BOSONE INTERMEDIO
Introduzione. − L'evoluzione delle conoscenze sperimentali e lo sviluppo di nuove idee teoriche nel campo della fisica subnucleare hanno condotto a una descrizione microscopica della natura, basata su un numero limitato di costituenti e di forze fondamentali.
Leptoni e quarks, collettivamente noti come fermioni, sono i costituenti elementari della materia oggi conosciuti. Essi appaiono privi di struttura, nel limite dell'attuale risoluzione sperimentale di circa 10−16 cm, hanno spin (momento angolare intrinseco) 1/2, possiedono ognuno un'antiparticella e possono essere classificati in tre famiglie (o generazioni) corrispondenti, come mostrato in tab. 1 (i fenomeni associati all'esistenza del quark-t non sono ancora stati osservati sperimentalmente). L'esistenza di ulteriori generazioni di fermioni più pesanti non può essere esclusa, ma i risultati sperimentali pongono limiti stringenti al loro numero complessivo.
Le forze fondamentali attraverso le quali interagiscono i costituenti della materia sono elencate in tab. 2. Queste interazioni sono trasmesse da mediatori, a loro volta particelle elementari, chiamati bosoni. Se s'ignora la gravità, i cui effetti sulle particelle elementari sono trascurabili alle energie attualmente accessibili all'indagine sperimentale, tutti i rimanenti mediatori hanno spin 1. In sintesi, le interazioni fondamentali fra i costituenti elementari della materia sono generate dal reciproco scambio di b. vettoriali (con spin unitario).
Nonostante grandissime differenze nelle caratteristiche e nelle manifestazioni di queste interazioni, una profonda revisione concettuale delle loro proprietà ha consentito d'individuare un'origine comune, un unico principio di simmetria, alla base di tutte le forze fondamentali che agiscono in natura.
Questa grande sintesi permise di formulare negli anni Sessanta una teoria nella quale le interazioni deboli e quelle elettromagnetiche venivano unificate in un'unica interazione elettrodebole. Questa nuova interazione, basata su di una simmetria che riflette l'organizzazione in famiglie dei quark e dei leptoni, era mediata da tre differenti b.: il fotone, di massa nulla, e due nuovi b. vettoriali dotati di massa.
Agl'inizi degli anni Settanta, partendo da misure di grande precisione e dallo sviluppo di nuove tecniche matematiche, la teoria unificata delle interazioni elettrodeboli di S. Glashow, S. Weinberg e A. Salam fu in grado di formulare in modo quantitativo e con grande precisione due previsioni verificabili sperimentalmente: l'esistenza delle cosiddette correnti deboli neutre e quella di due nuovi b. vettoriali W± e Z0 estremamente pesanti, con una massa circa cento volte la massa del protone.
L'osservazione nel 1973 presso i laboratori del CERN delle correnti deboli neutre, e la scoperta nel 1983 dei b. elettrodeboli W± e Z0 con le esatte proprietà previste dalla teoria, ha fornito una splendida verifica dell'effettiva unificazione di due interazioni apparentemente distinte.
Insieme con la Cromodinamica Quantistica (QCD, Quantum Chromo Dynamics), che descrive le interazioni forti, la teoria elettrodebole unificata costituisce oggi la descrizione più completa delle forze e dei costituenti elementari della materia. La sua formulazione e la sua successiva verifica sperimentale rappresentano il coronamento di una profonda conquista intellettuale, nella ricerca di un principio unificato all'origine delle leggi e delle interazioni fondamentali della natura.
I bosoni della unificazione elettrodebole. - A causa delle loro differenti proprietà, le interazioni elettromagnetiche e le interazioni deboli furono inizialmente descritte in modo profondamente differente. L'elettromagnetismo risulta dall'accoppiamento di due correnti tramite lo scambio di un fotone, come illustrato in fig. A, per la collisione tra un elettrone e un protone. L'intensità dell'accoppiamento è data in questo caso dal valore della carica elettrica elementare delle due particelle.
Le interazioni deboli, nella prima formulazione di E. Fermi del 1934 volta a spiegare il decadimento β che trasforma un neutrone in un protone, furono invece descritte (fig. B) come l'accoppiamento diretto dei quattro fermioni in un unico punto dello spazio-tempo, con un'intensità definita dal valore di un'opportuna costante di accoppiamento. Nonostante il successo di questa teoria nel descrivere fenomeni deboli di bassa energia, fu tuttavia evidente come la teoria di Fermi divenisse inadeguata a energie molto elevate, dove essa conduce a quantità infinite. Di conseguenza la teoria di Fermi poteva essere solo l'approssimazione di una teoria più complessa, valida a tutte le energie.
La nuova teoria, le cui basi vennero poste già nel 1938 e le cui proprietà si vennero chiarendo negli anni Cinquanta attraverso lo studio dettagliato dei fenomeni deboli, prevede che l'apparente interazione a quattro fermioni di fig. B sia in realtà dovuta allo scambio di un b. vettoriale carico W± tra due correnti deboli che nell'interazione variano la loro carica elettrica (correnti ''cariche''; fig. C). Il b. carico W± e il fotone non possono tuttavia essere semplicemente combinati in una teoria che unifichi i due tipi di interazioni, in quanto gli stessi b. W± generano a loro volta ulteriori quantità divergenti, che tendono cioè all'infinito. La soluzione più semplice per aggirare questa difficoltà e rendere coerente la nuova teoria consiste nell'introdurre un ulteriore b. vettoriale neutro Z0, i cui contributi compensino tali divergenze. Questo nuovo b., privo di carica elettrica, implica a sua volta l'esistenza di una nuova classe di interazioni deboli ''neutre'', nelle quali i fermioni interagiscono senza cambiare carica, in analogia con le interazioni elettromagnetiche (fig. D).
Le proprietà della teoria elettrodebole unificata sono determinate dalle caratteristiche dei b. vettoriali i. che partecipano all'interazione. Ogni processo di tipo debole è mediato dallo scambio di un W± nel caso di correnti cariche, o di uno Z0 nel caso di correnti neutre, con intensità che dipendono non solo da opportune costanti di accoppiamento, ma anche dalle masse dei b.i. mW,Z. Inoltre, alcuni processi possono essere mediati sia dallo scambio di un fotone che di un b. Z0, il che può dare origine a particolari fenomeni d'interferenza fra i due tipi di interazioni.
Le due condizioni necessarie per una teoria unificata delle interazioni elettrodeboli sono: a) che a energie molto elevate essa incorpori le interazioni elettromagnetiche e le interazioni deboli con intensità approssimativamente uguali; b) che a basse energie essa risulti equivalente alla teoria di Fermi. Tali interazioni mettono in relazione la carica elettrica elementare, le costanti di accoppiamento debole e le masse dei b. vettoriali intermedi. Queste relazioni conducono a una previsione molto precisa per le masse dei due b.:
mW = 80.8 ± 0.9 GeV, mZ = 92.1 ± 0.7 GeV,
valori che sono tipici della massa di un nucleo atomico medio ed enormemente più elevati di ogni altra particella elementare mai osservata in precedenza.
La teoria elettrodebole unificata, essendo intimamente connessa con l'organizzazione in famiglie dei fermioni elementari (v. tab. 1), consente anche di prevedere i diversi modi di decadimento dei b.i., altamente instabili e di vita media brevissima, in coppie di fermioni fondamentali, leptoni carichi (l), neutrini (v) e quark (q):
dove l = e, μ, τ, e (qq′) è un sistema quark-antiquark, con carica elettrica ± 1.
Durante gli anni Settanta l'osservazione delle correnti deboli neutre e lo studio dei fenomeni d'interferenza tra le interazioni deboli ed elettromagnetiche fornirono una verifica accurata della nuova teoria. L'ingrediente essenziale per la verifica definitiva dell'unificazione elettrodebole restava a questo punto l'effettiva osservazione dei b. vettoriali intermedi. Ciò implicava la produzione di b.i. W± e Z0 e il rilevarne l'esistenza attraverso gli effetti associati ai loro decadimenti.
La creazione dei bosoni intermedi. - Particelle pesanti come i b. W± e Z0 possono essere prodotte in collisioni elettrone-positrone, leptone-adrone o adrone-adrone se l'energia della collisione (fra i costituenti, nel caso di particelle composte come gli adroni) è almeno pari alla loro massa. Le leggi generali che consentono di determinare i modi di decadimento dei b.i. restringono inoltre la possibilità di creazione di singoli b. alle annichilazioni di materia e antimateria.
Nel 1976, quando ancora non esisteva alcun acceleratore in grado di produrre b.i., C. Rubbia propose di raggiungere le energie di collisione necessarie trasformando il SuperProtoSincrotrone (SPS) dei Laboratori del CERN di Ginevra in un anello di accumulazione. In esso fasci di protoni (p) e di antiprotoni (·p) controrotanti dovevano essere accelerati simultaneamente e portati stabilmente in collisione a energie di oltre 540 GeV, il valore massimo possibile con l'acceleratore esistente e appena sufficiente per la creazione di b. intermedi.
Nel caso di collisioni ·pp a queste energie, infatti, i b. W± e Z0 sono principalmente prodotti nell'annichilazione di un quark di valenza del protone con un antiquark di valenza dell'antiprotone. Gli esperimenti di scattering leptone-nucleone hanno trovato che i tre quark di valenza del protone (o dell'antiprotone) possiedono complessivamente circa la metà dell'energia della particella, mentre l'altra metà è associata ai gluoni che legano fra loro i quark di valenza e alla nuvola di coppie virtuali quark-antiquark (quark del 'mare'). Di conseguenza, in collisioni ·pp al Collider del CERN con un'energia complessiva di 540 GeV, i quark e gli antiquark di valenza si annichilano a energie tipiche di circa 90 GeV. Ciò è sufficiente a produrre, anche se con probabilità piccolissime, particelle di massa corrispondente come i b. intermedi.
Il progetto, che prese il via nel 1978, implicava innovazioni così profonde nel controllo di fasci di particelle da costituire una sfida alla tecnologia degli acceleratori allora conosciuta. Gli antiprotoni infatti non sono disponibili in natura, ma devono essere prodotti dall'urto di protoni di alta energia con un nucleo atomico. Sono necessari in media un milione di protoni sul bersaglio per produrre un antiprotone, e le particelle così prodotte sono troppo rare e diffuse per poter essere iniettate in un acceleratore e utilizzate direttamente.
Agl'inizi degli anni Settanta al CERN venne concepita da S. van der Meer una tecnica per concentrare fasci diffusi di particelle in un anello di accumulazione utilizzando impulsi elettromagnetici sincronizzati per la correzione delle orbite. Questa tecnica, detta raffreddamento stocastico, venne messa a punto in un particolare anello di accumulazione per antiprotoni costruito allo scopo, e consentì di accumulare e concentrare fasci sufficientemente intensi di antiprotoni per realizzare collisioni ad alta energia nell'SPS. Nel 1981 fasci di protoni e di antiprotoni furono accumulati per la prima volta nell'SPS, ribattezzato ·pp Collider, e furono osservate le prime collisioni a energie dieci volte superiori a quelle mai raggiunte in precedenza. Una nuova frontiera era stata raggiunta e una nuova regione di energia diventava disponibile all'indagine sperimentale.
La rivelazione dei bosoni intermedi. - Calcoli accurati di QCD e di interazioni deboli avevano previsto che al ·pp Collider si potesse produrre un b.i. all'incirca ogni dieci milioni di interazioni. A causa della loro vita media estremamente breve, meno di 10−20 s, i b. prodotti non potevano essere osservati direttamente ma dovevano essere rivelati attraverso i loro decadimenti in altre particelle.
Per individuare e misurare i prodotti di decadimento dei b. i. in presenza della grandissima contaminazione di particelle prodotte dalle interazioni forti tra p e ·p, vennero progettati da due collaborazioni internazionali − comprendenti anche due gruppi italiani, rispettivamente delle università di Roma e di Pavia − due enormi apparati sperimentali in grado di selezionare e registrare gli eventi di collisione antiprotone-protone in tutta la loro complessità (v. tab. 1 e 2). Questi rivelatori furono concepiti per identificare le entità fondamentali del Modello Standard, leptoni e quark, prodotti nell'interazione, isolando e misurando elettroni, muoni e i jet di particelle adroniche nei quali quark e gluoni si manifestano. I due apparati sperimentali, noti come UA1 e UA2 (v. tav. f.t.) vennero installati in due grandi caverne sotterranee scavate attorno a due punti d'incrocio dei fasci del ·pp Collider.
Il compito d'individuare i b.i. è reso ancora più difficile dal fatto che la maggioranza dei loro decadimenti è costituita da coppie di quarks, che si manifestano come jet di adroni con configurazioni del tutto simili a quelle generate dai processi di semplice collisione tra quark, previsti dalla QCD a un livello circa cento volte superiore. Per questo motivo i due esperimenti furono progettati per concentrarsi sui modi di decadimento leptonici dei b. vettoriali,
W± → e±ν, μ%ν
Z0 → e+e−, μ+m−
più facilmente identificabili e con molto minore contaminazione da processi puramente adronici. I modi di decadimento leptonici sono tuttavia anche molto più rari; complessivamente si può rivelare un b. vettoriale ogni miliardo circa di interazioni tra protoni e antiprotoni.
La rivelazione dei b.i. si avvale anche del fatto che la maggior parte delle interazioni adroniche produce particelle con piccola energia nella direzione trasversa rispetto all'asse della collisione, mentre i prodotti di decadimento di W±e Z0 sono emessi a grandi angoli rispetto alla direzione dei fasci e posseggono in generale energia elevata a causa delle masse elevate dei bosoni.
Sulla base di queste considerazioni, il W± viene rivelato attraverso l'osservazione di un leptone carico con grande energia trasversa dal momento che il neutrino non interagisce nell'apparato sperimentale e non può essere rivelato direttamente. Il neutrino viene comunque rivelato indirettamente se l'apparato è stato in grado di misurare le caratteristiche dell'intero evento, poiché l'energia trasversa che esso trasporta viene a mancare nel bilancio energetico complessivo dell'interazione. Nel caso del b. neutro Z0 la misura dell'energia e dell'angolo di emissione di entrambi i leptoni carichi consente invece di ricostruire direttamente la massa della particella.
Negli apparati sperimentali le particelle prodotte nella collisione attraversano strati successivi di rivelatori di prestazioni e caratteristiche differenti e complementari. Tutte le informazioni raccolte dai rivelatori sono direttamente filtrate da sistemi gerarchici di microcalcolatori fino al calcolatore finale che le registra su nastro magnetico. Ciò rende successivamente possibile una selezione ulteriore degli eventi che corrispondono alle caratteristiche desiderate, una ricostruzione dettagliata di tutti gli eventi selezionati e la misura accurata di tutte le grandezze fisiche rilevanti.
La scoperta dei bosoni intermedi. -Gli esperimenti UA1 e UA2, dopo una raffinata selezione degli eventi contenenti elettroni di grande energia trasversa e un'analisi dettagliata delle loro caratteristiche, annunciarono nel 1983 la scoperta dei b. vettoriali i. W± e Z0 previsti dalla teoria elettrodebole unificata.
Questi risultati furono successivamente confermati sia da ulteriori osservazioni anche in altri canali di decadimento, sia da misure sempre più dettagliate delle proprietà dei b. vettoriali. I valori osservati delle masse:
mW = 80.5 ± 0.5 GeV, mZ = 91.5 ± 1.0 GeV
risultano in perfetto accordo con le previsioni della teoria elettrodebole unificata entro incertezze di circa l'1% e così pure tutte le altre grandezze fisiche misurate dai due esperimenti.
La misura delle proprietà del b. neutro Z0, oltre a consentire una verifica quantitativa delle previsioni teoriche, fornisce anche importanti informazioni, attraverso i decadimenti in coppie di neutrini, sull'organizzazione dei fermioni elementari.
Il numero delle differenti specie di neutrini che esistono nell'universo è legato al numero di famiglie di fermioni fondamentali, come mostrato in tab. 1. Le particelle cariche appartenenti a possibili nuove famiglie sono presumibilmente troppo pesanti per poter essere osservate con gli acceleratori esistenti. Se i corrispondenti neutrini sono invece leggeri, come quelli conosciuti, una misura accurata dei decadimenti del b. neutro Z0 consente di determinare il numero complessivo delle diverse specie di neutrini esistenti in natura, e di conseguenza il numero di generazioni dei costituenti fondamentali della materia. I risultati forniti dalle interazioni adroniche ammettono al più cinque generazioni di fermioni; l'anello di accumulazione a elettroni e positroni LEP del CERN, capace di produrre Z0 in grandissime quantità, ha determinato definitivamente, con estrema precisione, il numero di generazioni dei fermioni elementari, che risultano uguali a tre.
Conclusioni. - La scoperta dei b. vettoriali i. W± e Z0 e la misura delle loro proprietà ha fornito una conferma spettacolare di tutte le previsioni teoriche della teoria elettrodebole unificata e ha ampliato ulteriormente i confini della nostra conoscenza sul comportamento dei costituenti della materia e delle forze fondamentali che ne governano le interazioni.
La visione che emerge da queste ricerche è particolarmente semplice e sintetica, con due sole classi di fermioni elementari, leptoni e quark, e tre sole categorie distinte di forze, gravitazionali, elettrodeboli e forti. Le regolarità alla base di questa sintesi sono ancora più profonde, con l'organizzazione rigorosamente periodica dei fermioni elementari e con le loro interazioni che emergono come pura conseguenza di un'unica, profonda simmetria delle leggi naturali.
La verifica sperimentale dell'esistenza e della validità di queste simmetrie profonde nelle leggi naturali rappresenta una delle massime conquiste della fisica del nostro secolo e costituisce una delle più grandi sintesi del pensiero scientifico dopo quelle di Newton sulla dinamica della gravitazione, di Maxwell sull'elettromagnetismo e di Einstein sulla natura dello spazio e del tempo. L'ultima sintesi, della quale i b. elettrodeboli sono i remoti segnali, apre ora l'affascinante prospettiva di una unificazione di tutte le interazioni fondamentali, un passo ulteriore verso una comprensione più profonda della semplicità ultima della natura. Vedi tav. f. t