BUCAREST (in romeno Bucureşti; A. T., 79-80)
Capitale della Romania e capoluogo del distretto d'Ilfov. Situata a 26° 6′12″ E. e 44°25′ 49″ N., a soli 50 km. dal Danubio e dalla Bulgaria, Bucarest sorge a 87 m. d'altezza nella pianura valacca uniforme e nuda e, come questa, ha un clima di tipo continentale, detto danubiano: temperatura media, gennaio -4°,5, luglio 23° (nel 1924 massimo 39° e minimo −25°); pioggia media 570 mm. (nel 1924 massimi in giugno 127, e in novembre 144; minimi in gennaio 6, e in settembre 13 mm.).
La città è posta in una valle larga 1500 metri e poco profonda, che presenta due o tre terrazzi, dai versanti tagliati a festoni, promontorî smussati e collinette (Mihai e Radu Vodă); in una circonferenza di 30 km., essa copre una superficie di 5600 ettari, di cui soltanto la metà occupati da fabbricati (49.000 case), mentre l'altra metà è così ricca di verzura, che a ragione Bucarest è stata chiamata una città-giardino. Ma tale superficie troppo vasta crea imbarazzi in tutte le questioni riguardanti l'urbanesimo.
Bucarest si estende sulle due rive, specialmente sulla riva sinistra della Dàmboviţa, fiume di poca importanza, affluente dell'Argef, incanalato dal 1881 e attraversato da 16 tra ponti e palancole. Sebbene nessun ostacolo naturale si opponga al suo sviluppo, è una città mal costruita, ingranditasi a caso, senza un piano prestabilito. Tutta bianca, com'è, col suo aspetto semicampestre, essa ha alcunché di orientale, per le piccole botteghe che tengono esposta una patte della merce sui marciapiedi, per la frequenza delle grandi insegne e per l'animazione di certe vie. Il centro (banca, commercio) con le sue vie tortuose è chiuso tra il punto dov'era la piazza Sf. Gheorghe, nucleo primitivo della città, e la Calea Victoriei, arteria principale, che data dal principio del sec. XVIII e attraversa i boulevards recenti (posteriori al 1880) Elisabeta, Carol e I. C. Brătianu. La rimanente parte della città è costituita da quartieri tranquilli, nei quali gruppi di case col giardino e col solo piano terreno, oppure con uno o due piani sovrapposti, si riuniscono attorno a una corte. Verso la periferia sorgono i quartieri nuovi, dove si stendono i mahala, antichi villaggi incorporati alla città, i quali hanno conservato il loro aspetto rurale e povero. Bucarest non ha sobborghi. Gli sforzi diretti a trasformarla in una città moderna incontrano gravi difficoltà: c'è scarsità d'acqua; non esiste un deposito per le immondezze; occorrono opere di risanamento; si deve correggere l'irregolare tracciato delle vie centrali; si devono migliorare i mezzi di trasporto, sia all'interno come verso l'esterno, non potendosi finora fare assegnamento che sulla stazione del nord, insufficiente.
Non essendo stato fatto alcun censimento dopo il 1912, dell'attuale popolazione di Bucarest non si può dare che una cifra approssimativa: da 700.000 a 1.000.000 di abitanti. Per lungo tempo la città è stata periodicamente decimata da epidemie, e solo da poco (dal 1860 e specialmente dal 1918) l'aumento della popolazione è venuto accentuandosi. Dagli 80.000 ab. del 1781, Bucarest è passata a 73.000 nel 1810, a 100.000 nel 1824, a 70.000 nel 1831, a 102.000 nel 1859, a 200.000 nel 1881, a 184.000 nel 1888, a 232.000 nel 1894, a 282.000 nel 1899, a 338.000 nel 1912. La cifra dell'ultimo censimento corrispondeva a una densità media di 120 ab. per ettaro (massima da 200 a 400; minima da 20 a 50) e a 14 o 15 persone per casa. Bucarest va popolandosi principalmente per l'immigrazione dalla provincia e la sua popolazione è assai prolifica (34‰ presso i Romeni; 29‰ presso gli stranieri), ma la mortalità infantile, dovuta alla mancanza d'igiene, alla miseria e all'ignoranza, infierisce terribilmente (31‰ presso i Romeni; 23‰ presso gli stranieri). La popolazione allogena e straniera a Bucarest è molto considerevole: essa rappresentava il 33% nel 1899. Nel 1900, su 284.000 ab., 186.000 erano di nazionalità romena (funzionarî e servi), 44.000 Ebrei (tutti commercianti o fnanzieri), 38.000 cittadini austro-ungarici (operai e artigiani), per la maggior parte transilvani divenuti ora sudditi romeni, 3000 Tedeschi (operai ricercati, industriali e ingegneri), 2100 Italiani (muratori), 1400 Greci, 245 Turchi (i quali, con gli Albanesi, esercitano il piccolo commercio di generi alimentari), 940 Bulgari (giardinieri e lattai), 350 Russi (quasi tutti cocchieri), 235 Francesi (intellettuali o rappresentanti di commercio).
Ben poco rimane dell'antica Bucarest, poiché gli incendî (1715, '39, 99, 1847), i terremoti (1718, 1802, '29), le grandi inondazioni (1774, 1837, '46, '51, '60, '65, '73) distrussero interamente i palazzi, le case e le chiese, costruiti con materiali non molto solidi. Anche adesso la capitale della Romania, come del resto tutto il rimanente del paese, è povera di monumenti; invero si possono considerare tali soltanto le chiese ed alcuni edifici pubblici, ragguardevoli più per la grandiosità che per l'architettura. Bucarest contiene 160 edifici religiosi (8 chiese cattoliche, 21 sinagoghe, 117 chiese ortodosse e 14 di altri riti). Ogni fede religiosa ha il suo cimitero: tra i 21 posseduti dalla città i principali sono Sf. Vineri e Belu. Il mausoleo del Milite Ignoto è nel Parco Carol.
Ancor meno numerosi sono gli edifici pubblici di qualche interesse artistico: il Palazzo di Giustizia, sulla riva della Dâmboviţa; l'Ateneo, per i concerti e le esposizioni (1906, arch. Galleron); il Palazzo della Posta (arch. Saulescu), sul tipo di quello di Ginevra; la Cassa depositi e prestiti (arch. Gottereau); il Ministero degli affari esteri (1901); i Palazzi reali della Calea Victoriei (distrutti in parte da un incendio, nel 1926) e quello di Cotroceni, senza alcuna caratteristica architettonica; il Ministero dei lavori pubblici (1906); la Scuola d'architettura, il cui stile s'ispira alla architettura dei monasteri romeni, che una nuova scuola è riuscita a mettere in valore perfino nella costruzione delle case private.
Bucarest possiede, com'è già stato detto, spaziosi giardini pubblici (Cismigiu, 1855-1895; parco Carol, 1906), viali alberati (Şosea Kisseleff), piazze (Ateneo) e piazzali circolari di cui taluno è adorno di statue (la più imponente è quella di I. Brătianu, opera dello scultore E. Dubois, 1903).
Bucarest, capitale d'un paese ingrandito improvvisamente dopo il 1918, fa ogni sforzo per adattarsi al nuovo stato di cose. Essa non è un centro industriale, e la sua importanza economica appare ben piccola, se paragonata a quella di altre capitali: è anzitutto un centro finanziario, che ha soltanto il commercio necessario al mantenimento d'una grande città e un po' di commercio di lusso; intere vie e quartieri si occupano d'un genere di traffico speciale.
Più notevole è la sua funzione intellettuale: l'università, fondata nel 1864 dal principe Cuza, è una delle più frequentate d'Europa (17.000 studenti) e tende a suddividersi in istituti separati, sparsi per la città (Istituto geologico, 1906; metereologico, 1884; batteriologico, ecc.). Parecchi cămine o pensioni economiche ospitano gli studenti che sono bisognosi e che godono di borse di studio. Delle 5 biblioteche esistenti, due meritano d'essere ricordate: quella dell'Accademia (con quasi 7200 mss., 48.000 documenti, 275.000 volumi), la quale, per la legge del 1884, deve ricevere gli esemplari d'ufficio dei libri e delle riviste, e quella della Fondazione Universitaria Carol I (1895, 100.000 vol.). Dal 1862, gli archivî sono stati riuniti a Bucarest nell'antico monastero restaurato di Mihai Vodǎ. L'Accademia romena, fondata nel 1866, gode dei privilegi di ente morale e comprende tre sezioni (letteratura e filologia, storia e archeologia, scienze), ciascuna delle quali ha dodici membri attivi romeni, quindici membri corrispondenti romeni e un numero illimitato di membri onorarî e di corrispondenti stranieri. Bucarest possiede pochi musei nazionali: il Museo delle antichità (1864), dell'esercito (1906, nel Parco Carol), quello botanico (1836); ha, invece, parecchi musei privati, tra i quali il museo Calinderu, il museo Simu (scultura, pittura); è in costruzione un museo etnografico.
La funzione più evidente della città è quella amministrativa. La capitale contiene tutti gl'istituti necessarî all'amministrazione assai accentrata di uno stato di 16 milioni d'abitanti, e 1/7, della sua popolazione è costituito da funzionarî. Pertanto, dal 1918, gli edifici esistenti sono divenuti insufficienti a contenere una tale formidabile macchina burocratica. Bucarest è suddivisa in cinque distretti o settori (azzurro, giallo, verde, rosso, nero), e ciascuno di essi ha a capo un sindaco e un consiglio municipale, i cui delegati, insieme con altri membri, nominati di diritto dal ministro dell'Interno, formano il gran consiglio comunale ed eleggono il sindaco della città. Le donne entrano a far parte di questo consiglio per tutto ciò che riguarda le questioni d'assistenza sociale. Accanto al sindaco c'è un prefetto di polizia.
Bucarest è la sede del metropolita primate greco-ortodosso, il quale, dal 1925, ha il titolo di Patriarca della Romania.
La capitale, che è sede del II Corpo d'Armata, è ora città aperta, poiché la cintura di fortezze che la circondava a poca distanza è stata giudicata insufficiente e smantellata dopo la guerra.
Bibl.: Fr. Damé, Bucarest en 1906, Bucarest 1908, p. 640 fot.; V. Mihǎilescu, Vlaşia şi Motiştea, in Bull. Soc. Reg. Rom. de Geogr., 1924, p. 200; id., Bucaresti din punctul de vedere antropogeografic si etnografic, in Ann. de Geogr. şi Antropogeogr., IV, 1915; G. Vergez-Tricom e R. Fischeux, Bucarest, in Ann. de Géogr., Parigi 1927; Bucareşci, in C. Diaconovich, Enciclopedia Românǎ, Sibiu 1898, I, pp. 606-619, con 1 carta; E. de Martonne, La Valachie, Parigi 1902; E. Oberhummer, Bucarest, in Rumänien, Bericht über eine Reise der Geographische Gsellschaft in Wien, Vienna 1924, pp. 187-193; G. I. Ionescu-Gion, Istoria Bucurescilor, Bucarest 1899, p. 818; Cap. Mih. Pantea, Noul plan si ghid al orasului Bucareşti, Bucarest 1920, con introd. stor. di Enache Ionescu e carta al 1 : 100.000.
Monumenti. - Nella regione dei laghi (più d'una ventina) che circondavano e proteggevano la città, e che riuniti tra loro e col fiume Argeş e con la Dâmboviţa formavano una pittoresca laguna, furono costruite case di principi e di boiari tra il secolo XVIII e gl'inizî del XIX. Alcune località, Mogoşoaia, Fundenii-Doamnei, Plumbuita, Afumaţi, contano dimore principesche ben conservate oppure rovine importanti. Numerosi monasteri e schite si trovano nella foresta. Ricordiamo la chiesa dl monastero di Snagov, fondato nel sec. XV, in posizione amenissima, su di un'isola: essa ha interessanti pitture del primo trentennio del sec. XVI e alcuni ritratti, purtroppo ridipinti. Importante è pure la chiesa di Fundenii-Doamnei, costruita e decorata alla fine del sec. XVII, con le pareti esterne ricoperte di stucchi a stampo, azzurri e dorati, che ricordano palazzi e tappeti d'Oriente. Il monastero di Văcăreṣti, nei dintorni di Bucarest, fondato agli inizî del sec. XVIII, con la sua architettura pomposa, sebbene un po' fredda, dà una esatta idea dell'ultima fase raggiunta dall'arte religiosa in Valacchia. Degli altri conventi notevoli per storia, per arte o per posizione ricordiamo solo quello di Căldăruṣani (sec. XVII), la cui chiesa, restaurata, mantiene l'antico sistema iconografico e possiede una collezione d'icone dei secoli XVIII e XIX, ma di secondaria importanza. Il palazzo del principe Brâncoveanu, a Mogoşoaia, di recente restaurato, è un gioiello di architettura valacca della fine del sec. XVII; è in istile orientale, ma le ampie finestre e la bella loggia mostrano l'influenza italiana. Sobrie sculture di stile italiano vi ornano balaustre e finestre; dentro, le pareti hanno ornati dipinti e dorati ispirati alle ceramiche di Brussa e di Kutaieh.
Mentre i dintorni di Bucarest conservano così importanti monumenti antichi, la città stessa presenta un aspetto piuttosto moderno.
Vi mancano, infatti, case antiche oppure costruite nello stile nazionale, sebbene molti sforzi si facciano per ripristinarlo.
Restano pochi edifici religiosi antichi. La chiesa del patriarcato, fondata nel sec. XVI, conserva, ma ridipinta, una parte della decorazione primitiva, iconograficamente interessante. Nella cappella di Floerasca ci sono avanzi originali di dipinti della fine del sec. XVII. Le chiese di Cotroceni e di Stavropoleos conservano la primitiva architettura; e la seconda ha pitture del sec. XVIII, in parte rifatte. Il Museo nazionale di antichità dà un'idea abbastanza esatta dell'arte religiosa in Romania; vi si trovano sculture in legno, ricami, miniature, icone e frammenti di pitture parietali (secoli XV-XVIII). Il museo d'arte nazionale raccoglie oggetti d'arte popolare, e nella pinacoteca si conservano i quadri del maggior pittore romeno, N. Grigorescu. (V. tavv. I-IV).
Vita teatrale. - La passione per il teatro è innata nei Romeni. Rarissimamente accade che gli attori recitino davanti a una platea poco affollata: al Teatro Nazionale soprattutto, malgrado le sue proporzioni abbastanza vaste. La compagnia che vi recita è stabile ed il teatro è ora alle dipendenze del Ministero dell'istruzione, mentre prima era a quelle del Ministero delle Belle arti, e sembra probabile debba tornarvi nuovamente. Gli artisti sono cointeressati al buon andamento finanziario del teatro, avendo diritto a una quota sull'incasso serale, e sono divisi, a seconda del valore e dell'anzianità, in soci ordinarî di I, II e III classe e in straordinarî di I e II classe. Trattandosi di teatro di stato, la produzione nazionale ha la precedenza ed è proibito recitare sulle sue scene in lingua straniera. Il repertorio classico romeno e straniero (Carageale, Molière, Shakespeare, Goldoni, ecc.) gode (soprattutto nelle matinees destinate agli studenti) dì una situazione di favore. Il teatro contemporaneo (Bernstein, Shaw, Pirandello) viene in secondo luogo. Da qualche tempo, e precisamente da quando il teatro è diretto dal poeta e romanziere Cornelio Moldovanu (v.), la messa in iscena è particolarmente accurata; il Faust di Goethe, l'Amleto, il Mercante di Venezia, Giulietta e Romeo, il Sogno d'una notte d'estate, Molto rumore per nulla, Le allegre comari di Windsor, La bisbetica domata di Shakespeare, Il Dilemma del medico dello Shaw, il Glauco del Morselli e il Mester Manole dell'Etimiu (v.) sono stati messi in iscena con arte degna dei maggiori teatri europei. La stessa osservazione si può fare anche per gli attori: oltre al Notara, al Demetriade, al Brezoianu, al Bulfinski, alla Filotti, alla Ventura, alla Macrì-Eftimiu, veri maestri dell'arte scenica, il Sârbu, il Critico, la Zimniceanu rappresentano valori indiscussi. La sala è elegantissima e il pubblico è sempre attento e cortese. Non si è mai verificato in Romania il caso che una commedia o un dramma sia stato fischiato. L'applauso freddo di pura cortesia basta a indicare che la produzione non ha incontrato il favore del pubblico.
Di recente accanto al Teatro Nazionale vero e proprio è stato istituito uno "Studio", in cui si rappresentano opere di autori non ancora consacrati dalla fama (corrisponde un po' a ciò che è in Italia il Teatro Sperimentale (ottima istituzione dovuta al grande romanziere Liviu Rebreanu (v.), il quale ha diretto per qualche anno delle mattinate letterarie con interessanti conferenze seguite da letture e declamazioni di prose e di versi che furono eseguite dai migliori attori.
Un teatro piccolo ma elegante, e soprattutto raccolto, è il Teatro Maria Ventura, diretto dal giovane autore drammatico Victor Jon Popa, dove, attorno a Marioara Ventura della Comédie Française, si sono raggruppati alcuni dei migliori attori romeni, quali il Maximilian e la Cutava-Barozzi. Al Teatro Maria Ventura, sebbene sussidiato dallo stato, e al Teatro Regina Maria, dove recitano i coniugi Bulandra e il Manolescu, prevale il repertorio straniero, soprattutto francese.
Un teatrino interessante, dove la verve eccezionale di Puiu Jancovescu conquista il pubblico, è il Fantasio, già Teatru Mic (Piccolo Teatro), di cui tutti ricordano con rimpianto l'epoca gloriosa in cui il Jancovescu, il Mihalescu ed Elvira Popescu, ora a Parigi, costituivano un insieme delizioso.
Da ricordare è infine anche il Teatro Lipscani, fondato e diretto dal commediografo De Hertz.
L'Opera romena rappresenta un tentativo coraggioso che costa allo stato molti milioni e che, se si considerano i molteplici ostacoli che si frapponevano alla sua realizzazione, può dirsi anche riuscito. Spettacoli eccellenti e messi in iscena con accuratezza e gusto non sono mancati. Il repertorio, italiano in gran parte, è vario e bene scelto. Ma la sua istituzione è ancora recente e non si può quindi pretendere da essa l'organizzazione perfetta e soprattutto la disciplina che regna al Teatro Nazionale.
Storia. - Il nome di Bucarest deriva, secondo ogni probabilità dal nome di persona Bucur (a sua volta di origine albanese); il recente tentativo del Weigand (Balkanarchiv, IV, 1928, pp. 178-179) di trarre Bucarest dallo slavo Bukar "grammaticus" è basato specialmente sulla forma occidentale assunta dal nome della città in italiano, tedesco, ecc. (Bucarest), ma non convince (cfr. Tagliavini, Studi Rumeni, IV, 1929, 115), tanto più che vi sono alcuni altri villaggi chiamati Bucureşti, documentati fin dal sec. XIV e il cui nome si sa positivamente risalire a Bucur. La storia più antica di Bucarest è molto oscura; gli atti certi cominciano col 1460 e da un tale anno si sa che i principi di Valacchia venivano spesso ad abitare a Bucarest, giacché da codesta città sono spesso datati i loro atti. Radu il Bello (rom. Radu cel Frumos), dietro richiesta dei Turchi, portò la residenza principesca a Bucarest per essere più vicino a Giurgiu (1462); i cronisti di quest'epoca chiamano però più spesso la città Cetatea Dêmbovitei, dal nome del fiume che l'attraversa. Nel 1473 Stefano il Grande, principe di Moldavia, dopo aver vinto il principe valacco a Cursul Apei, si impadronisce di Bucarest che già a quell'epoca era una delle principali piazze forti della regione, talché Mattia Corvino poteva scrivere al Papa che Bucarest era arx quae in regno illo et arte et natura munitior erat (8 dicembre 1476). Sulla fine del Quattrocento e sul principio del Cinquecento Bucarest si abbellisce e si ingrandisce in modo da poter rivaleggiare e superare Târgoviṣte, l'antica resistenza dei principi di Valacchia. I hoschi immensi che, secondo le testimonianze dei cronisti, circondavano Bucarest, cedono man mano il posto alle strade e alle abitazioni, talché nel 1506 e nel 1516 troviamo attì nei quali, accanto al nome di Bucarest, si trova l'epiteto di "meraviglioso". In tutto il Cinquecento le relazioni commerciali di Bucarest si accrescono, e specialmente quelle col celebre emporio transilvano di Braşov (Kronstadt); Târgovişteşdecade con grande soddisfazione dei Turchi. Verso la metà del Cinquecento Mircea il Pastore costruisce (o probabilmente restaura e amplifica) la chiesa superiore della corte (Curtea-Vechie) e abbellisce e fortifica il palazzo principesco. A quest'epoca i boiari, accanto alle cittadelle e alle tenute di loro proprietà, si fanno costruire "palazzi di pietra" (come dicono i cronisti) anche nella città che era divenuta residenza del principe; alcuni, come quello del "vistier" Dan, erano sontuosissimi. Col periodo guerresco di Michele il Bravo comincia per Bucarest un'epoca di sofferenze. Dopo la battaglia di Călugareni gli Ungheresi dell'esercito di Michele passano per Bucarest e là saccheggiano, per non lasciar nulla ai Turchi. Sinān pascià, dopo aver preso di nuovo Bucarest, la fortifica in un modo per allora eccezionale, destando grandi preoccupazioni nelle nazioni cattoliche vicine. Nel 1611 però Bucarest è di nuovo nelle mani degli Ungheresi di Báthory e tutto è messo a ferro e a fuoco. Col 1630 comincia un'epoca più fortunata; si ricostruisce, si amplifica, si abbellisce. Secondo Bacsici, nel 1640 Bucarest aveva 12.000 case e circa 100.000 abitanti nonché un centinaio fra chiese e monasteri. Nel 1660 una terribile ondata di peste decimò gli abitanti della popolosa metropoli e, più terribile ancora, l'epidemia si ripeté nel 1676 in modo da costringere quasi tutti gli abitanti (fra i primissimi il principe Duca-Voda e i boiari) a fuggire nelle campagne per non tornare che nel 1678, quando la peste era scomparsa.
Nelle lotte terribili fra i Ghica e i Cantacuzeni, gli abitanti di Bucarest presero parte vivissima, parteggiando ora per gli uni ed ora per gli altri. Şerban Cantacuzeno, eletto principe, fece del bene alla città; si preoccupò delle inondazioni della Dâmbovita e fece fare, nel 1685, i primi argini, e ingrandire la città sulla sponda sinistra del fiume. L'epoca di Costantino Brâncoveanu è epoca di ricchezza, di tranquillità e di relativa pace politica. Brâncoveanu è un amico delle arti e delle scienze; si chiamano architetti italiani e Bucarest si abbellisce di costruzioni in quello stile brâncovenesco che tanto risente dell'arte nostra. Il commercio è attivissimo, sì da meravigliare fortemente l'ambasciatore inglese lord Paget. Dopo la morte di Brâncoveanu (1714), sotto il regime fanariota, comincia per Bucarest un periodo difficilissimo. Nel 1717 miseria e fame uccidono centinaia di persone, nel 1718 un incendio brucia la corte, il mercato, molti monasteri e la maggior parte dei quartieri della città, e poco dopo scoppia di nuovo la peste. Nel 1738, il 31 maggio, uno spaventoso terremoto rade al suolo mezza città; in novembre i Turchi depredano tutto, bruciano chiese e trasformano in moschea la chiesa metropolitana e, per colmo di sventura, portano con sé la peste, che uccide in tutto il paese circa 30.000 persone. Da quest'epoca fino al 1800 Bucarest si viene rinnovando, ma non per riforrme volute dai governanti, sibbene per causa dei continui incendî che a distanza di tre o quattro anni bruciano ora un quartiere ed ora un altro. Frequenti sono anche in quest'epoca le rivolte dei cittadini di Bucarest contro le sopraffazioni dei principi fanarioti, o greci fanariotizzati, per ottenere ora l'abolizione di una tassa, ora la liberazione di un prigioniero. Nel 1769, sotto Gregorio Ghica III, entrano in Bucarest i volontarî russi e il popolo si unisce a loro per sterminare i Turchi; la guerra russo-turca del 1769-1774 porta però danni e miseria alla vecchia capitale. Nel 1775 la vecchia corte è completamente abbandonata dai principi e Alessandro Ipsilanti (v.) fa costruire il nuovo palazzo nelle ricche vigne del monastero del Mihai Voda. Dal 1800 al 1882 Bucarest è teatro di continue guerriglie e rivolte e gli abitanti sono costretti spessissimo a fuggire; nel 1801, per la paura delle rapine dei terribili Cârjalii di Pazvantoglu, oltre 70.000 persone abbandonano Bucarest e si mettono sulla strada di Braşov; nel 1802 un altro terribile terremoto, dopo quello del 1793, arreca gravi danni e butta giù la parte superiore della famosa torre Colţeà; nel 1804 un incendio immane arde due terzi della città; gli incendî si ripetono nel 1806 e nel 1812 e in quest'ultimo anno si aggiunge anche la peste, una delle più terribili che conti la storia romena, rimasta celebre col nome di "peste di Carageà" per la quale nella sola Bucarest morivano 300 uomini al giorno. Un ultimo incendio, nel 1847, distrusse i tre quarti della città, arrecando danni enormi; ma dal male derivò una conseguenza benefica: in luogo delle vecchie catapecchie sorsero dei bei palazzi e delle case in muratura, solide e spesso eleganti. Dopo l'unione dei principati, nel 1861, Bucarest divenne la capitale e la residenza principesca e tale è rimasta nel regno di Romania. Durante la guerra europea Bucarest ha molto sofferto: dal 28 agosto 1916 fino al 6 dicembre dello stesso anno, la capitale romena è stata oggetto di continue incursioni aeree e bombardamenti. Celebre è rimasto il bombardamento del 12 (25) settembre, effettuato di pieno giorno da 5 aeroplani e che costò agli abitanti di Bucarest 485 morti e 1000 feriti. Dopo i rovesci delle truppe romene in Transilvania e Valacchia, alla metà di novembre cominciò l'esodo delle autorità e dei fortunati che disponevano di mezzi proprî; ognuno si rifugiava in Moldavia seguendo il governo e i ministeri che si erano, negli ultimi giorni, trasferiti a Iaşi (25 novembre). La mattina del 6 dicembre le armate di Falkenhayn e di Mackensen entravano a Bucarest.
Bibl.: G. Ionescu-Gion, Istoria Bucureştilor (Storia di Bucarest), Bucarest 1899 (cfr. Bogdan, Convorbiri Literare, XXXIV [1900], pp. 237 segg., 301 segg.; Erbiceanu, Analele Acad. Române, XXII, Adm. 466 segg.; Tocilescu, ibidem, p. 236 segg.); G. I. Lahovari, Marele Dicţionar Geografic al României, II (1899), p. 22 segg.; N. Iorga, Guide historique de la Roumanie, Parigi-Bucarest 1918, pp. 66 segg.
Presa di Bucarest nel dicembre del 1916. - Dopo che la 9ª armata tedesca comandata dal Falkenhayn ebbe attraversato, il 24 novembre 1916, il fiume Olt con l'ala destra (mentre il resto delle forze stava per sboccare dai Carpazî), l'armata del Danubio (2 divisioni bulgare, 3 tedesche) agli ordini del Mackensen varcò il Danubio, marciando poi verso il campo trincerato di Bucarest. Il re di Romania si era rivolto per nuovi aiuti a Nicola II di Russia, ma non fu a questo possibile inviare truppe sino a Bucarest, a causa dell'ingombro delle ferrovie romene. Il comando russo inviò cavalleria, ma anche questa a brevi marce, date le pessime strade. Le truppe romene ebbero così il solo aiuto dei due corpi d'armata russi già destinati alla difesa della Dobrugia, che erano ripassati sulla sinistra del Danubio. Il comando supremo romeno, mentre a nord contro la 9a armata tedesca continuò a tenersi sulla difensiva, attaccò il 1° dicembre con le migliori divisioni romene e le forze russe l'armata del Danubio, mettendo in critiche cond; zioni la 217ª divisione tedesca, che fu in pericolo di essere separata dal resto delle armate. Ma questa divisione resistette sino a quando la 26ª divisione turca, che avanzava in seconda linea, poté intervenire ad impedirne l'accerchiamento. Il giorno seguente anche la cavalleria tedesca giungeva sul campo di battaglia, seguita il 3 e il 4 dicembre dall'ala destra della 9ª armata. Però i Romeni, pur con gravi perdite, riuscirono a sottrarsi all'accerchiamento. Il giorno 5 il Mackensen inviò un ufficiale a Bucarest per intimare al comandante la resa della piazza entro 24 ore, ma il 6 il parlamentario ritornò annunciando che non vi erano più comandanti perché Bucarest era stata completamente abbandonata dall'esercito romeno in ritirata verso il Sereth. L'occupazione della piazza di Bucarest ebbe notevole valore morale per le potenze centrali.
Bibl.: C. C. Balcabasa, Capitala sub ocupaţie, Bucarest 1916; E. v. Falkenhayn, Der Feldzug der 9. Armee gegen die Rumänen und Russen 1916-17, Berlino 1920; Kiriṭescu, Istoria rězboiului pentru intregirea României, 2ª edizione, Bucarest 1928, II, p. 292 segg.
Paci e trattati. -1. Pace del 16 (28 nuovo stile) maggio 1812 fra la Russia e la Turchia che metteva fine alla guerra russoturca intrapresa nel 1806 dallo zar Alessandro I allo scopo di impadronirsi dei principali centri di Valacchia e Moldavia. Il trattato contiene 16 articoli. Il nuovo confine fra i due stati fu fissato al Prut, dall'entrata nella Moldavia fino al Danubio, e lungo il Danubio (braccio di Chilia). Per conseguenza, la Russia si ebbe la Bessarabia e un terzo della Moldavia e lasciò alla Turchia la grande e la piccola Valacchia e la Moldavia, fino al Prut. Con questo trattato fu pure regolata la navigazione sul Danubio, che fu dichiarata libera anche alle navi da guerra russe, però solamente sul tratto dal Mar Nero alla confluenza del Prut.
2. Pace del 19 febbraio (3 marzo n. s.) 1886 fra la Bulgaria e la Serbia a chiusura della guerra serbo-bulgara, detta dei 10 giorni, del novembre 1885. Il trattato contiene un unico articolo: "La pace è ristabilita fra il regno di Serbia e il principato di Bulgaria dal giorno della firma di questo trattato". Firmarono: Cedomir Mijatović per il re di Serbia, Ivan E. Gešov per il principe di Bulgaria, Abdullāh Magīd Pascià per il sultano, quale sovrano della Bulgaria.
3. Trattato del 10 agosto 1913, che regolò la spartizione territoriale dell'eredità turca nei Balcani dopo le guerre balcaniche del 1912-1913 (v. balcaniche, guerre). Ai primi di agosto convennero a Bucarest: Tončev, ministro delle Finanze, e il gen. Fičev per la Bulgaria; Venizelos per la Grecia; il serdar Vukotić, presidente del Consiglio e ministro della Guerra, con Matanović per il Montenegro; Pašić, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, con il col. Smiljaniíe col ten. col. Kalafatović per la Serbia; la delegazione romena era rappresentata da Tito Maiorescu, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Tache Ionescu, ministro dell'Interno, Marghiloman, ministro delle Finanze, e dal generale Coanda. Fu rifiutata la presenza di un delegato turco. A questa conferenza, presieduta da Maiorescu, gli stati balcanici decisero, per la prima volta da soli, le sorti della loro penisola. Il 4 agosto fu firmato un accordo romeno-bulgaro, col confine segnato dalla linea Turtucaia-Dobrici-Balcic. L'accordo fu raggiunto presto, grazie alla moderazione di Tache Ionescu, irredentista per eccellenza e arbitro della situazione, che si contentò del cosiddetto quadrilatero di Silistria, contro le tendenze impulsive di Filipescu, che avrebbe voluto la linea Rustciuk-Varna. Il 6 agosto fu firmato l'accordo serbo-bulgaro, che diede alla Serbia la parte maggiore della Macedonia con Strumica e un confine comune con la Grecia. Serbia e Montenegro si spartirono il sangiaccato di Novi-Bazar. Più difficili furono le trattative greco-bulgare a causa di Cavala. La Grecia era sostenuta dalla Francia e dalla Germania; la Bulgaria dalla Russia e dall'Austria. Cavala rimase ai Greci. La pace di Bucarest fu considerata come un gran trionfo della Grecia e particolarmente di Venizelos. Infatti, con uno sforzo militare e finanziario moderato, era uscita ingrandita di territorio e di prestigio. La Grecia da sola acquistò 2 milioni di nuovi abitanti, quanti Romania, Bulgaria, Serbia e Montenegro insieme. Il trattato generale, formato di 10 articoli, fu firmato il 10 agosto 1913. L'attribuzione di Salonicco alla Grecia annientò le aspirazioni austriache su questa città. La congiunzione della Serbia col Montenegro nel sangiaccato di Novi-Bazar sbarrò per sempre la via alla marcia austriaca nei Balcani. L'avidità territoriale degli antichi alleati e la sconfitta umiliante della Bulgaria contribuirono ad estendere la guerra mondiale all'Oriente europeo.
Bibl.: B. Stambler, Les Roumains et les Bulgares. Le traité de Bucarest, 1913, Parigi 1914.
4. Pace del 7 maggio 1918, separata fra la quadruplice delle potenze centrali e la Romania, detta "Pace del petrolio". Fu un episodio della guerra mondiale e una conseguenza della pace di Brest-Litowsk, perché, crollato il fronte russo, doveva necessariamente crollare anche quello romeno. La pace con la Romania assumeva, per le potenze centrali, un'importanza speciale per il suo lato economico (petrolio, grano, seta). Nell'intento di salvare qualche cosa, il governo del Brătianu si dimise dopo l'ultimatum del 7 febbraio 1918 e cedette il posto al gen. Averescu, che era convinto della ineluttabilità di una pace separata e che, incontrandosi col gen. Mackensen, suo antico camerata del collegio militare di Berlino, sperò di ottenere condizioni meno dure. Ma i Tedeschi e gli Ungheresi furono inesorabili; e nei preliminari (in lingua tedesca) firmati a Buftea il 5 marzo da von Ku̇hlmann per la Germania, dal conte Czernin per l'Austria e da Argetoianu per la Romania, questa dovette capitolare e accettare, in 9 punti, tutte le imposizioni del nemico. Occorreva però ancora preparare all'idea del disastro l'opinione pubblica romena. Averescu si dimise e fu chiamato al governo un ministero conservatore germanofilo con Aless. Marghiloman presidente del Consiglio. Il trattato, del 7 maggio 1918, in cui furono confermati e svolti i 9 punti dei preliminari, fu firmato da von Kühlmann per la Germania, dal barone Burián per l'Austria-Ungheria, dal dott. Radoslavov per la Bulgaria, da Nessim Bey per la Turchia e da A. Marghiloman per la Romania. È steso in lingua tedesca, consta di 31 articoli, divisi in 8 capitoli, ed è accompagnato da varie convenzioni speciali: fra Germania, Austria-Ungheria e Romania per il petrolio; fra Austria-Ungheria e Romania per la cessione dei cantieri di Turnu-Severin e di Giurgiu; poi per i trasporti e per la navigazione, per il traffico sul Danubio, per i rifornimenti di grano. La perdita territoriale più sensibile fu quella della Dobrugia. I Bulgari la pretendevano tutta intera; ma i Turchi, che li avevano aiutati a conquistarla, volevano in cambio la restituzione del territorio ad occidente di Adrianopoli fino alla Marizza. Poiché la Germania era contraria a che tutta la Dobrugia divenisse bulgara, fu presa una soluzione intermedia; i Bulgari ebbero la parte meridionale fino alla ferrovia Cernavoda-Constanza; la parte settentrionale passò al condominio della quadruplice. Fu stabilita pure una rettificazione del confine a favore dell'Austria e dell'Ungheria. In compenso, la Romania poteva occupare la Bessarabia. Il trattato non fu mai ratificato e fu annullato dalla vittoria finale dell'Intesa e dalla Conferenza di Parigi.
Bibl.: D. Jancovia, La paix de Bucarest, Parigi 1918.