BONTEMPI, Candido Serafino (Candido da Perugia)
Da Bontempo di Giovanni, di nobile e illustre famiglia, perugina, e da Pia di Francesco di Bartolo, nipote del celebre giureconsulto, il B. nacque a Perugia in data sconosciuta, ma verosimilmente - stando al Battaglini - da porre agli inizi del sec. XV.
Secondo il Vermiglioli, la madre fu Pia di Francesco Alfani, nipote del celebre Baldo degli Ubaldi, e la nascita sarebbe da segnare "negli ultimi lustri del secolo XIV"; ma si tratta di errore, ancor meno spiegabile avendo l'autore dichiarato di seguire il Battaglini, Per quanto attiene alla data di nascita proposta dal Vermiglioli agli anni 1385-90, non sembra possibile ammettere, per non dir altro, che il B. potesse comporre la sua opera tra i 79 e gli 84 anni, affrontando inoltre, attorno a quell'età, viaggi non certo agevoli. Né osta alla data proposta dal Battaglini l'avere il B. un figlio, Sisto Cornelio, nel 1455 già arciprete di alcune chiese nella diocesi di Rimini, e una figlia già maritata nel 1463: si può infatti supporre che il B. avesse contratto un primo matrimonio in giovane età (ci è attestato solo quello del 1448 con la Tomacelli).
La famiglia - che nel '400 abitava presso la porta Eburnea, nella parrocchia di S. Maria del Mercato - aderì fin dal sec. XII alla fazione popolare dei raspanti, e si sa che Bontempo osteggiò apertamente nel 1416 l'avvento della signoria di Braccio; alla morte di questo (1424), riapertesi le lotte tra nobili e popolari, prevalsi alla fine i primi, i Bontempi vennero evidentemente a trovarsi in posizione critica, e particolarmente il giovane Candido, colpito, ai primi del 1433, da una condanna al confino. Si rifugiò allora a Foligno, accolto ospitalmente e onorevolmente da Corrado Trinci. Di passaggio a Foligno di ritorno dall'incoronazione romana, il 30 agosto dello stesso anno l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo lo insigni del titolo di cavaliere dell'ordine militare del Dragone Debellato.
Alla corte del Trinci il B. ebbe opportunità di frequentare anche familiarmente alcuni esponenti della cultura umanistica e letteraria, tra cui Federico Frezzi; e fu forse proprio al contatto con questo ambiente che si può far risalire la sua iniziazione alle lettere. A Foligno non poté tuttavia restare a lungo: sospettato di mantenere relazioni con alcuni esponenti dell'opposizione al governo nobiliare perugino, quali Ranieri del Frogia e Leonello Michelotti, e di dare asilo e aiuti ai fuorusciti, fu invitato, con intimazione del 22 ott. 1434, ad abbandonare la città "infra terminum sex dierum prox. futurorum" e a scegliersi una nuova residenza confinaria. Tra le proposte - Genova, Venezia e L'Aquila - il B. scelse quest'ultima.
Nel frattempo, però, era stato eletto "capitaneus civitatis Senarum pro semestri", sicché i termini a quo dell'intimazione, con successivo decreto del 18 nov., gli furono prorogati "per septem mensium incipiendorum a die inclinationis et initii officii predicti". Il Pellini sostiene che la carica gli venne rinnovata per altri sei mesi, ma non ci è pervenuto alcun documento comprovante quest'affermazione. Mancano anche notizie riguardo l'attività e i soggiorni del B. negli anni successivi, fino al 1448, data in cui era - non sappiamo però da quanto tempo - nuovamente a Foligno e sposava, probabilmente in seconde nozze, Pantasilea di Andrea Tomacelli, marchese della Marca, e di Agnese, sorella di Corrado Trinci. La sposa gli recava la dote di mille fiorini aurei disposti a suo favore fin dal 1431 dal Trinci, il quale nel 1428, alla morte del cognato, ne aveva accolto in casa la vedova e la famiglia.
Da una lettera di Francesco Filelfo a Piero Pierleoni, datata Milano 17 apr. 1453, si apprende che "Candidus Bontempus eques auratus" era giunto nella città lombarda incaricato d'una missione da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Non si conosce in quale anno il B. fosse passato a Rimini e accolto al servizio del Malatesta, ma non sembra avventato credere che ciò possa essere avvenuto poco prima del 1453. Nel 1454 era inviato a Siena in qualità di "segretario et consiglieri del prefato miser Sigismondo", e riusciva a concludere un capitolato riguardante rapporti tra i Senesi, che avevano offerto a Sigismondo un ingaggio, e Francesco Sforza, il quale si opponeva all'ingaggio stesso (quest'incarico è con ogni probabilità da mettere in relazione con la missione a Milano, citata nella lettera del Filelfo). È intorno a questa data che Benedetto da Cesena lo ricorda come "miles gentile" nel suo poema De honore mulierum.
L'anno seguente il B. è ancora indicato come "consiliarius" del signore milanese, in un rogito del notaio Bartolo Venerandi, in cui è nominato anche il figlio Sisto Cornelio, arciprete di S. Giovanni in Compito e di S. Pietro di Savignano del vicariato di Sant'Arcangelo. A Rimini si stabilì e restò alcuni anni: il 28 giugno 1463 faceva redigere un documento nel quale eleggeva suo procuratore in alcuni affari il genero Francesco di Muzio de' Marganti, nobile folignate, ed è questo l'ultimo segno della sua permanenza in questa città. Ma non è possibile indicare la data del suo trasferimento a Ferrara: si potrebbe anche concordare con il Battaglini e credere che sia avvenuto alla morte di Sigismondo (che erroneamente il Battaglini anticipa di un anno); ma almeno una certa familiarità col duca di Ferrara il B. doveva già avere, se il 20 genn. 1467 "de commissione de lo ill.mo Principe" gli fu prestata dalla biblioteca ducale "una cronica vechia in carta membrana", ch'egli aveva richiesto.
Non è inoltre considerazione da trascurare il fatto che dalla morte di Sigismondo, avvenuta il 9 ott. 1468, alla data in cui il B. terminò Il Salvatore trascorrono tredici mesi circa. Se non si intende anticipare di qualche anno la sua partenza da Rimini per Ferrara, si potrà anche avanzare l'ipotesi che, iniziato per il Malatesta, il poema sia stato poi dedicato a Borso, dal quale il B. si riprometteva d'avere o già aveva ottenuto protezione o incarichi.
A Ferrara, o meglio ad Argenta, donde egli data il termine del suo poema il 31 ott. 1469, il B. si trattenne alcuni ancora. Nel testamento della madre redatto nel 1470 egli, assente, è nominato crede delle sostanze di famiglia assieme con Bernardino di Bartolomeo Bontempi, nipote di Pia. L'anno seguente, il 27 settembre, si trovava ancora a Ferrara e chiedeva in prestito alla libreria ducale un codice del suo poema, quello stesso manoscritto "che lui presentò più e più misi fano a lo Ill.mo D.S.N. e de commission de la sua Ex.tia" Borso e che, con ogni probabilità, è da identificare con l'attuale cod. Estense ital. 353 (già VIII C 11).
Nel 1472 si sottolinea in un documento l'assenza del B. da Perugia: il che potrebbe anche significare ch'egli era tornato in patria e che ne era lontano solo momentaneamente. In questo caso potrebbe trovare sostegno la notizia riferita dal Dorio secondo la quale proprio in quell'anno egli fu podestà a Camerino. Tre anni dopo la madre, essendo il B. ancora assente da Perugia e dovendo far lascito di alcuni beni, ne designava erede un certo Cristoforo del fu Giacomo notaro.
Il primo documento che cita il B. come defunto sembra essere l'atto del 1497 con cui i figli Cesarino e Gerio, il primo residente a Perugia, l'altro a Camerino, chiedono al tribunale perugino di rientrare in possesso d'una parte di patrimonio usurpata da alcuni parenti. In mancanza d'altre notizie, è però impossibile indicare con approssimazione meno ampia la data della sua morte; né sappiamo dove egli morì.
Il lungo poema in terzine del B., Il Salvatore - giuntociin tre codici: il già citato Estense ital. 353e i D 47 e 48 della Biblioteca Comunale di Perugia -, è diviso in due libri, dei quali il primo è suddiviso in due parti, rispettivamente di sessantasette e trentuno capitoli, il secondo anch'esso in due parti, la prima di sessanta, la seconda di cinquantuno capitoli. Stancamente e non di rado sciattamente l'autore vi parafrasa il racconto dei Vangeli, narrando alcuni fatti della vita di Cristo come se vi fosse stato presente, appesantendo la materia con divagazioni a sfondo ora moralistico ora teologico; inserendo a metà della seconda parte del secondo libro una lunga digressione encomiastica per Borso d'Este, cui appunto l'opera è dedicata; e concludendo con una rassegna laudativa dei più illustri personaggi del suo tempo. Di scarso valore poetico, Il Salvatore riveste tuttavia qualche interesse per le citazioni d'avvenimenti e personaggi del Quattrocento umanistico soprattutto minore, ma più particolarmente per la lingua in cui è composto: coesistono infatti nel poema, accanto a forme prettamente umbre, notevoli tratti padani.
Fonti e Bibl.: Rimini, Archivio Storico Comunale, Atti Franc. Paponi, 28 giugno 1465; Perugia, Bibl. Augusta, Carte Mariotti, fasc. 193 e 280; Archivio di Stato di Perugia, Annales Decemvirales, 1416, ff. 60, 67v, 72; 1434, ff. 149v, 150v, 165; Fragmenta Fulginatis historiae, in L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV, Mediolani 1741, pp. 896 s.; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, II, Rimini 1627, p. 391; D. Dorio, Istoria della famiglia Trinci, Foligno 1648, p. 241; P. Pellini, Historia di Perugia, Venezia 1664, I, p. 242; II, p. 371; A. Battaglini, Della corte letter. di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basini Parmensis Opera praestantiora, II, 1, Arimini 1749, pp. 93-100, 150-152; G. B. Vermiglioli, Memorie di Iacopo Antiquari, Perugia 1813, pp. 9-13, 256-259; Id., Biografia degli scrittori perugini e notizie della opere loro, I, Perugia 1829, pp. 239-242; L. Bonazzi, Storia di Perugia, I, Perugia 1875, p. 753; M. Faloci Pulignani, Le arti e le lettere alla corte dei Trinci, in Giorn. stor. d. lett. Ital., II (1883), pp. 28-30 (rist. con qualche aggiunta, Foligno 1888, pp. 68, 91-94, 139); A. Fabretti, Cronache della città di Perugia, II, Perugia 1888, p. 21; A. Salza, rec. a M. Iraci, Lorenzo Spirito Gualtieri, in Giorn. stor. d. lett. ital., LXIV (1914), p. 196 n. 1; G. Bertoni, Guarino Veronese fra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra 1912, pp. 128 s.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1960, pp. 284 s., 308 n. 8.