PAOLUCCI, Camillo
PAOLUCCI (Merlini), Camillo. – Nacque a Forlì, il 9 dicembre 1692, dal marchese Pietro Martire Merlini e Angiola Guerriera Paolucci. La madre era sorella di Fabrizio Paolucci, cardinale nel 1698 e segretario di Stato dal 1700, cui Camillo fu affidato, dopo aver preso il cognome materno.
Nel 1709 si traferì a Roma per studiare nella Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici, istituita nel 1701 al fine di curare la preparazione diplomatica dei rampolli ecclesiastici delle famiglie nobili. Frequentò poi la Sapienza, dove si laureò in utroque il 4 novembre 1718 e in questo tempo fece per quattro anni pratica di diritto nello studio di Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV. L’aiuto dello zio fu decisivo per garantirgli da subito status e rendite ecclesiastiche: il 1° luglio 1714 divenne canonico del Capitolo di S. Giovanni in Laterano e lo si ritrova poi nei ranghi della prelatura in qualità di referendario delle due Segnature (15 dicembre 1718).
Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1719, fu luogotenente del vicario di Roma – che era suo zio Fabrizio – durante il pontificato di Innocenzo XIII, relatore della congregazione del Buon governo e il 26 giugno 1724 fu eletto arcivescovo titolare di Iconio (fu consacrato il 2 luglio successivo dallo zio e dagli arcivescovi Prospero Marefoschi e Tommaso Cervini). Il 6 ottobre di quell’anno fu assistente al trono pontificio e dal 1725 al 1727 segretario della Cifra, ruolo rilevante nella gerarchia curiale.
Nel giugno 1727 fu nominato nunzio straordinario in Polonia e il 2 agosto successivo nunzio ordinario nella stessa sede, dove si trovò a operare negli anni complessi della guerra di Successione polacca. Le qualità dimostrate nell’arco di un complesso decennio gli valsero la nomina alla nunziatura di Vienna, dove rimase dal 20 maggio 1738 al 20 ottobre 1745, in altro tempo difficile, dunque, caratterizzato dalla guerra di Successione austriaca. Paolucci, che nel 1741 battezzò il figlio di Maria Teresa e Francesco Stefano di Lorena, il futuro imperatore Giuseppe II, si trovò in una situazione assai complicata: Benedetto XIV, inizialmente neutrale, nel 1742 riconobbe infatti l’elezione a imperatore di Carlo Alberto di Baviera (Carlo VII) e le truppe austriache, nell’ambito delle operazioni tese a contrastare i Borbone nel Regno di Napoli, operarono per due anni (1743-45) nel Lazio e in altre parti dello Stato pontificio. Il difficile ruolo gli attirò critiche in Curia che lo portarono a discolparsi con il papa dicendo di non aver mai «pensato di essere né francese, né spagnolo, né tedesco», ma di essersi solo sentito suddito del papa (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Germania, 347, cc.nn., 3 ottobre 1742).
Una parte significativa della sua attività diplomatica riguardò il Granducato di Toscana, allora retto da Francesco Stefano di Lorena; altra attenzione dedicò alla annosa disputa tra impero e Repubblica di Venezia relativa al patriarcato di Aquileia, che sarebbe stato di lì a poco smembrato, e alla condanna della massoneria, cui però i sovrani sembrarono sempre per nulla disposti per l’adesione a essa di Francesco Stefano.
Quando, morto nel 1745 l’imperatore Carlo VII, fu chiamato a succedergli proprio Francesco Stefano di Lorena, Paolucci stimò concluso il proprio mandato e chiese, almeno a partire dal mese di giugno, di ritornare in Italia. L’autorizzazione sarebbe però giunta solo qualche tempo dopo: il 2 ottobre comunicò in Segreteria di Stato di quanto fosse consolato dalla «permissione di poter ritornare in Italia e sgravar‹s›i di questo grave peso alla [sua] disestata economia» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Germania, 349, 2 ottobre 1745; la sua ultima ‘cifra’ da lì è datata 13 novembre 1745). Temeva che la regina avrebbe accettato con difficoltà un nuovo nunzio ordinario e infatti lasciò Vienna senza che venisse designato il successore.
Paolucci era stato intanto creato cardinale prete nella prima promozione di cardinali operata da Benedetto XIV (concistoro del 9 settembre 1743), ma solo il 31 marzo 1746 poté ricevere la berretta, con il titolo dei Ss. Giovanni e Paolo (che era stato anche dello zio Fabrizio). Il ritardo fu dovuto a una disputa con Maria Teresa sul rito da svolgersi per la consegna della berretta cardinalizia, appunto. Il 30 novembre 1743 Paolucci, che si diceva angustiato e incerto sul da farsi, scriveva in Segreteria di Stato che Maria Teresa, in quanto legittima sovrana e re apostolico d’Ungheria, voleva provvedere a tutto lei stessa; a parere suo invece la regina avrebbe dovuto solo mettergli in mano il copricapo che egli avrebbe poi indossato da sé.
Dal 19 settembre 1746 al 7 dicembre 1750 Paolucci fu legato a Ferrara (si trattava della legazione più redditizia tra tutte e che risultava sempre particolarmente ambita dai reduci di dispendiose missioni diplomatiche) e il 1° febbraio 1751 fu nominato camerlengo del Sacro collegio, carica in cui rimase fino al 24 gennaio 1752. Frattanto, nell’ottobre 1747, era stato colpito da un colpo apoplettico, che Benedetto XIV attribuì al suo essersi «avvezzato a vivere alla polacca ed alla tedesca nel mangiare e nel bere». Il papa, preoccupato per le notizie negative che riceveva sulla sua condizione arrivò al punto di chiedersi se per il cardinale fosse preferibile «vivere, o morire». Fu poi confortato nel sapere che la «quinta o sesta emissione di sangue» per lui coraggiosamente disposta da un medico bolognese pareva averlo salvato, anche se «la testa» non sempre era «a segno» (Le lettere di Benedetto XIV, I, 1955, pp. 459 s., 462).
Nel settembre 1756 optò per il titolo cardinalizio di S. Maria in Trastevere, conservando in commenda quello che già deteneva. Partecipò al conclave del 1758, dove fu eletto Clemente XIII, alla cui elezione si oppose perché egli stesso fu candidato al papato dalla parte filoimperiale. Nello stesso anno fu cardinale vescovo nella sede suburbicaria di Frascati, per poi optare, il 13 luglio 1761 per la sede di Porto e S. Rufina.
Paolucci morì a Roma l’11 giugno 1763. Il funerale si svolse nella chiesa romana di S. Marcello, dove fu sepolto, concelebrato da ventidue cardinali.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato. Polonia, 161, 163-169; Segreteria di Stato. Germania, 320-349; Le lettere di Benedetto XIV al card. de Tencin, a cura di E. Morelli, I, 1740-1747, Roma 1955, pp. 327, 459, 460, 462; II, 1748-1752, Roma, 1965; III, 1753-1758, Roma 1984, ad indices ad v. Paulucci, Camillo, card.; A. Barbiani, I lustri antichi e moderni della città di Forlì, Forlì 1757, pp. 53 s.; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, IX, Roma 1797, pp. 3 s.; G. Moroni, Dizionario d’erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1840-79, ad ind. ad v. Paolucci Merlino Camillo, card.; G. Rosetti, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì 1858, pp. 421-434; K. Eubel, Hierarchia catholica M, V, Padova 1952, p. 226; VI, Padova 1958, p. 58; H.D. Wojtyska, Acta nuntiaturæ Polonae, I, Roma 1990, p. 303; C. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio: 1550-1809, Roma 1994, pp. 255, 824; D. Squicciarini, Nunzi apostolici a Vienna, Città del Vaticano 1998, pp. 165-167; C. Weber - M. Becker, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 622.