CAMBIATORI
. Le operazioni del cambio (v.) si accompagnano con l'origine della moneta come mezzo di acquisto. I cambiavalute, discendenti dai trapeziti greci e dai nummularî e dagli speciarî latini, presero nel Medioevo gli appellativi di campsores e di cambiatores: coi quali nomi si trovano, alla ripresa economica del sec. XI, a Roma, dove l'opera loro era molto ricercata per l'affluire dei forestieri e dei proventi delle imposizioni pontificie.
Testimonia dell'esercizio della professione di cambiavalute a Roma una descrizione fondiaria del 1052, in cui si accenna a un tribium cambiatoris, stazione ove i cambiatori, con i loro banchi e i sacchetti delle monete, si radunavano per essere più facilmente controllati dall'autorità. Dal sec. XII le notizie dei cambiatori si fanno sempre più frequenti nelle floride città italiane, e soprattutto nei mercati periodici costituenti l'impulso più notevole allo sviluppo economico del medioevo, elemento fondamentale dell'indipendenza civica. Il far posto in quei mercati ai cambiatori di fuori fu oggetto, fra città e città, di contrattazioni che avevano a base un substrato politico, e giovavano a rendere assai simili o addirittura uniformi dovunque le disposizioni degli statuti dell'arte. In quelle fiere italiane sembra anche che debba cercarsi l'origine della cambiale: ed è certo che in esse lo scambio manuale della moneta cominciò a sostituirsi con la registrazione degl'impegni sui libri di conti, pei la cui tenuta, come condizione di legale attendibilità, la legislazione statutaria dettò norme particolareggiate. Da alcuni Frammenti di un libro di banchieri fiorentini scritto in volgare nel 1211 (pubblicato da P. Santini, in Giornale storico della letteratura italiana e, poi, da A. Schiaffini, in Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze 1926), appare che i campsores di Firenze eseguivano nelle fiere di Bologna per le compagnie della loro città anticipazioni di contanti, compensazioni, e in genere tutto il servizio di conto corrente. E lo statuto bolognese del 1245 obbligava coloro che avessero depositi di colleghi cambiatori o di mercanti di effettuare la girata dei crediti a favore di terzi designati dal creditore, quando non intendessero di pagare in danaro liquido.
La funzione dei cambiatori si rivela adunque già efficace nelle fiere d'Italia; ma il vantaggio veramente enorme che dal cambio, e soprattutto da quello traiettizio, venne alla rapidità della circolazione del danaro e al moltiplicarsi degli affari, si verificò in pieno in quel mercato internazionale che furono le fiere di Sciampagna, ancora fiorenti quando da noi lo sviluppo rapido e intenso del capitale aveva fatto declinare le forme del commercio periodico. Senza l'opera dei cambiatori sarebbero rimaste insormontabili le difficoltà causate dalla diversità del sistema monetario; dalla molteplicità delle zecche; dall'incertezza del valore intrinseco del numerario per le alterazioni apportate legalmente, secondo la concezione del tempo, dai principi, e per la tonditura o assottigliamento fatto da non scrupolosi speculatori; infine dalla scarsità della moneta in genere, e soprattutto della divisionaria, e dal rischio di spostare per vie malsicure quella costituita dai metalli nobili. Per collocare nella vera luce il cambiatore medievale basta adunque considerarlo, come di fatto fu, al centro di quelle fiere famose ove si sviluppò la nozione del valore, ove le merci e la moneta da oggetti di consumo divennero capitale, ed ebbero vita le prime applicazioni delle leggi della domanda e dell'offerta, della bilancia commerciale, della concorrenza. Sulla disciplina del servizio del cambio in Sciampagna si hanno informazioni dall'opera del Balducci Pegolotti e da alcuni testi ftancesi, i quali hanno permesso di determinare con maggior precisione il tempo destinato ai pagamenti in contanti, ai regolamenti a termine, al rilascio delle cosiddette "lettere di fiera" che assicuravano ai contraenti il godimento dei privilegi del mercato. E una più chiara notizia si è avuta in questi ultimi tempi anche sullo sviluppo del titolo camhiario. Nelle fiere di Sciampagna un posto cospicuo fu tenuto dai cambiatori italiani, che resi audaci dal meraviglioso e rapidissimo sviluppo economico, sociale e politico del loro paese, e scaltriti nel maneggio di somme ingenti e dalla conoscenza di tutte le monete cui li abituava il servizio di tesorieri pontifici e di depositari generali delle decime ecclesiastiche, sapevano trar profitto da ogni circostanza per le loro speculazioni, facendo calcolo soprattutto sugli spostamenti delle divise ehe con grande frequenza e in larga misura avvenivano per le accennate imposizioni della Curia di Roma, per il movimento di persone in occasione di guerre, per l'alterazione delle specie monetarie, e cosí via. Quando nel 1265 si riscuoteva in Francia, per ordine del papa, la decima sulle vendite ecclesiastiche per aiutare Carlo d'Angiò nella spedizione contro Manfredi, il senese Andrea de' Tolomei scriveva da Troyes a messer Tolomeo a Siena: "Domino Simone chardinale prochacia quanto può di fare choliare (raccogliere) lo dicino (decima) que si die paghare per lo fato di re Charlo; e credo que ne sarà cholto una grande quantità di chie a la chandelora presente; e credo que 'l deto rey ne farà molti vendare per avere la muneta a Roma e in Lonbardia. E se ciò fuse, sì pare qu'e' provesini dovrebero ravilare. D'altra parte le gienti d'esto paiese que venghono in aiuto del deto rey, sì credo que sieno ora in Lonbardia et àno grande tesoro di muneta e di chanbiora cho loro: de la quale credo que dispendarano una grande quantità, sì que tornesi e chanbiora vi dovrano esere a grande merchato, sichome v'abo divisato per altra letera; e se vedete via di poterne trare utilità, si lo prochaciate di fare sin d'ora" (Lettere volgari del sec. XIII scritte da senesi, illustrate da Cesare Paoli e da Enea Piccolomini, Bologna 1871, pp. 55-56). Senza dubbio il limitato numero dei tecnici del cambio favoriva, oltre che le normali speculazioni, anche le truffe: d'onde l'affannarsi del legislatore per vietare le frodi. A Lucca nel 1070 l'autorità ecclesiastica fece giurare ai cambiatori, raccolti presso la chiesa di S. Martino, di non ingannare i forestieri, e il vescovo Rangerio, nel 1111, collocò a ricordo del giuramento e per ispirare fiducia al pubblico, un'iscrizione nel tempio. Lo statuto di Saint Gilles del 1178 vietava ai cambiatori di fare il cambio coi pellegrini altrove che nei banchi pubblici, e li obbligava a pesare con lealtà l'oro e l'argento ricevuto, e a versare onestamente in cambio le monete.
L'organizzazione in arte dei cambiatori non differiva da quella delle altre arti, ispirate tutte ad assicurare il monopolio agl'iscritti e la lealtà delle operazioni; fu costituita d'altronde soltanto in poche città d'Italia e non nei primi tempi del moto associativo. Ciò che risponde a quel fatto ovunque accertato, e tipico soprattutto a Firenze, perché legato ad avvenimenti di larga portata politica e sociale, che nel medioevo si procedé per gradi all'inquadramento delle attività, giungendosi a mano a mano a una sempre maggiore determinazione delle categorie. Dalla metà del sec. XII i consolati dei mercanti intervennero nella conclusione dei trattati di commercio in rappresentanza dell'intero ceto mercantile; e soltanto più tardi, e a poco a poco, appaiono i consoli dei singoli gruppi di artigiani, dei commercianti, di esercenti l'industria. A Bologna la classe mercantesca si presenta divisa dal 1200 nelle due corporazioni dei mercatores e dei campsores, capeggiate ciascuna da tre consoli. A Firenze i consoli dei cambiatori si trovano per la prima volta nel 1202 fra i 12 rappresentanti del Comune che concessero la franchigia delle imposte agli eredi dei caduti a Semifonte; una seconda volta nel 1224, allorché cooperarono a un trattato di commercio con Venezia insieme con i consoli dei mercanti, dei cavalieri, di Por Santa Maria, dell'arte della lana; e poi ancora nel 1229 in un accordo con Orvieto, cui presero parte anche i rappresentanti dei giudici e dei notai. È stato chiesto quale fosse la linea di demarcazione fra l'attività dei campsores iscritti all'arte del cambio e quella dei banchieri, che non costituirono un'associazione a sé. Sta di fatto, però, che sarebbe vano cercare una netta separazione nell'esercizio delle operazioni di banca nel Medioevo presso determinate categorie di professionisti. Conosciamo infatti, per documentazione diretta, che i cambiatori, pur intendendo questo vocabolo nell'accezione più ristretta praticarono anche il mutuo, come il cambiator Paulus romano che nel 1083 concesse alla chiesa di S. Pietro un prestito al 20% dietro la garanzia di un fondo; e sappiamo altrettanto sicuramente che il cambio in grande stile nelle fiere di Sciampagna era praticato anche e soprattutto dalle società mercantili che erano ad un tempo bancarie.
Soltanto dopo il Rinascimento la figura del cambiavalute cominciò ad assumere qualche caratteristica più determinata, così come l'attività del banchiere andò separandosi da quella del mercante, più propriamente detto, da allora, commerciante.
Bibl.: Statuti delle società del popolo di Bologna, a cura di A. Gaudenzi, in Fonti per la storia d'Italia, edite dall'Istituto storico italiano, II; S. La Sorsa, L'organizzazione dei cambiatori fiorentini, Cerignola 1914; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, I, Berlino 1896; A. Doren, Entwickelung und Organisation der Florentiner Zünfte im 13. und 14. Jahrhundert, Lipsia 1897; P. Huvelin, Essai hist. sur le droit des marchés et des foires, Parigi 1897; A. Schaube, Storia del commercio dei popoli latini del Mediterr. sino alla fine delle crociate, trad. di P. Bonfante, Torino 1915; J. Kulischer, Allg. Wirtschaftsgesch. des Mittelalters und der Neuzeit, Monaco 1928. E in queste opere la bibliografia.