ZAMPESCHI, Brunoro
– Nacque il 13 luglio 1540 a Forlimpopoli, da Lucrezia Conti, di antica famiglia nobile romana, e da Antonello, signore della stessa Forlimpopoli, di San Mauro e di Giovedia.
Il padre aveva ricevuto la città romagnola in vicariato perpetuo da Paolo III nel 1535, in cambio di 10.000 scudi che aveva versato alla Camera apostolica, per contribuire alle spese originate dall’allestimento della flotta pontificia. Tuttavia, al momento della sua morte, nel settembre 1551, il cardinal legato di Romagna, Girolamo Capodiferro, se ne era impadronito e aveva preso in custodia Brunoro, nonostante la sua giovane età. Corsero voci che lo avesse fatto in ragione delle mancate nozze tra un suo nipote e la sorella di Brunoro, Cleopatra, fidanzata di Giacomo Malatesta e da questi sposata dopo un rapimento notturno e un precipitoso allontanamento in territorio veneziano. Probabilmente, invece, si era trattato di un colpo di mano per assicurarsi una località strategica per le retrovie, al momento dell’inizio della guerra di Parma. La madre di Brunoro, a ogni modo, fece ricorso a papa Giulio III e il figlio poté riacquistare la libertà nel 1552. Brunoro dovette però aspettare l’anno seguente per la completa reintegrazione dei suoi titoli signorili. Subito – il 14 giugno 1553 – si procedette alla stipula dei suoi capitoli matrimoniali con Battistina Savelli (figlia di Giovan Battista, noto uomo d’arme) che si trasferì a Forlimpopoli tre anni più tardi, accolta da una cerimonia pubblica cittadina.
Zampeschi intraprese giovanissimo la carriera militare, scelta costante dei primogeniti del suo lignaggio. In un suo scritto del 1566, ricordò di essersi disciplinato sotto il duca di Urbino Guidubaldo II Della Rovere. Quindi, nell’autunno 1555, al comando di cinquanta celate, partecipò all’occupazione del ducato Colonna di Paliano, ordinata da Paolo IV; l’anno successivo, combatté sotto la guida di Ascanio Della Cornia in Romagna, nella campagna per la conquista dei feudi romagnoli del conte Giovanni Francesco Guidi di Bagno, condannato come ribelle dal pontefice. Si impegnò anche nella guerra fra lo stesso Paolo IV, i suoi alleati e gli spagnoli, nel 1557: al comando di sessanta celate, combatté insieme con Francesco di Lorena, duca di Guisa, entrato negli Abruzzi in aprile.
Nella successiva estate Zampeschi appare ritirato nei propri feudi, da dove chiedeva al cugino, il marchese Giuseppe Albicini, bracchi per la caccia. Fu poco dopo ingaggiato dal duca di Ferrara Ercole II d’Este, con autorità di comando su cento cavalleggeri e mille fanti. Doveva cercare di contrastare l’invasione del territorio estense, avvenuta in ottobre, da parte del duca di Parma Ottavio Farnese, alleato degli Asburgo. Le operazioni durarono sino ai primi mesi del 1558. Zammpeschi, il quale nonostante la giovane età «poteva assai col Papa» (Vecchiazzani, 1647, p. 264), poté quindi passare al servizio dei veneziani ed entrò nel presidio di Crema nel 1559, con una compagnia armata a proprie spese. Tra il 1561 e il 1562, egli dimorò a Roma, patrocinando la causa della comunità di Forlimpopoli, colpita da molti aggravi, nonostante gli statuti, rinnovati e i privilegi concessi da papa Pio IV. Al suo rientro nella Terraferma ebbe una consistente promozione: il 24 aprile 1562 fu nominato dal Senato veneziano capitano – cioè comandante – del presidio di Crema, cui avrebbe aggiunto in seguito l’incarico di governatore dell’armi nella stessa città e il titolo di colonnello delle milizie del Padovano.
Nel 1565 si trasferì a Firenze. Aveva ricevuto l’incarico di recarsi in Spagna insieme con il principe Francesco de’ Medici, per incontrare la promessa sposa di quest’ultimo, Giovanna d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo. Rientrò a Forlimpopoli nel novembre dello stesso anno, mal soddisfatto del suo servizio per i veneziani, e nel 1567 ricevette un’offerta d’ingaggio dal duca Emanuele Filiberto di Savoia, che stava armando un corpo di spedizione da inviare alla seconda guerra di religione in Francia, in aiuto di Carlo IX. Facendo leva sulle sue ricche rendite, Zampeschi armò una compagnia di cento celate e mosse verso Lione, sotto il comando di Alfonso d’Este, marchese di Montecchio, con il quale combatté alla battaglia di Saint-Denis (20 novembre 1567). Rientrò in Italia nel corso del 1568. In ottobre era a Venezia, da dove, al divampare della terza guerra di religione francese, offrì i propri servizi al re di Francia. Carlo IX gli rispose con lettera del 24 novembre 1568, rassicurandolo di tenerlo ben presente. Ma Zampeschi cercava nello stesso tempo un impiego negli eserciti papali. Ebbe un’offerta in marzo, che non dovette essere di sua intera soddisfazione. Per questo, egli si procurò una licenza di tornare in Francia per combattere gli ugonotti. Partecipò alle operazioni in difesa di Poitiers, stretta dalle truppe dell’ammiraglio Gaspard de Coligny, nell’estate 1569. Ebbe modo di distinguersi e, secondo le fonti coeve, fu fatto cavaliere di S. Michele: tuttavia, il suo nome non compare nei ruoli dell’Ordine conservati.
Rientrò poco dopo al servizio dei veneziani. Fu inviato dapprima in Dalmazia, poi in Friuli, infine sovrintese ai lavori per la fortificazione di Malamocco, porto principale del Lido di Venezia, a sud-est della città. Occupato dapprima in Terraferma, poi rientrato nei suoi feudi, non prese dunque parte alle spedizioni navali del 1571-72. Nel gennaio 1573 passò al servizio del duca Guidobaldo II Della Rovere impegnato nella repressione della rivolta di Urbino. Le sue truppe bloccarono la città ai primi di marzo e contribuirono a riportare presto l’ordine pubblico sotto controllo.
Poco dopo, sembrò possibile che entrasse nei corpi di cavalleria in servizio permanente che Gregorio XIII aveva in animo di istituire. Invece, dopo qualche incertezza dovuta alla pace tra la Serenissima e la Sublime Porta del 7 marzo 1573, riprese il servizio per Venezia, con l’incarico di governatore di Candia (Creta). Partì alla fine dell’estate dello stesso anno. Subito si impegnò nella revisione delle difese statiche dell’isola, vigilando altresì in modo particolare sulle operazioni di guardia e immaginando un’organica riforma del presidio.
Al compimento dei 41 mesi di servizio, cioè nel febbraio 1577, stese una Relatione alla Signoria su tutto quanto operato, destinata a larga circolazione (fu pubblicata in La seconda parte del Thesoro politico, Milano 1601, pp. 253-261).
Nondimeno, a causa dei contrasti con Paolo Orsini, suo superiore, chiese a più riprese di essere richiamato. Ci riuscì soltanto alla fine dell’estate 1577: il 1° ottobre fu trionfalmente accolto a Forlimpopoli. Fu addirittura rappresentata una commedia in suo onore, a spese della locale comunità.
Morì a Forlimpopoli poco dopo, il 15 aprile 1578 (non il 1° maggio, come riporta gran parte degli studi).
Privo di figli, lasciò alla moglie la titolarità della signoria su Forlimpopoli, che le fu confermata con motuproprio pontificio da Pio V, sua vita natural durante. Tuttavia, il successore Gregorio XIII inviò truppe nei feudi di Zampeschi per occuparli e sottoporli al diretto dominio della Sede apostolica. A Battistina Savelli restò soltanto la rocca di Forlimpopoli. Quanto ai beni allodiali, Zampeschi ne possedeva in Romagna, non solo a Sant’Arcangelo e a Forlimpopoli, ma anche a Savignano, Rimini, Ravenna e Bertinoro. Passarono ai Savelli, che li vendettero al cardinale Luigi Capponi il 28 gennaio 1623.
Accolse le spoglie di Zampeschi l’abbazia populense di S. Rufillo. Qui, a partire dal 1591, per iniziativa della stessa vedova, fu eretta una grandiosa arca funeraria, posta di fronte a quella dell’avo Brunoro (I). Autore del monumento funebre in pietra d’Istria rappresentante il defunto a cavallo e in armatura fu Andrea Formaino da Ravenna.
Zampeschi possedeva una buona cultura: l’inventario dei suoi beni reca notizia di almeno ottanta-novanta volumi posseduti. Era stato accademico dei Filergiti di Forlì e amico di Torquato Tasso, che gli dedicò il sonetto Ch’il pelago d’amor a solcar viene (in Rime, Parte prima, Brescia 1593, pp. 332 s.). Anche Diomede Borghesi, letterato senese, aveva dedicato a Zampeschi diversi suoi componimenti poetici. Egli stesso aveva composto rime (pubblicate da Pietro Paolo Ginanni in Rime scelte de’ poeti ravennati antichi e moderni defunti, Ravenna 1739, pp. 33-35).
Tra il 1560 e il 1565, scrisse il dialogo L’innamorato, uscito in due edizioni, quasi contemporanee: una senza data, un’altra a Bologna, per i tipi di Giovanni Rossi, nel 1565.
Vi immagina le discussioni fra due amici, in sua assenza e durante tre giornate, sulla corretta definizione della figura dell’innamorato. Nella prima giornata si dichiara innanzi tutto il requisito della nobiltà, poi gli interlocutori disquisiscono sul suo aspetto e sul comportamento che doveva tenere con altri (parenti, amici, altri cavalieri); nella seconda giornata, ci si concentra sul comportamento dell’innamorato nei confronti dell’amata, per strada, in chiesa, alle feste. Sono affrontati anche il tema della musica e della liberalità nelle spese (con ricorso all’Etica di Aristotele). Nella terza giornata, infine, oltre allo scrivere lettere, ai colloqui con l’amata, agli incontri a tavola, sono affrontati argomenti decisivi: lo sfuggire l’affettazione, la possibilità di usare artifici per migliorare il proprio aspetto, la liceità di simulare qualcosa, fino alla bugia. Ne scaturisce un vero e proprio manuale di formazione per il giovane gentiluomo. Zampeschi vi traspone molti temi già affrontati nel Cortegiano da Baldassarre Castiglione, con prestiti talvolta letterali. Riprende altresì diverse altre opere, risalendo fino alle Zinquanta cortesie de la tavola di Bonvesin da la Riva. Senza eccessiva pretesa di originalità, dava dunque conto della perdurante forza di penetrazione dell’ideale cortigiano, nelle sue diverse declinazioni, subito dopo la metà del Cinquecento. Chiude il dialogo una «gentil predica» (p. 192), vale a dire un’esaltazione dell’amore divino a paragone con quello umano, troppo concisa per rappresentare un vero innesto di tematiche spirituali.
Opere. Ed. moderna: L’innamorato, a cura di A. Maggi et al., Ravenna 2010.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Archivio Sforza-Cesarini, parte I, bb. 17, f. 27; 19, f. 57; 20, f. 68a; Soldatesche e galere, b. 89, f. 5, cc. n.n.; Nunziature di Venezia, VIII, marzo 1566 - marzo 1569, a cura di A. Stella, Roma 1963, ad indicem.
F. Sansovino, Ritratto delle più belle e nobili città d’Italia, Venezia 1575, pp. 42v-44r; M. Vecchiazzani, Historia di Forlimpopoli, II, Rimini 1647, pp. 143, 156-272; C. Casanova, Comunità e governo pontificio in Romagna in età moderna, Bologna 1981, ad ind.; S. Calandrini, San Mauro, Giovedia, La Torre, Verucchio 1989, pp. 41 s., 52 s.; A. Aramini, B. II Z.: ultimo “rampollo” di una insigne famiglia Forlimpopolese, in Id., Scritti, Forlimpopoli 1993, pp. 227-237; L. Cacciaguerra, B. II Z. al servizio della Serenissima, in Forlimpopoli. Documenti e Studi, VI (1995), pp. 101-145; M.C. Gori, Un carteggio inedito di B. II Z. (1540-1578) presso l’Archivio Albicini di Forlì, ibid., pp. 147-178; Ead., Le arche degli Zampeschi nella chiesa collegiata di San Rufillo, ibid., VIII (1997), pp. 85-104, passim; G. Manucci, Le due edizioni dell’Innamorato di B. Z., ibid., XI (2000), pp. 67-84; Id., La relazione di Candia di B. II Z., ibid., XII (2001), pp. 217-235; I. Botteri, L’educazione sentimentale al tempo della Controriforma: B. Z. e il suo Innamorato, in Annali di storia moderna e contemporanea, VII (2001), pp. 27-43; G. Manucci, Il rapporto con i modelli nel dialogo L’Innamorato di B. II Z., in Forlimpopoli. Documenti e Studi, XIII (2002), pp. 39-48; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, Roma 2003, ad ind.; P. Camporesi, Sulla data della morte di B. II Z., in Forlimpopoli. Documenti e studi, XV (2004), pp. 113-115.