canzoni di gesta
. Gli studiosi unanimemente ritengono che D. abbia conosciuto le canzoni di gesta francesi, e in particolare la maggiore e la più divulgata di esse, la Chanson de Roland: senza dubbio direttamente dalla canzone di Rolando sembrano derivare infatti la comparazione dell'alto suono del corno di Nembrotte col terribile suono del corno che Rolando con pena e affanno fa risuonare a Roncisvalle (If XXXI 16-18 Dopo la dolorosa rotta, quando Carlo Magno perdé la santa gesta, / non sonò sì terribilmente Orlando) e la citazione di Ganellone tra i traditori (If XXXII 122); mentre dalla Chanson de Guillaume, la più antica del ciclo di Guglielmo d'Orange, sembra, derivare la collocazione non tanto di Guglielmo quanto del gigante Renoardo tra gli spiriti militanti del cielo di Marte (Pd XVIII 46). In particolare, non sembra lecito dubitare che sia espressamente da riportare alla Chanson de Roland la similitudine del suono del corno, per quel dopo la dolorosa rotta con cui la comparazione inizia; che, con molta esattezza, ci riporta al testo a noi noto della Chanson; nella quale si rileva l'‛ eroica follia ' di Rolando che, nonostante il suggerimento del saggio Oliviero, rifiuta di chiedere, col suono del corno, l'aiuto di Carlo quando si manifesta la schiacciante prepotenza delle forze saracene venute all'assalto della retroguardia, perché non vuole che gli sia imputato a viltà il non poter assolvere da solo all'impegno che gli era stato imposto; e solo dopo la catastrofe, quando soltanto sessanta cavalieri spossati restano intorno all'eroe, superstiti della strage tremenda, egli si rassegna a chiamare col corno Carlo Magno al soccorso e alla riscossa. Che proprio dall'epopea e non da altre fonti - per esempio dall'Historia Turpini et Rotholandi per quel che riguarda i motivi rolandiani; o, per quel che riguarda i motivi guglielmini, dalla leggenda agiografica di Guglielmo d'Orange, resosi monaco a Gellona e onorato come s. Guglielmo del deserto - derivino le citazioni o allusioni dantesche si riconosce agevolmente in quanto Renoardo è personaggio dell'epopea e non della leggenda agiografica, mentre senza dubbio all'epopea e non a fonti clericali è da riportare il tono intenso e commosso del v. 16 - dopo la dolorosa rotta -, rilevato felicemente dal Torraca come " l'eco del dolore che la rotta ispirò per secoli a innumerevoli cuori; e anche il gran cuore di Dante lo sente; e dopo rotta par che il suo verso non trovi la via di proseguire ".
Si pone, tuttavia, il problema dei documenti da cui D. ha acquisito la conoscenza delle canzoni di gesta; non sembra sufficiente riferirsi a ricordi della recitazione o declamazione giullaresca, e par necessario pensare alla lettura attenta del testo scritto. D'altra parte, la nozione di un D. ‛ lettore ' delle canzoni di gesta - la nozione, cioè, che le canzoni di gesta siano da porre come elemento della cultura letteraria dell'Alighieri - sembra in contrasto con la rappresentazione che della letteratura francese il poeta ci offre in VE I X 2, dove si afferma il primato della lingua d'oil nella prosa, mentre alla lingua d'oc si attribuisce la preminenza come lingua della lirica: quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaycum, suum [cioè del volgare d'oïl] est: videlicet Biblia cum Troianorum Romanorumque gestibus compilata et Arturi regis ambages pulcerrimae et quamplures aliae ystoriae ac doctrinae. La letteratura francese che D. ammira è tutta prosastica, e completo è il silenzio sulla poesia francese del Medioevo. Non sorprende il silenzio sul romanzo cortese in versi, che è il prodotto, certo, più illustre della letteratura in lingua d'oïl, ed è creazione di troveri grandissimi, tra i quali eccelle Chrétien de Troyes, il maggior poeta del Medioevo occidentale prima di D.; a poco più di un secolo dalla morte di Chrétien, del romanzo cortese in versi si è perduto anche il ricordo poiché, per le mutate condizioni della società signorile, le Arturi regis ambages pulcerrimae non si ascoltano più dalla declamazione o dal canto dei giullari, ma si leggono (noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto..., lf V 127-128): ed è ovvio che più agevole, e quindi più gradita, è la lettura dei romanzi in prosa che non dei romanzi in ottonari. Per questo, i grandi romanzi in versi non si copiano più e sono soppiantati dai rifacimenti o dalle rielaborazioni o ricreazioni in prosa che dei romanzi in ottonari si allestiscono e incontrano immensa fortuna: sicché, nella nozione di D., la prosa è la forma propria del romanzo: versi d'amore e prose di romanzi è la formula con cui l'Alighieri designa (Pg XXVI 118) il complesso della letteratura illustre volgare.
Può sorprendere, invece, il silenzio sul Roman de la Rose, che non si può pensare ignoto a D., specialmente se si accetta l'attribuzione a D. del Fiore, che del Roman de la Rose è, com'è noto, un rifacimento. E può sorprendere il silenzio sul Roman de Renard, che neppure si può pensare sia rimasto ignoto al poeta. In realtà nel De vulgari Eloquentia D. cita un solo trovero francese: il Re di Navarra, e cioè Tebaldo IV conte di Champagne, ricordato tre volte (I IX 3, II V 4, VI 6) tra i trilingues doctores - provenzali, italiani, francesi - che hanno realizzato la lirica illustre. E proprio la citazione del re di Navarra suggerisce al Marigo la spiegazione che egli propone per giustificare il silenzio di D. sulla poesia epica francese delle canzoni di gesta: poesia che non sollecitò l'interesse del poeta in quanto espressa solo " nello stile mediocre e umile " e mai nello stile tragico, che è l'oggetto dell'indagine del De vulgari Eloquentia (o meglio, diremo, della parte di quest'opera che D. ha composto; è noto che in VE II IV 1 il trattatista annuncia che si riserva di mostrare l'uso che del vulgare mediocre e del vulgare humile si deve fare per realizzare lo stile ‛ comico ' e lo stile ‛ elegiaco '). Il Rajna, per contro, fermamente afferma (" Romania " XXVI 31) che si farebbe torto a D. se non si ritenesse che nel quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaycum (I X 2) siano comprese anche le canzoni di gesta: pare inammissibile che, esponendo le ragioni per cui afferma il diritto al primato del volgare d'oïl, mentre cita compilazioni di non alto valore artistico, trascuri di " allegare a favore suo una letteratura straordinariamente ricca che la stessa Divina Commedia... mostra ben chiaro qual luogo occupasse nella mente dell'Alighieri ". E conclude il Rajna che alla letteratura delle gestes certo si allude con le parole quamplures aliae ystoriae, (c cui sarebbe altrimenti difficile trovare un'applicazione opportuna ". Ma le complures ystoriae che D., genericamente, richiama sono comprese nel quicquid redactum est ad vulgare prosaycum; e perciò la tesi del Rajna implica che D. ritenesse le canzoni di gesta composte in prosa ritmata. A conferma di questa tesi si possono addurre alcune testimonianze : prosae si dicono le sequentiae liturgiche, in contrapposizione agli hymni; " prosa en roman paladino " chiama Gonzalo de Berceo una sua sacra leggenda in strofe monorime di quattro alessandrini; e " prosa sonora " ritiene Donizone che siano le canzoni di gesta (" Francorum prosa sunt edita bella sonora "). Ma il Marigo giustamente osserva che non " si può concepire che [Dante] mentre rivela [nell'Eloquentia] uno studio attento del verso neolatino ed esalta l'endecasillabo come superbissimum carmen scambiasse le lasse di decasillabi francesi delle chansons come prosa ritmata ". Non prosa dunque, ma poesia, per l'Alighieri, sono le canzoni di gesta, per quanto di stile inferiore. Il Marigo appare fermo nel giudizio che D., solo perché ritiene che tutta la poesia in lingua d'oïl appartiene allo stile mediocre o umile - con la sola eccezione della lirica del re di Navarra - non considera quella poesia e non ne parla nel De vulgari Eloquentia; in cui afferma il primato del francese per l'uso che se ne fa nelle ‛ altissime ' prose delle compilazioni storiche, nei romanzi, nei trattati dottrinali: pertinenti, questi sì, alla letteratura illustre. Senonché a questo suo giudizio contradice poi il Marigo stesso quando conclude che nel termine ystoriae si possano comprendere anche i fabliaux, che sono in versi; e più che non le canzoni di gesta remoti dallo stile ‛ tragico ' : i fabliaux sono novelle di materia bassa e triviale, cui conviene lo stile infimo, che D. designa come stile ‛ elegiaco ', perché in distico elegiaco sono le novelle mediolatine che sono trasposizioni in chiave narrativa della materia delle commedie plautine e terenziane e si dicevano, appunto, comoediae elegiacae; e lo stile ‛ elegiaco ', proprio di queste comoediae, è il più basso dei tre genera dicendi - grande, mediocre, infimum - distinti dalla dottrina retorica.
Insomma bisogna concludere che ogni tentativo di conciliare la rappresentazione dantesca della letteratura d'oïl come letteratura essenzialmente prosastica, con la conoscenza che D. ebbe dell'immensa, ricchissima, divulgatissima letteratura poetica francese, urta contro difficoltà insormontabili e porta a proposizioni incerte o contraddittorie o inaccettabili. Resta, comunque, che la divulgatissima letteratura delle gestes è parte importante della cultura letteraria di D., che della Chanson de Roland, almeno, fu attento e commosso lettore, come s'è visto.
Occorre rilevare che nei secoli XIII-XIV, in Italia, la divulgazione immensa dell'epopea francese non si verifica solo tra il popolo, ma anche nel mondo, possiamo dire, dell'alta cultura. E basterà ricordare che un chierico è il padovano autore di quel poema, l'Entrée d'Espagne, che è la prima libera e originale elaborazione e interpretazione italiana della materia epica francese; un chierico che dalla clericale Historia Turpini prende lo spunto, e della sua cultura latina si compiace di fare sfoggio : ha famigliari i Disticha Catonis, conosce bene la storia romana quale si insegnava nelle scuole, e ricorda Enea, gli Orazi e i Curiazi, Annibale, Scipione, Crasso, Pompeo, Traiano e più volte Giulio Cesare, sul quale mostra di avere conoscenze abbastanza precise. Nell'opera sua è riconoscibile qualche traccia di cultura araba. Ma la cultura dell'autore dell'Entrée è essenzialmente francese: di tutta la narrativa francese, epica e romanzesca, egli mostra una conoscenza viva e profonda, nata da letture avide e appassionate.
Ancor più che l'autore dell'Entrée appartiene al mondo dell'alta cultura e alla società cortese Nicolò da Verona, che ha composto una canzone che dell'Entrée è la continuazione e fu intitolata dal Michelant La prise de Pampelune. Nicolò - ha scritto Vincenzo Crescini - " non fu giullare da strapazzo che ridicesse le favole epiche in mezzo al popolo, ma poeta di corte cosciente dell'opera propria, che non voleva smarrirsi nella folla e registrava il suo nome nei versi propri ". Fu poeta della corte di Ferrara, dove probabilmente ebbe posto nella cancelleria di Nicolò I d'Este; la presenza del trovero epico, che usa - e con notevole sicurezza - il francese, alla reggia estense, conferma quello che sugl'interessi letterari dei marchesi di Ferrara ci indicano gl'inventari dei libri che essi, già al tempo di Nicolò i, avevano " preso a raccogliere e sono in tanta parte poemi e romanzi " francesi, come scrive il Crescini ; il quale aggiunge che l'opera di Nicolò da Verona prepara, nel Trecento, a Ferrara " la florescenza epica e romanzesca di due secoli appresso ", sicché Nicolò ci appare " lontano... precursore del Boiardo e dell'Ariosto ".
Oltre che della Pharsale - rifacimento del poema di Lucano - e della Prise, Nicolò è autore di un poema sulla Passion: l'attività del trovero, dunque, si esercita sulla materia religiosa, classica, carolingia, rivelando varietà larga d'interessi e ricca cultura.
Ovviamente non tutta di grado così elevato è la letteratura epica franco-italiana : al livello, diremo, della letteratura giullaresca resta, ad esempio, la vasta compilazione conservataci dal codice Marciano franc. XIII; la cui materia deriva non dalla solenne epopea rolandiana, cui vanno riportate l'Entrée e la Prise, ma da tarde canzoni francesi, di cui molte sono di tono ‛ comico ' e di andamento novellistico, e rivelano la discesa dell'epopea nella tradizione giullaresca.
A ogni modo, il fatto che delle canzoni di gesta francesi gli Italiani dei secoli XIII e XIV son lettori attenti, curiosi, appassionati è documentato da un gruppo cospicuo di codici, provenienti per lo più dalla biblioteca principesca dei Gonzaga, posseduti oggi dalla biblioteca Marciana di Venezia. Tra questi codici vanno segnalati il Marciano fr. IV, che contiene la canzone d'Aspremont e la canzone di Roland, in parte conforme alla redazione assonanzata più antica conservata dal celebre codice di Oxford, in parte alla redazione rimata; il Marciano fr. VI, che contiene la canzone di Aspremont; il Marciano fr. che contiene la redazione rimata del Roland, cui si rifà in parte il Roland di v4 (lo stesso testo è anche in un codice di Chàteauroux, pure proveniente dalla biblioteca dei Gonzaga); il Marciano fr. VIII, che contiene la canzone di Aliscans; il Marciano fr. X, che contiene la canzone di Gui de Nanteuil, cui è stata premessa un'introduzione originale di circa mille versi; i Marciani fr. XIX e XX, che contengono la canzone di Fouque de Candie.
Da testi di questo tipo, circolanti nei milieux signorili dell'Italia superiore, è lecito pensare che D. abbia derivato la puntuale conoscenza delle canzoni epiche, che abbiamo rilevato. Che i codici marciani citati siano stati eseguiti in Italia da amanuensi italiani è denunciato con piena evidenza dalla condizione della lingua : frequentemente i copisti alterano la lingua dei modelli, introducendo, più o meno consapevolmente, nei testi che stanno trascrivendo forme e costrutti del loro volgare italiano. Il grado di italianizzazione subita dai testi copiati in Italia non appare sempre uguale; modesta e superficiale l'italianizzazione di alcuni, profonda e radicale quella di altri, particolarmente del Roland del Marciano fr. IV, che il Bertoni giudicò una volta (ma non restò fermo del tutto al suo giudizio) " malgrado le non poche forme francesi o infranciosate... sopra tutto alla rima... una versione della Chanson de Roland in un volgare d'Italia e precisamente in veronese ".
Ora, questo fatto dell'adattamento o accostamento dei testi dell'epopea alla lingua delle aree in cui i testi stessi sono importati e divulgati non riguarda solo l'Italia: basterà ricordare che in versione anglonormanna ci sono pervenute le tre canzoni di gesta che sono certamente le più antiche : la Chanson de Roland conservataci nel ms. Digby 29 della Bodleian Library di Oxford (0), la Chançun de Willame conservataci dal ms. Additional 38663 del British Museum di Londra, il frammento della canzone di Gormont et Isembart conservato da un foglio di rilegatura asservato nel portafogli II 181 della Bibliothèque Royale de Belgique di Bruxelles. Ed è da rilevare che queste versioni anglonormanne, a parte la veste linguistica, sono certo più fedeli agli originali delle canzoni, che non le versioni francesi che ne sono spesso un libero rifacimento. Le versioni anglonormanne sono estremamente conservative; tanto che è lecito verificare nella tradizione anglo-normanna della letteratura antico-francese - e non solo della letteratura epica - le condizioni linguistiche dell' ‛ area seriore '. D'altra parte, nella stessa Francia - a parte la necessità di adattare i testi alle diverse condizioni linguistiche delle diverse aree dialettali francesi, delle diverse ‛ provincie ', in cui i testi stessi si diffondevano - per il fatto che la lingua d'oïl - che pure è strumento di una grandissima letteratura - non ha mai subito quel processo di codificazione, di regolamentazione per cui una lingua si fissa in forme canoniche cui ogni scrittore si sente più o meno strettamente vincolato (e resta perciò estremamente instabile ed esposta a forti impulsi innovatori cui nessun valido elemento conservatore si oppone) la lingua di qualsiasi testo - come ha osservato Charles Bruneau - diventa " peu à peu inintelligible pour le lecteur moyen après une cinquantaine d'années "; sicché " chaque copiste l'habillait à la mode de son milieu . ou à l'usage de son temps [e, possiamo aggiungere, dell'area linguistica in cui il copista vive ed opera], l'arrangeait à son gré ".
Nessun testo dell'antica letteratura francese ci è giunto nella veste originale e autentica attraverso un'ininterrotta tradizione di copie fedeli o almeno intenzionalmente fedeli. Questa situazione, determinata dall'instabilità della lingua mutevolissima, in perenne movimento non rallentato da forze conservative, è aggravata, come il Viscardi ha cercato di mostrare, dal fatto che " l'immenso successo e l'enorme divulgazione delle canzoni di gesta e dei romanzi - e cioè delle forme più valide e originali della letteratura alto-francese, quelle forme per cui essa letteratura è la letteratura non solo della Francia, ma di tutta l'Europa romanza e germanica dei secoli XII e XIII - dipendono non già dalla forma, bensì dalla materia ", in quelle creazioni rappresentata. Contano le vicende e i personaggi specialmente; e sono personaggi grandi e vivi : Rolando, Viviano, Gano. Rispetto alla realtà grande dei personaggi epici creati da grandi poeti e animati da una vitalità immensa e solenne, la ‛ forma ' - e specialmente la lingua - resta fatto singolare e quasi episodico, che non fa luogo al definirsi di una tradizione : mentre il sorgere e lo stabilirsi di una tradizione valida e viva determina la ‛ materia ' delle canzoni, comunque volgarizzata e trivializzata. I personaggi e le drammatiche vicende dell'epopea restano nella fantasia e possiam dire nella coscienza di tutti anche dopo che si perdono nell'oblio e nel silenzio i testi in cui primamente personaggi e vicende dai poeti intuiti erano stati realizzati e fissati in immagini grandissime; e la degradazione e la trivializzazione che quelle immagini subiscono ad opera dei volgarizzatori e dei divulgatori dei testi primitivi non valgono a sminuire, a offuscare, a immiserire la forza suggestiva delle creazioni originali.
Bibl. - Oltre alle opere di tradizionale consultazione sull'argomento in generale (G. Paris, Histoire poétique de Charlemagne; L. Gautier, Les épopées françaises; P. Rana, Origini dell'epopea francese; Ph. A. Becker, Nationale Heldendichtung, nel " Grundriss der altfranzösischen Literatur ", della Sammlung romanischer Elementar Handbricher, pubblicato sotto la direzione del Meyer Lúbke [1907]; J. Bédier, Légendes épiques; I. Siciliano, Les origine: des chansons de geste, théories et discussione; ecc.) : E. Hoeppfner, Les rapports littéraires entre les premières chansons de geste, in " Studi Medievali " n.s., IV (1931) 253 ss.; A. Pauphilet, La chanson de Roland, in Le legs du Moyen Age, Melun 1950, 65 ss.; J. Frappier, Les chansons de geste du cycle de Guillaume, i, Parigi 1955; II, ibid. 1965; J. Rychner, La chanson de gente. Essai sur l'art èpique des jongleurs, Ginevra-Lilla, 1955; S. Battaglia, La trasmissione giullaresca, in " Filologia Romanza " V (1959) 252 ss. (ristampato in La coscienza letteraria del Medio Evo, Napoli 1965); R. Menéndez Pidal, La Chanson de Roland y el neotradicionalismo, Madrid 1959 (rec. di F. Lecoy, in " Romania " LXXXIV [1963] 88 ss.); M. Delbouille, La chanson de gente et le livre, in La technique littéraire des chansons de geste, Actes des colloques de Liège 1957, Liegi 1959; A. Viscardi, Le letterature d'oc e d'oïl, nuova ediz., Firenze - Milano 1967, 5 ss., 76 ss., 312 ss.; e le note a c. di A. Finoli, p. 447; A. Viscardi, Le Origini, Milano 1966, 540-573, 575-576, 623-662, 743-771, 661-662, 785-787; M. Tyssens, Le style orale et les ateliers de copistes, in Melanges… offerts erts à M.. Delbouille, Gembloux 1964; ID., Le joungleur et l'écrit, in Mélanges offerts à R. Crozet, Poitiers 1966.