ALESSANDRI, Caio Baldassarre Olimpo da Sassoferrato (Olimpo da Sassoferrato)
Nacque a Sassoferrato probabilmente nel 1486 e appartenne all'Ordine dei minori conventuali, in cui entrò ancora giovane e non in seguito a una conversione avvenuta più tardi, come qualcuno erroneamente scrive. Nel frontespizio dei Sermoni è detto "baccelliere acutissimo" e un suo contemporaneo afferma che fu lettore di Aristotele. Egli stesso ci fa sapere che studiò nove anni e compose versi d'amore, l'Ardelia, per ricreare la mente affaticata dagli studi filosofici è certo che passò quasi ininterrottamente di città in città a predicare, ma pochissimo è noto della sua vita. Fu in relazione con personaggi legati alla corte di Urbino, come i Simonetta e Girolamo Candorfini da Cagli, Federico Torcella o Torricelli da Fossombrone, ma, nonostante ciò, (pare che egli non sia mai vissuto a corte e, anzi, non abbia neppure conosciuto personalmente i signori a cui dedicò alcune delle sue opere. Numerosissimi poi sono gli amici o conoscenti da lui nominati, ma viva amicizia ebbe soprattutto con il concittadino Girolamo Severi detto Sasso o Tempesta e con il congiunto Girolamo Olimpo.
Fino al 1523 risiedette probabilmente a Sassoferrato e svolse la sua attività in prevalenza nella regione umbro-marchigiana. Alla predicazione di questi anni e, più genericamente, alla sua condizione di religioso, sono dovuti i Sermoni e i Prohemii, che apparvero, per quanto sappiamo, a Perugia, i primi nel 1519 (per Cosimo da Verona), i secondi nel 1522 (per Baldassare di Francesco Cartolari). Contemporaneamente, e anzi già prima di queste due opere, cominciarono a diffondersi i libretti di rime amorose, che talora egli stesso cantava accompagnandosi col liuto, o componeva ad istanza di amici, e che costituiscono la parte predominante e più significativa della sua produzione letteraria. Appartengono a questo periodo l'Olimpia, che èforse il primo, la Gloria, l'Ardelia, la Camilla, il Linguaccio.
Come le opere più tarde, sono raccolte di componimenti comuni ai canzonieri dell'epoca: strambòtti, mattinate, serenate, sonetti, madrigali, capitoli, barzellette, frottole, epistole in versi e in prosa, ecc. In talune vi sono anche egloghe e mascherate. Si tratta spesso di versi occasionali e generalmente composti in breve tempo, ma della loro forma egli si mostrerà geloso, correggendo, quando potrà, ogni successiva edizione. Letterariamente tutta la sua produzione risente dell'influsso petrarchesco e, in particolare, rinnova taluni preziosismi del Tebaldeo e dell'Aquilano, ma non è priva talvolta di un tono personale. Anzi, insieme ai moduli tradizionali ripetuti con maggiore o minore abilità si incontrano, specialmente nelle opere del periodo sassoferratese, componimenti di rara freschezza ed eleganza, come la famosa Frottola alla pastorella del Linguaccio, che ebbe tanta e meritata fortuna. D'altro canto, a momenti di serenità e limpidezza si alternano toni erotici e lascivi, che sembrano diventare più insistenti e più crudi nelle opere tarde.
Sebbene queste raccolte abbiano nell'insieme carattere di repertori e vi ricorrano frequentemente anche motivi cari alla tradizione poetica popolare, tuttavia rispecchiano con immediatezza costumi e momenti di vita popolare marchigiana, a cui fa riscontro nella lingua una voluta tinta dialettale, che è evidente nelle edizioni più antiche di Perugia e di Ancona, mentre viene poi contaminata specialmente con il dialetto veneto nelle edizioni successive, che furono appunto, in grandissima parte, di Venezia. Certo è che, al di là della finzione letteraria, si profila un costume di vita che, anche per il fatto di svolgersi in clima di provincia, poteva ben motivare quelle maldicenze di cui tanto spesso l'A. si lagna e che al principio presenta come dovute a rivalità in amore. Non si deve certo dimenticare che tali lagnanze sono tradizionali nella letteratura amatoria, ma si può anche pensare a reazioni suscitate realmente dall'Alessandri: basterebbe ricordare la sua partecipazione alle feste del carnevale che conosciamo dal Linguaccio, per le quali appunto compose le "mascherate. da cantare insieme agli amici, cavalcando per le strade di Sassoferrato, gettando arance alle belle affacciate alle finestre o facendo sventolare uno stendardo dov'era dipinta nuda la donna da cui era stato respinto. Non a caso alla fine della Camilla Girolamo Olimpo metterà in guardia il lettore contro i maldicenti perché, ancora una volta, tantum pagina lasciva, sed vita proba et pudica.
Nel 1523 l'A. si reca a Concordia ed èprobabile che abbia conosciuto in questa occasione il tipografo veneziano Maffeo Pasini a cui resterà legato e presso cui l'anno successivo pubblicherà nuovamente le sue opere, quasi tutte già ristampate e alcune accresciute precedentemente. Presso di lui pubblicò per la prima volta forse la Parthenia, certamente la Pegasea e la Nova Phenice. Del viaggio a Concordia non si conosce ilmotivo, ma è certo che egli si allontanò da Sassoferrato con il più vivo rammarico, e ciò spiega in gran parte il tono stanco e triste, l'accentuarsi dell'atteggiamento moralistico che si riscontra specialmente nella Pegasea e nella Parthenia, forse anche l'argomento di quest'ultima, che poté essere interpretato come frutto di una conversione. Della Parthenia, che raccoglie poesie d'argomento religioso-moraleggiante in schemi e ritmi propri della poesia amatoria, interessano per più motivi la denuncia del lusso e della corruzione del clero d'ogni condizione e alcune esortazioni alle monache, sulle quali, nella Pegasea, esprime lagnanze di ben diversa natura. Accanto a un lamento per la confusione politica in cui versa l'Italia, non mancano accenni agli ultimi avvenimenti del ducato d'Urbino durante i quali anch'egli avrebbe preso le armi.
Il suo interesse per la vita politica, la sua simpatia per Adriano VI e l'avversione appena velata per ilpontefice precedente si esprimono più ampiamente nella Nova Phenice, dove sono raccolti i grandi canti politici. Ivi, oltre al Lamento per la morte di Gian Paolo Baglioni (1520), trovanò posto due capitoli al duca d'Urbino, che saranno da riferire al ritorno del signore nel ducato (1521) e a una delle visite da lui compiute a Fossombrone l'anno successivo. Ad avvenimenti di questo ultimo anno (1522) si riferiscono anche ilcapitolo per la morte di Sigismondo Varano, il Lamento per la caduta di Rodi e, infine, l'appassionato Pianto de Italia e delle città saccheggiate.
Il tono della vita condotta a Concordia tra il1523 e il1524 si riflette con viva immediatezza nella Pegasea. Negli schemi abituali si susseguono rime d'amore, confessioni e pentimenti, donsiderazioni moraleggianti, oscenità, preghiere ed altro ancora. Risulta dai suoi scritti che ora qualcuno gli rimprovera la sconvenienza delle sue poesie e della sua condotta e lo invita allo studio della teologia. Egli si scusa ripetendo che scrive versi d'amore solo per compiacere i lettori e per occupare il suo tempo. Invoca l'esempio degli antichi e soprattutto quello del Petrarca "canonico di Padova" e, identificando con umanistica fierezza la sua poesia nello studio e nel sapere, giudica polemicamente gli attacchi dei suoi avversari come espressione di un'invidiosa ignoranza.
Con qualche breve intervallo l'A. rimase nel Veneto almeno fino al 1526, anno in cui il Pasini lo pregò di curare una nuova edizione dei Prohemii, che uscì infatti,accresciuta rispetto alla precedente, nel 1527. Intanto la sua salute cominciava a declinare e forse anche per questo l'attività letteraria cessò quasi completamente. Del resto, già nelle ultime opere la giovinezza è sentita come un periodo ormai lontano. Gli ultimi versi sono raccolti nell'Aurora, che fu terminata a Padova dove egli poté godere la compagnia di alcuni amici di Fossombrone, venuti per lo studio del diritto. La più antica edizione a noi nota è senza anno, ma porta una prima dedica del 1532 e una seconda, a persona diversa, datata a Bologna nel 1533. Dopo questo scritto manca ogni sua notizia. Si può pensare che egli abbia curato alcune edizioni del 1538 e del 1539. Poi manca ogni indizio e non sappiamo dove nè quando abbia cessato di vivere.
La sua figura, che per un lato rappresenta un caso limite nella crisi attraversata dagli ordini religiosi nella prima metà del Cinquecento, occupa un posto di primo piano nella storia della poesia popolare e popolareggiante. Le edizioni delle sue opere, con la decorazione a xilografla del frontespizio che ne facilitava la vendita, si moltiplicarono specialmente nel sec. XVI. G. A. Gilio nel secondo dei suoi Due dialoghi, Camerino 1564, f. 91V, ci fa sapere espressamente che degli scritti dell'A. si faceva ampio commercio. L'Olimpia, la Gloria, la Camilla si stamparono ancora nel secolo scorso. Più difficile è seguire la fortuna dell'A. attraverso la diffusione dei singoli componimenti. Il Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, ed. di Venezia 1587, p. 605, considera gli strambotti dell'A, come i mezzi di cui il ruffiano si può servire più facilmente. Sappiamo che i Lamenti ebbero varie edizioni, quakuna anche nel sec. XVII, mentre nel 1543 si stamparono a Firenze due mascherate della Nova Phenzce. Una canzone dell'Ardelia venne inclusa nella raccolta Sermartelli di frottole e canzoni a ballo (1562) e in qualche altra. Ma certo non si tratta di un caso isolato e anche le raccolte dell'A. ospitarono talora opere altrui. G. C. Croce, che subi notevolmente l'influsso dell'A., ricorda più volte il suo nome. E poesie o singoli motivi dell'A. sono stati individuati nelle moderne raccolte di canti popolari.
Del tutto particolare è stata la fortuna della Frottola alla pastorella a cui è particolarmente raccomandata la fama dell'A, e da cui hanno avuto inizio i moderni studi su di lui. Essa passò ben presto in Firenze e con il nome di Brunettina, che sostituì la pastorella del primo verso e le rimase fino ai giorni nostri, fu compresa nelle stampe di frottole e canzoni a ballo fin dal 1560: intanto, parallelamente a quanto era avvenuto e avveniva nelle edizioni di Venezia, forme linguistiche toscane vi si sostituivano a quelle marchigiane. Come a canzone assai nota vi accennano il Cecchi negli Sciamiti e il Bracciolini nel Ravanello alla Nenciotta, ed è infatti compresa in quel repertorio di canzoni popolari che va sotto il nome di "incatenatura del Bianchino. (Verona 1629). In Toscana continuò a cantarsi e si canta ancora nel Casentino. Verso la fine del sec. XVI della frottola si fece un rifacimento, la Canzone della Pastorella, che si stampò più volte fino allo scorcio del sec. XVII e si diffuse per le Marche, l'Emilia, il Veneto e poi anche in Toscana, e sulla cui aria venivano cantate numerose laudi. È noto che la Brunettina fu poi attribuita al Poliziano finché il Carducci, Le Stanze, l'Orfeo e le Rime, Firenze 1863, la pose tra le rime incerte e il Ferrari, Strambotti e frottola composti per Baldassarre Olimpo... in laude di una pastorella, Bologna 1879, la restituì all'Alessandri.
Opere ed edizioni. Le edizioni delle opere dell'A. sono state elencate da S. Venezian, Olimpo da Sassoferrato, Bologna 1921, pp. I-XLII, che ha fissato la cronologia delle singole opere in base alla più antica edizione pervenutaci di ciascuna di esse. A tale ordine non si può attribuire ovviamente che un valore provvisorio perché le opere dell'A., per il loro carattere popolare, si diffusero in edizioni estremamente soggette a essere disperse o distrutte cosicché molte di esse ci sono note attraverso un solo esemplare e di alcune dobbiamo postulare l'esistenza. La Venezian stessa (p. XXXVII) avverte che la più antica edizione a noi nota dell'Aurora non è la prima, ma si deve dire altrettanto per l'Ardelia, di cui l'edizione più antica che conosciamo (Venezia, 9 apr. 1522) contiene stranibotti, sonetti, capitoli "i quali in la prima stampa non sono i (benché ciò non appaia dalla descrizione della Venezian, p. XIX, n. 61).
All'elenco della Venezian, che dovrebbe essere esaminato con cura maggiore di quanto non sia possibile fare in questa sede, sono da aggiungere le seguenti edizioni:
Olimpia: Perugia, Bianchini [Bianchino del Leonei, 1520 (G. Giannini, La poesia popolare a stampa nel sec. XIX, II, Udine 1938, p. 380); s. 1., ma forse Venezia, Bernardino Bindoni, 1538 (Catalogue général des livres imprimés de la Bibliothèque Nationale. Auteurs, vol. 126, Paris 1934, col. 951, e cfr. Giannini, La poesia popolare...,p. 380); Bologna, Pisarri, 1703, e Milano s.d., per Io. Antonio da Borgo (entrambe ricordate dal Giannini, La poesia popolare..., p. 380; ivi, pp. 375-379, anche un'ampia descrizione dell'ed. di Roma, sec. XIX, Venezian, p. VII, n. 20); Lucca, per Salvatore e Giandomenico Marescandoli, [c. metà sec. XVIII] (Bibl. Ap. Vatic., Ross.7796). Sermoni: Sermoni da morti latini et vulgari... Con la gionta del medesimo auctore quale in la prima stampa non sonno... stampato in Perusia, per Hieronymo de Cartholariis, 1521 (Bibl. Ap. Vatic., Ross. 6534,2).
Gloria: Venezia, Marchiò Sessa e Piero de Ravani comp., 1522; Venezia, Francesco de Bindoni e Mapheo Pasini comp., 1524; Venezia, Marchiò Sessa e Pietro de la Serena comp., 1524; Venezia, Marchiò Sessa, 1554 (tutte citate in Bald. Olympo da Sassoferrato, Strambotti de laude tratti da la "Gloria d'Amore ... [a cura di O. Vitaletti], Per Nozze Olschki-Mosse, Firenze 1923, p. [Il) e ancora: Venezia, per Alvise de' Torti, 1535 (O. Vitaletti, rec. al libro della Venezian in Atti e Mem. d. R. Deput. di storia patria per le prov. delle Marche, s. 3, 111-1V (19233, p. 239); Vinegia, per Nicolò d'Aristotele detto Zoppino, 1536 (Catal. gén. de la Bibl. Nat., cit., col. 951); Venezia 1622 (Giannini, La poesia popolare..., cit., I, Udine 1938, p. 268; ivi, pp. 262-267, un'ampia descrizione dell'ed. di Lucca, sec. XIX, Venezian, p. XIV, n. 46).
Linguaccio: Vercelli, 10, Maria dè Pelipams, 1530 (E. Gorini, Edizioni vercellesi del Seicento con un'appendice a "La Stampa a Vercelli nel sec. XVII", Parma 1958, p. 86); Venezia, per Alvise de' Torti, 1535 (Vitaletti, Atti e Mem., cit., pp. 239-40). L'edizione di Milano 1526 (Venezian, p. XVI, n. 52) fu stampata da Giovanni Angelo Scinzenzeler e riprodotta nell'edizione vercellese sopra ticordata (Short-title Catalogue of Books Printed in Italy and of Italian Books Printed in Other Countries from 1465 to '600 now in the Bridsh Museum, London 1958, p. 474; L. Balsamo, Giovann'Angelo Scinzenzeler tipografo in Milano, Firenze 1959, pp. 234-235), quella di Venezia 1565 (Venezian, p. XVII, n. 57) è dovuta a P. di Salò e compagni (Short-title Catalogue..., cit., p. 474). Prohemii; Venezia, per Alvise de' Torti, 1536 (Vitaletti, Atti e Mem., cit., p. 239), Camilla; Roma, per Valerio Doricho e Luigi fratelli, 1542 (Catal. gén. de la Bibl. Nat., cit., col. 951); Vinegia, per Francesco Bindoni e Mapheo Pasmi compagni, 1548 (Bibl. Ap. Vatic., capp. VI 146, 3). L'edizione di Venezia 1532 (Venezian, p. XXV, n. 82) è dovuta allo Zoppino (Short-title Catalogue..., cit., p. 474), quella di Venezia, in Frezzaria al segno della Regina (Venezian, p. XXVI, n. 88) è del 1581, v. G. G. T. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, V, Berlin 1922, p. 19, e G. O. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores unum ordinum S. Francisci editio nova, Roma 1908, p. 112.
Parthenia: Venezia, per Alvise de' Torti, 1535 (Vitaletti, Atti e Mem.,cit., p. 239). L'edizione di Venezia 1549 (Venezian, p. XXIX, n. 101) è dovuta ad Agostino Bindoni (Short-title Catalogue...,cit., p. 474). Pegasea:L'edizione di Venezia 1535(Venezian, p. XXXI, n. 110) è dovuta ad Alvise de' Torti (Vitaletti, Atti e Mem., cit., p. 239; Short-title Catalogue...,cit., p. 474), quella di Venezia 1557,1558 nel colophon (Venezian, p. XXXII, n. 113) ad Agostino Bindoni.
Nova Phenice: Venezia, Nicolò di Aristotele detto Zopino, 1520 (probabilmente, errore per 1530); Venezia, 5. fl. t., 1535, e ancora Lucca, Salv. e Gzov. Domenico Marescandoli, attribuita dal Vitaletti al 1770 c., ma certamente anteriore di qualche decennio (tutte in Vitaletti, Per la storia del "proverbio nel sec. XVI, in La Rassegna, s. 3, V [1920], p. 268 n. i). Si noti poi clie l'edizione di Venezia 1538 (Venezian, p. XXXII, n. 119) deve essere attribuita a Bernardino Bindoni (Short-title Catalogue..., cit., p. 474).
Aurora: Venezia, per Alvise de' Torti, 1536 (Vitaletti, Atti e Mem.,cit., p. 239).
Mancano edizioni moderne di opere complete dell'Alessandri. A parte i Lamenti, compresi nel III vol. della raccolta Medin-Frati, brevi scelte dall'una o dall'altra opera furono pubblicate in occasione di nozze da S. Ferrari, da A. Rossi, dal Vitaletti. Quest'ultimo riproduce qualche poesia dell'A. anche in Per la storia del "proverbio"..., pp. 268-273, in Benedizioni e maledizioni in amore, in Archivum Romanicum, III (1919), pp. 206-239, passim, e nella rec. ad A. Momigliano, Le quattro redazioni della "Zanitonella", in Giorn. stor. d. letter. ital.,1920, apparsa in Archivum Romanicum, IV (1920), pp. 406-410.
Le opere di cui si è parlato finora sono concordemente attribuite all'A., benché l'Ardelia e la Camilla siano state attribuite talvolta a Giovanbattista Venni e la seconda anche a Diomede Guidalotti. Si può invece dubitare che l'elenco sia completo. È stato osservato che il Doni nella seconda Libraria, notoriamente infarcita di titoli inventati, attribuisce all'A. La ranocchia disperata per amore e Grillo amoroso in succhio, ma non si hanno altre notizie (Vitaletti, L'autore del "Grillo medico", poemetto popolare del sec. XVI, in Archivum Romanicum, IV [1920], pp. 238-239). Occorre anche rilevare che l'A., nella lettera a Diotisalvi da Cagli, in cui elenca le sue opere (alla fine della Camilla, ed. 1524), sembra menzionare come opera a sé stante "le Barzellette fatte in lode del Signor Duca e de Madonna Duchessa", di cui pure non si ha altra notizia e che, tuttavia, pare non si possano identificare con alcuna delle opere note. Infine, alla Bibl. Vaticana, Capp. V 688, 13, si conserva un opuscolo di 8 ff., intitolato Oratione di santo Antonino composta per Baldassare Olimpia da Sassoferrato, stampata in Venetia l'anno 1597 (si tratta di s. Antonio da Padova). Al f. A1r una xilografla riproduce l'immagine del santo. Segue la narrazione della vita in una lunga serie di ottave.
La Potentia d'amore, attribuita all'A. in molte stampe, fu restituita a Diomede Guidalotti da E S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 223.
Bibl.: Oltre alle opere già citate v. S. Ferrari, A proposito di O. da S., Bologna 1880; A. Luzio, La Brunettina del Poliziano e B. O. da S., in Nuova Antologia, LIII (1880), pp. 31-64; A. D'Ancona, La poesia popolare italiana, Livorno 1906, pp. 122, 459-60, 464-67; G. Crocioni, Le Marche, Città di Castello 1914, pp. 96-97, 99, 146-152, 415 n. 1; G. Vitaletti, La "Libraria universale" di Giulio Cesare Croce, in Collectanea variae doctrinae Leoni S. Olschki oblata, Monachii 1921, pp. 227-268, passim; B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte,Bari 1933, pp. 437-438; G. Crocioni, La gente marchigiana nelle sue tradizioni, Milano 1951, pp. 158-159; P. Toschi, Fenomenologia del canto popolare, I, Roma 1947, pp. 98-100; II, ibid. 1949, pp. 194, 292; A. Bonaccorsi, Il folklore musicale in Toscana, Firenze 1956, pp. 77-83; C. Dionisotti, Chierici e laici nella letteratura italiana del Primo Cinquecento, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno di storia della Chiesa in Italia (Bologna, 2-6 sett. 1958), Padova 1960, p. 170; Id., Per la data dei "Cinque Canti", in Giorn. stor. d. letter. ital., CXXXVII (1960), p. 31. Una più ampia bibl. è data da G. Crocioni, Bibliogr. delle tradizioni popolari marchigiane, Firenze 1953, pp. 104-106, nn. 649-668.