilene, sia come fine a sé stessa, sia come prodotto intermedio per la sintesi di svariate sostanze organiche (acetaldeide, acido acetico, anidride acetica, acetone, ecc.).
Si usa inoltre per la preparazione della calciocianamide, la cui produzione, malgrado l'affermarsi dei processi di sintesi dell'ammoniaca, è venuta sempre crescendo in questi ultimi anni. Piccole quantità di carburo di calcio si adoperano inoltre come riducenti in metallurgia. La produzione mondiale del carburo di calcio raggiunse, nel 1927, 558.000 t. e, nel 1929, 604.000 t.
La produzione italiana è in continuo incremento ed è passata da 38.200 t. nel 1920, a 70.000 t. nel 1929. La capacità totale di produzione degli impianti italiani a pieno carico raggiungerebbe circa il doppio di tale ultima cifra. Nel 1929 è entrato in funzione il grandioso impianto della Società Terni con forni di 16.000 kw., completamente modernizzato (fig. 8). In tale anno anche la Società elettrochimica del Toce ha ampliato i suoi impianti per dedicarsi alla fabbricazione dei prodotti organici sintetici.