CALZONI (derivato da calza; fr. pantalons; sp. calzones; ted. Hosen; ingl. trousers, pantaloons, breeches)
Indumento che copre la persona dalla cintola in giù, dividendosi all'apertura delle gambe e avvolgendole. Il vocabolo è oggi adoperato comunemente come sinonimo di brache e di pantaloni, benché storicamente queste forme non siano del tutto assimilabili. Si possono anzi seguire idealmente le evoluzioni parallele della forma più larga e comoda delle bracae barbariche, così come di quella più attillata ed elegante che trova la sua massima espressione negli haut-de-chausses quattrocenteschi e cinquecenteschi, e che ha molti punti di contatto con quella della calza (v.). Si adopreranno qui i varî termini nei loro significati più comprensivi a seconda delle diverse epoche.
I Romani chiamarono bracae quell'indumento maschile destinato a proteggere le cosce contro il freddo e le intemperie. Con la forma bracae appaiono anche le forme meno corrette di braccae e brachae e la forma braces; quanto all'origine della parola, essa è ritenuta variamente di derivazione greca, o persiana, o celtica. Nessun indumento sembrò così assolutamente estraneo al costume nazionale dei Greci e dei Romani quanto le brache. Presso i Greci le brache ricevevano i nomi di σαράβαρα (con voce derivata, si afferma dallo scitico), di σκελέαι, di ϑύλακα e più comunemente di ἀναξυρίδες. Tra le popolazioni del settentrione d'Europa, le brache sono caratteristiche dei Celti, dei Germani e dei Sarmati. Presso i Galli le brache si portavano legate alla vita mediante una cintura; altre forme di brache vediamo figurate nei rilievi della colonna Traiana, in quelli di età traianea messi in opera nell'Arco di Costantino, e in quelli della colonna di Antonino: le brache vi appaiono ora sormontanti il ginocchio, ora più basse del ginocchio; talora sono legate alla caviglia.
I Romani considerarono sempre le brache come un abbigliamento essenzialmente barbarico; tuttavia furono piegati dalla necessità ad adottare, a loro volta, i barbara tegmina crurum (Verg., Aen., XI, 777) quando la sorte li portò a combattere e a vivere in regioni fredde. Così avvenne nel sec. II d. C., durante il corso delle guerre daciche e germaniche, cui si riferiscono i rilievi delle colonne Traiana e Antonina, quando soldati e cittadini romani si stanziarono nei paesi danubiani; così dovette avvenire già prima, dopo le guerre galliche. Verso la metà del sec. I sappiamo infatti che Cecina suscitò le critiche dei cittadini di Roma per essere apparso in Italia vestito delle hrache e del sago gallico (cfr. Tac., Hist., II, 20).
Col tempo, e specie sotto l'impero di sovrani di origine non italica come i Severi, il costume delle brache si diffuse anche maggiormente. Di Alessandro Severo ci dice il suo biografo che usava delle brache bianche, non purpuree, come i suoi predecessori. Comunque, nell'età di Diocleziano l'uso delle bracae era divenuto tanto comune nel mondo romano che nell'editto De pretiis rerum troviamo la denominazione di bracarius applicata non solo ai sarti che cucivano brache, ma anche a quelli che tagliavano e cucivano altre specie di vestiti, quali il birrus, la caracalla, gli udones. Tuttavia le brache continuarono a esser considerate vestito non nazionale, così che una costituzione di Arcadio e di Onorio proibiva ancora nell'anno 397 d. C. l'uso delle brache nell'interno di Roma (Cod. Theod., XIV, 10, 2).
Non diversamente dalle brache (con cui furono poi per l'uso congiunte) vennero considerate estranee al costume nazionale romano, e tollerabili solo in malati o in persone di delicata complessione, come l'imperatore Augusto, le fasciae, usate per proteggere le gambe contro l'umidità e il freddo. Le fasciae si distinguevano in tibialia e in feminalia a seconda che si avvolgevano alle gambe o alle cosce. Si tenne dapprima a distinguere nettamente le fasciae dalle bracae; ma quando l'uso delle brache divenne generale, furono appunto le brache che assunsero gli appellativi di tibialia e di feminalia (v. anche calza).
Gli stanziamenti militari romano-germanici diffusero l'uso delle brache in tutto il bacino mediterraneo; spesso aperte al fondo, più spesso serrate sulla gamba da corregge. L'alto Medioevo conserva le brache: così vestiva Carlomagno secondo il suo biografo Eginardo e secondo il mosaico romano di Sant'Agnese: corta tunica, brache di lino aderenti, alti calzari. Così ci descrive i Franchi del sec. VI lo storico bizantino Agazia e poi quelli del sec. IX il monaco di Saint-Gall (con tibialia vel coscialia di lino, ornate); così nella Cronica della Novalesa ci è descritto il monaco guerriero Valtario. Così le miniature dei secoli IX e X ci mostrano le brache che sono lunghe, se mancano le calze, e allora sono di solito - ma non sempre - tenute strette alla gamba da corregge; e che sono corte, se vi sono le calze. La Regola di S. Benedetto pure prescriveva per i monaci due paia di brache, e l'usanza fu seguita anche dalla riforma di Cluny (sec. X). Un campione di brache o del basso Impero romano o dell'alto Medioevo sono state ritrovate nelle torbiere di Thorsbjerg (v. Lendeschmidt, Handbuch d. deutschen Altertumskunde, I, p. 388, f. 277). In origine erano di lino, poi si fecero di seta, di panno, ecc. Erano tenute alla cintola da una correggia o da un passante e probabilmente si aprivano anche lateralmente con occhielli e bottoni, l'oppure tenute con spilli. Era l'abbigliamento più semplice, usato dai contadini, con o senza tunica; così nel timpano del portale di Saint-Ursin a Bourges, maggio e agosto sono rappresentati da un falciatore e da un battitore di grano vestiti con tuniche corte e brache lunghe sino alla caviglia; così pure nel breviario Grimani la tavola dell'ottobre mostra due contadini con le brache lunghe. Se lunghe, spesso erano o pieghettate o a sboffa. Il contadino le usò pure a lungo, specie se corte, per la caccia o, di cuoio, per andare a cavallo. Sopra le brache le persone non rozze portavano altri abiti più importanti.
Dal sec. XII le brache si fanno corte sino al ginocchio e aderenti strettamente alla gamba. Sulle cosce erano invece ampie, ma poi le brache dei nobili diventarono aderenti completamente, a guaina; il popolo le conservò larghe. Le gambe vennero invece riparate con lunghe calze, che salgono magari a rivestire tutte le cosce e si allacciano al giustacuore con fermagli. Nel Decameron si parla di brache grandi, male assicurate alla cintola, col fondo chiuso sì da far sacca; oppure di brache assicurate alle spalle per mezzo di usolieri. Ai tempi del Sacchetti si usavano "brache sì piccole che le potrebbero portare le donne". Un tale è dal Sacchetti descritto con "calze sgambate e le brache all'antica, co' gambali larghi in giuso, sì che un topo gli entra dentro alle brache"; un altro ha le brache larghe, ma strette al fondo sì che vi mette le uova. Le portavano, secondo il Sacchetti, anche i preti.
Dal sec. XIV al XVI i gentiluomini portarono brache così strette che i genitali vennero a essere o scoperti o rinserrati in un sacchetto o braghetta tenuta alla cintura da bottoni o fermagli. Questa braghetta fu spesso munita di gioielli e ricami. Panurgo aveva una "belle et magnifique braguette"; i damerini usarono la braghetta come tasca, per il fazzoletto, i guanti, la borsa. Le brache erano tagliate di dietro dalla cintura ai reni, perché potessero essere più facilmente indossate. I Francesi distinsero le calze col nome di bas-de-chausses, dalle brache corte e strette dette haut-dechausses; queste diventarono la culotte, quelle semplicemente il bas. In Italia questa usanza venne biasimata nel Cinquecento da Andrea Calmo che trova nell'abbandono delle vecchie brache un segno d'imitazione straniera.
Alla fine del sec. XV le brache sono corte, quasi aderenti, con la braghetta. Nel sec. XVI si fanno ampie, gonfie, pieghettate spesso; poi si afflosciano, si allungano sin sotto il ginocchio; le aperture inferiori non serrano più le cosce; perdono il gonfiore sulle anche e cadono diritte; alla braghetta intanto si sostituisce una rosetta di nastro.
In Francia, sotto il regno di Enrico III, nella seconda metà del Cinquecento, la moda effeminata dei cosiddetti mignons imponeva, per far spiccare la sottigliezza della vita strettamente imbustata, l'imbottitura dei fianchi; dal qual fatto derivava una foggia di calzoni sboffanti e rigidi. Subito dopo questi, e anche per l'influenza delle mode tedesche, si cominciano a vedere i calzoni a sboffi, cioè formati da due stoffe; una più greve e scura, tagliata a strisce; l'altra, che usciva sboffando da questi tagli, più morbida e a colori vistosi; in Germania questi calzoni erano talvolta così ampî da parer vere sottane. Più tardi quell'ampiezza passa dai calzoni alle falde della giacca; e i calzoni si fanno stretti, allacciati da nastri e bottoni al ginocchio; ma nel 1600 l'uso dei merletti viene a vincere questa semplice eleganza; e i calzoni si fanno ampî, orlati di trine preziose, come le maniche e i collari.
Nel secolo XVIII i canons della moda vanno a poco a poco scomparendo e le brache (culotte) assumono la forma semplice che conservano sino alla Rivoluzione. Così pure le brache lunghe portate dai contadini e dal popolo, in Francia come in Italia, continuarono a vivere semplificandosi e diminuendo in larghezza: erano detti pantaloni veneziani e forse furono di nuovo diffusi in Francia nel sec. XVII dalle compagnie della commedia dell'arte. Nel sec. XVIII delle brache lunghe scendenti sino ai polpacci e rassomiglianti ai pantaloni vennero usate come abito di mattina e anche dai ragazzi di scuola. Così si preparò con la Rivoluzione la definitiva scomparsa dall'uso comune delle brache corte (culotte) e il trionfo dei pantaloni o calzoni o brache lunghe, ritornando all'uso dei Celti e dei Germani.
Tornano con Napoleone i calzoni stretti, chiusi al ginocchio, formati di panno o anche di pelle, con le costure a bordi o a ricami dorati; e durano fino circa al 1830, quando dall'Inghilterra fa la sua comparsa la moda dei calzoni lunghi, che, in varie fogge, più stretti, più larghi, dominano completamente fino ai giorni nostri. I primi calzoni lunghi si facevano in stoffe bianche o chiarissime, i famosi calzoni di nanking portati dagli elegantissimi eroi di Balzac; poi la moda inglese si fa più imperiosa; e i calzoni si fanno della stessa stoffa della giacca o della redingote, in colori neutri e in disegni minuti; soltanto per l'alta estate e sulle spiagge sono di moda i calzoni bianchi, di tela o di lana; mentre per la sera, con la marsina o con lo smoking, è di rigore il color nero, di panno finissimo. Nel dopoguerra anche la donna, che solo in rari momenti (si ricordino le jupes-culottes del 1911) li aveva indossati, adopra talvolta i calzoni, e non senza grazia: così quelli adoperati per usi sportivi: alpinismo, sci, ecc., e i calzoni di seta del pigiama. Presso altri popolî, l'esclusività dei calzoni non è riservata così nettamente al sesso maschile; amplissimi calzoni di seta, increspati o raccolti in larghe pieghe, portavano sino a qualche anno fa i Turchi, uomini e donne; calzoni eleganti portano le donne nella Cina e in altri paesi dell'estremo oriente; calzoni di pelle, per difendersi dal freddo, indossano le donne lappone ed eschimesi. Non in tutta Europa, del resto, la moda inglese dei lunghi calzoni di panno a tubo trova il suo impero assoluto; vi sono paesi ove i contadini portano ancora calzoni più ampî al basso; così in Ungheria, dove si vedono i pastori dagli ampî calzoni di tela bianca con bordi colorati; così in certe provincie d'Italia, come in Sardegna, dove si vedono larghi calzoni scuri, raccolti in pieghe al ginocchio; così in Valacchia, il paese dei calzoni di pelle a disegni variopinti. Gli usi sportivi ingenerano anch'essi qualche ribellione alle ingiunzioni della moda livellatrice; tale è la voga dei calzoni rossi, molto eleganti per la caccia; mentre note vivaci sono date dalle uniformi militari che, adattandosi, nei vestiti d'uso, alle tinte poco vistose consigliate dalla scienza delle armi, sfoggiano invece, nelle alte tenute, il lusso dei colori sgargianti, dei calzoni bianchi, azzurri, rossi, adorni di bordi e di alamari splendenti.
Bibl.: Per le brache dell'antichità v.: E. Saglio, in Daremberg e Saglo, Dict. des antiquités grecques et romaines, p. 746 segg., s. v. Bracae; A. Mau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 200 seg., s. v. ἀναξυρίδε; E. De Ruggiero, Diz. epigr., I, s. v. bracarius; H. Blümner, in A. Baumeister, Denkmäler d. klassischen Altertums, I, Monaco e Lipsia 1885, s.v. Beinkleider; H. D'Arbois de Jubainville, Le pantalon gaulois, in Rev. archéolog., s. 4ª, genn.-giugno 1903; v. anche K. Stichler, Antike u. moderne Hosenstudien in alt- und neugermanischen Kunst- u. Kulturbetrachtungen, in Sonntagbpost (Winterthur), 10 giugno 1900 e 17 giugno 1900. Utile per il Trecento è C. Merkel, Come vestivano gli uomini del Decamerone, in Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, s. 5ª, VI (1897), specie pp. 375-388. Cfr. inoltre le opere generali sul costume di Ferrario, Heffner, Weis, Quicherat, ecc. Fondamentale è lo studio di K. Jaberg, Zur Sach- und Bezeichnungsgeschichte der Beinbekleidung in der Zentralromania, in Wörter und Sachen, IX, fasc. 2, Heidelerg 1924, pp. 137-172.