CALZATURA (da calza; fr. chaussure; sp. calzado; ted. Fussbekleidung; ingl. shoes)
Con questo vocabolo s'indica ogni specie di indumento che rivesta il piede o anche parte della gamba, per utilità o per ornamento.
Antico Oriente. - L'uso della calzatura presso gli antichi popoli orientali, per condizioni soprattutto climatiche, può dirsi meno diffuso che altrove, e ristretto talvolta, quasi genere di lusso, alle classi più elevate e alle donne. Abbiamo tuttavia documenti di sandali e pantofole di varia forma in uso presso glì antichi Egiziani, fatte di foglie di palma o di papiro, o, più raramente, di cuoio; esse erano talvolta foderate internamente di tela, con sulla suola dipinta, in segno di spregio, la figura di un nemico prigioniero, perpetuamente "calcato sotto i piedi" (v. figura); vere e proprie scarpe, forse d'importazione greca, erano più rare. Sandali leggieri, allacciati al piede da stringhe di cuoio, erano anche familiari a Babilonesi e Assiri, e di scarpe allacciate ci appaiono forniti alcuni corpi di truppe, come la cavalleria assira alla fine del regno di Tiglathpileser III. L'Arabia conobbe sandali di pelle bovina o asinina. I Medi e i Persiani portavano calzature di cuoio, spesso rimontanti sino al ginocchio, lasciando alle donne le brevi scarpette di stoffa o di cuoio leggiero e adorno. Presso gli Ebiei e i Fenici troviamo sandali assai simili a quelli egiziani. Le donne indiane portavano calzature di pelle bianca.
Grecia. - Ciò che oggi sarebbe atto di grande sconvenienza, il togliersi le calzature nell'entrare nelle case e l'andare a piedi nudi nelle pubbliche vie, era presso i Greci una cosa consentita e non repugnante. L'uso del resto permane tuttora presso non pochi popoli orientali. La varietà di forma delle calzature presso i Greci era grande; le testimonianze scritte ci dànno i nomi delle diverse fogge e mode, ehe però non è sempre possibile precisare nelle rappresentazioni figurate. Si possono tuttavia distinguere tre classi: suole, scarpe, stivali.
La più antica forma di calzatura è quella composta da una semplice suola di legno o di cuoio (πέδιλον), legata sul dorso del piede o alle gambe con corregge (ζψγά) incrociate e annodate. Questa foggia primitiva va distinta con la denominazione generica di ὑποδήματα. A essa seguirono ben presto forme più artistiche, limitate dapprima alle sole donne, poi adottate anche dagli uomini; queste ebbero la denominazione di sandali (σανδάλια) e furono usate tanto in casa quanto fuori. Una seconda forma di calzatura è la scarpa: alla suola si aggiungono dei quarti di cuoio che coprono il tallone e i lati del piede: l'allacciatura si fa sul dorso di questo. Tali calzature si denominarono κοῖλα ὑποδήματα. Servivano in modo speciale ai militari e ai cacciatori, ed erano perciò spesso fornite di chiodi sotto le suole e rafforzate con uncinetto. La terza categoria di calzature, distinta col nome generico di ἐνδρομίδες era costituita dalle scarpe alte a forma di stivaletti, che salivano fino alle caviglie. Erano tenute aderenti alle gambe a mezzo di lunghe corregge. Altre forme di scarpe allacciate erano quelle dette κρηπίς ed ἐμβάς.
Le calzature femminili si notavano per la loro eleganza e per la ricchezza degli ornamenti, consistenti in piccole applicazioni metalliche figurate, e anche in miniature. Di questo genere furono le ricche calzature, di moda nel sec. V, fabbricate in Lidia. Il fine cuoio era in genere color porpora, i lacci avevano sottili guarnizioni metalliche, e le suole erano rialzate con un leggiero strato di sughero. Nell'allacciatura del sandalo, una delle corregge era passata tra l'alluce e il secondo dito e tirata sul dorso del piede; altre corregge che partivano dai due lati, e altre dal tallone, si riunivano a formare una specie di nodo, occultato da una fibula cuoriforme metallica finemente lavorata.
Oltre a queste forme fondamentali vi erano varietà ricordate dalle fonti letterarie, ma non tutte identificabili con sicurezza. Si citano, fra le altre, calzature molto eleganti dette βαυκίδες e altre col nome di persicae, di colore bianco, usate, a quanto sembra, dalle cortigiane. Erano poi detti coturni gli alti stivaletti calzati dagli attori tragici, mentre gli embati (ἐμβάται) erano proprî degli attori comici.
Roma. - Già presso gli Etruschi, uomini e donne si servivano di calzature formate da suole aderenti ai piedi e di alti stivali. Gli uomini usavano anche coprirsi le gambe con strette fettucce di cuoio o di stoffa incrociate, che salivano fino al ginocchio. Si ricercava una certa eleganza nelle calzature adoperando cuoi di diverso colore e usando ornamenti di metallo. Le calzature etrusche erano molto stimate presso i Romani, i quali adottarono alcune delle loro forme (malleus, campagus). La forma più semplice usata dai Romani fu quella delle suole allacciate (soleae), adoperate in casa e nelle visite amichevoli; per l'uscita si calzava il calceus o scarpa a forma di stivale. Nelle solennità si usavano i sandali, ma non si portavano in pubblico, ché sarebbe stato un segno di effeminatezza, dato che essi erano adoperati dalle donne nell'uscir di casa. Era costume di togliersi le calzature durante i pasti. La regola era di mettelsi le soleae con la tunica e la lacerna; con la toga si calzavano invece i calcei. Gli appartenenti alle classi meno facoltose usavano zoccoli di legno. l tragedi portavano i cothurni, e gli attori di commedie i socci. I campagnoli avviluppavano il piede in calzature di lana o di pelo di capra (udones). La calzatura dei militari era la caliga. Le calzature muliebri erano naturalmente più ricche e ornate di ricami d'oro, e anche di perle e pietre preziose. Il colore era di preferenza bianco, qualche volta anche rosso, scarlatto, porporino o giallo. Nei tempi più raffinati dell'impero anche i cavalli e i muli ebbero vere e proprie calzature, aggiustate in modo da potersi mettere e togliere a volontà; erano generalmente di ferro, talora anche d'oro e d'argento.
Medioevo ed età moderna. - Alle calzature assai comode e variopinte del periodo bizantino fanno riscontro quelle piuttosto rozze, anche se utili a proteggere il piede e la gamba contro le asperità e le intemperie, che troviamo in Europa, specie nel Settentrione, nei primi secoli dell'alto Medioevo. Le grosse suole di cuoio degli Slavi, le chiuse scarpe di pelle dei popoli nordici, cui spesso venivan legate assicelle appuntite e incurvate per render più agevoli le marce nella neve, perdurano lungamente, accanto alle fogge della tarda romanità, usate, per varî secoli ancora dopo la caduta dell'impero, presso i popoli dell'Europa centrale e meridionale. Nel sec. IX, a quanto ci risulta da illustrazioni della Bibbia di Carlo il Calvo, e da qualche esemplare giunto sino a noi, le calzature assumono una forma abbastanza analoga a quella delle odierne pantofole; spesso allacciate e accollate fin sopra la caviglia. Pure in quest'epoca diventano di moda le famose calzature à la poulaine, sulla cui origine tanto si è discusso: scarpe dalla punta lunghissima, d'origine probabilmente molto antecedente all'epoca in cui l'uso se ne diffuse, portate in un primo tempo soltanto dai nobili, poi rapidamente propagatesi e adoperate sia come calzatura di guerra sia nelle città. La lunghezza delle punte si accrebbe sempre più tanto che nel sec. XIV Filippo IV fissò loro dei limiti, distinguendo tre misure: per la nobiltà, per la borghesia e per il popolo; una simile disposizione emanò Edoardo III in Inghilterra. Non è da credere, peraltro, che la poulaine fosse la foggia esclusiva. Gli haut-de-chausses rinforzati al piede da suole di cuoio per gli uomini, le pantofole di seta o di broccato, o gli stivaletti alti per le donne, furono in uso nei secoli XII e XIII. Solo nei secoli XIV e XV le poulaines sostituiscono quasi universalmente le forme precedenti, invano osteggiate da concilî, o da proibizioni regali come quelle di Carlo V e di Carlo VI. Nuove fogge poi compaiono, come gli stivaletti scollatissimi dell'ultimo Trecento o si modificano in parte (sec. XV) le stesse poulaines, rinforzandone le punte, aprendole in alto ecc. Infine Carlo VIII (si dice a causa della deformità del suo piede che gl'impediva di portarle) le soppresse definitivamente e la moda, come avviene, adottò una foggia del tutto opposta, dalla punta quadrata, che in Francia assunse la denominazione di souliers à bec de cane (scarpe a becco d'anitra, Entenschnäbel dei Tedeschi). Appaiono contemporaneamente le scarpe a scaglie di ferro per uso militare. In Spagna il periodo delle scarpe a punta rotonda ha breve durata, e si ritorna presto alle punte lunghe, per gli uomini; le donne, che avevano adottato scarpe col tacco alto, lo riducono sensibilmente già nella prima metà del Cinquecento. Occorre avvertire che la moda delle poulaines non attecchì affatto in Italia, dove in tutto questo periodo si portarono semplici calzature chiuse, o con i bordi colorati e rovesciati, o anche, dalle classi elevate, grossi stivaloni risalenti sino oltre il ginocchio.
Nel sec. XVI, dopo una breve riapparizione delle calzature a punta, si diffondono scarpe di stoffa comode, leggiere, rivestenti il piede senza costringerlo, ornate con brevi intagli, fiocchi, nastri. Verso la fine del Cinquecento compaiono in Francia gli stivaletti allacciati con ganci o bottoni, parimenti adorni. Le donne portano bassi escarpins o patins rialzati, a seconda della loro minore o maggiore statura. A Venezia si portano pantofoline elegantissime, con rosette di perle o di pietre preziose. In Germania ai becchi d'anitra succedono, fin verso il 1550, i piè d'orso o i musi di bue (Bärenklauen, Ochsenmäuler): calzature basse, larghe, ineleganti, presto però sostituite dalle scarpe di panno o di seta, ornate; mentre le donne seguitano a portare scarpette, spesso terminate da una punta acuta d'argento. Verso la fine di questo secolo appaiono per la prima volta in Francia (sotto Enrico IV) le scarpe alte col tacco, portate dalle elegantissime (souliers à pont); il tacco è di legno, le scarpe sono di seta e di broccato a ricami. Il sec. XVII vede, in Irancia, il trionfo dello stivalone, dapprima stretto e alto sino al ginocchio, poi più ampio e comodo, allargato e piegato nella parte superiore. Piü tardi ancora s'introdussero i larghi soprappiedi, che occultavano quasi la parte inferiore della calzatura, e verso il 1650 ricompaiono a corte e nelle feste le scarpette, che del resto non erano mai state abbandonate. Negli ultimi anni gli stivaloni ritornano di moda, robusti e spesso privi di ornamenti, muniti di tasche per nascondervi oggettini o corrispondenza. Le donne portarono per quasi tutto il secolo il tacco alto, più tardi rosso, al pari degli uomini (e i talons rouges daranno poi il nome a tutta un'epoca); quindi, mentre in Francia questa moda subisce una passeggera eclisse, a Venezia le donne eleganti fanno del tacco una specie di trampolo, cui appoggiano i ben calzati piedini, e sono costrette spesso a camminare sorrette per evitar di cadere.
Le scarpe bianche, portate sotto Luigi XV per uniformarle alle calze, non fecero tramontare i talons rouges, almeno fin verso il 1760, dopo il quale anno subentrano per gli uomini scarpe a punta e a suola bassa. Le donne seguitano a portare i tacchi rossi, alti sino a cinque o sei centimetri. Sotto Luigi XVI gli uomini portano scarpe con ricchissime e larghe fibbie. Con la Rivoluzione la calzatura si semplifica e diventa utilitaria; sotto il Direttorio i muscadins impongono per breve tempo scarpette a punta scollate o stivali eleganti a risvolti gialli. E lo stivale perdura, pur mutando via via di foggia e d'ornamenti. Sotto l'Impero vengono in voga per le donne scarpe di marocchino rosso e verde e si delinea l'uso, che durerà per tutto l'Ottocento, degli stivali per uomo e per donna, allacciati con bottoni o con cordoni, adoprati per passeggiata, mentre per i ricevimenti serali gli uomini hanno le scarpe di vernice e le signore quelle di seta, spesso del medesimo colore del vestito. La grande guerra ci fa assistere, malgrado l'alto prezzo della pelle, a un innalzarsi progressivo, fin quasi al ginocchio, dello stivaletto femminile, di vitello o di camoscio. Ma subito dopo la pace, mentre la moda maschile va sempre più americanizzandosi e adottando la larga scarpa, spesso di pelle gialla o rossiccia, la moda femminile adotta risolutamente la scarpina bassa per tutti gli usi; la scarpa col tacco inglese, basso e quadrato, per la mattina; la scarpa col tacco Luigi XV per il pomeriggio, entrambe di pelle a tinte chiarissime. Per il ballo, passata la voga della scarpa di vernice, le scarpe femminili son diventate splendenti e preziose come gioielli, fatte di stoffa laminata d'oro e d'argento.
Nell'Oriente musulmano non europeizzato, la calzatura, che l'Arabia pagana aveva conosciuto sotto forma di sandali di pelle bovina, ma non universalmente adoperata, è largamente diffusa, specie fra le donne, sotto forma di pantofole e babucce: in Egitto fanno parte dell'abbigliamento delle signore, babucce (bābūg) di pelle gialla con punta acuminata e rialzata e per tacco un piccolo ferro da cavallo, oltre a pantofole di pelle morbida, talora calzate entro le babucce stesse (mazz). Anche gli uomini delle classi più elevate usano calzature di marocchino giallo o rosso; ogni calzatura peraltro, come è noto, si depone all'ingresso delle moschee e durante il pellegrinaggio, in cui la legge musulmana tollera dei sandali, ma esige che la parte superiore del piede resti interamente scoperta. In Cina era uso generale, sino a qualche anno fa, di deformare sistematicamente i piedi delle fanciulle chiudendoli in piccoli zoccoli con tacchi molto alti. La donna acquistava così un'andatura saltellante, trovata piena di fascino. Tale uso barbaro è oggi molto decaduto.
Bibl.: P. Lacroix (Bibliophile Jacob), Duchêne, Leroux de Lincy e F. Seré, Histoire des cordonniers et bottiers de la France... précédée de l'histoire de la chaussure à toutes les époques, Parigi 1850; T. W. Greig, Ladies Old-Fashioned Shoes, 1885-89; J. Quicherat, Histoire du costume en France, Parigi 1874; Ch. Vincent, Histoire de la chaussure, de la cordonnerie et des cordonniers célèbres, Parigi 1874-80; G. Nicoletti, Intorno alla acconciatura del capo e calzatura delle donne veneziane nei secoli XV e XVI, Venezia 1884; Redfern, Royal and Historical Gloves and Shoes, 1904; E. Aubry, Historique de la chaussure, Parigi 1917.
Industria. - Fino a pochi decennî fa, le calzature si fabbricavano esclusivamente a mano, da un artigianato ricco di antiche tradizioni. Ormai, però, la lavorazione a mano è d'importanza secondaria di fronte alla grande industria, che applica la moderna lavorazione a macchina. Si può calcolare che questa provveda ai tre quarti del fabbisogno mondiale.
La fabbricazione a mano è ancora prevalente nei paesi meno sviluppati e in quelli che hanno, come il nostro, un'antica tradizione del mestiere, mentre è quasi abbandonata nei paesi dove l'industria eccelle (Stati Uniti, Inghilterra, Germania). Anche in questi ultimi, però, trova posto una forte produzione di calzature a mano, per merito di artigiani, le cui doti di tenace laboriosità si accoppiano quasi sempre a un equilibrato senso di buon gusto. I calzolai italiani sono famosi e ricercati in tutto il mondo, e primeggiano nei principali centri di creazione della moda, dove sono possibili produzioni di eccezione. I migliori calzolai parigini - arbitri, insieme con quelli di Vienna, dell'eleganza in fatto di calzature per signora - sono italiani; come italiani, o figli di italiani, sono molti degl'industriali dell'America Meridionale, e anche degli operai e dei modellisti delle fabbriche nord-americane.
La produzione a mano ha pur sempre un largo mercato. La lavorazione meccanica è rivolta necessariamente alla produzione di articoli di serie, con un grande numero di esemplari di uno stesso modello; perciò si fabbricano a mano le calzature per piedi delicati o difettosi e le scarpe ortopediche. Pure a mano sono in gran parte fabbricate le calzature di specialità (per es. per ballerina, da alta montagna, ecc.) e quelle di gran lusso per signora. I modelli e la materia prima, costosissimi, non consentono sempre la produzione in serie di queste ultime; spesso, del resto, esse richiamano la clientela appunto perché portate soltanto da pochi.
La lavorazione a macchina deve il suo successo all'applicazione del principio della divisione del lavoro. La confezione di un paio di scarpe si compie attraverso 200 e più operazioni semplici, ciascuna delle quali può essere eseguita in modo perfetto da apposite macchine. È molto facile far apprendere a un operaio una sola operazione - anche complicata - della lavorazione a macchina; mentre invece l'artigiano che lavora a mano ha bisogno di un duro tirocinio e di un corredo di cognizioni tecniche che si acquista soltanto in molti anni di pratica. La calzatura lavorata a macchina e specialmente quella dei moderni calzaturifici, costa assai meno di quella lavorata a mano. Va notato, in particolare, che i grandi calzaturifici meccanici possono valersi di specialisti di prim'ordire per la creazione dei modelli anche per calzature a buon mercato, appunto perché il costo dì questi sì ripartisce su un numero grandissimo di pezzi.
L'organizzazione industriale della produzione e la razionale utilizzazione della mano d'opera, insieme con la possibilità di acquistare le materie prime direttamente per grandi quantitativi, consentono di realizzare sul costo economie di grande importanza, pur ottenendo calzature prefettamente lavorate in tutti i particolari.
I vantaggi economici della lavorazione a macchina hanno fatto sì che, da cinquant'anni a questa parte, l'uso delle calzature abbia cessato di essere privilegio di un numero relativamente ristretto d'individui per diventare uno degli elementi di prima necessità nell'abbigliamento. Non esistono dati statistici sicuri per stabilire quale sia attualmente il consumo mondiale di calzature ma, grosso modo, si può calcolare che si sia quadruplicato in pochi decennî, raggiungendo il miliardo di paia all'anno.
La lavorazione a macchina nelle calzature costituisce una delle più interessanti fra le industrie moderne.
La produzione giornaliera di un calzaturificio che ha una sola collezione di macchine è di trecento paia al giorno; per quelli che ne posseggono parecchie serie sale a molte migliaia: negli Stati Uniti esistono fabbriche la cui produzione supera le 100.000 paia al giorno. In Europa, una fabbrica cecoslovacca, in taluni periodi, ha potuto superare le 50.000 paia al giorno; due altre fabbriche, una tedesca e una svizzera, ne producono 15.000; altre ancora, in Germania, in Inghilterra ed in Francia, raggiungono le 5.000 paia. In Italia vi sono fabbriche capaci di produrre, nei diversi tipi, fino a tremila paia al giorno.
È notevole che le macchine per la confezione di calzature sono così privilegiate da costituire monopolio di una sola grande società nord-americana la quale è riuscita finora a riservarsi l'esclusività di alcuni fra i più importanti procedimenti, proteggendoli con sempre nuovi brevetti. Ed è singolare che, a differenza di quanto si pratica in quasi tutte le altre industrie, queste macchine non sono vendute ma cedute in uso contro pagamento di un canone proporzionale al numero delle scarpe lavorate. A questo scopo le macchine sono munite di un contatore della produzione.
In questi ultimi tempi sono sorte tuttavia in Germania, in Francia e anche in Italia, altre importanti fabbriche di macchine che vendono regolarmente in conto fermo ottimo macchinario per calzaturifici.
Le varie operazioni della lavorazione a macchina, dal taglio delle pelli alla messa in scatola del paio di calzature finite, durano complessivamente poche decine di minuti soltanto. In pratica, però, passa un tempo molto maggiore perché le scarpe, nelle diverse fasi della lavorazione, debbono esser lasciate ad asciugare. Per accelerare la produzione, da qualche tempo in qua, si va introducendo nei calzaturifici l'impianto di appositi essiccatoi.
La continuità della produzione è uno dei compiti più difficili del direttore di fabbbrica. È buona norma che per ogni operazione vi sia una certa scorta proveniente dalla precedente operazione; senza di che l'arresto di una macchina avrebbe per conseguenza quello di tutta la parte della fabbrica che compie le operazioni successive.
È da ricordare ancora che vi sono fabbriche di calzature in America e anche in Europa che lavorano con trasportatori a nastro secondo gli ultimi dettami dell'organizzazione razionale della produzione.
Ultimamente, poi, sono state create macchine che compiono automaticamente qualcuna fra le principali operazioni finora impossibili a eseguirsi sia a mano sia a macchina, senza il concorso di un operaio specializzato.
Materie prime. - I materiali che si usano nella confezione delle calzature sono numerosissimi: pelli, tessuti, materiali metallici, filati, colle, legno, prodotti chimici, celluloide, ecc.; ma soprattutto pellami per la tomaia che è la parte superiore della scarpa e cuoio da suola per la parte al di sotto del piede, detta fondo.
Il pellame per la tomaia lavorato secondo il metodo più antico, a concia vegetale con ingrassatura (v. concia), ormai serve solo per calzature militari, per scarpe da caccia, da montagna o per uso contadinesco. Il sistema più moderno e ormai universale di lavorazione delle pelli per tomaia è quello della concia minerale al cromo. Le pelli al cromo sono molto resistenti e morbide ed è possibile l'utilizzazione di pelli anche sottilissime, per esempio quelle di capretto che talvolta non raggiungono neppure mezzo millimetro di spessore e hanno tuttavia una durata illimitata. Anche le pelli verniciate sono ormai esclusivamente lavorate al cromo con vantaggi di durata e di morbidità non mai raggiunti dal vecchio sistema.
I tipi di pellame più generalmente usati per tomaia sono:
a) Le pelli bovine, cioè di vacche, vitelloni (vitelli adulti) e vitelli da latte. Questi ultimi dànno pelli che, lavorate al cromo (in inglese Boxcalf) sono le più rinomate e usate in prevalenza per le calzature da uomo di buona qualità, potendosi lavorare sia nere sia colorate, a tinte vive e brillanti, ben resistenti all'uso.
b) Le pelli caprine (se di bestie lattanti servono anche per guanti) tanto più pregiate quanto più morbide ed elastiche dal lato esterno (detto fiore). Con queste pelli si fanno calzature finissime specialmente per signora, lavorate con tinte a tonalità delicata, oppure verniciate in nero, in colori, a tinte madreperlacee e opalescenti, argentate e dorate.
c) Le pelli equine (cavalli) di minor pregio delle pelli di vitello e di capretto, ma che dànno pure buoni risultati. È molto usata come specialità la pelle di puledro, verniciata (per scarpe fini da sera).
d) Le pelli di rettile, di coccodrillo, di bisce d'acqua, di lucertole tropicali, di squali marini, di antilope, di daino (scamosciate), ecc. per calzature di gran lusso, specialmente da signora.
Meno usate sono le pelli di suini, mentre per calzature economiche si adoperano pelli ovine (agnelli, montoni e pecore) di minor pregio, largamente usate anche per le fodere interne della tomaia, specie delle scarpe basse. Si fa largo uso anche di feltri e di tessuti, soprattutto per calzature da riposo o estive, per scarpe da tennis, con o senza guarnizioni di pelle nera o colorata, tanto da uomo quanto da donna, di tipo più o meno fine, nonché, per calzature di lusso da signora, di tessuti intrecciati, ricamati e dei piu fini tessuti di seta, rasi, broccati, lamé.
Per la suola vengono adoperate quasi esclusivamente pelli bovine - di bue e di vacca - conciate con scorze o estratti tannici, opportunamente indurite, battute e cilindrate per renderle compatte e ben resistenti all'uso. Lo spessore del cuoio da suola è in rapporto con l'uso della calzatura ed è quindi più notevole (sino a 5-6 mm.) per calzature forti da campagna e da lavoro e più sottile per calzature fini da città. Per calzature leggiere ed estive si adopera pure cuoio-suola lavorato al cromo, dal caratteristico colore azzurro e di maggiore flessibilità del consueto cuoio-suola. Da qualche anno si va pure diffondendo l'uso della suola di gomma, sia allo stato naturale (crêpe rubber) dal colore paglierino, sia lavorata a varie tinte e vulcanizzata, per calzature fini sportive o da passeggio e anche da riposo e da lavoro, in tipi a buon mercato. Per scarpe da casa e pantofolerie si usano anche feltri con o senza una soprasuola di cuoio; per certi usi e necessità di lavoro si usano anche suole di legno.
Per la lavorazione a macchina, non potendosi usare gli accorgimenti e le cautele che si usano, occorrendo, nella lavorazione a mano, è necessario usare pellami e cuoi di ottima qualità.
Metodi di lavorazione delle calzature. - I principî fondamentali di costruzione delle calzature sono gli stessi tanto per la lavorazione a mano quanto per la lavorazione a macchina. Quest'ultima riproduce sostanzialmente il sistema seguito dal calzolaio per il lavoro a mano. Nella lavorazione tanto a mano quanto a macchina, le calzature sono fabbricate su forme di legno che riproducono fedelmente il piede umano, salvo ritocchi per ragioni di estetica o di moda.
Nella lavorazione industriale le forme non sono adattate volta per volta, come fa il calzolaio per il lavoro su misura, bensì vengono studiate e preparate in grandi quantitativi, di varî modelli e di diversa lunghezza e larghezza, così da contentare le più disparate esigenze e necessità del consumatore. Nelle forme (preparate da fabbriche specializzate) si tiene naturalmente conto delle caratteristiche fondamentali di razza e di abitudine delle persone cui saranno poi destinate le calzature relative. Così, per esempio, le calzature per gli Anglo-sassoni vengono fatte basse di collo del piede, e quindi non vanno bene per i popoli di razza latina.
I dati principali di lunghezza delle calzature sono indicati in cm., ma più frequentemente in punti francesi (due terzi di centimetro) o in punti inglesi (un terzo di pollice). I dati di larghezza - cioè i varî sviluppi della pianta e del collo del piede - sono indicati con la progressione dei primi sei numeri romani, o delle prime sei lettere dell'alfabeto. Le calzate più usate sono la IV per calzature di pellame fino e da parata, la V per calzature da passeggio e a punta stretta, la VI per scarpe invernali e da montagna. In pianura e nelle città sono usate le calzate centrali (IV e V).
Una netta distinzione vien fatta fra scarpe alte e scarpe basse: stivali e stivaletti (o anche polacchi) le prime, scarpette o scarponcini le seconde. Le une e le altre si suddividono poi in una grande quantità di modelli, specie le scarpe basse, che ora prevalgono sugli altri tipi. Tali modelli sono in continuo cambiamento per seguire le esigenze del gusto e della moda. Per ricordare i tipi di uso più frequente, senza parlare degli stivaloni per i varî usi, basti accennare ai modelli di stivaletti con mascherina girata (a claque, secondo i Francesi), a lacci (stringhe) o a bottoni, oppure con elastico, al derby allacciato - specialmente adatto per scarpe con pellame pesante e a forma semigirata all'americana - mentre per le scarpe basse, fra le più conosciute vi sono le scarpe scollate, quelle con cinturino sul collo, cosiddette alla Carlo IX, quelle allacciate con stringhe e lacci, alla Richelieu se con diversi occhielli, o alla Molière, se con uno o due occhielli e nastro a nodo, a sandalo per tipi di lusso e per uso estivo.
I sistemi di fabbricazione delle calzature, così a mano come a macchina, sono varî e si differenziano per il diverso criterio seguito nell'attaccare e nel mettere insieme il fondo e la tomaia. Non variano, invece, l'allestimento della tomaia e la preparazione del fondo.
I principali e più diffusi sistemi di lavorazione sono:
1. Quello della lavorazione a chiodi o a stecche di legno, usato soprattutto per calzature grossolane, da buon prezzo, per donna e ragazzo.
2. Il sistema cucito: a) a una cucitura (sistema Blake), detto anche cucito dentro e fuori; b) sistema a guardolo (sistema Goodyear).
3. I sistemi misti, parte inchiodato e parte cucito, oppure a due cuciture senza guardolo, oppure a sandali o a rovescio.
4. Il sistema a colla (detto anche sistema Ago) specialmente usato per calzature da signora, da bambino, per scarpe da ballo, pianelle e pantofoleria da camera e simili.
Il metodo che illustreremo, come il più diffuso e stimato migliore di tutti, è quello Goodyear (a guardolo), così chiamato dall'inventore delle principali macchine che permettono la costruzione di una calzatura superiore, perfettamente risuolabile.
Il primitivo sistema di attaccare la suola (esterna) al sottopiede o suoletta interna mediante una cucitura a catenella attraversante le due parti, non consentiva la rinnovazione della suola consumata. Da qui è nata la credenza, ancor oggi non del tutto scomparsa, ma contraria al vero, che le scarpe a macchina non siano riparabili.
Lavorazione. - Comprende tre grandi gruppi di operazioni: a) Taglio delle pelli e delle fodere e preparazione delle tomaie; b) Taglio del cuoio da suola e preparazione delle varie parti del fondo (suola, sottopiedi, tacchi e parti secondarie); c) Montaggio e confezione del fondo secondo uno dei varî sistemi più sopra accennati.
Quindi seguito è descritta la lavorazione secondo il sistema Goodyear a guardolo. Sono elencate soltanto le operazioni e le macchine più importanti.
Confezione della tomaia. - La parte superiore della scarpa è costituita dalla tomaia. In generale, il taglio delle pelli da tomaia viene eseguito a mano, mediante modelli preparati da personale specializzato (modellisti), sviluppati poi e graduati nelle diverse misure, su un modello base, con macchine adatte. Con uno speciale eoltello sempre ben affilato, il tagliatore - seguendo il bordo dei modelli di zinco o di cartone speciale opportunamente bordato in metallo dalle macchine da modello - prende nella parte centrale della pelle le parti principali della tomaia (mascherina o tomaio propriamente detto, e puntina) e nelle parti secondarie gli altri pezzi (gambette o quartieri, listini, linguetta, guarnizioni), in modo da ridurre al minimo i ritagli. Il taglio delle tomaie si fa anche a macchina, mediante fustelle a sagoma tagliente (figg. 2 e 3) riproducenti il modello. Che lo si compia sia a mano sia a macchina, il taglio delle pelli una perfetta conoscenza tecnica da parte dell'operaio tagliatore. L'uso delle pelli per tomaia è controllato a misura (piede quadrato, equivalente a un quadrato di 30,5 cm. di lato) ottenuta con macchine misuratrici delle pelli (v. cuoio). I ritagli delle pelli da tomaia sono in parte utilizzati per le guarniture interne delle scarpe (liste in alto, listoni posteriori, controcchielli); i più piccoli costituiscono cascame inutilizzabile.
Completano la preparazione delle varie parti della tomaia il taglio delle fodere di pelle - eseguito con gli stessi metodi del pellame da tomaia - e quello delle fodere di tela e dei rinforzi, che si compie sia a mano, sia mediante taglierine (seghe) con lame a nastro continuo.
Giuntatura. - I singoli pezzi costituenti la tomaia sono anzitutto timbrati coi numeri di accompagnamento e con quelli indicanti la misura; sono poi sottoposti all'operazione di assottigliatura (sparatura) dei bordi, nei punti di aggiuntatura, per non cagionare noie al piede. Quindi passano al reparto orlatrici, nel quale si susseguono la bucatura di ornamentazione e la piegatura dei bordi, per rendere la finitura più accurata (fig. 4), l'aggiuntatura dei due quartieri, la messa in fodera (riunione dei quartieri di pelle con le fodere di tela), la cucitura della mascherina e della puntina, previa incollatura; operazioni eseguite da una serie di macchine, generalmente installate in fila su banchi a forza motrice. Altre macchine molto veloci, quasi tutte automatiche, applicano gli occhielli e i ganci poi l'allacciatura delle stringhe, previa punzonatura del foro corrispondente (fig. 5), fanno in un attimo e in mollo irreprensibile gli occhielli a mano per le scarpe abbottonate (fig. 6), applicano i bottoni (fig. 7) ed eseguono l'allacciatura provvisoria occorrente per la lavorazione successiva, passando un laccio in uno o più paia di occhielli e annodandolo automaticamente.
Confezione del fondo. Taglio. - Il taglio del cuoio da suola, dato il forte spessore (4-5 mm. e più) non può essere eseguito con lo stesso metodo usato per le pelli da tomaia. Il cuoio da suola è generalmente preparato in schiappe o mezze pelli (v. cuoio). Le parti migliori sono costituite dal groppone e dalla spalla e da queste si ricavano le suole, i sottopiedi, i sopratacchi, mentre le parti secondarie (fianchi e testa) sono utilizzate per i sottotacchi, i contrafforti, i cappelloni, le cambrature (cambrioni) e il ripieno. Per tagliare il cuoio si usano generalmente presse o trance (fig. 8) azionate a forza motrice, con scatto rapidissimo comandato a pedale dall'operaio tranciatore, il quale con perfetta conosceza del buon uso delle varie parti del cuoio, deve sovrapporre la fustella di acciaio sul cuoio steso sopra il blocco di legno (ceppo), dalla superficie perfettamente liscia, che è inserito sul piano inferiore della trancia. Allo scatto, il piano superiore della trancia si abbassa e preme fortemente la parte tagliente della fustella contro il cuoio, asportandone in modo perfetto il pezzo desiderato. Il controllo della tranciatura del cuoio da suola è fatto a peso; i cascami (ritagli) non debbono superare una data percentuale, che dipende dalla bontà del materiale adoperato e dalle parti che se ne sono ricavate. Il cascame serve in parte per fare sottotacchi mediante procedimenti ingegnosi e macchine apposite, in parte per la fabbrícazione dei cuoi artificiali, oppure come concime.
Preparazione. - I varî pezzi tranciati vengono passati al reparto preparazione, dove si eseguiscono le operazioni necessarie per renderli atti a essere perfettamente utilizzati nella lavorazione del fondo.
Nel sottopiede (o soletta) al quale deve essere unito mediante cucitura (nel sistema Goodyear; mediante inchiodatura nel sistema misto) il guardolo, si praticano due tagli a solcatura (increnatura) lungo il profilo esterno e dalla parte verso la carne (figura 17) con macchine di precisione munite di appositi coltelli. Un'altra macchina solleva i due labbri così tagliati e li dispone ad angolo retto con la superficie del sottopiede. Si usa talvolta rivestire, per rinforzarlo, il sottopiede con una striscia di tela - incollata con soluzione di caucciù -, per dare alla spaccatura del cuoio maggior consistenza.
Le suole, previa cilindratura a forte pressione per renderle più compatte (operazione che, nella lavorazione a mano, s'esegue col martello), vengono passate a una macchina registratrice, calibratrice e uguagliatrice dello spessore, che le marca di lunghezza e le suddivide in varî spessori. Le altre parti componenti il fondo vengono pure lavorate con diverse macchine per essere sagomate, garbate, pressate, eguagliate di spessore, ecc., a seconda delle particolari loro funzioni nella calzatura.
Il tacco pure si prepara a parte: con macchine compositrici nelle quali si mettono i singoli fogli (sottotacchi, o sottanelle) sino all'altezza voluta, inchiodandoli in un sol colpo. Una macchina speciale pressa poi, con apposite matrici, questo tacco, per renderlo più resistente (fig. 9).
Lavorazione del fondo. - Le tomaie e le varie parti della suola, preparate nel modo che si è detto, passano alla lavorazione del fondo. Questa si suddivide nelle diverse operazioni del montaggio, della cucitura (fig. 18), della applicazione tacchi e fresatura, della finitura (sformatura, pulitura) e della messa in scatola.
Montaggio. - Questa operazione, che è una delle più importanti e difficili, si compie molto rapidamente con le macchine moderne che sono fra le più ingegnose e interessanti di quelle costituenti l'impianto di un calzaturificio bene attrezzato. L'operaio colloca sulla forma il sottopiede e la tomaia e inserisce tra pelle e fodera di questa il rinforzo posteriore (contrafforte) e quello della punta (cappellotto) opportunamente incollati e inumiditi. Una macchina premontatrice (fig. 10) stira la tomaia sulla forma afferrandone il bordo, con alcune pinze a tensione regolabile, mentre aggiusta la tomaia stessa sulla forma, in modo che le cuciture e specialmente la punta siano perfettamente diritte e cadano nella più perfetta posizione. La tomaia viene quindi automaticamente in un sol colpo fissata al sottopiede mediante diversi chiodini di acciaio (semenze) condotti al punto di lavoro da appositi canaletti della macchina. Altre macchine montatrici (figg. 11, 12, 13,) completano e perfezionano l'operazione stirando del tutto e appuntando la tomaia sulla forma con semenze, salvo la punta che è tenuta da un filo metallico per evitare pieghe.
Altre macchine completano le operazioni di battitura, martellatura, raffilatura delle parti di fodera e di tomaia che fossero eccedenti: indi, a evitare serî guai e guasti nelle successive operazioni di cucitura, a distanza di alcune ore dal montaggio, vengono tolte le semenze, previa imbastitura, mediante un sottile filo metallico, del bordo della tomaia col cordoncino, preparato, come già si è detto, sul sottopiede.
Cucitura. - La scarpa montata passa alla macchina per cucire il guardolo (detto anche tramezzo): questo è costituito da una striscia di cuoio, specie di piccola cinghia, solitamente di 2,5 mm. di spessore per 15 circa di larghezza, fatto di cuoio morbido accuratamente lavorato, ugualizzato e preparato per la bisogna, trattandosi di uno degli elementi essenziali della calzatura, che deve portare le cuciture che lo riuniscono alla suola e alla tomaia e permettere le successive risuolature per una lunga durata della calzatura.
La macchina per cucire il guardolo e insieme la macchina per cucire le suole (fig. 15), come ben si comprende, sono fra le più interessanti e importanti di un calzaturificio meccanico. La cucitura che unisce il guardolo all'orlo della tomaia e del sottopiede, è fatta con un ago curvo a guisa di lesina a punto a catenella (fig. 19), mediante filo di lino, a forte tensione, che passa durante la lavorazione attraverso una caldaietta di pece bollente annessa alla macchina, in modo che a cucitura eseguita e a pece essiccata, diventa come metallico, e di resistenza a tutta prova.
Il guardolo viene quindi raffilato rasente alla cucitura e poi battuto e spianato da altre macchine a martelletto. Nella parte stretta del sottopiede, fra il tacco e la pianta (fiosso) si applica, opportunamente garbato e assottigliato ai bordi, il cambrione quale rinforzo per dare alla scarpa la necessaria rigidità e sostenutezza, per ben sorreggere il piede in tale punto. Il ripieno, necessario per colmare il vano rappresentato dalla parte interna del sottopiede delimitata tutta intorno dal cordone di cucitura del guardolo (fig. 20) è costituito generalmente da uno strato di sughero triturato e in composizione con soluzione di gomma e di colofonia, applicato a caldo, oppure da fogli di feltro tramato e anche da pezzi di cuoio tranciati in sagoma apposita.
Dopo aver spalmato tutta la superficie del ripieno, del cambrione e della parte posteriore del sottopiede con colla di caucciù, si applica la suola esterna per mezzo di macchine di tipi svariati, a pressione.
Interviene quindi, mediante una nuova macchina pure molto ingegnosa, l'operazione della raffilatura del bordo della suola e del guardolo, per renderli entrambi uniformemente distanti dal bordo della forma. Contemporaneamente, tutt'intorno alla suola, la macchina incide un solco ad unghia, il cui labbro viene sollevato da una speciale rotellina. Si passa quindi alla seconda operazione di cucitura eseguita con macchine celerissime (fig. 15) a doppio filo, di cui uno o entrambi accuratamente impeciati, dopo di che il labbro della suola è riabbassato, collocato e lisciato con macchine a doppia pressione in modo da assicurare la perfetta tenuta.
Tallonaggio. - Fissata la parte posteriore della suola al sottopiede mediante chiodi (o caviglie), viene applicato il tacco dalla macchina per inchiodare i tacchi (fig. 21) ehe a viva forza e in un sol colpo configge numerosi chiodi la cui punta si ribadisce sul sottopiede nella parte interna della scarpa, contro l'apposita piastrina metallica portata dalla forma di legno su cui è montata la calzatura. Una lieve sporgenza di chiodi dal lato esterno serve alla posa del soprattacco, foglio di ottimo cuoio, soggetto, come la suola, ad essere consumato con l'uso della scarpa e che viene definitivamente fissato al resto del tacco da una macchina che ricava automaticamente i chiodi sulla macchina. Per mezzo di un'ulteriore operazione e mediante un utensile da trancia a profilo curvilineo, si taglia in un sol colpo la parte anteriore del tacco, contro la suola, in modo che assuma la forma corretta.
Successivamente la calzatura passa all'operazione di fresatura del tacco e delle suole per dare ai bordi della scarpa un aspetto liscio e uniforme. Indi, sulla superficie superiore del guardolti si pratica la marcatura, cioè s'imprime quel tratteggio trasversale che le conferisce il suo aspetto caratteristico.
Operazione di finitura (o finissaggio). - Le scarpe, che già possono considerarsi virtualmente finite, prima di andare al commercio passano tuttavia per una serie di altre operazioni le quali, senza essere strettamente necessarie per il successivo uso, conferiscono moltissimo a una migliore apparenza esterna e hanno anche qualche utile influenza sull'impermeabilità delle calzature.
Le operazioni di abbellimento della scarpa sono minuziose e numerosissime, e vengono eseguite da operai provetti con numerose macchine, macchinette e apparecchi, e in parte a mano. Così vi sono (per fare alcuni esempî) ferri oscillanti per finire i bordi delle suole e dei tacchi; macchine per vetrare e smerigliare a pressione pneumatica le suole e i tacchi (fig. 16), spazzole rotanti per lucidare, rotelline per incidere ornamenti sulla suola e sui tacchi e così via.
Si arriva così a togliere le forme che hanno accompagnato la scarpa attraverso tutta la lavorazione del fondo e si passa alla lavatura, stiratura, lucidatura e verniciatura della tomaia per renderla brillante; e, previa applicazione di un calcagnetto di tela, di feltro o di pelle per proteggere la ribaditura dei chiodi del tacco, impresso sulla suola il marchio di fabbrica (fig. 22), la calzatura è finita, e, munita di stringhe e accuratamente appaiata, è posta in scatola e destinata alla vendita.
Produzione e commercio internazionale delle calzature. - La fabbricazione di calzature è largamente diffusa in tutti i paesi civili, in ragione delle grandi necessità di consumo ehe esse presentano. Si può dire anzi che la maggior parte di tali paesi sia in grado di provvedere direttamente a buona parte del consumo interno e solo per limitati quantitativi ricorra all'importazione.
Il primo posto nella produzione è tenuto dagli Stati Uniti. Nel 1928 essi hanno prodotto 344.4 milioni di paia di calzature di cuoio e 93.9 milioni di calzature di gomma o con suole di gomma. Il consumo medio per abitante vi è molto elevato: paia 2,5 all'anno. Agli Stati Uniti seguono l'Inghilterra, con una produzione annua variante dai 120 ai 130 milioni di paia e con un consumo medio par abitante di circa 1,8; la Germania con un consumo di 1,3; poi la Francia la Svizzera, la Cecoslovacchia, l'Italia e altri paesi.
Il paese che in questi ultimi anni (1927-29) ha raggiunto i più forti quantitativi di esportazione è la Cecoslovacehia (1929: 14,2 milioni di paia). Seguono l'Inghilterra, gli Stati Uniti (1929: 4,3 milioni di paia), la Svizzera, la Francia, l'Austria.
Grandi mercati d'importazione sono l'Irlanda (nel 1928, importazione 4.5 milioni di paia), la Germania (nel 1928, importazione 4.2 milioni di paia), l'Olanda (nel 1928, 1.1 milioni di paia), gli Stati Uniti, la Norvegia, la Svezia, la Polonia, l'Unione Sudafricana, l'India.
Nel campo delle calzature di gomma i principali paesi produttori ed esportatori sono gli Stati Uniti, il Canada, la Francia, l'Inghilterra, la Germania. Mercati importatori di una certa importanza sono, oltre l'Inghilterra stessa, la Germania, la Danimarca, la Svizzera, la Norvegia, i dominî britannici.
In Italia, lo sviluppo dell'industria delle calzature a macchina è di data relativamente recente. I primi tentativi di applicazione d'impianti meccanici risalgono alla fine del sec. XIX. Nel primo decennio di questo secolo l'industria si sviluppò, affermandosi specialmente in Lombardia (Milano, Varese, Busto Arsizio, Vigevano), in Piemonte (Torino, Alessandria, Valenza), nel Veneto (Verona), nell'Emilia (Ferrara, Bologna), a Firenze e a Napoli. Essa, nell'immediato anteguerra, aveva raggiunto già un grado notevole di efficienza, riuscendo a far fronte alla fortissima concorrenza estera, inglese e americana. Ha preso poi grande sviluppo la fabbricazione dei sandali, la cui fortuna si deve in buona parte all'iniziativa di una ditta milanese.
Secondo il censimento dell'ottobre 1927, in Italia esisterebbero 57.465 calzaturifici senza vendita annessa e 33.077 calzaturifici con annessa vendita, con 177.150 addetti in complesso. Ma il censimento ha rilevato un gran numero di piccole aziende senza importanza industriale notevole. Gli stabilimenti industriali veri e proprî si calcola che siano 1200, con circa 35-40 mila addetti e con una produzione media gíornaliera di 50-60 mila paia, corrispondente a un valore annuo di oltre 900 milioni. Fra questi se ne contano una diecina con potenzialità di produzione superiore alle 1000 paia giornaliere.
L'industria colloca la massima parte della sua produzione sul mercato interno, dal quale è riuscita ad allontanare in gran parte la produzione inglese e americana, per quanto riguarda le scarpe da uomo, e la francese, viennese e cecoslovacca per quanto riguarda le scarpe da donna. Da qualche anno, poi, l'industria ha potuto sviluppare le sue vendite all'estero, riuscendo a volgere la bilancia commerciale in nostro favore. Infatti, nel 1929, l'importazione raggiungeva i 20 milioni di lire e l'esportazione i 25.5 milioni di lire. Si rimane però tributarî dell'estero per le calzature di gomma il cui valore figurava, nel 1929, all'importazione per 19.3 milioni di lire e all'esportazione per sole 324 mila lire.
In quantità, l'importazione del 1929 è di 312.375 paia di scarpe di cuoio o stoffa e di 395.149 paia di scarpe di gomma; l'esportazione, di 645.165 paia di scarpe di cuoio o stoffa e di 22.583 paia di scarpe di gomma. L'importazione viene principalmente fatta dalla Cecoslovacchia, dalla Svizzera, dagli Stati Uniti e dalla Germania. Vi entrano per forti quantitativi le scarpe da donna.
L'esportazione, che comprende notevoli quantitativi di scarpette per ragazzi, di sandali e di zoccoli, si dirige verso i mercati dell'Africa settentrionale e dell'Oriente. Tipi di lusso sono diretti ai migliori mercati europei, specie in Inghilterra, Svizzera, Germania e Francia, dove l'industria italiana da qualche anno ha acquistato buona rinomanza.