CAPRIFICAZIONE
. Con questo nome s'indica una pratica molto diffusa fra gli agricoltori dei paesi meridionali d'Italia, che consiste generalmente nell'appendere, in primavera più o meno avanzata, agli alberi di molte razze di fichi eduli un certo numero di ricettacoli (fioroni) maturi di caprifico (v.), per obbligare le femmine della Blastophaga psenes (Imenottero Calcidoideo della famiglia degli Agaonidi; v. voci relative) che escono da quelli, a penetrare nei giovani ricettacoli (forniti) dei fichi commestibili, i quali hanno bisogno dell'intervento dell'insetto pronubo (e quindi dell'impollinazione) per portare a maturazione o a maggior accrescimento i loro frutti. Occorre dunque, preliminarmente, parlare della costituzione e dell'etologia dell'insetto nei suoi straordinarî comportamenti e nei rapporti che esso ha con la pianta ospite. Tutta la storia di questo famoso Imenottero costituisce uno dei più meravigliosi capitoli della biologia e qui verrà esposta succintamente secondo quanto ha scoperto in Italia il Grandi.
La Blastophaga L. è una specie a fortissimo dimorfismo sessuale. I due sessi sono infatti talmente diversi di forma e di colore, che un osservatore non competente potrebbe difficilmente riportarli allo stesso ordine d'Insetti. La femmina è di color nero-lucido uniforme. Le sue antenne, composte di 11 articoli, mostrano il 1° molto grosso, subcompresso e sporgente all'innanzi e in basso in una sorta di gibbosità; il secondo anch'esso piuttosto voluminoso e fornito di setole brevi e robuste rivolte all'indietro; il terzo diviso in tre parti e terminante in una specie di squamma appuntita e prominente. Le mandibole portano alla base un curioso processo laminare, posteriormente arrotondato e percorso trasversalmente da 3-6 carene, il quale rimane, durante il riposo, adagiato sulla parte ventrale del capo dell'insetto. Le mascelle del primo paio appaiono molto involute, non posseggono palpi, hanno aspetto laminare e sono fortemente chitinizzate. Il labbro inferiore è ancor più ridotto delle mascelle e ugualmente privo di palpi. Il torace, l'addome e le ali sono normalmente costituiti e non presentano speciali caratteristiche. Le zampe anteriori e posteriori invece offrono un comportamento eccezionale, risultando molto più robuste di quelle medie, con l'anca e il femore massicci, con la tibia breve, larga e provvista distalmente ed esternamente di denti e di sproni. La terebra, piuttosto corta, mostra la sua porzione sporgente non più lunga della metà dell'addome. Il maschio è di colore ocraceo-ferrugineo; ha gli occhi piccoli e neri e l'addome di color miele manca di ali. Il capo presenta una depressione dorsale anteriore e, dietro di essa, la superficie fornita di setole spiniformi e rivolte all'indietro. Le antenne, brevi e composte di soli 4 articoli, terminano a clava; le mascelle del primo paio e il labbro inferiore sono ridotti a una piccola formazione trilobata senza appendici. Il torace è grandissimo e ha il pronoto tanto ampio da uguagliare in lunghezza le regioni retrostanti; il mesonoto, il metanoto e il propodeo si vedono fusi insieme in un pezzo unico. Nelle zampe la sproporzione fra le tre paia, esistente nella femmina, è qui anche più spinta; le zampe medie infatti risultano gracilissime, mentre quelle anteriori e posteriori sono enormi e massicce. L'addome poi ha una forma del tutto particolare: il suo tratto posteriore è tubulare; è cioè costituito da segmenti subcilindrici capaci di una parziale introflessione reciproca. Gli organi copulatori vengono portati all'apice di un lungo tubo membranoso che, insieme con essi, può essere ritirato completamente entro il nono segmento. Per questo il Grandi ha dato a tali maschi il nome di solenogastri.
Vedute così le caratteristiche principali dell'insetto, bisogna conoscere, per bene valutare il suo ciclo biologico, la costituzione delle infiorescenze del caprifico e il suo tipo di fioritura. Il Ficus carica L. comprende tipicamente due forme: il Fico e il Caprifico. Il primo è seminifero, ha fiori longistili ed è generalmente sfornito di stami; il secondo è insettifero, ha fiori brevistili e, almeno nei fioroni, porta stami. I fiori del caprifico (e del fico) sono riuniti, come è noto, in una speciale infiorescenza a otricolo la cui cavità comunica con l'esterno mediante l'ostiolo, che è rivestito e chiuso da varî cicli di squammette strettamente addossate le une alle altre. Nel caprifico si succedono generalmente durante l'anno tre qualità diverse di ricettacoli, come è detto alla voce caprifico (v.). L'ovario dei fiori pistilliferi delle tre forme di ricettacoli si presenta, nei ricettacoli maturi, generalmente trasformato, per opera della Blastofaga, in galla, e per questo tali fiori si chiamano anche galligeni, ma sono veri fiori e quando, sebbene raramente, vengono fecondati, mostrano come quelli del fico lo sviluppo regolare dell'embrione e dell'endosperma, pur differendo in parte per la loro struttura. Se i fiori pistilliferi del Caprifico non ricevono la deposizione dell'uovo della Blastofaga vanno perduti; di solito anzi il ricettacolo si stacca dalla pianta e cade. I ricettacoli del fico (fioroni, pedagnuoli e cimaruoli) contengono, come è stato detto, solo fiori pistilliferi; i casi nei quali dànno ricetto anche a fiori staminiferi costituiscono delle eccezioni.
La Blastophaga psenes è una specie poliginica, vale a dire che il numero dei maschi, i quali nascono entro a un ricettacolo qualsiasi della pianta, è molto inferiore a quello delle femmine. È anche una specie proandrica; i suoi maschi cioè sfarfallano qualche tempo prima delle rispettive femmine. Tanto gli uni quanto le altre si sviluppano nell'interno dei piccoli fiori trasformati in galle. I maschi adunque sono i primi a farsi vedere. Queste curiose e sgraziate creature, una volta uscite dai cecidî, attraverso le pareti dei quali si sono aperte un foro con le robuste mandibole, vanno in cerca, brancolando nell'interno del ricettacolo, delle altre galle contenenti le femmine, vi praticano, sempre con le mandibole, una apertura irregolare entro la quale fanno penetrare il loro addome tubulare, e fecondano la femmina che, già matura, se ne sta aggomitolata nell'interno, in attesa che il maschio le schiuda la via alla libertà e alla procreazione. Dopo avere fecondato un certo numero di femmine i maschi, esauriti, si lasciano cadere nell'interno del ricettacolo e quivi muoiono senza avere generalmente conosciuta la luce del sole. Le femmine escono dalle galle e dal siconio per il canale ostiolare, che nelle fruttescenze mature ha alquanto perduto di rigidità e di resistenza, guadagnano l'aria libera e si accingono a penetrare nei ricettacoli della fioritura seguente per la deposizione delle uova. L'entrata nella giovane infiorescenza è molto più difficoltosa di quel che sia stato l'esodo dalla vecchia fruttescenza e avviene dopo parecchi minuti (talora occorre quasi un'ora) di sforzi reiterati, mediante spostamento delle squamme dell'ostiolo, fra le quali il capo e il corpo dell'insetto (che presentano le conformazioni descritte) s'incuneano. La Blastofaga, quasi sempre priva di ali e spesso anche di antenne, riesce alla fine a superare gli ultimi ostacoli, arriva nell'interno della cavità dell'infiorescenza e comincia a deporre le uova. I suoi ovarî, ricchi di tre o quattro centinaia di germi, si svuotano rapidamente; in ogni fiore viene deposto, attraverso lo stilo e il canale stilare, un uovo peduncolato. La terebra dell'insetto segue dapprima la via del canale stesso, poi perfora il funicolo, infine raggiunge la cavità compresa fra il tegumento interno e la nucella dell'ovulo. L'uovo è affidato a tale cavità e rimane imprigionato col suo peduncolo nel tessuto del funicolo. Trascorso un breve periodo d'incubazione, sguscia la larva, la quale si nutrirà dell'albume (o endosperma). Il Longo ha scoperto che questo ha origine partenogenetica e il Grandi che la femmina della Blastofaga è provvista di un voluminoso apparato velenifero composto di una ghiandola del tipo cosiddetto acido, sboccante in un grande serbatoio, e di una ghiandola del tipo alcalino. Il veleno viene introdotto nei fiori in piccola quantità con ogni uovo ed è verosimilmente la causa che determina lo sviluppo partenogenetico dell'albume. Dopo la deposizione delle uova le femmine muoiono, di solito, nel ricettacolo. La larva, apoda, glabra, cieca, apneustica, fornita di minute ma solide mandibole, quando ha raggiunto la sua maturità, ha divorato il contenuto del fiore e occupa tutta la cavità della galla. Le trasformazioni in pupa e in adulto avvengono nella galla stessa. Il ciclo completo, da uovo a immagine, dura circa due mesi o poco più per le prime due generazioni, e circa sette mesi per la terza ibernante (l'inverno è trascorso dall'imenottero allo stato di larva). Le tre generazioni si svolgono nelle tre fioriture dei caprifichi, per quanto lo sfarfallamento degli insetti non corrisponda sempre all'epoca nella quale le infiorescenze sono pronte per riceverli, e molti dei primi e molte delle seconde possano in tal maniera andare perduti.
I fiori maschili dei fioroni schiudono quando le blastofaghe debbono abbandonare il ricettacolo che le ospita e dove sono nate; le loro antere allora si aprono e lasciano uscire il polline che imbratta gl'insetti. Dei fioroni e quindi delle blastofaghe di questa generazione si valgono pertanto gli agricoltori per impollinare le razze dei fichi commestibili che ne hanno bisogno. Essi appendono, come si è detto, alle piante domestiche un certo numero di siconî di caprifichi dai quali le blastofaghe siano prossime a fuoruscire, o innestano il caprifico su un ramo di fico. Quando gl'imenotteri, coperti di polline, sfarfallano, non trovando a loro disposizione caprifichi, penetrano nelle infiorescenze dei fichi. Quivi però la lunghezza eccessiva dello stilo dei fiori pistilliferi (fiori longistili) e altre contingenze rendono inutili gli sforzi delle femmine per collocare l'uovo in una posizione confacente; la generazione dell'insetto va allora perduta, ma la fecondazione dei fiori è un fatto compiuto, perché durante i loro affannosi tentativi le blastofaghe depongono sullo stigma dei fiori stessi i granelli del polline straniero che portavano ancora aderenti al corpo.
La B. psenes è probabilmente parassitata da un altro Calcidide appartenente alla famiglia dei Gallimonidi, anch'esso provvisto di maschi atteri e colorati di giallo ferrugineo, le cui femmine, fornite di una lunghissima terebra, depongono le uova dal di fuori, attraversando l'intera parete del ricettacolo. Questo Calcidide è scientificamente noto col nome di Philotrypesis carica (Hass.).