borderline
Condizione psichiatrica, detta anche marginale, situata ai limiti fra le nevrosi e le psicosi. Il termine inglese significa appunto «linea di confine» e indicava originariamente forme atipiche di schizofrenia. Fu impiegato per la prima volta per designare un’entità morbosa autonoma dallo psicoanalista Adolph Stern nel 1938. Da allora il costrutto di patologia b. è entrato nell’utilizzo corrente in psichiatria e psicoanalisi, dopo aver subito continue revisioni a cui hanno contribuito numerosi autori, ed è tuttora contrassegnato dalla difficoltà a delimitarne i confini e identificare gli elementi nucleari comuni a configurazioni cliniche eterogenee, seppure attualmente riconosciute come manifestazioni tipiche di un peculiare assetto della personalità. Per la sua rilevanza è considerato il secondo grande paradigma teorico della psicoanalisi dopo l’isteria (➔), rispetto alla quale è stata formulata l’ipotesi di una medesima matrice con percorsi evolutivi differenti (André Green). La mancanza di una definizione univoca, i problematici rapporti con altre categorie nosografiche e l’espansione della patologia b., tale da sostenere l’idea di una vera e propria epidemia sociale, ne fanno oggi uno dei campi di studio più discussi e di maggiore interesse.
Il concetto stesso di b. oscilla fra diverse accezioni, solo in parte sovrapponibili. Nelle cosiddette sindromi b. confluiscono molteplici condizioni psicopatologiche, accomunate sul piano descrittivo da una commistione di sintomi nevrotici, caratteriali e psicotici ad andamento fluttuante, e dalla scarsa risposta sia al trattamento psicoanalitico classico (➔ psicoanalisi) sia alla farmacoterapia. Il pensiero di Otto Kernberg, che integra teoria delle relazioni oggettuali e psicologia dell’Io, segna il passaggio decisivo alla concezione di organizzazione b. di personalità (BPO, Borderline Personality Organization), intesa come una specifica modalità di funzionamento mentale intrapsichico, di gravità intermedia rispetto alle organizzazioni nevrotica e psicotica. Nel modello di Kernberg la BPO include vari disturbi di personalità oltre a quello b. propriamente detto (per es., i disturbi narcisistico, schizoide e antisociale), ed è caratterizzata, in senso psicodinamico, dalla ‘diffusione’ dell’identità, che consiste nell’assenza di una visione salda e unitaria di sé, dal ricorso a meccanismi di difesa (➔ difesa, meccanismi di) primitivi, quali scissione, diniego e identificazione proiettiva, e da un esame di realtà conservato anche se suscettibile di transitorie alterazioni. Più circoscritto è il significato di disturbo b. di personalità (BPD, Borderline Personality Disorder), definito dall’insieme dei sintomi tipici utilizzati come criteri per formulare la diagnosi. La validità del BPD come categoria diagnostica è controversa per l’elevata frequenza con cui si associa ad altri disturbi, sia di personalità, sia affettivi o del comportamento.
Stabilmente instabile, in stato di perenne crisi, la personalità b. presenta disfunzioni nelle tre aree degli affetti, dell’identità e degli impulsi. Repentini cambiamenti d’umore, disforia, irascibilità, rabbia incontrollata, paure di abbandono e intolleranza alla solitudine condizionano rapporti interpersonali burrascosi e intensi, sempre in bilico fra ricerca e rifiuto, idealizzazione e svalutazione. Le difficoltà relazionali sono accentuate dalla mancanza di un senso del sé coerente e integrato, che si traduce in stili di vita e di pensiero contraddittori e in sensazioni croniche di vuoto e noia. L’impulsività sfocia in ricorrenti condotte autolesionistiche e suicidarie e predispone ad abuso di sostanze, promiscuità sessuale e bulimia. Pressoché costante è il rilievo di stati depressivi che assumono le qualità della costellazione affettiva di base, come pure è possibile la comparsa di spunti paranoidi, sintomi ed episodi psicotici tipicamente transitori e circoscritti. L’espressività clinica polimorfa della psicopatologia b. richiede che venga effettuata la valutazione congiunta degli aspetti fenomenici e del funzionamento strutturale sottostante, al fine di ridurre il rischio di un uso generico e improprio del termine.
Allo sviluppo della personalità b. concorrono fattori biologici, psicologici e socioculturali, sul peso relativo e sull’interazione dei quali si confrontano psicoanalisi, cognitivismo e neuroscienze. Modelli psicodinamici centrati sul ricorso alla scissione nel conflitto fra pulsioni libidiche e aggressive (Otto Kernberg), o su deficit della capacità di mentalizzazione (Peter Fonagy), si affiancano alle teorie cognitive più recenti focalizzate su un’alterazione del sistema di regolazione delle emozioni (Marsha Linehan); mentre dalla sintesi tra i due indirizzi nasce la teoria del disturbo dell’attaccamento, cioè della costituzione del legame primario madre-bambino (John Bowlby, Mary Main e Judith Solomon). Un generale consenso è accordato al ruolo causale che rivestono in età infantile gli eventi traumatici, intesi tanto come singole vicende di abuso o maltrattamento, quanto come ripetute e protratte situazioni di trascuratezza e carenze genitoriali. Sugli effetti del trauma converge la ricerca dei substrati biologici della patologia b., nell’ipotesi di un coinvolgimento dei meccanismi della memoria procedurale che determinerebbe la persistenza degli schemi emozionali attivati dalle esperienze negative. Alterazioni neurotrasmettitoriali, disfunzioni del sistema limbico e dei circuiti prefrontali sono collegate all’impulsività e alla difettosa modulazione degli affetti, e potrebbero essere alla base di una vulnerabilità biologica geneticamente trasmissibile, aperta alle influenze familiari e sociali.