CANDELA (lat. candere "splendere"; fr. bougie; sp. candela; ted. Kerze; ingl. candle)
Cenni storici. - La storia della candela, è, fino a circa un secolo e mezzo fa, la storia dell'illuminazione. Presso i Romani erano in uso cordoni di canape immersi nella pece, o in cera animale; più tardi apparvero torce costituite di fibre di papiro immerse in pece e ricoperte di cera. Si fabbricavano pure lumi funebri di midollo di giunco imbevuti di grasso. Candele nel nostro senso apparvero al tempo delle persecuzioni cristiane: l'uso liturgico delle candele è forse in rapporto con l'estensione presa appunto nel periodo paleocristiano da questo mezzo d'illuminazione. Alla fine del secondo secolo si distinguevano le candele di sego dalle candele di cera (Apuleio). Nel primo Medioevo appaiono le candele a stoppino, ottenute col metodo del cucchiaio, e più tardi anche con la colatura in forme. Era allora diffuso anche l'uso della candela per la misura del tempo: il consumarsi di candele di date dimensioni segnava il tempo specialmente negli affari giudiziarî (à chandelle éteinte). Nel Trecento l'uso profano delle candele era notevolmente minore dell'uso liturgico, ma nel '400 appare d'uso comune la candela di sego. Nel 1818 Braconneau e Simonin e nel 1820 Manjo (Parigi) preparavano candele di stearina. Gli studî del Chevreul (1811-1823) segnano l'inizio dell'industria stearica su basi scientifiche. Il 25 gennaio 1825 egli prese col Gay-Lussac un brevetto per la scissione dei grassi neutri e la preparazione degli acidi stearico e margarico, come essi chiamavano una miscela di acidi palmitico e oleico, riconosciuta tale più tardi dal Heintz.
Il brevetto francese dice: "non avendo ancora nessuno fatto l'applicazione dei corpi grassi, saponificati mediante gli alcali o gli acidi, all'illuminazione, noi intendiamo col nostro brevetto fare tale applicazione, cioè ci riserviamo il diritto esclusivo di preparare per l'illuminazione gli acidi grassi solidi o liquidi che si ottengono saponificando con potassa o con qualunque altro mezzo i seghi, i burri e gli olî... saponifichiamo i corpi grassi che destiniamo all'illuminazione o che vorremmo lasciare allo stato di sapone, sia alla temperatura ordinaria di ebollizione alla pressione atmosferica, sia ad una temperatura più elevata con pressione di parecchie atmosfere... separiamo gli acidi stearico e margarico dall'acido oleico mediante i seguenti processi: 1. decomponiamo con acqua la massa saponosa ottenuta saponificando il grasso ecc. con alcali: l'acqua scioglie l'oleato, non la maggior parte degli acidi stearico e margarico che restano allo stato di sali indisciolti; questi ultimi vengono in seguito decomposti, come anche l'oleato mediante l'acido cloridrico o un altro acido. 2. ....noi separiamo con la pressione sia a freddo sia a caldo l'acido oleico dagli acidi stearico e margarico oppure mediante alcool che scioglie l'acido oleico a temperatura poco elevata e lascia invece gli altri due acidi. 3. noi trattiamo successivamente il sapone prima con alcool freddo che scioglie molto oleato e poi con alcool bollente che scioglie tutti i sali formati dagli acidi grassi; durante il raffreddamento gli acidi stearico e margarico depositano allo stato di sali e l'acido oleico rimane in soluzione. Si separa in seguito l'alcali combinato con gli acidi per mezzo d'un altro acido qualunque".
Le steariche preparate da Chevreul e da Gay-Lussac con i lucignoli ordinarî non bruciavano bene. Un notevole miglioramento si ebbe col trattamento dei lucignoli con bagni acidi e con l'introduzione del lucignolo ritorto, dovuti al Cambacérès (1834). I primi a esercitare veramente su larga scala l'industria stearica furono De Milly e Motard (nella fabbrica de l'Étoile a Parigi); ad essi è dovuto il processo di saponificazione calcare. Nel 1840 il Cahouet ebbe l'idea di riunire più stampi in un solo telaio e nel 1846 il Newton concretò la prima macchina per candele: gli stampi erano riuniti in una cassa metallica nella quale penetrava l'acqua fredda e calda per riscaldarli e raffreddarli successivamente; e si aveva un lavoro continuo perché mentre si estraevano le candele della prima colata lo stoppino entrava automaticamente in modo da preparare gli stampi per una seconda colata. Nel 1847 il Droux introdusse la macchina di Newton in Francia; qui essa ebbe da Cahouet, Morane, Fournier, Rinet notevoli perfezionamenti, attraverso i quali si giunse alla macchina contemporanea. Segnò una data nella storia dell'industria stearica l'introduzione delle cere minerali: celebri le candele di Belmont (Londra) di paraffina e di ozocherite.
Fabbricazione. - Le candele sono cilindri di acidi grassi solidi o di cera, nel cui asse è posto un lucignolo, la natura del quale deve essere in relazione col materiale della candela e specialmente col punto di fusione e col potere illuminante. Deve sussistere pure un rapporto tra il diametro del lucignolo e il diametro totale della candela: in particolare, se la candela è troppo grossa, rimane alla periferia un orlo non fuso che trattiene il liquido, soffocando e rimpicciolendo la fiamma, o lo lascia scorrere completamente quando si spezzi; se invece la candela è sottile rispetto al lucignolo, il materiale fonde troppo rapidamente senza formare il ristagno necessario ad alimentare per capillarità la fiamma.
Il lucignolo è preparato con cotone o lino ed è ritorto (in modo che ciascuna fibra sia parallela all'altra e rettilinea, o che esse giacciano in elicoide regolare come nei lucignoli più antichi); oppure intrecciato. La grossezza del lucignolo, il numero dei fili e il diametro della candela sono legati da rapporti numerici rilevati dalla pratica.
I lucignoli attorti presentano l'inconveniente di abbisognare di frequente smoccolatura perché non bruciano completamente, ma carbonizzano, e il pezzetto carbonizzato disturba la fiamma ed emette a candela spenta grandi quantità di gas incombusto o parzialmente combusto, di odore sgradevole. A questo inconveniente viene ovviato con la preparazione dei lucignoli intrecciati: sotto l'influenza della diversa tensione cui sono sottoposte le fibre del lucignolo intrecciato, l'estremità di questo sporgente dalla candela s'incurva, così che la punta arriva negli strati esterni della fiamma ed è completamente ossidata senza carbonizzare. Le candele di sego e di cera erano provviste di lucignolo ritorto, le altre di lucignolo intrecciato.
Tanto i lucignoli intrecciati quanto quelli ritorti vengono immersi in bagni di acidi diluiti o in soluzioni saline. Lo scopo del bagno è molteplice. Il lucignolo (anche dopo il lavaggio cui si sottopone il filato di cotone imbianchito che lo costituisce) e il materiale della candela contengono impurezze varie, soprattutto inorganiche nel cotone, e saponi di calcio e di magnesio nella stearina. Queste impurezze trascinate dalla corrente di materiale fuso su per il lucignolo ne ostruiscono i pori riducendo e soffocando la fiamma. Il De Milly aggiunse perciò al lucignolo sostanze che formassero con le impurezze organiche sali facilmente fusibili, che sono assorbiti fino alla punta ricurva dello stoppino, e formano una perla che cade all'infuori. Egli adoperava la seguente miscela: acido borico al 2% in acqua distillata, oppure: acido borico gr. 1500; acido solforico gr. 15; acqua distillata litri 50.
Questa miscela del De Milly, con varianti più o meno notevoli, costituì il cosiddetto bagno per i lucignoli. Oltre allo scopo di eliminare i saponi metallici che ostacolano la combustione, i componenti del bagno devono avere quelli di aumentare l'intensità luminosa, diminuire la formazione di fumo, e formare sulla superficie dello stoppino appena spento uno strato di sali che impedisca l'emissione di gas incombusto e l'assorbimento di nuova stearina. L'acido solforico modifica la porosità del lucignolo.
I lucignoli passati nel bagno vengono centrifugati ed essiccati a temperatura moderata.
Le candele si distinguono variamente, a seconda della materia prima usata, del metodo di fabbricazione, dell'uso cui sono destinate, ecc. Le specie comunemente conosciute in commercio sono le cosiddette candele di stearina, le candele di paraffina, le candele di cera, le candele di sego e le candele di spermaceti.
Le candele di stearina sono formate di stearina commerciale (stearina di saponificazione o stearina di distillazione), ossia d'una miscela d'acido stearico e palmitico e talvolta anche di acido isooleico, ottenuta in generale dalla saponificazione con calce in autoclave dei grassi (sego animale, grasso d'ossa, olio di palma, sego vegetale, ecc.), successiva decomposizione del sapone calcare con acido solforico e separazione per pressione, previa cristallizzazione dell'acido oleico (oleina commerciale). Altri processi di saponificazione dei grassi sono impiegati meno frequentemente nell'industria stearica: il processo di saponificazione a mezzo dell'acido solforico, il processo misto e il processo di scissione mediante acidi solfoaromatici (processo Twitchell). Le proprietà fisiche e chimiche della stearina commerciale sono in funzione delle percentuali di acido stearico e palmitico, come dimostra la seguente tabella:
Chiarificata con acido solforico e trattata con acido ossalico, la stearina viene fusa e versata nella macchina per candele, generalmente così costruita: una cassa rettangolare di ghisa contiene gli stampi, da 200 a 800 secondo il loro diametro; questi, fabbricati con una lega piombo-stagno-bismuto, sono cilindrici e muniti superiormente di un allargamento, il colletto, con cui si fissano alla cassa. La parte inferiore è conica, per facilitare l'uscita della candela, ed esternamente è foggiata a vite in modo da poter essere fissata con madreviti. Internamente allo stampo corre un piccolo stantuffo, che impedisce la fuoruscita della stearina liquida, e che, prolungato con un piccolo tubetto in ferro, il portalucignolo, costituisce il propulsore. I lucignoli sono avvolti su rocchetti posti in diverse file alla base della macchina. Per la fusione le forme devono essere riscaldate ad una temperatura di poco superiore a quella di fusione del materiale usato. Si effettua il riscaldamento per mezzo d'acqua calda o di vapore immesso nella cassa con apposite tubulature. Le casse sono pure provviste di tubatura per il raffreddamento rapido delle forme, effettuato con acqua fredda. Il procedimento descritto è stato perfezionato in ogni senso e segna continui miglioramenti con l'introduzione di speciali dispositivi che ne facilitano il funzionamento.
In commercio un tempo si stabiliva il valore delle candele di stearina secondo la loro bianchezza e il punto di fusione: le candele primarie fondevano a 52°-54°, le secondarie da 48° a 50°, le terziarie da 46° a 47°.
Attualmente nella pratica commerciale le candele vengono classificate nel modo seguente:
Le candele di sola stearina rappresentano attualmente un tipo di lusso; se ne frabbricano invece di comuni con miscele a parti uguali di stearina e paraffina, aggiungendo talvolta ceresina e piccole quantità di cera di carnauba (v. cere). Per la preparazione di queste candele, la stearina viene chiarificata per fusione e decantazione, lavata con acido solforico diluito, mescolata con gli altri componenti e colata nelle macchine modellatrici, contenenti gli stampi. Le candele che si formano vengono imbiancate all'aria e alla luce, oppure con l'aggiunta di pigmenti azzurri che rettificano il colore gialliccio primitivo, segate per ridurle a uguale lunghezza e peso, pulite, lucidate alla superficie e quindi impaccate. Talvolta esse vengono colorate, esclusivamente con colori organici tuttavia, perché i minerali riescono spesso dannosi e ostruiscono il lucignolo.
Le candele steariche sono bianche, opache, lucide e dànno fiamma poco fuligginosa se la paraffina non eccede il 50%. Il potere illuminante di queste candele si può stabilire tra 1,04 e 1,29 Hefner. Il consumo, in buone condizioni di combustione, varia, per candela Hefner-ora tra gr. 7,3 e gr. 8,7.
Le candele di paraffina sono colate come quelle di stearina ma per innalzare il punto di fusione del materiale e per evitare l'incurvamento della candela si aggiunge 3-15% di acido stearico; per impedire la cristallizzazione e l'adesione della candela alle forme, si scalda la massa a 70-80°, e la forma un po' sopra i 70°, e si raffredda dopo la colatura per una mezz'ora con acqua a 10°.
Le candele di paraffina sono bianche e translucide e per tal carattere si distinguono dalle candele steariche che sono bianche e opache. Talvolta si sogliono anch'esse colorare con colori artificiali o con altre sostanze del genere. La fiamma di queste candele, specialmente se fabbricate con paraffina a basso punto di fusione, è generalmente fuligginosa. Il potere illuminante delle qualità usuali varia da 1,17 a 1,43 candele Hefner e il consumo da gr. 5,42 a 6,26 (per candela Hefner-ora).
Al tipo delle candele di paraffina appartengono le cosiddette candele naturali, preparate con paraffina gialliccia e le candele di melanino o di Apollo, preparate con un miscuglio di acido stearico e paraffina molle fusibile intorno a 43°.
Le candele di cera dovrebbero essere fabbricate con cera d'api, ma ciò accade ormai ben raramente; oggi si sogliono piuttosto fabbricare con miscugli di cera e di altre sostanze del genere, come ceresina, paraffina, cera carnauba ecc.
Un tempo si preparavano semplicemente rammollendo la cera nell'acqua calda e rendendola omogenea con le mani; poi se ne facevano dei nastri che si avvolgevano attorno al lucignolo: secondo l'antico procedimento l'operaio avvolgeva su sé stesso il lucignolo tenuto verticale con la mano sinistra (torcitura a mano), mentre con la destra lo ricopriva di cera; per ultimo le candele venivano arrotolate sopra una tavola di marmo perfettamente lucida. Col processo più recente della colatura delle candele di cera, le forme vengono riscaldate a 62 gradi e riempite con cera a 65 gradi. Si raffredda con acqua a 12 gradi e dopo 25 minuti la candela e pronta. Talvolta si aggiungono piccole quantità di stearina.
Altri metodi sono quelli detti alla bacchetta, e al cucchiaio. ll primo consisteva nell'immergere parecchie volte successivamente in un recipiente contenente cera fusa una serie di candelette rudimentali ottenute immergendo i lucignoli una sola volta in cera fusa. Queste candelette erano sospese a una o più bacchette disposte su telai. Col metodo al cucchiaio si versava la cera con apposito cucchiaio sui lucignoli sospesi per mezzo di uncini tutt'intorno a un cerchio di legno, soprastante al recipiente della cera fusa. La parte inferiore del lucignolo era ricoperta di un tubetto di latta in modo da ottenerla libera da cera. L'operazione veniva ripetuta 10 o 12 volte fino ad ottenere lo spessore voluto; s'immergevano quindi le candele in un recipiente di acqua tiepida, tolta la quale si lisciavano facendole scorrere fra due tavole di noce. Le candele di cera si foggiano solamente a ceri di dimensioni massime e a torce di dimensioni medie.
Per le candele di cera si usa attualmente la stessa macchina usata per le candele steariche; per i ceri da chiesa occorrono naturalmente macchine speciali più o meno alte. Tali candele dovrebbero essere costituite esclusivamente di cera d'api; questa composizione è però molto rara; per lo più la candela di cera consta di un miscuglio di ceresina, paraffina, cera di carnauba, rivestito di uno strato sottile di cera animale (che a volte manca). Di cera si fanno pure le candele molto sottili e il cosiddetto cerino (candeletta lunghissima e avvolta a gomitolo) che si ottiene alla filiera facendo scorrere lo stoppino in un bagno di materiale fuso e poi attraverso una filiera a fori sempre più larghi. Si usano ceresina e paraffina in proporzione di 40 a 60 parti con l'aggiunta dell'1% di trementina.
Le candele di sego sono ormai in disuso per il cattivo odore che emanano e per il rapido consumo. Si preparano con grasso di bue o di montone. Sono molli, molto grasse al tatto, e dànno fiamma fuligginosa. Il loro lucignolo è molto grosso per facilitare la combustione che altrimenti, essendo la materia prima di rapida fusione, avverrebbe con molta difficoltà. La preparazione di queste candele ha luogo appendendo in fila, a distanza uguale, 16-18 lucignoli a un bastone e immergendo 10 o 12 bastoni in sego molto caldo e successivamente in vasche contenenti sego al punto di solidificazione. Quando le candele hanno raggiunto lo spessore desiderato, si tornano a immergere in sego portato a una temperatura più alta del suo punto di fusione, per dar loro lo strato superficiale omogeneo e lucido.
Le candele di spermaceti, già usate in Inghilterra ed in America, si fabbricano con spermaceti depurati, la cui tendenza alla cristallizzazione è aumentata con l'aggiunta di 3% di cera o di paraffina; sono fabbricate come le candele steariche. Sono molto trasparenti, incolori, hanno una bella fiamma, ma si consumano molto rapidamente e sono perciò poco economiche.
Per distinguere nel commercio le varie specie e qualità di candele si usa fare alcuni saggi. Così si sogliono determinare i punti di fusione e di solidificazione, i numeri di acidità e saponificazione, il contenuto in paraffina, ceresina, cera, cera carnauba, il colore, l'odore, ecc. Si sogliono poi accertare alcune proprietà speciali delle candele, attraverso il saggio sul potere illuminante, eseguito con fotometri e prendendo come luce unitaria la lampada Hefner, la prova della curvatura, il saggio sul modo di bruciare, ecc.
L'industria delle candele è, in Italia, molto diffusa. Si tratta però in genere di piccole fabbriche che lavorano per il consumno locale, e, soltanto in pochi casi, di grandi stabilimenti. L'Italia importa poche quantità di candele; ne esporta invece molte, specialmente di paraffina e ceresina:
Bibl.: J. Lewkowitsch, Chemical technology and analysis of oils, fats and waxes, 6ª ed., III, Londra 1923; Ubbelohde-Goldschmidt, Handbuch der Chemie und Technologie der Öle und Fette, 2ª ed., III, Berlino 1929.