CANZONI DI GESTA
. Col titolo di canzoni di gesta (chansons de geste) si designano da ottanta a novanta poemi francesi medievali eroici, che costituiscono, nel loro complesso, ciò che comunemente si dice epopea nazionale e che sono stati, per comodità di studio, variamente raggruppati: cioè, ordinati da alcuni in diversi cicli (merovingico, carolingico, capetingio; poemi di crociata e poemi provinciali o feudali) e classificati da altri in serie cronologica (dalla Chanson de Roland, dal Couronnement Louis, dalla Chanson de Guillaume, che sono ritenuti i più antichi, sino ai poemi della decadenza, come il Charlemagne scritto intorno al 1300 e dedicato da Girart d'Amiens a Carlo di Valois). Se vorremo un criterio di scelta non inadeguato alle idee fondamentali ispiratrici di tutti i poemi, potremo attenerci alla distinzione fatta da Bertran de Bar-sur-Aube nel suo Girart de Vienne (sec. XIII):
N'ot que trois gestes en France la garnie:
Dou Roi de France est la plus seignorie...
Et l'autre apres, bien est droit que je die,
Est de Doon a la barbe florie
Cil de Maiance qui tant ot baronie...
La tierce geste, qui molt fist a proisier,
Fu de Garin de Monglaine le fier....
e ripetuta all'alba del sec. XIV nel principio del poema di Doon de Mayance; e potremo a buon diritto tripartire il complesso delle Chansons de geste in "Gesta del re", "Gesta di Doon de Mayence", "Gesta di Garin de Monglane". In generale chansons de geste si chiamano quei poemi che rientrano in una di queste categorie, mentre quelli di materia classica e celtica (o brettone) sono chiamati piuttosto romans (Roman d'Enéas, Roman de Britt, ecc.).
Se è facile dire a un di presso che cosa siano le canzoni di gesta, cioè: "poemi che narrano grandi fatti e grandi imprese (lat. gesta)", quando poi si viene a precisare il senso della denominazione (che s'era già fatta comune nel corso del sec. XIII, p. es.: De totes les chansons de geste nel testo dei Deux troveors ribauz), s'incontrano non lievi difficoltà. Questi poemi erano chiamati volentieri semplicemente chansons dai loro stessi autori, cioè "canti in volgare", mentre la voce geste dal senso primitivo di "fatti e imprese di eroi" era venuta a significare "cronaca scritta e latina" e anche a indicare la stessa chanson francese, e aveva assunto persino il senso di schiatta o "famiglia" di un personaggio celebre (p. es. geste du Roi, geste Ganelon, ecc.). In ogni modo, le Canzoni di gesta del re narrano le guerre di Carlomagno in Spagna, in Italiȧ, in Sassonia, in Terra Santa (ricordiamo la Chanson de Roland, poi il Pèlerinage de Charlemagne à Jérusalem, la Chanson des Saisnes, l'Aspremont, l'Anseïs de Cartage e il Fierabras). La Gesta di Doon de Mayence racconta l'orgoglio e il valore dei grandi feudatarî offesi dal re e risulta del poema che s'intitola appunto Doon de Mayence, di Raoul de Cambrai, della Chevalerie Ogier, di Renaut de Montauban, di Gaart de Roussillon e di Gormond et Isembart per non citare che i più rilevanti. La Gesta di Garin de Monglane celebra le lotte di nobili case contro i pagani e vanta canzoni come la Chanson de Guillaume, il Couronnement Louis, l'Aliscams, Guillaume d'Orange, Aimeri de Narbonne, i Narbonnais, i Loherains, il Girart de Vienne. Pochi sono i poemi che escono da questa classificazione; e quei pochi non sono neppure, se si tolga la canzone di Amis et Amile, fra i più importanti.
Le canzoni di gesta sono quasi tutte anonime. Non si conoscono che un quindici nomi su più di ottanta canzoni (p. es. Bertolais, autore del Raoul de Cambrais; Jean Bodel, autore della Chanson des Saisnes, Bertran de Bar, autore del Beuve de Hanstone, dell'Aimeri de Narbonne e del Girart de Vienne; Huon de Villeneuve, autore di alcune sezioni del Renaut de Montauban, ecc.). I poemi sono in strofe (laisses) di un numero irregolare di versi, che assonano o rimano fra loro per ogni strofa, a seconda che il poema è più o meno antico, e che sono generalmente decasillabi (con cesura dopo la quarta o più di rado dopo la sesta) o alessandrini. Molte di queste canzoni ci sono pervenute in più d'una redazione. Si sa che venivano recitate con accompagnamento di strumenti (la viola) e portate dai giullari di paese in paese.
Una delle questioni più delicate è quella che riguarda l'origine di molte, anzi di quasi tutte queste canzoni: se si debbano ricondurre, cioè, a canti popolari dovuti alla potenza creatrice della plebe percossa dalla grandiosità degli avvenimenti e ispirata da una forza quasi divina a cantare i fatti storici e se si debbano conseguentemente considerare come rimaneggiamenti, più o meno riusciti, di questi remoti canti: ovvero se vadano interpretate ognuna come un poema composto da un solo autore, a qualche distanza dagli accadimenti che ne costituiscono la materia.
La teoria dell'origine popolare, sostenuta dai grandi studiosi romantici della prima metà del secolo scorso, fu formulata nettamente da Cl. Fauriel nel 1830, il quale si riattaccava alle opinioni dei due Schlegel e dei fratelli Grimm, tutti sotto l'influsso delle idee di Herder nei loro studî sulla formazione delle grandi epopee classiche e germaniche. Con questa teoria veniva a fondersi quella della giustapposizione di questi canti popolari, o cantilene lirico-epiche, la quale discendeva dagli studî del Wolf e del Lachmann rispettivamente sui poemi omerici e sui Nibelunghi e che trovò uno strenuo propugnatore in Gaston Paris. Il Fauriel non solo ammise l'origine popolare, ma questa origine volle ricercare di preferenza nella Francia meridionale, fondandosi su alcuni poemi che trattano materia più provenzale che francese (p. es., il Guillaume d'Orange), e pensò a una fioritura epica meridionale scomparsa. Si faceva pure strada un'ipotesi di Uhland, che sosteneva esservi, al di sotto di questi poemi, qualcosa di germanico.
All'esistenza di cantilene lirico-epiche Paul Meyer preferiva quella di alcuni presunti poemetti, che sarebbero stati il nucleo fondamentale delle canzoni. Pio Rajna, accogliendo questa ipotesi, e ricercando le radici dell'epopea francese entro le tradizioni letterarie germaniche, coronò, in un libro notissimo, la teoria romantica, che aveva riempito di sé tutta la storia erudita delle origini e della formazione delle canzoni di gesta durante il sec. XIX.
Un nuovo esame di tutto il complesso problema ha condotto, in questi ultimi tempi, J. Bédier a impugnare questa celebre teoria e a sostituirvi il concetto di un'analisi particolareggiata per ogni poema. Quest'analisi è stata feconda di risultati, che in parte almeno vanno accettati, come quelli che dànno ragione sia dell'arte, che si svela in alcune canzoni di gesta, come in quella di Orlando, sia di tutto un insieme di usanze, di consuetudini e di costumi, che riflettono vivacemente i caratteri della cosiddetta seconda rinascenza francese, dopo la prima di Carlomagno, cioè i caratteri dei secoli XI-XII. L'assenza stessa della vita dei borghesi e dei contadini da questi poemi, che ci dànno invece un'immagine sincera delle costumanze delle classi più alte della Francia, è un fatto che ci invita a dubitare della verità della teoria popolare romantica. Ma, in particolare, il dubbio si converte in scetticismo se notiamo che la tanto decantata primitività delle canzoni si manifesta come un atteggiamento dell'arte del Medioevo e che la loro spontaneità e ingenuità sono cose più apparenti che reali, in quanto sono un prodotto della tecnica e del gusio del tempo. Non sempre, nei regni della poesia, la semplicità è immediatezza. Talora questa semplicità è frutto d'un laborioso lavoro, che rimane nascosto e non si scopre che dopo un lungo e tenace studio. E, nelle canzoni di gesta, è accaduto che, approfondendo l'indagine, sia apparso opera di un dotto o di un chierico ciò che sembrava originalità e verginità di un uomo del popolo. Oggi nessuno vorrebbe negare, p. es., nella Chanson de Roland gli evidenti segni di una tecnica tutt'altro che volgare, anzi, per taluni rispetti, raffinata. Quando poi si consideri che le nostre canzoni hanno molteplici riferimenti a santuarî e a vie di pellegrinaggi, e che si collegano spesso a vite di santi e di eroi venerati nel Medioevo in chiese e monasteri, non è chi non veda come la ricerca delle origini di questi poemi possa essere condotta con criterî diversi da quelli dei romantici e come, insomma, il problema si possa impostare su altre basi. Così, il Bédier ha dato di questo nuovo modo di considerare le cose un insigne esempio, riprendendo a studiare la maggiore canzone di gesta francese, la Chanson de Roland, che, si potrebbe dire, ha fornito gli schemi e la lingua all'epopea di Francia. Egli ha notato che la leggenda di Orlando ha intimi rapporti con le tappe delle strade che conducevano, attraverso a Roncisvalle, al santuario di S. Iacopo di Compostella; ha notato ancora che la famosa cronaca di Turpino, che pareva essere anteriore al poema, altro non è che un capitolo del Liber Sancti Iacobi, una specie di guida per i pellegrini a Compostella, messa insieme intorno alla metà del sec. XI, quando ebbero luogo in Spagna le crociate francesi; e ha concluso, dopo un accurato esame, che la Chanson de Roland trova il suo naturale e degno posto nel periodo, pieno di fervore e di fermento, che sta a cavaliere dei secoli XI e XII. Ne viene che la teoria delle cantilene lirico-epiche sfuma sino a perdersi nell'ombra vaga di un'inconsistente supposizione. La stessa unità del poema ci impedisce di considerarlo quale un agglomerato di canti distinti, così legato com'è nelle sue parti, cosi coerente, con quei suoi personaggi lineari, con quella sua contenuta e forte ispirazione, che non può essere di varî e diversi autori, ma di un solo poeta. Se la Chanson de Roland ci conduce in Spagna, ecco che altre canzoni di gesta ci portano in Italia, sulle vie del pellegrinaggio di Roma, come l'Otinel, che può essere ascritto alla Gesta del re e l'Amis et Amile, i cui corpi erano venerati a Mortara. D'altro lato, le leggende della Gesta di Doon, mettono capo a tradizioni, che ci conducono all'abbazia di Saint Riquier in Ponthieu; e quelle della Gesta di Garin si localizzarono lungo la cosiddetta via tolosana, celebre per i suoi santuarî, che ne costituivano le stazioni principali. Questa la storia della formazione delle canzoni di gesta, che non paiono risalire, nella forma a noi conosciuta, oltre il sec. XI. Se ha a ragione il Bédier, la forma a noi conosciuta è quella originale.
Intorno ai migliori e più vecchi poemi, quali la Chanson de Roland, il Couronnement Louis, ecc., si venne costituendo un genere letterario, da cui esularono presto le doti di spontaneità e di schiettezza delle più antiche canzoni, quelle doti che erano state una fra le principali ragioni del loro prestigio e del loro buon successo. Per più di due secoli, si composero in Francia, sopra schemi fissati dalla tradizione, canzoni di gesta. Ma già nel sec. XII i migliori modelli avevano esercitato il loro influsso in Spagna, dove, fra il 1150 e il 1200, fu composto il Cantare del Cid ("gesta de myo Cid", v. 1085), nel quale sono state notate reminiscenze e abitudini letterarie francesi. In particolar modo, in Italia le canzoni di Francia, soprattutto le carolingiche, portate dai giullari, si propagarono con grande fortuna. Una redazione importante franco-veneta della Chanson de Roland è conservata in un ms. Gonzaga (ora nella Marciana di Venezia) scritto a Verona nel sec. XIV. Tutto il famoso codice marciano francese n. 13 contiene una serie di poemi, composti in Italia, di materia carolingica, a cui è stato dato il litolo di Geste Francor. E sono propriamente canzoni di gesta l'Entrée d'Espagne e la Prise de Pampelune, poemi franco-italiani dovuti il primo, quasi per intero, a un anonimo padovano e il secondo a Niccolò da Verona (sec. XIV).
Le canzoni di gesta del cosiddetto "ciclo della crociata" narrano, con colori poetici, i fatti di Goffredo di Buglione e dei suoi predecessori e successori. Fra i poemi antichi francesi, queste canzoni della crociata rivestono un carattere particolare, perché vorrebbero essere cronache rimate e vorrebbero vantare la pretesa di una certa autorità storica. Invece in esse si avvicendano motivi storici e fantastici e la tradizione vi appare già trasformata in leggenda. Esistette un poema di Richart le Pèlerin, intitolato Antioche, che possediamo soltanto in un rifacimento di Graindor de Douai, il quale non si staccò molto dall'originale, anzi lo rimaneggiò con fedeltà. Come appare dal titolo, il poema racconta l'assedio e la conquista di Antiochia, oltre che la spedizione di Goffredo, e riposa in parte sulle cronache di Alberto di Aix e di Pietro Tueboeuf. Sull'assedio di Antiochia ci è rimasto anche un frammento di un poema provenzale. La conquista di Gerusalemme è narrata nel poema Jérusalem. Entriamo nel campo della novellistica con le celebri canzoni Le chevalier au cygne e le Enfances Godefroi. A base di questi poemi sta la leggenda del cigno (leggenda diffusissima concernente la trasformazione in cigno dei figli di un re), la quale fu riferita al Buglione forse perché questi, essendo cruce signatus, era un "chevalier au signe" (lat. signum), e il vocabolo signe fu scambiato per cygne (cigno) per omofonia. Sono canzoni tarde (sec. XIV) di crociata quella dei Chétifs, di Baudouin de Seboure e del Bastard de Bouillon. Il fervore e il fermento destati nella cristianità dalla prima crociata furono tali, che c'è da maravigliarsi che ci siano rimasti così pochi poemi di dubbio valore letterario. E, forse, il loro men che mediocre valore estetico fu una ragione della loro poca diffusione in Italia. È dubbio che alcuni di questi poemi il Tasso abbia potuto conoscere nei codici della biblioteca dei duchi di Ferrara, perché il Gutifre de Buione, che registrano gli antichi inventarî estensi, altro non era che un testo francese in prosa (Voyage de Charlemagne).
Invece, la lirica francese e provenzale vanta parecchie interessanti canzoni e forti sirventesi relativi alle crociate, in particolare alla terza e alla quarta, e alle spedizioni contro i Saraceni di Spagna. I componimenti dei trovatori provenzali relativi alla crociata degli Albigesi (sulla quale abbiamo anche tutto un poema occitanico) hanno ancora un maggiore interesse culturale, perché sostituiscono talora le cronache, mentre quelli sulle crociate di Terra Santa sono vaghi e indeterminati, contesti di frasi eloquenti e di rimproveri ai principi, che sono lenti a correre in difesa di Gerusalemme e di Dio. Sono, in fondo, gli argomenti e le sollecitatorie stesse dei predicatori ispirate dalle lettere papali. Cantarono le crociate alcuni fra i migliori trovatori (Marcabruno, Raimbaud de Vaqueiras, Folchetto di Marsiglia) e troveri (Huon de Oisi e Huon de Berzé). La partenza del crociato fu altresì uno dei motivi della lirica romanza nel periodo delle origini.
Bibl.: C. Fauriel, in Revue des deux mondes, 1832; id., Histoire de la poésie provençale, voll. 3, Parigi 1849; L. Gautier, Les épopées françaises, voll. 4, 2ª edizione, Parigi 1878-1882; G. Paris, Histoire poétique de Charlemagne, 2ª ed., Parigi 1895 (1ª ed. 1865); P. Meyer, Recherches sur l'épopée française, in Bibl. de l'école des Chartes, XXVIII (1867); P. Rajna, Le origini dell'epopea francese, Firenze 1884 (su questo libro: G. Paris, in Romania, XIII, p. 486); J. Bédier, Les Légendes épiques, voll. 4, 2ª ed., Parigi 1914-1921; R. Menéndez Pidal, España del Cid, Madrid 1930; P. Rajna, La geste Francor, Venezia 1922; G. Bertoni, Il Duecento, 2ª ed., Milano 1930, cap. 3° (Poesia franco-italiana). Sul "ciclo della crociata" v. Kr. Nyrop, Storia dell'ep. franc. nel Medioevo (trad. E. Gorra), Firenze 1886, p. 214 segg.; K. Lewent, Das altprovenzalische Kreuzlied, in Romanische Forschungen, XXI (1906); J. Bédier, Chansons de croisade, avec leurs mélodies publiées par P. Aubry, Parigi 1909.