CACCIATORE (fr. chasseur; sp. cazador; ted. Jäger; ingl. chasseur)
Il soldato a piedi o a cavallo, vestito, armato e disciplinato per le fazioni della milizia leggiera; è stato chiamato cacciatore per la similitudine coi cacciatori campestri, dei quali imita in guerra le arti e le fatiche.
Gli antichi eserciti avevano fanterie leggiere; così i Greci avevano i ψιλοί e i Romani i velites, i quali volteggiavano o combattevano scorazzando attorno alla falange o alla legione e, nella legione, anche in mezzo ai manipoli. Passando agli eserciti moderni, fino dal sec. XVII si sceglievano fra gli archibugieri alcuni più agili e più destri al tirare e al correre e s' impiegavano per impegnare scaramucce, fare agguati e scoperte, spiare le mosse del nemico, molestarlo e stancarlo. Questa specie di soldati non ebbe un ordinamento proprio che dopo la prima metà del sec. XVIII. A questo tempo negli eserciti francesi si cominciò a dare loro qualche contrassegno particolare e il maresciallo di Broglie nel 1760 li riunì in compagnie, che poi vennero assegnate in numero di una per ogni battaglione, e successivamente vennero riunite in reggimenti di fanti leggieri; erano armati e vestiti come le altre fanterie, se non che ebbero fucile più corto e leggiero corredo; portavano per distintivo spallini verdi e sciabola da granatiere. Questi reggimenti combattevano bensì in ischiera come gli altri, ma più di frequente erano adoperati nelle fazioni proprie dei cacciatori; e avevano una compagnia di tiratori, scelti per ogni battaglione, detti più specialmente chasseurs. Napoleone I nel 1804 sostituì i volteggiatori a queste compagnie dei cacciatori tolte dai battaglioni. Anche gli altri eserciti ebbero dal finire del 1700, ed hanno, battaglioni o reggimenti di truppe leggiere (cacciatori); e nelle guerre d'Italia furono famosi i micheletti di Spagna, e ai tempi nostri i cacciatori tirolesi. Nella divisa dei cacciatori di ogni nazione predomina il verde.
I cacciatori nell'esercito italiano. - I primi cacciatori dell'esercito piemontese apparvero nell'ordinamento del 28 giugno 1786 per il quale ogni reggimento di fanteria veniva ridotto a 2 battaglioni, ognuno di 1 compagnia di granatieri e 4 di fucilieri, e in guerra doveva costituire una compagnia di cacciatori; queste compagnie furono poi riunite in battaglioni (1° e 2°) nel 1793 e sciolti nel 1796. Negli stessi anni furono organizzati, sempre in Piemonte, i seguenti corpi: Cacciatori del ducato d'Aosta (1793); Cacciatori Piano (1793); Cacciatori di Martin (1794); Cacciatori scelti del Nizzardo (1794); Cacciatori di Pandini (1794), sciolti tutti fra il 1795 e il 1796. Nel 1799 furono istituiti in Sardegna i Cacciatori di Savoia, con elementi che avevano lasciato il Piemonte per seguire Carlo Emanuele IV; questo piccolo corpo ebbe anche il nome di Cacciatori esteri, e quello di Cacciatori esteri e italiani. Fu sciolto nel 1832. Durante la Repubblica piemontese vi fu un corpo di cacciatori a piedi (1800-1801). Anche nella Toscana si costituì nel 1794 un corpo di cacciatori volontarî a piedi che fu però sciolto nel 1800. Nel regno delle Due Sicilie vennero istituiti nel 1785 i Cacciatori reali che, portati a sei reggimenti nel 1794, furono soppressi nel 1799.
Nel maggio del 1814, cessata l'occupazione francese, alla ricostituzione dei corpi di fanteria, ricomparvero in Piemonte le truppe leggiere e i cacciatori; e si ebbero 2 battaglioni di cacciatori italiani. Furono successivamente in parte sciolti in parte incorporati nei reggimenti di linea. Nel 1816 il Reggimento fanteria Sardegna, formato fin dal 1744, prese il nome di Reggimento cacciatori guardie, che nel 1831 fece brigata con i Granatieri guardie. Nel 1838 i cacciatori formavano battaglioni in alcuni reggimenti; furono anche divisi per compagnie nei battaglioni, cosicché un battaglione d'ordinanza era costituito di 1 compagnia granatieri, 3 fucilieri e 1 cacciatori. Questo ordinamento fu esteso a tutti gli eserciti degli altri stati italiani.
Durante il nostro Risorgimento sorsero qua e là nell'Alta Italia nuclei o reparti di volontarî che si dissero cacciatori e combatterono per l'indipendenza d'Italia. Dei Cacciatori delle Alpi, si parla più sotto; per gli altri corpi v. volontarî.
Con lo scioglimento di questi reparti il nome di cacciatori si perdette presso di noi nell'esercito regolare: giacché le loro funzioni e il loro servizio speciale erano già stati assunti dai bersaglieri. Vi sono ora battaglioni di cacciatori di presidio nella Tripolitania e nella Cirenaica e fanno parte del R. Corpo truppe coloniali (v. coloniali, truppe).
La Francia ha tuttora battaglioni di cacciatori detti delle Alpi (Chasseurs des Alpes) che corrispondono per addestramento e impiego ai nostri soldati alpini; ed ha in Algeria reparti di cacciatori a cavallo. La Germania, la Spagna, la Russia hanno pure reparti di cacciatori a piedi.
Cacciatori a cavallo (fr. chasseurs a cheval). - È una specie di cavalleggiere armato di carabina corta, di pistola e di sciabola e disciplinato a combattere alla leggiera come l'ussaro, dal quale differisce nella divisa. Questa milizia venne istituita per la prima volta in Francia nel 1757 e aggiunta alla fanteria detta leggiera. Abolita questa nel 1776, la cavalleria speciale di cui si parla venne ordinata in quattro squadroni, poi accresciuta sino a formare sei reggimenti (1784), e successivamente fino a 28. I cacciatori a cavallo furono istituiti anche nell'esercito d'Italia da Napoleone sul principio del 1800 e combatterono gloriosamente in Germania, in Russia, in Spagna. Avevano una stretta tunica e in capo un casco all'ungara, e portavano gualdrappa di montone.
I cacciatori delle Alpi. - Nel marzo del 1859 gli emigrati delle provincie italiane accorsi in Piemonte per combattere la guerra di liberazione, furono raccolti in speciali depositi a Cuneo ed a Savigliano e chiamati cacciatori della Stura. Il 24 aprile fu decretato che essi facessero parte dell'esercito regolare, ed il 26 all'aprirsi delle ostilità, fu mutato loro il nome in quello di cacciatori delle Alpi. Ne ebbe il comando Garibaldi, col grado di maggior generale, ed i tre reggimenti che si costituirono, di due battaglioni ciascuno, furono posti agli ordini dei ten. colonnelli Enrico Cosenz, Giacomo Medici e Nicola Ardoino. Capo di stato maggiore di Garibaldi fu Francesco Carrano. Gli ufficiali erano, per la massima parte, veterani delle guerre del 1848 in Lombardia e del 1849 a Roma e Venezia. Vanno ricordati: Gaetano Sacchi, Giuseppe Marocchetti, Gaetano Lipari, Giovanni Ferrari, Narciso Bronzetti, Pietro Rosaguti, Gabriele Camozzi, Ludovico Mancini, Eleuterio Pagliano, Carlo Gorini, Gerolamo Induno, Giovanni Cadolini, Filippo Migliavacca, Carlo De Cristoforis, Giuseppe Pedotti, Nino Bixio, Giov. Batt. Ruffini. I servizî si vennero costituendo durante la guerra; l'armamento e l'equipaggiamento erano simili a quelli dell'esercito regolare e così la divisa, la quale differiva solo nel color verde del colletto e delle pistagne.
Nei primi di maggio il 1° e 2° reggimento raggiunsero Casale, ed il giorno 8, alla dipendenza del gen. Cialdini, parteciparono onorevolmente ad un primo combattimento; il 10 si unirono a Chivasso col 3° reggimento e furono mandati sulla Dora, per impedire una possibile avanzata degli Austriaci su Torino. Il 18 maggio furono trasportati per ferrovia a Biella col compito di agire sulla destra nemica verso il Lago Maggiore, nel modo che Garibaldi avesse ritenuto più conveniente. Infatti, la notte dal 22 al 23 la brigata passò il Ticino a Sesto Calende ed il 23 medesimo entrò a Varese, ove all'alba del 26 con azione breve e gagliarda respinse oltre 4000 imperiali del feldmaresciallo Urban. Fra i caduti di quel giorno fu Ernesto Cairoli (v.). Costretto l'Urban a retrocedere verso Como, il 27 i Garibaldini lo assalirono a San Fermo, e lo sconfissero nuovamente. Per queste azioni vittoriose il re decoro Garibaldi della medaglia d'oro al valor militare, e nel conferire numerose ricompense ai volontarî, proclamò che quei "giovani avevano combattuto da vecchi soldati e ben meritato dalla patria". In quel mentre, l'Urban aveva rioccupato Varese e Sesto Calende, tagliando Garibaldi dal Piemonte e ponendolo in condizioni difficili, serrato tra i laghi, il confine svizzero e le forze soverchianti nemiche. Non per questo si perdé d'animo l'eroe popolare, poiché, campeggiando attorno a Como, tenne in iscacco le forze dell'Urban, finché questi, il 3 giugno, quando gli alleati passarono il Ticino, inviò il grosso a Gallarate e il 4 giugno, dopo Magenta, si ritirò verso l'Adda. Quelle minacce dei cacciatori delle Alpi sul fianco degl'imperiali non furono senza conseguenze per il buon esito della battaglia di Magenta, poiché preoccuparono l'ala destra austriaca, ed impedirono all'Urban di accorrere sul campo di battaglia. I cacciatori delle Alpi si fermarono a Como fino al 5, la notte sul 6 si trasferirono a Lecco e l'8 mattina entrarono a Bergamo. Lo stesso giorno 8 la 3ª compagnia del 1° reggimento (Bronzetti) combatté vittoriosamente a Seriate contro un battaglione austriaco. Nei giorni seguenti, sempre a seguito della divisione Urban che si ritirava, e precedendo a sinistra l'esercito franco sardo, i cacciatori delle Alpi avanzarono su Brescia, che occuparono il 13, suscitando ovunque l'insurrezione e arruolando nuovi volontarî. Il 15, mentre il grosso della brigata si recava sul Chiese, 14 compagnie si trovarono per la terza volta alle prese con le fruppe dell'Urban, fra Treponti e Castenedolo. Esse combatterono con molto valore, ma per la sproporzione del numero (1400 contro 4000 imperiali) dovettero ritirarsi e lo fecero ordinatamente, mercé l'eroico contegno del Cosenz e le sagge disposizioni di Garibaldi medesimo accorso sul finire dell'azione. Dopo questo fatto d'arme, la brigata fu distaccata in Val Sabbia e poi in Valtellina a protezione della sinistra degli alleati da eventuali minacce austriache provenienti dal Tirolo. Il 2 e 3 luglio, a Bormio, reparti condotti dal Medici riportarono sensibili vantaggi sul nemico, e al comando poi del Bixio e del Sacchi, si spinsero il giorno 6 e poi l'8 sino allo Stelvio, ma dovettero retrocedere di fronte al nemico numeroso e ben appostato. Dopo Villafranca i cacciatori delle Alpi occuparono il 9 luglio la posizione dello Stelvio al confine, a contatto degli avamposti imperiali.
Intanto, il resto della brigata si era rinforzato con nuovi volontarî e vi si era aggiunto il reggimento Cacciatori degli Appennini (costituitosi fin dall'aprile ad Acqui) che fu numerato 4°, mentre un 5° era in formazion. a Como. I tre primi reggimenti furono accresciuti di 2 battaglioni ognuno e si costituirono pure un battaglione valtellinesi, uno di adolescenti, altre tre compagnie bersaglieri, una batteria (Griziotti) prima su 4, poi su 8 pezzi e una compagnia zappatori del genio. La forza della brigata alla metà di luglio era così di circa 12.000 fucili, 100 cavalli e 8 pezzi: essa si scaglionò in Valtellina, Valcamonica, Val Trompia e Val Sabbia. Il 7 agosto Garibaldi lasciò il comando della brigata per recarsi in Toscana, seguito da molti ufficiali. Il 7 settembre, per l'avvenuto congedamento di molti volontarî, la brigata fu ridotta a due reggimenti, oltre al battaglione Valtellinesi rimasto a Sondrio. Il 14 marzo 1860 assunse il nome di brigata Alpi (51° e 52°), seguendo la numerazione dei reggimenti di fanteria dell'esercito sardo.
Bibl.: F. Carrano, I Cacciatori delle Alpi comandati dal generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia, Torino 1860; V. Ottolini, I Cacciatori delle Alpi, Milano 1860; J.W. Mario, Agostino Bertani e i suoi tempi, Firenze 1888; G. Cadolini, I Cacciatori delle Alpi, in Nuova Antologia, 1907.