PEANO, Camillo
PEANO, Camillo. – Nacque a Saluzzo (Cuneo) il 5 giugno 1863 da Carlo e da Luigia Ramusatti.
Il padre Carlo, medico, apparteneva a una famiglia dedita alle professioni liberali, originaria di Acqui; il fratello, padrino di Camillo, era avvocato.
Dopo aver compiuto a Saluzzo gli studi primari e secondari, Peano si iscrisse all’Università di Torino, dove si laureò in giurisprudenza il 6 luglio 1886. Nell’ottobre dello stesso anno entrò nell’amministrazione giudiziaria come vicepretore presso la Corte di cassazione di Torino, carica dalla quale si dimise il 21 agosto 1887. Nel frattempo, dopo aver superato a Roma il concorso di ammissione alle carriere amministrative, entrò nell’amministrazione provinciale dell’Interno in qualità di alunno di 1ª categoria e fu destinato alla Prefettura di Perugia. Nel maggio 1888 il suo trasferimento a Ivrea fu revocato e Peano rimase a Perugia, in qualità di sottosegretario, fino al marzo 1890, allorché venne trasferito alla prefettura di Milano. Promosso segretario di 3ª classe, venne destinato al ministero dell’Interno nel dicembre 1891.
Nel luglio 1892 sposò la sua concittadina Giuseppina Buttini (nata il 3 aprile 1870), con la quale ebbe due figli: Luigi Mario (4 maggio 1899) – che sarebbe diventato prefetto nel 1945 – e Maria Emma (12 luglio 1904).
A palazzo Braschi Peano lavorò presso la Direzione generale dell’amministrazione civile, dove poté collaborare con il direttore generale, Carlo Schanzer, consigliere di Stato e amico di Giovanni Giolitti. Il sodalizio con Schanzer si cementò nel complesso lavoro svolto da Peano sui temi dell’attuazione della legge sulla beneficenza pubblica, in merito alla quale i due scrissero un accurato «commento teorico pratico», pubblicato nel 1905, nel quale si sosteneva con forza il «dovere dello Stato di assumere risolutamente il compito della direzione, dell’organizzazione dell’assistenza pubblica in tutte le sue forme» (La nuova legge sulla pubblica beneficenza. Commento teorico pratico, Roma 1905, p. 3).
La carriera amministrativa di Peano fu molto veloce e scandita da incarichi sempre più impegnativi. Nel marzo 1905 assunse l’incarico di segretario capo del Consiglio superiore di assistenza e beneficenza (istituito nel 1904) e, soltanto due mesi dopo, ottenne la promozione a ispettore generale di 2ª classe. Coronamento di questo brillante tratto di carriera fu la nomina a capo di gabinetto del lungo ministero (maggio 1906-dicembre 1909) di Giolitti, al quale Peano fu da allora legato in modo strettissimo anche per l’assiduità della collaborazione. Nominato prefetto il 17 marzo 1907, fu destinato a Padova, sede resasi vacante per la morte del prefetto Giuseppe Ruspaggiari; ma non raggiunse mai la destinazione, perché collocato a disposizione del ministero per continuare a esercitare le funzioni di capo di gabinetto di Giolitti. Un’analoga vicenda ebbe luogo nel novembre dello stesso anno, allorché non ebbe seguito il suo trasferimento a Grosseto in qualità di prefetto.
Anche la nomina, avvenuta nel novembre 1908, a consigliere di Stato non ebbe effetto immediato, poiché Peano non poté inizialmente assolvere all’incarico, per le sue incombenze al fianco di Giolitti. Soltanto dopo la caduta del governo iniziò a operare effettivamente a palazzo Spada nella terza Sezione, svolgendo funzioni di relatore per un centinaio di pareri su questioni di varia natura. Nel marzo dell’anno successivo fu richiamato da Giolitti, che lo incaricò della doppia veste di capo di gabinetto e di capo della segreteria della presidenza del Consiglio.
Peano ebbe modo di mettere a frutto la sua notevole esperienza amministrativa, maturata al ministero dell’Interno e al Consiglio di Stato, nella commissione, della quale fu presidente, istituita nel luglio 1910 per studiare i provvedimenti utili a una sistemazione delle sedi degli uffici ministeriali rispondente alle accresciute attività svoltevi. Ebbe inoltre numerosi altri incarichi analoghi, fra i quali quello di componente, dal 1910, del Consiglio superiore di assistenza e beneficenza e, successivamente, della commissione dei dipendenti della presidenza del Consiglio dei ministri.
Alla carriera amministrativa fece seguito un’articolata attività politico-parlamentare iniziata prima della Grande Guerra e proseguita fino alla nomina a presidente della Corte dei conti. Fu eletto deputato – nelle fila dei democratici liberali – nella XXIV legislatura (1913-1919) nel collegio di Barge (Torino) e poi confermato per due volte dal collegio di Cuneo nella XXV legislatura (1919-1921) e in quella successiva (1921-1924).
Alla Camera Peano esordì su questioni amministrative, in particolare sulla necessità di dirimere i conflitti di competenza tra le due sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato in materia di ricorsi degli impiegati pubblici. Ai problemi dell’impiego pubblico – proprio per i suoi trascorsi professionali – egli fu sempre molto attento, consapevole dell’esigenza di disporre di una burocrazia efficiente per le sorti del Paese. Non minore attenzione dimostrò al problema, squisitamente politico, del sistema elettorale e dei suoi risvolti rispetto ai diritti dei cittadini elettori. Nel 1914, in qualità di presidente della commissione legislativa e relatore di maggioranza sulle proposte di modifiche della legge comunale e provinciale, chiese – come previsto dalla legge – lo slittamento delle elezioni amministrative nei mandamenti nei quali vi era una forte migrazione stagionale. Nonostante l’opposizione del presidente del Consiglio, Antonio Salandra, la sua proposta ottenne il parere favorevole del Consiglio di Stato.
Nella storia unitaria il cursus di Peano rappresentò uno dei più cospicui esempi di carriera ‘mista’ politico-amministrativa dell’intero periodo liberale, avendo egli ricoperto – nell’arco di un trentennio – incarichi di alta responsabilità nell’amministrazione ed essendo stato anche deputato e più volte ministro. L’incarico, non breve, di capo di gabinetto del presidente del consiglio e ministro dell’Interno fu un aspetto peculiare del suo percorso nelle istituzioni, poiché tale lunga esperienza lo mise al centro dello snodo tra attività amministrativa e indirizzo politico. Delicatissime erano, infatti, le incombenze che quotidianamente dovevano essere risolte nell’ufficio di gabinetto del presidente del consiglio e ministro dell’Interno. Lo stretto rapporto di amicizia con Giolitti ebbe un notevole peso nel suo percorso politico-amministrativo. L’episodio che più di tutti illuminò lo spessore del collegamento ideale e personale fra i due fu la famosa lettera del ‘parecchio’; vicenda della quale Peano fu poco più che uno spettatore.
Nel gennaio 1915, nel fuoco della polemica fra interventisti e neutralisti, egli scrisse a Giolitti chiedendogli se avesse fondamento la voce secondo la quale lo statista piemontese stava adoperandosi – attraverso contatti con l’ambasciatore tedesco a Roma, Bernhard von Bülow – affinché l’Italia non entrasse in guerra. Giolitti gli rispose che, a suo giudizio, «molto» si poteva «ottenere senza guerra». La lettera fu pubblicata sulla Tribuna del 1° febbraio 1915 e – benché l’aggettivo «molto» fosse stato attenuato in «parecchio» – procurò all’ex presidente del Consiglio, già sotto attacco per le sue posizioni attendiste sul problema dell’entrata in guerra, attacchi durissimi da parte dei fautori dell’intervento.
Nel primo dopoguerra Peano fu tra i protagonisti del dibattito parlamentare sulla riforma del sistema elettorale politico, sostenendo l’opportunità che gli elettori potessero scegliere tra candidati appartenenti a liste diverse, poiché – come ebbe a scrivere – l’elettore, «in omaggio al principio sovrano del suffragio universale» doveva poter «designare» chi voleva «anche al di fuori, al disopra dei partiti» (I vari sistemi della rappresentanza proporzionale, in Nuova Antologia, marzo-aprile 1919, p. 421).
Successivamente entrò far parte dell’esecutivo. Dal maggio 1920 al luglio 1921 fu ministro dei Lavori pubblici nel secondo governo presieduto da Francesco Saverio Nitti e nel quinto dicastero Giolitti, presentando numerosi disegni di legge riguardanti opere di bonifica, potenziamento delle reti idrauliche, provvedimenti a favore di zone terremotate. Nel primo governo di Luigi Facta – divenuto titolare del dicastero del Tesoro – Peano dovette adoperarsi per contenere il grave disavanzo dello Stato.
In occasione della presentazione della nota di variazione del bilancio di previsione, illustrò alla Camera la gravità della situazione finanziaria, rilevando che essa non poteva essere risolta con ulteriori inasprimenti della pressione fiscale. Ad aggravare la difficile situazione economica contribuivano, a suo giudizio, le difficoltà dell’industria siderurgica, alla quale erano venute meno le ingenti commesse statali del periodo bellico. In tale frangente, per impedire che imprese siderurgiche ritenute di primario interesse nazionale (anche sul piano della difesa militare) potessero essere vendute al capitale straniero, Peano si mostrò apertamente favorevole a una politica protezionista e, con il sostegno del presidente del Consiglio, si adoperò affinché l’Ilva e l’Ansaldo, che rischiavano di essere rilevate da un imprenditore tedesco, potessero ottenere finanziamenti pubblici, nonché la promessa di massicce commesse da parte dello Stato.
Analogamente, si comportò – d’intesa con il direttore generale della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher – intervenendo a sostegno del Banco di Roma, che rischiava di venire travolto dalla crisi dell’Ilva e dell’Ansaldo. Il tema del disavanzo venne denunciato nuovamente con forza il 12 luglio 1922 da Peano, il quale, parlando alla Camera in veste di ministro del Tesoro, invocò uno sforzo congiunto di tutto il Paese per superare la crisi economica, sostenendo la necessità che si intervenisse sulla questione del costo della burocrazia mediante l’eliminazione degli esuberi di personale e attraverso misure concrete di semplificazione.
Fra aprile e maggio 1922 aveva partecipato, unitamente al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri, alla conferenza internazionale di Genova, convocata per affrontare i problemi dell’economia dei Paesi europei. Il 16 ottobre 1922 – al culmine della gravissima crisi che avrebbe portato all’ascesa del fascismo al potere – Peano venne nominato senatore del Regno. E, nel medesimo giorno, presidente della Corte dei conti.
Nel suo discorso di insediamento non mancò di rimarcare il fatto di non aver «esitato a rinunziare al mandato politico» per assumere «l’alto ufficio» (Merola, 2013, p. 99) al quale era stato chiamato. La linea guida del suo mandato venne riassunta nell’impegno solenne che in quell’«ora grave per il Paese» nessuna spesa sfuggisse al controllo della Corte dei conti, affinché i cittadini (che «tanti sacrifici» avevano sopportato) potessero avere la certezza che il pubblico denaro veniva amministrato con «severa parsimonia» (ibid.). A tale indirizzo si accomunò l’assicurazione che, nel suo ruolo di magistratura indipendente dal governo, la Corte avrebbe sempre operato «al disopra di ogni criterio di parte» e nel contempo sarebbe stata sicura «alleata» dell’esecutivo nella «rigida e sollecita applicazione della legge» (ibid.).
L’ascesa di Peano alla guida della Corte dei conti coincise con le profonde riforme nell’assetto amministrativo volute da Benito Mussolini e attuate dal ministro delle Finanze, Alberto De Stefani tra il 1923 e il 1924. Benché alcune modifiche alla legge sulla Corte dei conti ne avessero rafforzato i poteri di controllo, i meccanismi di intervento sulla gestione della spesa ebbero il loro fulcro all’interno dell’amministrazione. A seguito della riforma della legge di contabilità di Stato il fortissimo accentramento del sistema dei controlli preventivi vide protagonisti, nei rispettivi ambiti, la Corte dei conti e la Ragioneria generale, sua interfaccia, ma anche sua storica avversaria.
Negli anni del suo mandato, Peano presiedette ripetutamente le sezioni unite, che furono chiamate a fissare elementi coerenti di giurisprudenza in materia pensionistica. Nel 1927 tale elaborazione trovò compiuto sbocco in un codice curato dal presidente stesso. Su sua richiesta, il 31 dicembre 1928 fu collocato a riposo per anzianità di servizio.
Morì a Roma il 13 maggio 1930.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Un comune moderno. Sulla situazione finanziaria del comune di Catania. Relazione del comm. C. P. ispettore generale al Ministero dell’Interno; ed osservazioni dell’on. Giuseppe De Felice Giuffrida pro sindaco di Catania, Catania 1905; Il Congresso Internazionale di assistenza pubblica e privata a Copenaghen, Bologna 1910; Sul disegno di legge su la protezione ed assistenza degli orfani della Guerra, Milano 1917; Sulla riforma della legge elettorale politica. Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati nella tornata del 17 luglio 1919, Roma 1919.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Camillo Peano (1908-1922); Consiglio di Stato, Fascicoli personali, f. 125; Ministero dell’Interno, Matricola del personale, foglio matricolare n. 2207/1. Inoltre Consiglio di Stato, Sezione I, 1914, Pareri, n. 1485 (25 maggio 1914); Atti parlamentari, Camera, Documenti, Legislatura XXIV, doc. 108 A, 109 A; Quarant’anni di politica italiana. Dalle carte di Giovanni Giolitti, III, Dai prodromi della grande guerra al fascismo, 1910-1928, a cura di C. Pavone, Milano 1962, ad ind.; Le origini dell’Italia contemporanea, a cura di O. Barié, Milano 1966, pp. 116-118; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1978, ad nomen; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell’Italia giolittiana, 1909-1913, II, Roma 1979, ad ind.; A.A. Mola, C. P.: il modello giolittiano dell’amministrazione della politica, in Studi piemontesi, VIII (1979), 1, pp. 190-198; G. D’Agostini, P. C., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, Milano 2006, pp. 972-979; G. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno. Dall’unità alla regionalizzazione, Bologna 2009, pp. 143, 149 s.; R. Merola, C. P., in Scritti per i 150 anni della Corte dei conti 1862-2012, Roma 2013, pp. 96-99; Camera dei Deputati, Portale storico, s.v. (http://storia.camera.it/ deputato/camillo-peano-18630605/bpr#nav); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v. (http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/P_l2?OpenPage).