BRAGANIN
Famiglia veneziana d'antica nobiltà: s'annovera fra quelle ch'ebbero parte nell'attività politica di Venezia prima della Serrata, e nei documenti il nome di B. ricorre come quello di ricchi mercanti, al pari delle altre maggiori famiglie, ma anche di attivi uomini politici. I B. ricorrono con frequenza nei consigli, nelle giunte e nelle magistrature, come membri di quel nucleo aristocratico, selezionato nella gran massa del patriziato, monopolizzatore dell'amministrazione a Venezia. Essi prevalentemente partecipano agli uffici finanziarî ed economici e all'amministrazione dei reggimenti esterni, seguendo la fortunosa carriera marinara, almeno per quei membri che non preferirono in pieno Rinascimento il raccoglimento degli studî filosofici e letterarî, quali Lorenzo di Marco e Lorenzo di Francesco. Fa eccezione Vittore di Maffeo, valoroso difensore di Verona contro gli assalti delle milizie del duca di Milano nel 1439, che occupò tutta la sua vita nei reggimenti di terraferma. Ma la Niccolò di Marco e da Leonardo, partecipi dei fortunosi eventi di Pola e di Chioggia nella guerra veneto-genovese della fine del sec. XIV, da Andrea, uno degli attori della conquista di Cipro alla fine del sec. XV, a Filippo di Giovan Francesco, difensore di Marano lagunare nel 1542, ad Andrea di Luigi, eroico difensore di Famagosta contro i Turchi, per citare i più memorabili, si perpetua una quasi ininterrotta tradizione, che si tramanda per eredità nei rami della famiglia.
Il più noto e il più celebre, forse per la triste fortuna che lo incolse, è Marcantonio, figlio di Marco e Adriana Bembo (21 aprile 1523-18 agosto 1571). Anch'egli, come i predecessori, dopo il tirocinio negli uffici interni (avvocato per gli uffici di Rialto, 1543; Rason nuove, 1561; Camera degl'imprestiti, 1563), emrò nella carriera marinara in uno dei momenti più fortunosi della politica marittima della repubblica di Venezia. I Veneziani erano pressoché soli ad opporsi con vigoroso ardire alla marcia dei Turchi, ma non avevano provveduto a fortificare a tempo il prezioso possesso di Cipro, secondo i progetti preparati dieci anni prima dal Sanmicheli. La squadra turca nel giugno 1570 sbarcava un robusto esercito nell'isola di Cipro senza alcun contrasto e la capitale, Nicosia, furiosamente investita, capitolava. Famagosta, irrobustita alla meglio con opere di difesa ideate e costrutte all'ultimo momento da Giulio Savorgnan, sotto il governo di Marcantonio B., resistette per alcuni mesi nell'ansia angosciosa che sopravvenisse una squadra liberatrice. E fu inutile sacrificio, perché la resistenza non fece che inferocire l'animo degli assalitori. Popolo e soldati, ridotti a piccola pattuglia di fronte alla superiorità numerica dell'avversario, invano lottarono con estremo ardore: invano il capo prodigò ogni energia. La città fu presa. Il B., con stoica e religiosa rassegnazione, sopportò lo strazio altrui e il proprio, obbligato ad assistere allo spettacolo della tortura dei suoi compagni d'armi prima di soffrire il proprio supplizio; ché, con raffinata barbarie, a brano a brano gli furon strappate le carni dal corpo in lunga e penosa agonia, finché fu alfine scuoiato. Non vuol esser dimenticato che qualche po' di alloro della successiva vittoria cristiana a Lepanto (1571) deve scendere anche su questi martiri, che ritardarono l'irruenza turca, sì che la squadra, faticosamente raggranellata fra le discordie e le gelosie cristiane, poté operare in condizioni meno sfavorevoli e con probabilità di buona riuscita, due mesi dopo.
Bibl.: N. Martinengo, Relatione di tutto il successo di Famagosta, ecc., Venezia 1572; A. Riccoboni, Historia de Salamina capta et M. A. Bragadeno excoriato, Venezia 1843; B. Zomitano, Resa di Famagosta e fine lagrimevole di Bragadino e di Astorre Baglioni, Venezia 1858; P. Molmenti, Sebastiano Veniero, Firenze 1889; N. Morosini, La perdita di Famagosta e la gloriosa morte di M. A. Bragadin; relazione di fra Agostino, Venezia 1893.