BORRO
. Famiglia aretina, che trae origine dai B. milanesi, dei quali sono noti Squarcino, capo dei fuorusciti ghibellini dopo la cacciata dei Visconti da Milano, ad opera dei Torriani, e Bonacossa, moglie di Matteo Visconti. Venne ad Arezzo con Borro, chiamato all'ufficio di podestà dai ghibellini, nel 1254. Cacciatone, con gli uomini di sua parte, da Guido Guerra (1255), si rifugiò nel castello dei Borro, nel Valdarno superiore.
I figli di B., cacciati dal loro feudo, datosi ai fiorentini (1344), vennero accolti in Arezzo e ascritti alla nobiltà del secondo grado. Nel sec. XVI la famiglia fu illustrata da Girolamo (1512-1592), medico e filosofo di grande reputazione che tenne la cattedra di aristotelica negli atenei di Pisa, Roma, Siena, Parigi e Perugia. Fu accusato di eresia dinanzi all'Inquisizione e soffrì durissimo carcere in Roma; ma le accuse furono ritenute infondate e dopo tre anni (1584-87) ritornò all'insegnamento. L'opera sua fondamentale è il De motu gravium et levium (Firenze 1576).
Girolamo di Alessandro, vissuto nella seconda metà del '500, fu capitano di chiara fama e inventore di un istrumento rudimentale (da lui chiamato "buttafuoco") per servire agli artiglieri nella misurazione delle distanze, e che egli descrisse in ottava rima: Il Bombardiere (Bibl. Laurenziana di Firenze, ms. 83). Figlio di Girolamo fu Alessandro, nato ad Arezzo nel 1600. Studiò a Firenze matematica e meccanica. Diciannovenne, si recò in Germania, ove prese parte alla guerra dei Trent'anni. Rientrato in Italia, militò per breve tempo, col grado di capitano, agli ordini del duca di Feria, governatore di Milano. La sua fama cominciò a diffondersi, l'imperatore lo richiamò a sé per adibirlo alle fortificazioni di Nassau, Holstein e Vienna. Prese parte alla fiera battaglia di Lützen (1632) e a quella di Nordlingen, nella quale rimase ferito. Investito di due baronie, fu ascritto alla nobiltà boema. Fu all'assedio di Ratisbona (1634), dove "con l'invenzione delle sue macchine, costrinse la città a rendersi", e alla difesa di Praga. Insorta la contesa per la successione nel feudo di Castro tra i Barberini ed i Farnese, il granduca Ferdinando II richiamò a Firenze Alessandro per affidargli il comando dell'esercito toscano (1643). Il B. ordinò un esercito (18 mila uomini), organizzò un parco d'assedio (50 pezzi) e mosse verso la Val di Chiana contro i luoghi fortificati di Città della Pieve e di Castiglion del Lago, che fece capitolare in pochi giorni. Sconfisse infine i Barberini a Mongiovino, catturando il generale Marra con tutto il suo stato maggiore. Ferdinando II lo nominò marchese e gli assegnò il feudo del Borro (29 luglio 1643) e poi quelli di Castiglion Fibocchi e S. Giustino (14 ottobre 1644). Chiamato dal re di Spagna (1646) col grado di maresciallo di campo, sconfisse i francesi a Flix, Miravet e Tolosa. Accolta l'offerta della repubblica di Venezia, mentre già ferveva la guerra contro i Turchi, fu nominato generale delle armi della Sereni3sima (1656). Riordinò prima le truppe indisciplinate e disorganizzate; poi le condusse alla vittoria, ai Dardanelli, e al riacquisto di Egina, Lemno e Tenedo, dove fu ferito al petto. Mentre faceva vela, con un sol legno, per Venezia, venne assalito, nei pressi di Corfù, da tre vascelli barbareschi. Gravemente ferito, morì nell'isola suddetta (2 dicembre 1656). Resta di lui un celebre ritratto (forse di Angiolo Sacchi, erroneamente attribuito al Velázquez) ora al Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino. Dei quattro figli di Alessandro, Niccolò, generale di Venezia, morì combattendo all'assedio di Vallona (1690); Girolamo e Francesco furono distinti capitani; Marco Alessandro fu governatore di Livorno, ricostruttore del porto e fondatore delle case pie di quella città.
Pronipote di Alessandro fu Alessandro di Pierfrancesco (1672-1760), generale di artiglieria di Venezia e autore di due trattati di meccanica agricola: Il gran coltro (Milano 1718) e Il Carro di Cerere (Lucca 1699). Con lui si estinse la famiglia dei B. aretini.
Bibl.: Uomini illustri aretini, ms. di anonimo nella Bibliot. d. Fraternita dei Laici, Arezzo (ms. n. 100); E. Gamurrini, Istoria delle famiglie nobili toscane e umbre, Firenze 1673, III, p. 246 segg.; L. Crasso, Elogio dei capitani illustri, Venezia 1683, p. 295; G. F. Borro, Gentis Burrhorum notitia, in Nova librorum rarorum conlectio, Halis Magd. 1709, III, p. 243; U. Viviani, Andrea Cesalpino, Castiglion Fiorentino 1916, p. 176 segg.